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Quattro spicchi di mela
Quattro spicchi di mela
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E-book272 pagine3 ore

Quattro spicchi di mela

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Info su questo ebook

Quanto coraggio serve per affrontare le proprie paure? Quanta forza è necessaria per superarle? Sfiduciata, rifiutata, Ella convive con il senso di inadeguatezza da sempre. Sa nascondere debolezze e segreti perché apparire perfetta è tutto quello che le hanno insegnato. Fabian è l'unico che la fa sentire diversa e speciale. La destabilizza da quando lo ha conosciuto e la costringe, insieme a inaspettate e sconvolgenti rivelazioni, a smettere di essere spettatrice passiva della propria vita. La paura più grande è sempre quella di prendere la decisione sbagliata senza la possibilità di poter tornare indietro. L'amore può essere forte abbastanza da far rischiare il tutto per tutto?
LinguaItaliano
Data di uscita15 gen 2020
ISBN9788831656139
Quattro spicchi di mela

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    Anteprima del libro

    Quattro spicchi di mela - Laura Di Flaviano

    633/1941.

    Raggiunse il salotto in silenzio, trasportata dal rumore delle onde che incontravano gli scogli. Le tende, già screziate da quella punta di giallo e arancione pallido del sole nascente, si stavano muovendo gonfiate dal vento. Respirò l’aria salmastra a pieni polmoni e chiuse gli occhi facendosi accarezzare il viso dalla brezza fresca. Raggiunse lenta, quasi fluttuante nella camicia da notte impalpabile e leggera, il parapetto del terrazzo affacciato sul mare.

    Quando le sue mani incontrarono la fredda pietra restò ancora qualche secondo con le palpebre abbassate facendosi scaldare dai primi tiepidi raggi del giorno. Si voltò per permettere alla schiena di godere dello stesso tepore e finalmente volse lo sguardo alla villa.

    La costruzione, interamente rivestita di pietre, si integrava alla perfezione con il paesaggio, ben mimetizzata nel bosco e tra le rocce. Era circondata da diversi pini marittimi e d’Aleppo e in ogni dove sbucavano arbusti di mirto, corbezzolo, ginestra e lentisco. Alcuni sarebbero cresciuti come alberi, ne era certa, era soltanto questione di tempo. Avvertì il profumo dei cespugli del rosmarino e dell’alloro e per un attimo i suoi pensieri divagarono sui piatti che avrebbe preparato per il pranzo.

    La sua attenzione fu catturata da un minuscolo fiorellino magenta che sbucava tra le pietre del pavimento. Non era un evento raro in quell’angolo aspro di terra e roccia a strapiombo sul mare dove suo marito non aveva resistito alla tentazione di inserire una piscina. In realtà era poco più di uno stagno, dalla forma irregolare che si adattava alle linee naturali dell’ambiente ma le aveva promesso che l’avrebbe ampliata nel tempo.

    Indirizzò lo sguardo verso quell’ennesimo regalo incastonato nella sua vita semplicemente perfetta e l’immagine affondò come una lama nel petto, così inaspettata e dolorosa che la sua bocca si aprì ma non ne uscì alcun suono. Così imprevista ed illogica che il respiro rimase intrappolato nella gola.

    Il cervello creò un’interferenza, un brusio che la disturbò e stordì, mentre lo stomaco si stringeva e lei scuoteva la testa, incredula, aspettando, pregando che l’immagine si dissolvesse, come un errore, un incubo, qualcosa di distorto e irreale.

    Un lamento straziante cominciò a levarsi dalla sua gola. Nel suo paradiso non c’era ragione alcuna per vedere una sagoma del genere che galleggiava sull’acqua. Le palpebre sbattevano ripetutamente e ad ogni battito frenetico era unita la preghiera che l’immagine sparisse, ma non accadeva!

