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Come il sole di mezzanotte
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Come il sole di mezzanotte
E-book424 pagine5 ore

Come il sole di mezzanotte

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Info su questo ebook

Nell’Irlanda di fine ottocento la contessina Anna Delarey torna a casa dopo aver concluso il college. Non conosce l’amore, ma sa cosa vuole: non permetterà a nessuno, nemmeno a sua madre, di farle accettare un matrimonio combinato. Sogna un uomo da amare, al di là delle convenzioni sociali e, quando incontra Julian, il bel marinaio, è amore assoluto in grado di illuminare ogni cosa, come il sole di mezzanotte. Anna e Julian sono certi che il loro sentimento potrà superare qualsiasi pregiudizio, ma il destino è in agguato e Anna si troverà di fronte ad una scelta: rimanere ancorata a un passato che non può più tornare oppure faticosamente, coraggiosamente, lottare per il proprio futuro.
Liliana Onori, l’autrice, è al suo secondo romanzo. “La prima volta che ho preso la penna in mano - confessa - ho capito che da quel momento l'unica cosa che avrei voluto fare era scrivere.

Nota dell'editore: Questa versione dell'ebook è stata completamente aggiornata e revisionata.
LinguaItaliano
Data di uscita13 giu 2015
ISBN9788898190539
Come il sole di mezzanotte

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    Anteprima del libro

    Come il sole di mezzanotte - Liliana Onori

    Liliana Onori

    Come il sole di Mezzanotte

    Sinossi

    L’amore che si scopre, che è linfa, che riesce a illuminare come un sole a mezzanotte. È quello che vivono Anna e Julian, certi che il loro sentimento possa superare qualsiasi differenza e vincere su ogni forma d’odio. Ma non nell’Irlanda di fine ottocento dove le convenzioni sociali riescono a oscurare qualsiasi tipo di legame, persino quello tra una madre e sua figlia. Anna scoprirà, così, che l’amore ha molte forme: può essere estremo, tragico, può nascere dall’amicizia, dalle consuetudini, dall’indifferenza e può generare rancore e distacco; soprattutto può essere grande nella rinuncia e piccolo nell’accettazione e celarsi ovunque, magari dietro al tronco di un grande albero.

    Table of Contents

    Come il sole di Mezzanotte

    Sinossi

    Copyright

    Maggio 1889

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

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    Marzo 1890

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    Giugno 1896

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    11

    L'Autrice

    Copyright

    Titolo: Come il sole di mezzanotte

    Autore: Liliana Onori

    Progetto grafico della copertina: Fabrizio D'Ammassa

    Copyright © 2015 Librosì Edizioni

    ISBN versione ebook: 978-88-98190-53-9

    Questo libro è opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.

    Leggi gli altri libri di Librosì Edizioni accedi al catalogo on line.

    Scrivi a librosi.edizioni@gmail.com

    Dedicato a Graziella, a Mimmo e

    alla mia amica Chiara,

    perché l'amore non muore mai

    Maggio 1889

    1

    P

    iovigginava quella mattina di maggio, ma non era una stranezza nella contea irlandese di Cork. Correva veloce sul ponte la carrozza che stava riportando a casa Anna DeLarey sull'isola di Queenstown, che sorgeva alla foce del fiume Lee e che era collegata alla terraferma da una serie di ponti.

