Premio Prunola 2019: Antologia dei racconti finalisti
Di AA. VV.
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Info su questo ebook
Partito come una vera scommessa, negli anni va affermandosi come un concorso valido per esordienti e non, vedendo premiate opere davvero meritevoli ed evitando i consueti maneggi esistenti nel mondo dei concorsi letterari.
Un premio in crescita per prestigio e rilevanza letteraria e mediatica, che ci riserverà grandi sorprese.
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Anteprima del libro
Premio Prunola 2019 - AA. VV.
intenzionale.
Introduzione
Quest'anno si cambia: ogni anno è un'evoluzione rispetto al precedente, e lo stesso premio letterario evolve continuamente, portandoci a vette prima impensabili. Da un'idea nata su un marciapiede tra tre amici brilli alla televisione, il Premio Prunola ha riservato grandi sorprese a noi per primi, che non pensavamo saremmo arrivati così in alto. Chissà il futuro cosa ci riserverà.
Anche l'antologia cambia: oltre ai quattro racconti finalisti ho deciso di chiedere ai giurati se a loro sarebbe andata di inserire un loro racconto; in molti hanno accolto questo invito di partecipare collettivamente a costruire un libro diverso, completo, variegato così come lo sono i racconti delle finaliste della categoria scolastica. Ringrazio di cuore tutti voi, che con la vostra passione e la vostra scrittura avete contribuito a rendere ancor più importante questo libro, che rimane come testimonianza di ciò che ci accomuna: scrivere, e leggere.
Auguro anche a tutti i lettori di trovare di vostro gradimento quest'antologia, almeno quanto me, che trovo la presente raccolta davvero preziosa e ricca di fantasia. Buona lettura, e buona scrittura.
Andrea Tralli
Prima parte
Racconti scolastici finalisti
Una vita, una sfida
di Alice Boldrin, Premio Speciale Rita Dominijanni
La nebbia stendeva il suo velo sopra i tetti, mentre il vento dirigeva le eleganti coreografie delle vaganti foglie secche, forse intente ad allietare e consolare i solitari rami che lasciavano spogli. Le nubi minacciose tenevano imprigionato ogni sofferente raggio di luce tiepida, cosicché la gamma di colori del paese era ormai ridotta alle malinconiche tonalità del grigio e del marrone. A ogni ora il prominente campanile, che si scorgeva sfuocato in fondo alla via, infrangeva l’angosciante silenzio tombale con i suoi fragorosi rintocchi. Le strette e tortuose strade cittadine rimanevano sempre più desolate per il freddo che diventava, giorno dopo giorno, più aggressivo. Soltanto nel primo pomeriggio, a volte, si sentivano gli schiamazzi dei figli dei domestici, quasi indifferenti al clima rigido, che uscivano dando sfogo alla loro voglia irrefrenabile di volteggiare sui laghetti ghiacciati. I bimbi delle famiglie più altolocate, invece, venivano costretti a impegnare il loro tempo in noiose attività educative, affiancati dai più rinomati maestri dell’epoca.
La giornata era sorta da un paio d’ore e Gregor, con la vecchia solita vanga, aveva già cominciato la sua lotta per rivoltare le resistenti zolle di terra, illuse di intenerirsi con la leggera rugiada della notte. I guanti di lana blu, lavorati a mano da una cara amica d’infanzia, erano un ricordo troppo prezioso per poterli utilizzare durante il lavoro, così le sue mani erano screpolate e ricoperte di tagli doloranti. Le orecchie e il naso arrossati avevano perso la sensibilità e le labbra bruciavano. Fortunatamente le caviglie rimanevano ben protette dai lunghi stivali di gomma e il collo da una sottile sciarpa di cotone, mentre i logori pantaloni presentavano qualche strappo e la giacca non era particolarmente pesante. Il gelo gli penetrava nelle vene, ma si era ormai abituato a questa straziante condizione, tanto che a volte, quando qualche uccelletto canterino si posava lì vicino, tentava di imitargli il verso con un leggero fischiettio, quasi a voler instaurare un dialogo. D’altronde compagnia non ne aveva, spendeva il suo tempo immerso tra piante e pensieri, così aveva sempre bisogno di ricercare nuovi stimoli.
Quello del giardiniere era il lavoro per cui era stato istruito fin da piccolo, quando ancora frequentava i laboratori pomeridiani all’orfanotrofio in cui era cresciuto. Era sempre stato attratto dal profumo dei fiori e dalla sofficità della terra, tanto che riusciva a trovare diletto in ogni contatto con la natura. Era, infatti, forse l’unico luogo in cui riceveva conforto e soddisfazione.