    Negò l’evidenza, senza sosta, mentre la testa arrancava, come su una ripida salita sulla quale le mani perdevano continuamente la presa. Scivolò sulle ipotesi, contestando ogni variabile, alla ricerca disperata di una spiegazione qualsiasi.

    Vegetazione!

    Era vegetazione pallida, portata dal vento e sbiadita dal sole, perché non era verde e neppure marrone… non era nemmeno grigia, come quei tronchi che spesso trovava tra le rocce della caletta dopo una tempesta.

    Era bianca.

    Una camicina da notte fluttuava nell’acqua. Una raggiera di lunghi capelli incorniciava il volto di un ormai inanimato angioletto caduto dal cielo.

    Prologo

    Usciamo da soli? Stanca di aspettare, aprì la porta. Non riusciremo a portarli con noi aggiunse rassegnata.

    Il suo amico dai sensazionali e ipnotici occhi turchesi e la procace compagna di scuola che gli aveva presentato un paio di giorni prima si stavano rincorrendo come due bambini e ridevano allegri e spensierati, ignorando ogni sua proposta.

    Il nuovo amico annuì, sollevato di non dover rimanere ad assistere a quella specie di rituale di seduzione piuttosto infantile. Ok, andiamo a… come hai detto che si chiama questo posto?

    Sul muretto di quella vecchia costruzione medioevale, si sentiva Giulietta, mentre lui la guardava dalla stradina sottostante. "Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome!" recitò melodrammatica, poi rise. Lo conosceva appena, ma il luogo si prestava a quel genere di battuta.

    Lui stette al gioco. "Chiamami amore e sarò ribattezzato, da questo istante non sarò mai più Romeo!  Dice questo? Non ricordo molto bene le battute, mi dispiace!"

    Non le ricordo nemmeno io! ammise allegra, stringendosi nelle spalle. Aspettami, ti raggiungo.

    Mi piace questa cittadina.

    Lei sorrise compiaciuta, come se fosse stato tutto merito suo e lo guidò verso il porto che era curiosamente deserto. Un bel gatto dal voluminoso pelo grigio apparve dal nulla e per poco non la fece rovinare a terra. Venne prontamente sostenuta.

    Grazie balbettò imbarazzata. Che figura! Il gatto miagolò per attirare l’attenzione, fiducioso e a caccia di coccole. Era evidente che non se ne sarebbe andato prima di aver rimediato qualche carezza.

    Ti piacciono i gatti?

    Lei si accovacciò per coccolare il responsabile della sua figuraccia. Molto. Anche quando attentano alla mia vita! brontolò grattando il gattone dietro le orecchie.

    Lui rise e si piegò sulle ginocchia accanto a lei. Accarezzò il morbido pelo del felino che si muoveva sinuoso. Io li ammiro. Mi affascinano per la loro indomita ed indifferente esibizione di indipendenza.

    Lei corrugò la fronte a quella descrizione curiosa, forse persino poetica. Corrispondeva al vero ma non le sarebbe mai venuto in mente di descrivere un gatto così. Strano ragazzo.

    Mentre si contendevano la superficie da accarezzare, le loro mani cominciarono a sfiorarsi più volte. Dopo qualche minuto si rese conto, sorpresa, di cercare un contatto di proposito. E quando realizzò che, in effetti, stuzzicava la sua fantasia, lui iniziò a fare curiosi movimenti sulla sua pelle in modo lento, con un dito, come se le stesse disegnando qualcosa sulla pelle.

    Aveva l’aria assorta, annoiata ma attenta, proprio come un gatto. Lo studiò mentre il cuore cominciava a battere veloce. I pensieri si confondevano disordinati nella sua testa. Lui alzò lo sguardo su di lei, gli occhi di un felino, non più un gatto, qualcosa di più grosso e pericoloso, una lince, molle eppure tesa e scattante, pronta a balzare. Era in attesa. Di cosa? Di una risposta? O di una preda?

    Lui era riservato, poco loquace. Era un osservatore, un pianificatore, non era impulsivo.