    Dopo la fine della scuola, l'unica cosa che Anna desiderava era abbandonare i libri e rivedere i suoi genitori, la sua tata e godersi lunghe passeggiate nel boschetto che circondava tutta la sua casa. Il Collegio delle suore del Sacro Cuore di Berna in cui aveva studiato per dieci anni era in assoluto il migliore, se ne parlava in tutti i salotti dell'epoca, ed era rinomato per le eccellenti studentesse che ne erano uscite istruite e ben educate. Nessuno però parlava mai di quanto le suore fossero severe e di quanto fossero lunghi i periodi lontano dalla famiglia, ma adesso che all'orizzonte riusciva a vedere il cancello di casa, quei pensieri svanirono. Trovò tutti ad attenderla, compresa la servitù, ben schierata come un esercito. Appena la carrozza si fermò, Anna scese i due scalini quasi volando, senza nemmeno aspettare l'aiuto del cocchiere. Il padre, il conte Conrad DeLarey, le corse incontro stendendo le braccia in avanti per abbracciarla. Tra di loro c'era sempre stato un rapporto speciale. Anna lo adorava e lui non viveva che per renderla felice. L'idea di mandarla a studiare lontano, infatti, non gli era mai piaciuta molto, ma le ragioni che sua moglie Diana gli aveva sottoposto in merito gli avevano fatto credere che per Anna sarebbe stata un'ottima opportunità. Anna non tornava a casa da più di un anno e risentire il calore del padre in quell'abbraccio le fece dimenticare in fretta di essere stata via tanto tempo. Sua madre le accarezzò semplicemente il viso, sorridendole. Le era stato insegnato che una madre doveva essere un esempio continuo per la propria figlia: niente smancerie, quindi, o crisi di pianto di felicità. Charlotte, la sua tata, un po' si commosse, invece mentre Anna la abbracciava. Era al servizio dei DeLarey da tanti anni e aveva cresciuto Anna come una figlia, allattandola al seno nei primi giorni di vita. Rivide con piacere anche tutti gli altri: Henry il giardiniere e sua moglie Molly, la cuoca, Peter lo stalliere, il maggiordomo Charles insieme alle cameriere Jessica e Cassandra, di pochi anni più grandi di lei.

    La sua camera era come l'aveva lasciata, tutta bianca con il letto al centro davanti alle finestre per ricevere il più possibile i raggi del sole, dall'alba fino al tramonto. Si fece aiutare a disfare i bagagli dalle due cameriere che le raccontarono gli ultimi pettegolezzi dell'alta società riguardo persone che lei nemmeno conosceva. Tutto era come nuovo per lei. Era stata troppo tempo lontano da casa e dalla vita mondana che le piaceva, nonostante la monotonia degli eventi.

    Nei pomeriggi successivi, Diana organizzò diversi tè per presentare Anna alle sue amiche più care specialmente quelle più in vista. Anna però si annoiava a quegli incontri. Quelle donne, che avevano tutte il doppio della sua età, parlavano solo di mobili da soggiorno che andavano assolutamente rinnovati almeno una volta ogni due anni per essere al passo con le tendenze della moda corrente e delle modiste di Parigi che sembravano essere in assoluto le migliori. Oppure, sparlavano di quella o quell'altra persona che aveva commesso il più grande errore della propria vita fidandosi di loro tanto da confidare un segreto su cui poi tutte spettegolavano per ore. La sua vita non era ancora fatta di queste cose. A parte lo studio, non aveva avuto modo di dedicarsi ad altro, quindi in realtà era come se la sua vita non fosse ancora fatta di nulla, doveva ancora cominciarne una vera, una che desiderava fosse piena di emozioni stravolgenti. A diciassette anni, che altro avrebbe dovuto sognare?

    2

    G

    iugno si presentò stranamente caldo quell'anno. Le temperature erano alte e la solita pioggia che riempiva interi giorni ora si faceva desiderare.

    Il boschetto che circondava la villa dei DeLarey era il posto adatto dove rinfrescarsi. Gli alberi alti creavano un manto ombrato sotto il quale soffiava una brezza piacevole proveniente dal mare. Anna ormai ci andava quasi tutti i pomeriggi per trovare un po' di refrigerio a quell'afa. Camminava per un po', raccoglieva dei fiori lungo il sentiero che era solita percorrere e poi si sedeva sotto un albero intrecciando ghirlande che lasciava appese ai rami più bassi mentre faceva ritorno a casa, verso l'ora di cena.