Il mondo degli uomini lo aveva sempre deluso. I suoi genitori, circensi di professione, lo avevano abbandonato due giorni dopo la sua nascita, lasciandolo in una deteriorata cesta di vimini nel parco vicino alla zona in cui alloggiavano, avvolto dalle fasce colorate che utilizzavano per i loro spettacoli. Era già il quarto figlio, ma purtroppo nacque in un periodo in cui le esibizioni erano sempre più frequenti e popolari, gli incassi crescevano e ciò permetteva l’ideazione di nuovi arditi progetti. Un bimbo avrebbe potuto diventare un promettente aiuto nel lavoro, ma durante i primi anni di vita avrebbe avuto bisogno di particolari attenzioni, che in quel momento i genitori non sarebbero stati in grado di garantirgli.
Soltanto Jill, la sorellina di sei anni, pianse a lungo quell’abbandono. Aveva, infatti, seguito e sostenuto la madre durante tutta la gravidanza e non vedeva l’ora di stringere fra le sue esili braccia calorose il fagottino che si era formato dentro quel pancione che aveva accarezzato per mesi. I genitori la stavano istruendo per diventare una trapezista professionista, anche se nel tempo libero adorava starsene comoda, accoccolata sopra le gambe della nonna inferma, che le insegnava l’arte del cucito. Rimaneva colpita ogni volta nel vedere come un semplice intreccio di fili colorati potesse dar forma e vitalità a graziosi tessuti ornati. Proprio per questo aveva deciso di ricamare un piccolo berrettino per il tanto atteso nascituro, con inciso il nome che avrebbe voluto dargli, Gregor, come il protagonista del suo libro preferito. Aveva, inoltre, già preparato uno scatolone di pupazzi morbidi per farlo giocare e non vedeva l’ora di dedicarsi alle lunghe passeggiate con la carrozzina tra una prova e l’altra. Ogni sogno, però, venne presto soffocato dal polverone di ghiaia sollevato lungo il sentiero sterrato dalla rapida avanzata della carovana di famiglia, intenta a fuggire lontano verso terre sconosciute e spinta dalla speranza di scovare nuove opportunità, lasciandosi alle spalle il disperato e sofferente pianto del neonato abbandonato in balia del destino.
Non seppero più nulla di quel bambino, pur sperando che qualche premuroso passante avesse potuto soccorrerlo e allevarlo affettuosamente. Così, in effetti, fu.
In quel modesto paesino, infatti, giaceva un antico orfanotrofio dalle mura giallognole ormai diroccate, ma in cui lavoravano educatori dal cuore grande. Appena uno di loro si accorse del cesto dissestato, non esitò a raccoglierlo e a portarlo con sé. Decisero subito di assegnargli il nome che videro scritto sul cappellino che la sorella era riuscita a lasciargli di sfuggita e dolcemente lo accudirono, crescendolo e istruendolo ai buoni valori.
Era un bimbo sveglio e solare, gentile e solidale. Voleva bene a tutti i suoi compagni e si mostrava sempre disposto ad aiutare i collaboratori. Con impegno partecipava a tutte le attività proposte e in poco tempo imparò a leggere e scrivere. Sognava di diventare un abile navigatore, tanto che era riuscito a costruirsi una finta imbarcazione con le cassette di legno vuote della verdura e lì ci passava le ore, fantasticando sui viaggi e le scoperte che avrebbe potuto compiere. Appena, però, sentiva il suono della campanella che permetteva di uscire nel grande giardino recintato, era il primo a fiondarsi alla porta. Un’altra sua passione, infatti, erano gli insetti. Li collezionava, li nutriva e li studiava, restando ogni volta meravigliato da tutte le loro peculiarità. All’ora di cena, poi, raccontava a tutti con entusiasmo i risultati delle sue esplorazioni e non mancava mai di regalare un fiore profumato, colto tra un’indagine e l’altra, a ogni cuoca. La sua contagiosa energia aleggiava tra i corridoi come una leggiadra brezza primaverile, tanto che, nei rari giorni invernali in cui veniva vinto dall’influenza e costretto a restarsene a letto sorseggiando tisane fumanti, si intravedeva tra le persone uno spiraglio di malinconia.
Era una presenza di cui non si poteva fare a meno e d’altronde anche lui in quell’ambiente stava bene. Si sentiva protetto e accettato.