    Lei era vivace, impetuosa e instancabile, non riusciva mai a stare ferma o silenziosa troppo a lungo e gli proponeva ogni giorno una nuova località da visitare. Lo aveva portato su una lunghissima pista ciclabile che si snodava lungo diversi chilometri di costa. Ne avevano percorso un tratto a piedi, uno in bici, un altro in tandem e uno in risciò. Avevano riso come pazzi, soprattutto quando avevano provato, con risultati discutibili, il tandem.

    Lei conosceva molto bene la zona, lo portava sempre in posti bellissimi, splendidi angoli del litorale, tutti poco conosciuti o frequentati dal turismo, quasi incontaminati. Ogni volta erano decine o centinaia di chilometri, di passi, di foto e di baci.

    Era molto giovane, bellissima, impulsiva e allegra e lo travolgeva con la sua passione. Non smetteva di fotografarla, di immortalare una risata, un sorriso, un pensiero. Era l’espressività fatta persona, il suo volto trasmetteva sempre qualcosa che lui si perdeva a leggere. Anche quando non parlava i suoi silenzi erano pieni di parole.

    Lo studiava con attenzione e si era fatta confessare da chi aveva ereditato quella che, per lei, era un’originale combinazione di colori. Lui non capiva cosa avesse di così speciale da essere definito in quel modo. I suoi capelli erano mossi, con diverse ciocche schiarite dal sole. Gli occhi erano di un nocciola molto chiaro con, forse, qualche sfumatura sul verde scuro a seconda della luce.

    Lei si ostinava a dire che erano verdi ed era irremovibile a quel proposito. Sorrise divertito perché quella divergenza di opinioni era sempre preludio di un bacio.

    Con quante donne hai fatto l’amore? La curiosità era diventata insopportabile, come il rumore di un tarlo che rosicchia dentro alle orecchie. Provò una gran vergogna mentre faceva cadere la domanda con tono, sperò, abbastanza disinteressato.

    Lui si voltò a studiarla.

    Lei non resse lo sguardo e si voltò paonazza mentre sentiva l’imbarazzo farsi strada nel petto come una gran fanfara in festa.

    Due. Ho avuto due storie abbastanza lunghe e importanti le rispose sereno. E tu?

    Ho frequentato qualcuno ma niente di serio balbettò, maledicendo la sua stupida e infantile curiosità. Non ho mai fatto l’amore. Nell’attimo in cui lo disse si morse il labbro. Perché aveva fatto quella domanda? Perché aveva rivelato di essere così inesperta? Che avrebbe pensato lui adesso? Che ci stesse provando? Avvampò, augurandosi che accadesse qualcosa che potesse farla sparire immediatamente.

    Lui la guardò incuriosito. Atipico alla tua età commentò. È per scelta o…?

    Non mi dispiaceva l’idea di arrivare vergine al matrimonio. Il suo volto si infiammò. Oddio! Perché aveva aperto quel discorso? Perché aveva dato quella risposta impulsiva? Aveva sempre respinto le pressioni che i ragazzi le avevano fatto fino a quel momento, ma il discorso non era legato alla verginità. Semplicemente nessuno l’aveva mai interessata a sufficienza.

    O forse non sono mai stata incuriosita abbastanza. Curiosità?! Che diavolo le era venuto in mente di dire?! Una voragine! Era necessaria una voragine! Perché non si stava aprendo un enorme buco sotto i suoi piedi e non la inghiottiva insieme alle sue rivelazioni deficienti?!

    Si era innamorata. Lui era paziente e premuroso, affascinante e gentile. Non faceva mai pressioni ed era pieno di piccole e grandi attenzioni. Nessuno l’aveva mai incuriosita così tanto da sentire il bisogno di spingersi a cercare qualcosa di più. Gli aveva detto il suo primo Ti amo. Non era riuscita a trattenerlo e non aveva provato imbarazzo nel dirlo, nemmeno quando lui non le aveva risposto, ma era rimasto a guardarla con quegli occhi strabilianti e l’espressione che lei aveva battezzato mi prenderò per sempre cura di te.