    Quasi ogni sera, partecipava alle feste che organizzavano gli amici dei suoi genitori. Erano un'occasione per stare in mezzo alla gente, ballare con suo padre, ridere con le sue coetanee e bere di nascosto da sua madre un po' di champagne. Suo padre Conrad la presentava con molto orgoglio agli amici che ancora non la conoscevano e lodava tutti i suoi risultati scolastici. Anna era ben educata e tutti rimanevano deliziati dalle sue maniere e dal suo viso dolce, i capelli castani che raccoglieva sempre in una crocchia lasciando scendere due boccoli lungo le orecchie e le labbra rosa sottili. Diana, invece, la rimproverava almeno cento volte a sera di tenere le spalle più dritte, di non riempirsi eccessivamente il piattino servendosi al buffet, di non ringraziare le cameriere ogni volta che la servivano e di non ridere troppo rischiando di sembrare una gallina. Anna alzava gli occhi al cielo e sbuffava, senza che Diana se ne accorgesse. Pensava che se solo sua madre avesse saputo che tipo di discorsi facevano lei e le sue amiche mentre era ancora al collegio, forse non le sarebbe importato poi tanto delle spalle curve o delle sue risate sonore, ma molto più della purezza della sua anima. Due compagne in particolare, Elizabeth e Judith, tenevano banco molte sere a settimana nella semioscurità del dormitorio, con dei discorsi a dir poco peccaminosi sui figli delle loro domestiche e sulle loro imprese erotiche. Si sedevano sul letto di Anna insieme ad un'altra ragazza, Mary, che ogni volta si posava una mano sulle labbra arrossendo mentre raccontavano di incontri eccitanti e furtivi nelle stalle o nelle camere della servitù. Quando Anna le ascoltava non poteva fare a meno di sentirsi diversa da loro. La sua vita era stata fin dall'infanzia ordinaria e tranquilla, aveva sempre fatto tutto quello che ci si aspettava da una lady come lei senza mai pensare realmente a cosa ci fosse al di là di quel mondo fatto di regole e pregiudizi. Presto avrebbe dovuto cominciare a pensare al suo futuro, trovare un buon marito e crearsi una famiglia, ma i ragazzi della sua età che potevano apparire dei buoni partiti agli occhi dei suoi genitori sembravano molto più interessati alla sua dote che non a lei. Meglio moglie di un povero diavolo!, pensava. Ma questo non poteva dirlo perché i legami tra persone appartenenti a ceti sociali diversi erano inaccettabili e nessuno voleva sentirsi dire il contrario e che alla base di un matrimonio ci sarebbe dovuto essere l'amore non il rango. In uno dei tanti pomeriggi che passava seduta ai piedi del suo albero preferito, una quercia secolare cui aveva anche dato un nome, Alfred, si trovò proprio a domandarsi come poteva sperare di vivere qualcosa anche solo lontanamente simile alle esperienze di Judith ed Elizabeth se nessun ragazzo riusciva a farle battere forte il cuore suscitando il suo interesse. Era talmente assorta che un lieve rumore alle sue spalle la fece trasalire. Si mise in piedi e si diresse verso casa ma al limitare del boschetto si voltò indietro. Aveva avvertito una presenza alle sue spalle, come se qualcuno la stesse osservando, ma non vide nessuno. Sorrise e si diede della sciocca.

    Qualcuno però c'era.

    3.

    Le colazioni nei caffè erano uno dei vari momenti per le lady e le loro figlie di spettegolare e riunirsi in locali eleganti, sfarzosi, con tazze di finissima ceramica decorata d'oro. Ma passare il tempo ad ascoltare le sue coetanee parlare di vestiti, balli e giovani cadetti non era proprio il massimo per Anna anche se cercava di sembrare interessata alle loro chiacchiere frivole. Inoltre i loro discorsi classisti non erano proprio nelle sue corde.

    «Non potrei mai accettare la corte di un semplice avvocato», disse una delle tante ragazze di cui nemmeno ricordava il nome. «Per me, non meno di una duca!»

    «Hai ragione, Sophie, che te ne fai di un uomo che deve sudarsela la ricchezza quando in giro ce ne sono tanti che ne hanno una a disposizione che gli è arrivata già pronta tra le mani senza doversele sporcare?» le rispose un'altra

    «Non sapete cosa ho scoperto!», intervenne un'altra ancora «Kristeen, la figlia del signor Doyle, si è compromessa col suo stalliere» tutte brusirono insieme, «pare li abbiano sorpresi di notte, che si rotolavano nella paglia. E ora lui ha chiesto la sua mano e, cosa ancora peggiore, lei ha accettato», fece sbalordita.

    «Con uno stalliere?! Che orrore!» commentò una indignata.

    «Non ci vedo niente di male», intervenne Anna e tutte si voltarono verso di lei all'unisono, guardandola sbalordite, «se sono innamorati, cosa importa che lui sia un semplice stalliere?»

    «Stai scherzando, vero?» le domandò la prima ragazza che aveva parlato.

    «No, affatto.»

