Twitter power: Come Dominare il Mercato un Tweet alla volta
Di Joel Comm
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Joel Comm
E' un guru in materia: conosce a fondo le potenzialità dei social network e delle applicazioni telefoniche (vedi iphone) come strumenti di marketing.
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Anteprima del libro
Twitter power - Joel Comm
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Il mondo dei social media
Un tempo, chiunque poteva diventare un editore. Era sufficiente avere qualche milione di dollari, un team di redattori e scrittori, una stampante tipografica capace di sfornare una dozzina di copie al secondo e una rete di distribuzione per consegnare le pubblicazioni nei negozi di tutto il Paese.
Oppure potevi scegliere di buttarti nel settore della radio o della televisione. In questo caso, sarebbe stato più difficile.
Risultato: l’informazione era limitata. Non ne parlavamo tra di noi. Ascoltavamo passivamente gli scrittori, gli editori e i produttori che sceglievano gli argomenti e ci trasmettevano i loro pensieri. Se ci piaceva ciò che leggevamo, continuavamo ad acquistarlo e la casa editrice guadagnava.
Altrimenti, smettevamo di comprare una certa rivista o cambiavamo canale. Le aziende non compravano più gli spazi pubblicitari e i milioni di dollari investiti nella creazione della rivista svanivano nel nulla.
Oggi le cose sono cambiate. La creazione di un contenuto e la sua distribuzione può anche non richiedere investimenti in denaro.
Essendo i costi molto bassi, non importa se non raggiungi milioni di fruitori. Puoi concentrarti su una piccola fetta di mercato, per esempio i collezionisti di francobolli in Mozambico, e riuscire comunque a creare una community e forse anche a guadagnarci, grazie alle inserzioni pubblicitarie e alla vendita di prodotti.
È un fenomeno economico che si chiama coda lunga
e internet ne ha saputo fare un uso magistrale.
Ma i costi contenuti delle pubblicazioni online hanno avuto anche un altro effetto: non sono più solo gli scrittori professionisti e gli editori a comunicare le loro idee: ora ci confrontiamo anche tra di noi. Persone comuni come me e te (vale a dire il genere di individuo che non ha studiato giornalismo all’università, che non ha lavorato per anni come cronista principiante occupandosi di casi minori, e che non era nemmeno tanto bravo a giocare a scarabeo, figuriamoci a comporre un articolo), ora scrivono saggi sulle questioni a cui si interessano e rendono pubblico il proprio punto di vista.
Inoltre ascoltano e leggono. La conversazione, così, è bidirezionale.
Chiunque può aprire un sito web, scrivere articoli e perfino girare video da mettere in un sito. Chiunque può commentare un argomento, influenzando sia la natura sia l’orientamento di una pubblicazione.
Questo è un social medium e rappresenta una rivoluzione nel mondo dell’editoria.
COS’È ESATTAMENTE UN SOCIAL MEDIUM?
Sono molte le cose che possono rientrare in questa categoria. Forse la definizione migliore di social medium è contenuto creato dal pubblico
.
Facebook, per esempio, non è una società editoriale. Non crea nessuno dei propri contenuti, non pubblica articoli o messaggi, non mette a disposizione degli utenti filmati o immagini.
Permette solamente agli utenti registrati di farlo per conto proprio.
È come se la Fox licenziasse tutti gli attori, i produttori, i conduttori dei telegiornali e gli sceneggiatori per aprire le porte a chiunque volesse creare il proprio programma televisivo e poi lo mettesse in onda gratuitamente.
Certo, se questo accadesse, dovresti anche far sapere alle persone su quale canale viene trasmesso e quando possono vedere il tuo programma. Dovresti trovare argomenti davvero interessanti. Inevitabilmente, otterrebbero maggior successo coloro che hanno un approccio professionale, investono tempo e fatica in ciò che fanno e si trovano in sintonia con il pubblico.
Anche in questo ipotetico scenario, tuttavia, il pubblico non potrebbe prendere parte al programma, mentre la partecipazione è un elemento fondamentale dei social media.
Se crei un gruppo o una pagina su Facebook, non devi occuparti di fornire da solo tutti i testi e le immagini perché sai che anche altri membri del gruppo pubblicheranno storie e fotografie.
Anche i blogger, quando scrivono un messaggio, si aspettano che i lettori partecipino alla discussione contribuendo con commenti che danno nuove sfumature all’argomento originale e aggiungono ulteriori informazioni.
Questa è la parte sociale
di un social medium; ne consegue che la partecipazione è parte integrante di una pubblicazione.
Chi riesce a usare efficacemente un social medium non crea solo un contenuto, ma conversazioni dalle quali nascono community.
È l’aspetto più bello di un social medium, e che sia questo il suo scopo oppure no (dipende dal sito), in ogni caso possono sempre risultarne solidi legami tra le persone che vi prendono parte.
Quando questi legami riguardano attività commerciali, ne derivano forme di fidelizzazione al brand che i professionisti del settore pubblicitario sognano da sempre.
La definizione di social medium, dunque, è vaga. Nella sua accezione più ampia descrive un modo di comunicare in cui le storie sono scambiate, più che pubblicate, e la condivisione di contenuti avviene all’interno di una community quasi come una chiacchierata in un ristorante.
In un senso più ristretto invece, descrive uno strumento che gli editori e i pubblicitari possono sfruttare per condividere i propri messaggi con migliaia di persone e indurle a costruire un legame di alta fedeltà.
Indipendentemente dalla definizione, i social media sono diventati incredibilmente popolari.
