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Brouillon - il manoscritto di Emanuele Brunatto - ...cinque anni accanto a Padre Pio
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Brouillon - il manoscritto di Emanuele Brunatto - ...cinque anni accanto a Padre Pio
E-book402 pagine3 ore

Brouillon - il manoscritto di Emanuele Brunatto - ...cinque anni accanto a Padre Pio

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Info su questo ebook

"Il manoscritto di Emanuele Brunatto – primo figlio spirituale di San

Padre Pio da Pietrelcina – (anni 1922 - 1927), corredato dalla

pubblicazione della quasi totalità della documentazione accessoria che

servì alla stesura di "Lettera alla Chiesa" e de "Gli Anticristi nella

Chiesa di Cristo", rispettivamente degli anni 1929 il primo e 1933 del

secondo. Materiale che servì da ossatura probatoria e documentale di

questi due libri, tuttora introvabili (epuisè).
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2021
ISBN9791220364072
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    Anteprima del libro

    Brouillon - il manoscritto di Emanuele Brunatto - ...cinque anni accanto a Padre Pio - Misuraca Edoardo

    Inverno del 1922

    L’inverno del 1922 fu particolarmente rigido. Ero solo, il mattino, a prendere la strada del convento, due chilometri nella neve sino alle ginocchia.

    Quando arrivavo nella sacrestia, il Padre era là, accoccolato presso il braseto a scaldarsi le mani. Tre o quattro mattine di seguito, mi accolse colla stessa apostrofe : guagliò, tu cadrai ammalato.

    Ed io a ridere, sino al giorno in cui, appena rientrato al mio eremo, fui preso dai brividi della febbre … Accesi un gran fuoco di legna nel mio camino, ma non arrivavo a scaldarmi … La respirazione si fece difficile, la testa, il petto, i reni divennero dolenti …

    Mi rivolsi allora a Padre Pio, come se fosse stato accanto a me e gli dissi: Se debbo ammalarmi, Padre, fate che sia al convento e non qui, lontano da voi. Arrivai giusto, giusto a trascinarmi sino al letto e persi conoscenza. Durante la notte ritrovai i miei sensi, presi istintivamente sotto il guanciale un grande fazzoletto a quadri di Padre Pio e lo portai al naso: una forte emorragia mi liberò i bronchi e fece scendere la temperatura. Al mattino, verso le quattro, come d’abitudine, ripresi la strada, sempre coperta di neve, del Monastero. Quando entrai in sacrestia, il Padre, le mani tese sul braciere, mi voltava le spalle. Senza girarsi, mi domandò: Ebbene, guagliò, che t’è arrivato, stanotte ?

    Commosso, gli raccontai l’accaduto e la provvidenziale emorragia.

    Non è l’ultima mi disse ne avrai delle altre.

    Di fatti, una seconda emorragia mi sorprese mentre rientravo in paese ed una terza, a casa, la sera.

    Dopo di che mi sentii ristabilito e non ci pensai più. Passarono alcune settimane.

    Un giorno, prima di partire dal convento, andai a scaldarmi alla sala comune.

    Vi era qualche frate. Padre Pio

    stava seduto accanto al camino ed io, di fronte a lui, tendevo le mani verso il bel fuoco di legna. Nessuno parlava. Avevo la stessa posizione che la sera, presso il camino del mio eremo, quando ero ammalato ed avevo fatto appello al Padre: Ed ecco la febbre ed i dolori riapparire esattamente come quella sera …Padre Pio levò il capo e rispose: Ebbene, guagliò, puoi metterti a letto.

    Poi si rivolse al Padre Ignazio:Emanuele ha quaranta di febbre e dovrà tenere il letto per quindici giorni. Che ne pensi, padre Roberto? potresti fargli preparare la cella n° 6 accanto alla mia, che è vuota. Di fatti il termometro indicò qualche linea al di sopra di quaranta e restai a letto giusto quindici giorni per bronchite doppia, infezione intestinale e nefrite.

    Una buona sorpresa mi attendeva alla guarigione. Il guardiano mi offerse un posto di insegnante nel piccolo internato di aspiranti cappuccini, annesso al convento. Vendetti il poco che mi restava e libero, felice, mi installai nella cella accanto a quella di Padre Pio. Non conservai che un crocefisso benedetto dal Padre che, da allora e per anni, emetteva il noto profumo quando mi mettevo in preghiera, in quella vita monastica, e lo installai davanti al mio inginocchiatoio.

    Lo conservo tuttora, ma il fenomeno non si è più rinnovato da 29 anni. Non mi mancava che l’abito. Abitavo la cella accanto a Padre Pio ed avevo uno stallo in coro alla sua destra.