    «Oh mio Dio, Anna... non farti sentire da tua madre o ti ucciderà!» disse una

    «Ma il titolo è necessario in un matrimonio, non puoi certo pensare il contrario», disse un'altra.

    «Non penso il contrario, penso solo che non sia essenziale» rispose.

    «Ti prego, non dirmi che ora comincerai con discorsi sul fatto che siamo tutti uguali e che l'amore è l'unica cosa che conta?», la beffò Emily Murphy, figlia di un banchiere, l'unica di cui si ricordasse il nome.

    «Sì, invece. Deve esserci amore in un matrimonio perché un titolo nobiliare non basta a fare una coppia, a rassicurarti o a farti felice».

    «Quanto sei ingenua... Risparmiami almeno l'elogio sull'uguaglianza!», Emily non voleva mollare la presa e tutte sembrarono darle ragione.

    «Mi sorprende che ragazze istruite come voi credano ancora che il blasone renda migliori di chi non lo possiede.»

    «Ma è così!» insistette nuovamente Emily, «un semplice stalliere cosa potrebbe mai darti? Avena rubata ai cavalli per cena?» tutte risero. «Kristeen si pentirà presto della sua scelta, fidati, quando capirà a che cosa deve rinunciare e alla fine anche quello stalliere si renderà conto di aver obbligato Kristeen ad una vita di stenti strappandola alla sicurezza del suo cognome. Non credere che l'amore basti, perché non è così. L'amore non ti copre se hai freddo, non ti sfama se non hai nulla da mangiare e non paga i conti dal panettiere. Quindi, te lo ripeto, risparmiami le tue favolette sull'amore».

    Nel pronunciare quell'ultima frase, fece un gesto ostentato col braccio urtando il vassoio coi pasticcini che il cameriere stava per appoggiare al centro del loro tavolo, rovesciandoseli sul vestito.

    Il cameriere si inginocchiò a raccogliere i dolci, scusandosi dell'incidente.

    «Perché non stai più attento?» lo rimproverò Emily.

    Anche sua madre si era alzata per raggiungere il loro tavolo. «Cosa accade, Emily?»

    «Questo incapace mi ha rovesciato addosso il vassoio sporcandomi il vestito!»

    «Perdonatemi, lady Murphy, sono rammaricato», si scusò il ragazzo.

    «Questo vestito arriva direttamente da Londra», disse lady Murphy, «è fatto su misura con vera seta e ora è rovinato! Parlerò col direttore per trattenerti il costo dalla paga».

    «Certo, Milady».

    «Ma non è giusto!», si intromise Anna, e tutti la guardarono, «è stata Emily a colpire il vassoio, non lui a farglielo cadere addosso!»

    «Lady DeLarey, vi prego, no...» cercò di dire il cameriere.

    «Non potete trattenergli la paga per qualcosa di cui non è colpevole».

    «Vai a chiamare il direttore», gli impartì lady Murphy, senza dare peso alle parole di Anna e il cameriere si allontanò in gran fretta. Quando il direttore arrivò, la signora Murphy spiegò l'accaduto e lui le assicurò che i soldi della paga del ragazzo sarebbero stati accreditati alla lavanderia presso cui avrebbe portato l'abito a smacchiare finché non avesse coperto l'intero debito e che, naturalmente, la colazione quella mattina sarebbe stato ben lieto di offrirla lui.

    «Avresti potuto dire la verità!» disse Anna contrariata di fronte al sorriso compiaciuto di Emily «quel ragazzo magari questo mese non mangerà per i soldi che dovrà restituire!»

    Emily alzò un sopracciglio: «Immagina se fossi stata sua moglie... Credi che alla fine del mese, senza niente da mettere nello stomaco, saresti stata comunque felice di averlo sposato rinunciando alla tua ricchezza?», le fece il verso e Anna non le rispose nemmeno. Non ne valeva la pena.

    Durante il ritorno a casa in carrozza, sua madre Diana la rimproverò per il suo comportamento insolente e offensivo nei confronti delle due Murphy e nonostante Anna cercasse di spiegarle il perché fosse intervenuta per difendere quel ragazzo, Diana non la lasciò parlare e a tavola cercò anche il sostegno di Conrad affinché almeno lui riuscisse a farle capire che non importava da che parte stessero ragione e verità perché quando si è nobili, ragione e verità si possiedono a prescindere. Conrad non era affatto d'accordo con sua moglie, ma sapeva che era meglio non contraddirla su quell'argomento. Anna pure smise di sottoporle le sue ragioni, tanto lei non la stava neanche a sentire e stanca com'era delle sue prediche, si alzò da tavola appena poté e aspettò le cinque per andare a sfogarsi passeggiando nel bosco.