    Lui non ne aveva mai abbastanza di lei, era una ragazza davvero speciale, travolgente. Lo aveva stregato, a volte si sentiva addirittura imbambolato, non trovava parola più calzante. Lo stordiva con la sua dolcezza, con la sua innocenza, con la sua passione, le sue esuberanti e travolgenti energie. Era un insieme di combinazioni curiose ed opposte eppure non era contraddittoria, era soltanto inesperta, con una gran voglia di lanciarsi nel mondo per scoprire tutto quello che poteva.

    Stanotte ci sarà la luna piena! Sfruttando l’altezza del muretto in pietra, saltò sulle sue spalle stringendolo in un abbraccio pieno di slancio.

    Lui girò il viso verso di lei che stava seminando tanti piccoli baci sulla sua guancia. Allora metteremo una coperta per terra e la guarderemo, come abbiamo fatto con le stelle cadenti la notte di San Lorenzo rispose mentre lei scivolava a terra e si faceva abbracciare. Era molto affettuosa. Lui era l’esatto opposto. Era sempre stato un po’ impacciato e rigido nell’esternare le proprie emozioni o accogliere quelle degli altri.

    Finché qualcuno si trasformerà in un lupo mannaro! disse allegra, strofinando il naso contro il suo collo.

    Lui sorrise. La tenne stretta mentre un’ombra di tristezza cominciava ad insinuarsi tra di loro. Devo tornare a casa tra pochi giorni.

    Lei annuì, sapeva che non sarebbe durata per sempre, ma era stata una favolosa ed imprevista parentesi romantica in quella lunghissima eppure fulminea estate. Non l’avrebbe mai dimenticato. Appoggiata al suo petto ascoltò il battito forte e rassicurante del suo cuore. Era dispiaciuta all’idea di separarsi da lui, quelle settimane erano letteralmente volate, ma nello stesso tempo era eccitata all’idea della nuova avventura che l’aspettava. Avevano passato due meravigliosi mesi insieme. Ti scriverò.

    Anch’io ti scriverò.

    Tessa fu testimone di uno dei loro ultimi baci. In quei due mesi la ragazzina si era trasformata grazie a quel giovane uomo, ma non sarebbe stato sufficiente. Erano passati quindici anni dalla sua mancata morte e non riusciva a sperare che la sequenza temporale potesse fallire ancora. Sentiva che la ragazzina sarebbe andata incontro a tempi duri e sapeva di non sbagliarsi.

    Capitolo 1

    Ti è mai successo di sentirti a casa in un posto dove non eri mai stata prima?

    Ella chiuse il Quaderno di viaggio che le aveva regalato Paola qualche giorno prima e lo ripose nella borsa. Quel taccuino aveva una gran quantità di pagine da riempire ed era pieno di massime interessanti. Allontanarsi da New York l’aveva ridimensionata. Si sentiva meglio dopo essere stata con le sue amiche, forse doveva soltanto cambiare un po’ aria.

    Nel giro di dieci minuti circa sarebbe atterrata all’aeroporto di Monaco e il viaggio era stato piacevole e senza turbolenze. La permanenza a Milano era volata. Era andata via solo due anni prima dalla sua città natale eppure ritornarci le aveva dato l’impressione di essere mancata da secoli.

    Quando aveva deciso dove voleva andare a vivere si era appena diplomata e per orientarsi aveva soltanto dovuto capire da chi voleva stare più lontana.

    Ormai era maggiorenne, avrebbero potuto sistemarla in un appartamento qualsiasi, ovunque in Europa e pagarle gli studi, ma non si fidavano di lei e l’apparenza aveva ancora il suo prezzo.