    Il tempo non lo sentivo più quando pregavo accanto a lui. Talora la sua preghiera silenziosa era interrotta da qualche parola pronunciata a voce bassa, ma con forza :Israele, Israele, Israele… oppure Libertà, Libertà, Libertà. Restava tuttavia inavvicinabile in fatto di meditazione.

    La sera, appena terminata la lettura e spente le candele del coro per favorire la concentrazione, io mi addormentavo regolarmente, ed a nulla valeva qualche colpo di gomito assestatomi da Padre Pio.

    Di giorno questi me ne rimproverava. Non so che farci rispondevo. E’ più forte di me: non posso meditare. Il Padre non insistette, ma lasciò cadere una interrogazione, una sola che mi si impresse nella memoria, ed ebbe il suo effetto molti, molti anni dopo: E allora, stordito, come vuoi fare per salire al cielo? Per contro la preghiera orale, la gratitudine, le lagrime d’ amore mi attiravano giorno e notte. Non vi erano uffici notturni al convento, i 5 sacerdoti essendo

    (… pagina mancante) Quindici giorni dopo giunse al convento l’ordine di segregare Padre Pio dai fedeli, e di proibirgli di celebrare la Messa in chiesa. (54-55) Il guardiano, padre Ignazio, mi rimise la chiave di una minuscola cappellina al primo piano e mi disse : Al mattino, ti chiuderai con il Padre Pio e, sino a messa finita, non aprirai a nessuno, monaco o laico, sotto nessun pretesto. La celebrazione del sacrificio durava 5 o 6 ore, secondo i giorni. Talvolta sette. Il tempo non esisteva più. Vi metteva fine per mandarmi a fare colazione, prima di mezzogiorno, per rispettare l’orario della comunità. La persecuzione contro Padre Pio era assolutamente inesplicabile. Una sola cosa era compresa da tutti, che intanto la popolazione si agitava. Le autorità erano sollecitate di intervenire per mettere fine all’inspiegabile persecuzione. Degli uomini armati montavano la guardia, giorno e notte, intorno al Monastero,

    per rispettare l’orario della comunità. La persecuzione contro Padre Pio era assolutamente inesplicabile. Una sola cosa era compresa da tutti, che intanto la popolazione si agitava. Le autorità erano sollecitate di intervenire per mettere fine all’inspiegabile persecuzione. Degli uomini armati montavano la guardia, giorno e notte, intorno al Monastero, decisi ad ogni estremo. Le manifestazioni intorno al convento si moltiplicavano, ed il paese reagì violentemente. Un mattino la folla minacciò di invadere la clausura. I carabinieri accorsi sul posto, stavano per essere sopraffatti, quando un contrordine, giunto da Roma, arrivò giusto in tempo e permise al guardiano di annunciare che Padre Pio era autorizzato a ridiscendere in Chiesa, e che senz’altro avrebbe impartito la Benedizione del Sacro Sacramento ai fedeli. (56-57-58). Fu un’esplosione di gioia! La folla era tanto numerosa che il Padre fu obbligato a dare la benedizione sulla spianata, tanta era la gente che non aveva trovato posto in Chiesa. La gente era inginocchiata in mezzo alla strada, all’aperto. Tuttavia, l’ordine di Roma era pura commedia e l’autorità romana non aveva per nulla rinunciato ai suoi piani. Infatti, a fine luglio, il generale dei cappuccini fu convocato al Santo Uffizio, dove ricevette delle istruzioni draconiane per un trasferimento immediato del Padre. (59-60)

    Monito del S. Uffizio

    A sua volta il Generale impartì al Padre Luigi da Avellino, vicario provinciale di Foggia, l’ordine di portare via Padre Pio da San Giovanni Rotondo, e consegnarlo al Provinciale delle Marche, in Ancona, donec aliter. Da fonte certa Aliter era la Spagna, l’esilio e la segregazione definitiva. Evidentemente il diavolo poté contare sulla santa obbedienza dei religiosi, ed aveva trovato negli ambienti ecclesiastici dei collaboratori solerti per sopprimere la testimonianza divina.

    Ma non trovò uguale zelo presso le autorità civili. Difatti, quando la Curia Cappuccina domandò al direttore della Pubblica Sicurezza italiana, il Generale De Bono, l’appoggio della forza pubblica per effettuare il trasferimento del Padre,(61-62) questi oppose un netto rifiuto per timore di tumulti popolari, su avviso conforme del prefetto dottor Carpano e del questore dottor Stracca.