    Scalciava le erbacce soffocando le ingiurie contro Emily e sua madre per i loro comportamenti di quella mattina.

    Si mise seduta ai piedi del suo albero Alfred. Era quasi il tramonto e cercò di rilassarsi un po'. Mentre ripensava alle parole di Emily sull'amore e il rango, provò nuovamente la sensazione di qualche giorno prima che ci fosse qualcuno ad osservarla. Si guardò alle spalle ma non vide nessuno. Quella sensazione però era come una candela accesa sulla schiena, un formicolio fastidioso quindi si voltò di nuovo e vide un movimento furtivo dietro un albero non lontano da lei.

    Si alzò e, con voce un po' tremante, chiese: «Chi c'è?» ma nessuno rispose. «Chi c'è?» domandò ancora, «se non vi mostrate immediatamente mi metterò ad urlare. Abito al limitare del bosco, i gendarmi mi sentiranno sicuramente e in pochi minuti saranno qui!» trattenne il fiato poiché non ci fu risposta per la seconda volta.

    Poi lui parlò: «In pochi minuti potrei farti cose che nemmeno immagini».

    Si mostrò ai suoi occhi. Era un ragazzo, di qualche anno più grande di lei. Capelli neri un po' lunghi che gli cadevano sul viso, occhi scuri, una camicia bianca sbottonata sul petto e sblusata su dei pantaloni beige, che terminavano dentro stivali neri alti fin sotto le ginocchia. Anna lo guardò e il fiato le sparì dai polmoni. «Allora, che vuoi fare?» si avvicinò tirandosi indietro i capelli con un gesto della mano, «urli o mi dici il tuo nome?». Lei tacque. «Beh, non mi sembri intenzionata ad urlare, è già qualcosa», aveva una voce profonda e calda, «quindi forse vuoi dirmi come ti chiami», la guardò sorridendo, «o forse...», fece una piccola pausa, «sei più interessata a sapere cosa sarei capace di farti in pochi minuti» rise e Anna arrossì.

    «Siete un villano!» sbottò finalmente.

    «Bene, bene... sai parlare», si fece ancora più vicino e la fissò. Anna rimase ipnotizzata dai suoi occhi scuri. Non riusciva a respirare con regolarità e uno strano calore le stava facendo sudare le mani. «Mi dici il tuo nome, allora?»

    «Anna DeLarey.»

    «Piacere, Anna DeLarey», le prese una mano per baciarla ma lei la ritirò nascondendola dietro la schiena, «perdonami», disse ridendo e alzando le mani in segno di scuse, «mi pare chiaro che non gradisci la galanteria... me lo dovrò ricordare.»

    «No, io la gradisco. Quello che non gradisco è essere spaventata da uno sconosciuto che non ha avuto ancora la compiacenza di presentarsi», si sorprese da sola del tono sicuro della sua voce

    «Hai ragione. Mi chiamo Julian.»

    «E poi?»

    «E poi cosa?»

    «E poi il vostro cognome»

    «Non ce l'ho un cognome», rispose improvvisamente a disagio, riprendendosi subito però e assumendo di nuovo quel sorrisetto sghembo, «ma è l'unica cosa che mi manca». Anna lo fissava. Non riusciva a staccare i suoi occhi da quelli di Julian. «Se ti faccio paura, perché non scappi o non ti metti ad urlare per avvertire i tuoi gendarmi? Lo hai detto tu stessa che potrebbero essere qui in un attimo, o sbaglio?»

    «Non sbagliate.»

    «Allora urla», la incitò beffandosi di lei, incrociando le braccia al petto, sicuro senza sapere perché che non lo avrebbe fatto.

    «No, preferisco ritornare a casa. Addio».

    Anna fece qualche passo ma Julian la prese per un braccio e la fece voltare verso di sé. «Non andartene.»

    «Devo.» si liberò dalla presa con gentilezza.

    «Quando potrò rivederti?»