Facebook ora conta quasi duecentocinquanta milioni di utenti attivi [Ndr: cinquecento milioni nel 2013], oltre a quelli che hanno creato un profilo ma non lo usano.
Le registrazioni sono circa duecentocinquantamila ogni giorno e il numero degli iscritti raddoppia ogni sei mesi. Quasi la metà degli utenti accede al sito ogni giorno e complessivamente, si scambia più di un miliardo di elementi ogni settimana, compresi messaggi, note, fotografie e nuovi post.
MySpace, che fu creato poco prima di Facebook è un po’ più riservato per quanto riguarda le proprie statistiche, ma si suppone che sia altrettanto popolare. Si stima che un americano su quattro sia registrato a MySpace e nel Regno Unito il numero di persone che ha un account corrisponde a quello dei proprietari di cani.
Per un certo periodo, il sito fu in grado di produrre ogni giorno quattordici miliardi di commenti, dieci miliardi di amicizie e otto milioni di immagini.
Twitter, essendo una società che vive grazie agli investimenti, è piuttosto riservata sui dati che riguardano i suoi iscritti, ma secondo una ricerca del 2008 circa un milione di utenti, duecentomila dei quali accedevano quotidianamente al sito, inviava più di un milione di messaggi al giorno. Questi utenti hanno creato più di quattro milioni di connessioni. Nell’ottobre del 2008, TwitDir (www.twitdir.com) un elenco degli utenti di Twitter, contava 3.262.795 iscritti.
Da allora, questo numero si è ingigantito. Grazie all’apparizione nel sito di celebrità come Britney Spears, Ashton Kutcher e Oprah Winfrey (che ha mandato il primo tweet durante il suo programma televisivo con l’aiuto di Evan Williams, cofondatore del sito), la crescita di Twitter ha subito un’impennata.
C’è, tuttavia, un’altra interessante questione relativa a Twitter: è decisamente poco sfruttato.
Nel febbraio del 2008, secondo quanto riferito nel suo blog ufficiale, circa la metà degli utenti seguivano ed erano seguiti solo da dieci persone. I migliori, solo il dieci per cento, avevano più di ottanta follower e seguivano a loro volta settanta persone.
Per fare parte di quel dieci per cento non dovevi fare altro che conquistare ottanta follower!
Per darti un’idea, a quel tempo io avevo quasi 5.000 sostenitori e ne seguivo circa 1.700!
Si potrebbe credere che, con la straordinaria crescita di Twitter, questi dati siano cambiati e in effetti è così. Nell’estate del 2009, i miei sostenitori sono cresciuti del 14 per cento. Anche altri utenti importanti di Twitter hanno visto il numero dei propri follower raggiungere livelli incredibili; molti membri ora ne hanno più di un milione e alcune celebrità ne hanno diversi milioni.
Anche se solo un numero ridotto di utenti ha un vasto pubblico, la maggior parte delle persone è ancora agli esordi. Secondo una ricerca di Sysomos, società che si occupa di analisi dei social media, il 76 per cento dei membri di Twitter non ha più di 18 follower, il 99 per cento ne ha meno di 700 e circa la metà dei profili ne ha al massimo 7.
Ciò dipende dall’alto tasso di abbandono del sito. In uno studio molto discusso, Nielsen ha dimostrato che il 60 per cento degli utenti non riaccede al sito dopo il primo mese. Quando gli utenti di Twitter hanno fatto notare che molte persone migrano rapidamente a siti esterni tramite i quali è possibile accedere a Twitter come TweetDeck e HootSuite per scrivere e leggere messaggi, Nielsen ha ripetuto l’indagine ottenendo gli stessi risultati.
Comunque, il 40 per cento degli utenti che si sono iscritti a Twitter nel suo periodo d’oro, quando non si parlava d’altro, è ancora attivo. Anche se solo un numero esiguo di questi scrive regolarmente messaggi, un utente fedele ha moltissime possibilità di emergere e di attirare un pubblico potenzialmente molto vasto.
La popolarità di Twitter si è trasformata in una straordinaria opportunità commerciale.
I dati illustrati sopra danno un’idea della popolarità di questo mezzo di comunicazione. YouTube attrae più di sessanta milioni di visitatori occasionali ogni mese che si connettono per guardare una piccola parte delle dieci ore di video che vengono caricate nel sito ogni minuto.
Se pensiamo agli innumerevoli blog (Technorati ha individuato più di cento milioni di blog, solo considerando quelli in lingua inglese), emerge chiaramente che i social media siano un fenomeno di massa che sta cambiando il nostro modo di produrre e fruire dei contenuti, nonché il modo in cui le aziende e i canali di distribuzione ne fanno uso.
PERCHÉ UN SOCIAL MEDIUM È UN BUON AFFARE
Abbiamo visto che un social medium può essere grande. Davvero molto grande. E allora? Anche l’elenco telefonico lo è e contiene i nomi di moltissime persone, ma queste caratteristiche non ne fanno uno strumento di marketing particolarmente efficace.
I social media non si limitano a elencare nomi e non raggruppano le persone in modo casuale.
Ciascun sito è composto da un gruppo selezionato.
A prima vista, potrebbe sembrare strano. Ogni volta che navighi su Facebook, MySpace, Flickr o Twitter, trovi piccole fotografie che corrispondono all’identità dell’utente, brevi messaggi da e per altri, e profili in cui ciascuno scrive qualcosa su se stesso, per esempio sul proprio lavoro, la provenienza o come occupa il tempo libero.
Ma osservali con maggiore attenzione e inizierai a distinguere qualche piccola differenza.
Anche se questi siti possono sembrare molto simili, ciascuno ha un propria particolare natura e un target demografico