    Era l’implicita condanna delle direttive ecclesiastiche, e il padre Generale dovette dunque telegrafare al provinciale di Foggia ordo suspendatur donec aliter.(63)

    E’ chiaro che l’autorità civile, dopo una sua propria inchiesta sui fatti di San Giovanni Rotondo, aveva implicitamente condannato le misure vessatorie dell’autorità ecclesiastica.

    Questa si trovava nell’impossibilità nell’affrontare l’ira popolare, ma non per questo consentì al riesame della situazione che le era richiesta da ogni parte, numerose personalità disinteressate, competenti e, cosa inaudita, gelose dell’onore della Chiesa. E una volta ancora si ebbe un breve periodo di calma relativa.

    Il segna di una nuova offensiva venne dato, meno di un anno dopo, da un secondo monito pubblicato a fine Luglio 1924 dal Santo Uffizio di cui ecco il testo :"Dalla dichiarazione del 31 maggio dell’anno scorso, divulgata con gli atti dell’ Apostolica Sede (Volume XV,pag.356)questa suprema sacra congregazione del Santo Uffizio preposta alla Fede ed alla difesa della integrità dei costumi, volle ammonire i fedeli che, da un’inchiesta sui fatti attribuiti a Padre Pio da Pietrelcina dell’ordine dei frati minori cappuccini, nulla si era potuto trovare della loro pretesa soprannaturalità, e gli stessi fedeli venivano esortati a conformare i loro atti a questa dichiarazione. Ora, assunte altre informazioni da molte e sicure fonti, questa stessa Suprema Congregazione crede suo dovere ammonire di nuovo e con più gravi parole, i fedeli ad astenersi dal mantenere qualsiasi relazione,

    sia pure epistolare, a scopo di devozione, con il suddetto Padre.

    A Roma, dai Palazzi del Santo Uffizio, il 26 luglio 1924.

    Luigi Castellano, notaio S. C. S.O."

    Se si considera che questo monito non poteva essere pubblicato senza l’accordo dei Cardinali che formavano l’alto consesso del Santo Uffizio, e che questa Congregazione è presieduta dal Pontefice stesso, si rimane sbalorditi dai termini:assunte informazioni da molte e sicure fonti allorché gli informatori in questione - lo dimostreremo- non erano che un pugno di preti pervertiti ed in mala fede.

    Incominciai ad aprire gli occhi e la storia sacra che noi siamo qui per narrare, iscriverà questo monito fra gli inganni di Satana diabolici contro la Chiesa di Cristo.

    E fu appunto la percezione di questo inganno che mi fece insorgere. Avevo già inteso parlare delle calunnie infami partite da certo clero di S. G. Rotondo contro il Padre Pio, e che l’arciprete era il responsabile numero 1.

    Lo dissi in refettorio, alla lettura del nuovo comunicato.

    Il guardiano padre Ignazio, che mai aveva avuto una parola dura nei miei riguardi, reagì vivamente e si mise in collera:" Nessuno, in questo Monastero, deve dire una sola parola contro il Clero. E tu faresti meglio a sorvegliare te stesso, quello che dici e quello che fai.

    I superiori cappuccini sono tenuti responsabili delle tue attitudini eccessive verso il Padre Pio: non potresti, per esempio, fare come tutti gli altri, e baciargli la mano invece che il lembo dell’Abito?"

    Per la prima volta mi ribellai a questo santo uomo:

    La terra - gridai - …la terra dovrei baciare dove passa Padre Pio, e non il saio, poiché il Cristo è con lui, e perché so io quello che gli debbo! Più che la vita.

    Ed uscii scoppiando in lacrime.

    Povero, caro Padre Ignazio! Egli aveva già ricevuto l’ordine di mettermi alla porta del Convento, e non osava darmene la notizia. E nessuno dei frati voleva farlo.

    Il Padre Pio dovette incaricarsene:

    Non si tratta – mi disse – che di trovarti un tetto ed una tavola altrove … non è difficile! le porte del convento ti restano aperte, la comunità ti vuol bene come prima e più di prima … Continuerai a passare il tuo tempo libero con noi …

    Ma io sentivo che il mio paradiso sulla Terra stava per finire, e da ogni parte montavano delle minacce oscure a cui bisognava far fronte, e che avrei dovuto ben presto ritornare nel mondo … lontano dal mio Padre …Baciai a lungo il lembo del suo saio, lo arrossai di lacrime e me ne andai con il mio pesante fardello della mia libertà …Parecchie case in paese, mi aprirono le loro porte … Ma io preferii una capanna abbandonata nell’oliveto prossimo al convento. Senza finestre, letto di paglia, pavimento in terra battuta, 6 o 7 metri di superficie, era degna di un padre del deserto. (65)

    Mi assicurai i mezzi di sussistenza con un posto di insegnante (66) nel liceo di San Giovanni in una scuola privata e continuai a passare il mio tempo libero in convento, come prima, ogni mattina a servire la messa a Padre Pio.