    «Non potrete, non tornerò più qui.»

    «Ma se ci vieni ogni pomeriggio!»

    «E voi come fate a saperlo?» chiese indispettita.

    «Sono diversi giorni che ti spio da dietro quell'albero laggiù», le rispose indicandoglielo.

    «Come vi siete permesso? Siete uno sfacciato!» lo rimproverò arrossendo.

    «Nessuna legge vieta di guardarsi intorno, o sbaglio?», inarcò un sopracciglio, beffardo. «Io mi stavo appunto guardando intorno e tu sei apparsa sul panorama. Non è colpa mia se ogni volta che giravo lo sguardo, tu mi occupavi la visuale!» Anna si voltò offesa per andarsene ma lui la fermò di nuovo. «Torna domani, alla stessa ora, per favore», la sua voce le fece venire la pelle d'oca.

    «Non posso. Anzi, mi sono fermata anche troppo a parlare. Non vi conosco e non dovrei essere qui.»

    «Ma ci siamo presentati! Tu mi hai detto il tuo nome ed io ti ho detto il mio, che altro dobbiamo fare per non essere più due sconosciuti?»

    «Mi dispiace, devo andare», ma al primo passo, lui le disse alle spalle: «Ti aspetterò qui domani, Anna DeLarey. Non farmi aspettare troppo, però!».

    Anna non rispose, dirigendosi verso casa senza voltarsi indietro nemmeno una volta.

    Anna corse in camera sua per cambiarsi d'abito per la cena. Aveva camminato così velocemente per allontanarsi il più in fretta possibile da quel ragazzo che ora aveva il fiatone. Chiuse la porta e ci si appoggiò contro con la schiena. Era la prima volta che le capitava una cosa del genere. Non aveva mai parlato con un ragazzo. Non da sola. Si sentiva così strana, emozionata e in imbarazzo anche. Lui le aveva parlato con una tale spavalderia e lei invece era riuscita a dire sì e no due parole. Ma era questo che le avevano sempre insegnato: non si deve parlare con gli sconosciuti e le fanciulle per bene non devono mai trovarsi da sole in luoghi appartati in compagnia di un uomo. Forse aveva sbagliato a rivolgergli la parola. Forse avrebbe fatto bene a scappare via senza dire nulla oppure a chiamare i gendarmi perché venissero a salvarla. In fondo, quel Julian poteva essere benissimo un poco di buono capace di approfittare di lei in qualsiasi momento e magari quel pomeriggio gli era solo sfuggita l'occasione. Ma pur non sapendo perché, aveva avuto da subito la sensazione che non le avrebbe fatto del male. Non si era sentita in pericolo. Intimidita dai suoi occhi e dalla sua voce, questo sì, ma non spaventata. Sorrise tra sé e sé, ma si disse che senza dubbio il giorno seguente non sarebbe tornata nel bosco. Non poteva: la prima volta era stata solo un caso, la seconda sarebbe stata una volontà e non voleva che quella situazione si ripetesse. O lo voleva? No, di sicuro non sarebbe tornata lì per incontrarlo di nuovo. La cameriera che era andata a chiamarla per dirle che la cena era pronta la fece sussultare. Scese di corsa le scale, dimenticandosi che avrebbe dovuto cambiarsi d'abito ma a tavola sua madre glielo fece notare senza mezzi termini:

    «Anna, hai indosso lo stesso vestito di questa mattina. Lo sai che pretendo che a tavola i tuoi abiti siano puliti e non gli stessi con cui sei andata a passeggiare.»

    «Perdonatemi, madre. Ho fatto tardi e mi è passato di mente.»

    «Non mi interessa...»

    «Diana», la interruppe suo marito sospirando, «non è la fine del mondo se non si è cambiata d'abito. Domani sera starà più attenta. Giusto, tesoro?» chiese sorridendole.

    «Sì, padre», rispose, grata che avesse interrotto quel rimprovero.

    «Volevo solo dire che gradirei che nostra figlia non ignorasse le buone maniere che le ho insegnato.»

    «Non accadrà più, madre. Ve lo prometto».