    Sua madre si sarebbe trasferita negli Stati Uniti, perché il nuovo marito era di New York. Philip era molto simpatico, sensibile e attento e si era dichiarato felice di averla con loro. Il punto, piuttosto, era stato comprendere se Veronica avrebbe gradito avere la figlia intorno.

    L’alternativa sarebbe stata rimanere a Milano, a casa del padre, Luca, e della sua ultima giovane compagna Vanessa, gelosa di Ella in modo folle ed imprevedibile. Se costretta a condividere casa con lei, non si faceva sfuggire occasione per renderle il soggiorno quanto più spiacevole possibile.

    Si allacciò la cintura di sicurezza come la spia luminosa suggeriva di fare, pensando con ironia che non le avevano concesso la terza opzione, l’unica che avrebbe scelto con entusiasmo.

    Era una perfetta estranea per i suoi genitori. Era stata un errore di percorso, mai voluta o desiderata, un matrimonio riparatore, di facciata, indifferenza e poi il divorzio.

    Lei infastidiva, disturbava entrambi. Era una presenza scomoda che ricordava di continuo il madornale errore che avevano commesso. Meno la vedevano e meglio stavano. La sua infanzia era infatti trascorsa tra balie, tutrici, scuole private e cliniche dove la ricoveravano per un po’ quando diventava particolarmente problematica.

    Un considerevole punto di svolta lo aveva avuto al liceo quando aveva conosciuto Paola, Valentina e Arianna. Una professoressa le aveva battezzate le Charlie’s angels. Le paladine della giustizia l’avevano presa sotto la loro ala e con loro aveva imparato a liberare la sua vera natura.

    Ari riusciva ad ascoltarla per ore senza esprimere alcun giudizio. Paola era la più matura e responsabile, faceva spesso battute molto pungenti, ma sapeva essere dolce come nessun’altra. Vale era la più solare, vestiva sempre all’ultima moda, adorava i colori sgargianti e aveva sempre unghie perfette. Le aveva insegnato ad essere scaltra, a non permettere ai ragazzi di prendersi gioco di lei. Prima degli insegnamenti di Vale, Ella era stata scandalosamente imbranata, soprattutto durante l’adolescenza, negata nei rapporti umani in generale, non soltanto con l’universo maschile.

    Tu non scendi? le chiese una graziosa bambina. Ella la osservò incuriosita, poi realizzò che l’aereo era atterrato ed era già scesi quasi tutti. Allora le sorrise, prese il suo bagaglio a mano e la seguì.

    Alla fine aveva deciso di partire per gli Stati Uniti. Aveva abitato con la madre e il patrigno per poche settimane, poi se n’era andata. Il patrigno era amichevole, mentre sua madre aveva mantenuto la solita facciata di tolleranza e il suo atteggiamento era rimasto immutato nei suoi confronti. Non sopportava di averla troppo intorno e persino condividere un pasto al giorno in sua compagnia la rendeva il massimo dell’insofferenza. A Milano si ignoravano e facevano orari completamente diversi tanto da non rischiare di incrociarsi per giorni. Davanti a Phil non potevano replicare le loro consolidate abitudini e Veronica era costretta a sfoderare le sue capacità d’attrice con crescente insofferenza.

    Ella aveva capito in fretta che la convivenza non poteva funzionare. Persino Philip se n’era accorto ed era stato proprio lui, con molto tatto, a proporle un appartamento più vicino all’università. I vincoli negli Stati Uniti erano meno rigidi che in Italia dove le aziende di famiglia dei genitori avevano sede e dove doveva stare attenta a non fare troppa pubblicità negativa. C’era una reputazione da difendere. Veronica non si era opposta all’allontanamento ed Ella non si era fatta pregare. Philip era generoso e non faceva domande per comprendere l’atipica relazione tra madre e figlia.

    Recuperò il bagaglio dal nastro trasportatore. Non riusciva a smettere di pensare a tutto quello che le era capitato in quei due anni a New York. Inspirò a fondo. Sapeva bene di essere scappata. Quella di andare a trovare suo padre era stata la scusa più ridicola che si sarebbe potuta inventare.