    Fu a quell’ epoca che mi improvvisai architetto.

    Maria Pyle mi aveva domandato di costruirle una villa presso il convento : ne stabilii i piani e con qualche muratore del paese feci sorgere la mia prima costruzione.

    Per una decina di anni fu la sola costruzione abitata, in un raggio di quasi due chilometri dal monastero.

    Pietrelcina (66-67)

    La mia riuscita come costruttore mi valse l’incarico di costruire, a Pietrelcina, di una chiesa ed un convento, dono dei fedeli di Padre Pio, fra cui in primo piano la devota Maria Pyle, e di cui voleva far dono all’ordine dei Cappuccini. Costituii un comitato che comprendeva le notabilità religiose e civili del paese, sotto la presidenza del sindaco, dottor Crafa (68-69-70)

    L’architetto Milano fece i progetti e i piani, e il comune offerse un vasto terreno all’uscita del paese, che dominava, dall’alto di un declivio, una vecchia chiesa sconsacrata, detta delle Anime del Purgatorio, perché il sottosuolo aveva servito in passato, come cimitero.

    Il giorno in cui dovevo presentare il mio primo rapporto al Comitato riunito in sede, ci fu una commuovente manifestazione. La vecchia chiesa, a valle, era stata abbattuta lasciando sul posto una quantità di pietre di ogni taglia, destinate alle fondazioni della nuova chiesa e del Monastero. Mentre le campane della parrocchia suonavano a storno, tutta la popolazione – uomini e donne, vecchi e bambini – si mise a trasportare le antiche pietre sull’altura, per le fondazioni della nuova chiesa, dedicata alla Santa Famiglia e a San Francesco. Le campane della parrocchia suonavano a storno e ognuno montava la collina portando la sua pietra … dei blocchi, a volta di 40 o 50 chili in equilibrio sulla testa di ogni donna … è tutto il purgatorio che monta al cielo diceva piangendo il vecchio arciprete cieco, che aveva voluto portare anche lui la sua pietra.

    La sera, mentre il comitato riprendeva i suoi lavori in Municipio, il paese tutto intero e gli abitanti delle cascine sparse nei dintorni, furono testimoni di uno straordinario avvenimento : una immensa croce bianca e luminosa si levò dal cumulo di pietre e vi rimase immobile, sospesa per una mezz’ora circa. Poi, lentamente si spostò verso l’alto, e scomparve nel cielo. (71-72-73)

    Qualche giorno dopo, monsignor Levitano, vescovo di Benevento, venne a posare la prima pietra della nuova chiesa, sulla quale aveva scolpito, con mano inesperta, l’Arcangelo San Michele che abbatteva l’angelo ribelle. (74) Per seguire i lavori dovetti trasferirmi a Pietrelcina.

    Era un paese ridente, di 5000 abitanti, adagiato fra colline fertili, le terre ripartite in piccole proprietà famigliari ed a regime patriarcale. (75) La gente aveva tutt’altro carattere che a San Giovanni Rotondo, ove si trovava una maggioranza di contadini abbrutiti dal sole e dal lavoro in una terra aspra, ingrata, e corrotti dalla propaganda bolscevica che li allontanava poco a poco da ogni pratica religiosa.

    La gente aveva perduto la franchezza dell’uomo della terra, e Padre Pio soleva dire che i sangiovannesi hanno la doppia faccia, come Giano, il loro antico patrono.

    A San Giovanni, Padre Pio aveva dovuto operare una vera e propria riconquista.

    Vi era una municipalità comunista a San Giovanni Rotondo quando vi arrivò Padre Pio.

    Ma il temperamento del paese era quello che era, vale a dire zero, senza Padre Pio.

    A Pietrelcina, tutt’altra cosa. Popolazione sana, fisicamente e moralmente generosa, il cuore alla mano. Senza menzogne, ecco. Per il Padre si trattava di salvaguardare il suo paese e questa ricchezza morale, contro i pericoli del mondo moderno. Per questo aveva benedetto l’offerta di Maria.

    Mi installai presso i parenti di Padre Pio : il padre Orazio - Zi’ Grazio

    per il paese - era un ometto solido, lavoratore, poco ciarliero e con un profondo senso dell’ospitalità.

    La mamma - Zi’ Giuseppa per il paese

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