    Anna non capiva perché sua madre fosse sempre così severa nei suoi confronti. Cercava di accontentarla in tutto: andava ai tè con le sue amiche noiose, indossava gli abiti che le faceva confezionare nonostante per i suoi gusti fossero troppo sfarzosi, faceva amicizia con tutti quelli che le suggeriva solo perché considerati dei buoni partiti. Avrebbe anche partecipato al ballo in maschera che si sarebbe tenuto di lì a un mese nella loro stessa casa e a cui avrebbero preso parte le famiglie più in vista della contea di Queenstown. Sua madre ci teneva tanto, stava organizzando tutto nei minimi dettagli e non voleva deluderla. Era un modo, lo sperava, per avvicinarsi un po' a lei. Anna avrebbe tanto voluto che tra loro ci fosse complicità e non quel divario che non riusciva a colmare. Diana era sempre troppo scostante e tutte le volte che Anna tentava di avvicinarsi a lei, Diana irrimediabilmente si distaccava rimproverandola che certe confidenze tra madre e figlia non erano opportune. Per fortuna, c'era la tata e con lei poteva parlare di qualsiasi cosa. Charlotte capiva i suoi pensieri e i suoi sentimenti, non la giudicava e non tradiva la sua fiducia, la consolava quando si sentiva triste e le faceva compagnia quando era sola. Era così da quando era nata.

    Charlotte era poco più che adolescente quando era stata presa a servizio dai DeLarey. All'inizio era stata solo una sguattera, ma col passare del tempo il suo ruolo e la fiducia dei padroni nei suoi confronti erano cresciuti al punto di affidarle incarichi sempre più importanti. Quando Anna venne al mondo, Charlotte aveva da poco partorito suo figlio, James. Gliela affidarono come se fosse sua anche lei e dopo la prima volta che se l'era attaccata al seno, fu così. James morì pochi mesi dopo la nascita a causa di un'epidemia di febbre e Anna divenne il centro della sua vita. Passava con lei ogni minuto della giornata, da quando si svegliava a quando si addormentava. La cullava cantandole la ninna nanna, le faceva il bagnetto, la assisteva quando si ammalava, copriva le sue monellerie coi genitori e spesso, quando c'era il temporale, le permetteva di dormire nel suo letto tenendola abbracciata per farle passare la paura.

    Anna adorava giocare con i capelli ricci di Charlotte e tutte le volte che veniva presa in braccio, si divertiva ad attorcigliarci le dita fino quasi ad intrappolarle in nodi.

    Una donna e una bambina, non legate da vincoli di sangue, che si amavano come una madre e una figlia.

    Quella notte, Anna stentò a prendere sonno. Si girava e rigirava nel letto fino a trovarsi talmente avvolta tra le lenzuola da non potersi più muovere. Sbuffò e si alzò, sedendosi sulla poltrona accanto alla finestra che dava direttamente sul giardino e sul boschetto. Si rannicchiò avvicinando le ginocchia al petto. Pensava a Julian. Non sapeva perché non riuscisse a togliersi quel ragazzo dalla testa. Non doveva tornare nel bosco, non sarebbe stato decoroso da parte sua accettare l'invito di uno sconosciuto a passare del tempo da soli. Lei era una ragazza per bene, cosa si era messo in testa? E poi forse Julian non si sarebbe neanche presentato il pomeriggio seguente, rimanendo magari nascosto dietro il solito albero a ridere del fatto che invece lei fosse andata lì. Del resto, lo aveva ammesso lui stesso che l'aveva già spiata più di una volta. No, non sarebbe andata. E se invece Julian si fosse presentato? Se fosse andato al loro appuntamento? E comunque non gli aveva mica promesso che sarebbe tornata. Ma neanche il contrario. La testa le scoppiava, non sapeva che fare. Era agitata, le faceva male la pancia dal nervosismo. Che doveva fare? Magari poteva andare e dirgli che non era il caso che lui la invitasse di nuovo perché non era opportuno, che lo ringraziava ma che non avrebbero più dovuto incontrarsi. Sì, magari era quella la soluzione giusta. Sì sentiva meglio. Si rimise a letto e nel giro di pochi minuti scivolò nel sonno.