    L’insofferenza era aumentata in modo così prepotente da schiacciarla e il bisogno di evadere era diventato insopportabile. Alla mente si erano subito affacciate Paola, Vale e Ari con le loro chiacchiere e la loro calda e amorevole amicizia. Si sentiva normale in loro compagnia e aveva un bisogno folle di riassaporare di nuovo quella normalità.

    L’urlo di Valentina le aveva quasi sfondato i timpani in aeroporto. L’aveva abbracciata e poi aveva cominciato a saltellarle intorno. Ella aveva fatto finta di vomitare e aveva sentito Paola e Arianna ridere.

    Fermati! Paola si era sostituita a lei e l’aveva tenuta stretta a lungo fino a quando Ari non aveva cominciato a schiarirsi la voce, battendo il tempo.

    Ella è qui!! aveva esclamato Vale battendo le mani come una bambina di fronte ad un regalo tanto atteso.

    La vediamo anche noi, Vale! Sei pronta, Ella? Dobbiamo girare un po’ e abbiamo qualche nuovo amico da presentarti! era intervenuta Paola.

    Ti toccherà anche conoscere la nuova fiamma di Vale aveva aggiunto Ari in tono sarcastico.

    Vale aveva risposto ad Arianna con una linguaccia ed Ella si era incuriosita. Ha qualcosa che non va?

    È stupido come un caprone! aveva detto Arianna.

    Ari! l’aveva rimproverata Ella.

    Ma è vero! È tutto muscoli e niente cervello! Mi stupisce ogni volta che riesce a mettere più di tre parole in fila! Sarà un fenomeno a letto, altrimenti non me lo spiego!

    Ari! Vale aveva gonfiato le guance arrabbiata.

    Ma dai Vale, non fare quella faccia da criceto! Lo sai che ho ragione! Ti voglio bene ma sei proprio sprecata con quel troglodita! Prima o poi ti passerà, sono fiduciosa.

    Ella fece fatica a trattenere una risata al ricordo. Quanto le erano mancati quei battibecchi tra loro! Invece tu e Paola come siete messe a uomini?

    Arianna aveva sbuffato e Paola aveva risposto per lei. Temo che Ari sia una causa persa!

    Ari aveva replicato con una linguaccia. Tu pensa al tuo Paolo. Paola e Paolo! Potevi almeno trovarne uno con un nome diverso!

    Un leggero rossore si era diffuso sul volto di Paola. È soltanto un amico!

    Ella sorrise. Erano andate avanti un bel po’ con quel cicalecciare, anche fuori dall’aeroporto, ma era proprio quello che le mancava di loro; quell’allegra complicità e affettuosa provocazione.

    Aveva passato una divertente settimana in loro compagnia, evitando persino l’incontro con il padre. Era un bel po’ che i tabloid non parlavano di lei ed era un bene che i paparazzi non la vedessero nuovamente accanto a Luca Imperatore. Erano passati anni dall’ultima volta e lasciava sempre strascichi spiacevoli. Al telefono Luca le aveva augurato una buona permanenza a Milano e nient’altro. Non aveva proposto un incontro. D’altronde non l’aveva degnata di una sola telefonata in quei due anni negli Stati Uniti, perché avrebbe dovuto avere voglia di vederla?

    Ella si era tolta un peso. Nemmeno lei aveva voglia di inscenare una pantomima con lui e si era davvero goduta la vacanza. Aveva accompagnato Paola e Ari ad alcune lezioni all’università e aveva fatto compagnia a Vale nel negozio di abbigliamento nel quale lavorava. Aveva sperimentato una lezione di pole dancing con Ari, scoprendo che non faceva assolutamente per lei, erano andate a cena, a ballare, al cinema e a fare shopping.

    Si era goduta Milano passeggiando tra le strade del centro,

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