    Sdraiato sotto il cielo stellato, Julian sorrideva ripensando all'incontro con Anna. Finalmente aveva trovato il coraggio di parlarle. Erano diversi giorni che la spiava di nascosto. La prima volta che l'aveva vista stava raccogliendo dei fiori. Le era piaciuta subito coi capelli raccolti e i boccoli, ma non era riuscito a farsi avanti neanche una volta sebbene avesse sentito immediatamente il desiderio di parlare con lei. Forse era stato un aiuto dall'alto che quel pomeriggio si fosse accorta della sua presenza. Era stata l'occasione per conoscerla. Era così carina e la sua timidezza lo aveva fatto sorridere. Il giorno seguente l'avrebbe rivista. O meglio, sperava tanto che lei tornasse. Voleva parlarle ancora, voleva conoscerla. E se le avesse fatto una brutta impressione? Forse era stato arrogante, magari troppo sbruffone e l'aveva messa in fuga. Lei, in fondo, era una ragazza per bene, sicuramente ricca visti i suoi vestiti e quindi cosa poteva aspettarsi? No, di sicuro non si sarebbe presentata l'indomani. Lui però sarebbe andato lo stesso. Chi poteva saperlo? Magari si sbagliava.

    Anna si svegliò con una strana sensazione addosso. Era nervosa, agitata e sapeva benissimo perché. Nel pomeriggio sarebbe tornata nel bosco e forse lui sarebbe stato lì. Quel forse le faceva bruciare lo stomaco. Ma perché, poi? In fondo, aveva deciso di andare all'appuntamento solo per dirgli che non si sarebbero più rivisti. Si fece preparare un bagno caldo e quando si immerse nell'acqua schiumosa, sentì la tensione scivolarle via dalle spalle.

    Indossò il suo vestito preferito, giallo con i ricami bordeaux. Si pettinò con cura, arrotolando i lunghi capelli castani nello chignon e lasciando i boccoli lungo il viso. Si rimproverò di preoccuparsi tanto del suo aspetto. Stava andando lì solo per un gentile addio, tutto qui. Lo stomaco però le bruciava ancora.

    4

    C

    ombattuta tra la curiosità e la prudenza, Anna entrò nel bosco molto lentamente. Si fermò e fece marcia indietro due volte. Non gli aveva promesso che sarebbe tornata, quindi non era obbligata ad andare a quell'assurdo appuntamento. No, avrebbe fatto ritorno a casa e non avrebbe più pensato a quell'incontro. Doveva ammettere però, che in realtà aveva voglia di rivederlo e sperava che Julian fosse lì ad attenderla. Avrebbe dato solo quella chance al suo desiderio, non una di più. Si sentiva una stupida mentre si avvicinava alla quercia. Julian non sarebbe venuto e lei si sarebbe sentita umiliata.

    Julian, però, era già lì, seduto che masticava un filo d'erba. Anna lo osservò pochi secondi prima che lui si accorgesse della sua presenza. Si alzò in piedi e la salutò:

    «Ciao, Anna DeLarey. Alla fine sei venuta. Temevo che non ti saresti fatta vedere», disse sorridendole.

    «Infatti sono stata indecisa fino all'ultimo minuto... ma sono qui solo per dirvi una cosa.»

    «Dimmela», la incoraggiò incrociando le braccia al petto mentre il suo sorriso sghembo gli saliva alle labbra.

    «Io...», non era facile parlare sotto il suo sguardo, «volevo dirvi che mi dispiace ma che...»

    «Che... » la incalzò.

    «Che non posso rimanere a parlare con voi e che non tornerò più nel bosco.»

    «E perché?» aggrottò le sopracciglia.

    «Perché come vi ho già detto ieri, non sta bene che rimanga qui con voi. Siete uno sconosciuto e non posso trattenermi oltre. Addio, Julian», fece un passo indietro per allontanarsi.

    «Ma...»

    «Non insistete, per favore».

    Anna gli voltò le spalle come il giorno prima, ma lui allungò un braccio e la bloccò stringendole la mano. La attirò più vicino a sé. «Vorrei che rimanessi. Lo vorrei davvero», ammise serio, «vorrei che restassi e che parlassimo un po'.»

    «Non posso, vi ho già spiegato perché.»

    «Ascolta...», disse allentando la presa alla mano, «ora sono solo uno sconosciuto, è vero, ma se non mi dai l'opportunità di parlare un po' con te, come faccio a farmi conoscere per non esserlo più?» quella frase la mise un po' in difficoltà.

    «Ma siamo soli e non è opportuno», disse guardandosi intorno.

    «Non ho intenzione di farti

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