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Game of content: Progetta contenuti di valore per il tuo brand
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E-book247 pagine1 ora

Game of content: Progetta contenuti di valore per il tuo brand

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Info su questo ebook

Forse non hai mai pensato a quanto il content marketing abbia un impatto sulle nostre scelte di consumo. Lascia che ti faccia un esempio.

La pagina Instagram di quel forno artigianale bolognese.
O quella di un’azienda di succhi di frutta.
E quella del fantastico bed&breakfast nelle Langhe.
La consulente di marketing che vive a Tokyo.

Perché, in fondo in fondo, le seguiamo? Per valutare i loro prodotti o servizi non ci basterebbe dare un’occhiata ai loro siti, o fare un acquisto di prova? Ennò, se seguiamo dei brand su Instagram, Facebook, TikTok, o chissà che altro, è perché producono dei contenuti di valore. In una parola (anzi quattro): perché fanno content marketing.
“Content is king” lo diceva Bill Gates nel lontano 1996, ma vale ancora oggi. Anche se alcune persone dicono non sia più così, secondo noi è un po’ presto per mandare il buon Bill in pensione e con lui il content marketing, cioè il marketing basato sui contenuti. Considera che, in fin dei conti, siamo ancora tutt* qui, attaccat* ai nostri social.

Il content marketing è fondamentale per qualsiasi attività in proprio. Creare contenuti di valore e diffonderli sui giusti canali può fare la differenza tra il successo e il fallimento di un brand. Ma come si fa a progettare e realizzare contenuti efficaci? Come si sceglie il giusto tono di voce, il formato adatto e le idee migliori per comunicare al proprio pubblico?
Il nostro nuovo ebook Game of content: progetta contenuti di valore per il tuo brand di Giovanna Bazzoni, prova a rispondere a questi e altri interrogativi cruciali. L’autrice è esperta di comunicazione digitale: grazie a esempi concreti e consigli pratici, ti guida nella progettazione e realizzazione di una strategia di content marketing di qualità, per raggiungere e coinvolgere il tuo pubblico.

Il libro è suddiviso in tre capitoli, ciascuno dedicato a uno dei 3 aspetti fondamentali del content marketing.
Per prima cosa, Giovanna analizza le dinamiche dei social network e delle piattaforme di content discovery, spiegando come i brand, e quindi anche tu, puoi sfruttare questi canali per creare un rapporto autentico e duraturo con i tuoi follower.
Il secondo aspetto riguarda i diversi tipi di contenuti - testuali, fotografici, grafici e video: Giovanna ti fornisce consigli pratici per creare contenuti di qualità in ciascun formato.
Infine, il terzo elemento affrontato da Giovanna Bazzoni è come pianificare e organizzare una strategia di content marketing efficace, in grado di raggiungere gli obiettivi del tuo brand. Una gatta da pelare che può frenarti e che, finalmente, qui imparerai a gestire come un* professionista!

Che tu sia un* freelance che vuole promuovere i suoi servizi online, o una piccola impresa che desidera ampliare il suo pubblico, Game of content: progetta contenuti di valore per il tuo brand è la guida perfetta per progettare un content marketing di valore e creare un'immagine coerente e vincente per il tuo brand.
Comincia a giocare la partita del content marketing!
LinguaItaliano
EditoreZandegù
Data di uscita26 mag 2023
ISBN9788894742602
Game of content: Progetta contenuti di valore per il tuo brand

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    Anteprima del libro

    Game of content - Giovanna Bazzoni

    Bazzoni_copertina_1875x2500.jpg

    © 2023 Zandegù di Marianna Martino

    ISBN 978-88-94742-60-2

    Copertina di Alessandro Pelissetti

    Impaginazione a cura di Agnese Tortosa

    www.zandegu.it

    info@zandegu.it

    facebook.com/zandegu

    instagram.com/zandegu_

    Game of content

    Progetta contenuti di valore per il tuo brand

    Giovanna Bazzoni

    Zandegù

    Introduzione

    Pensa ai brand che segui volentieri su Instagram, Facebook, TikTok, o altro. Chi ti viene in mente?

    Magari VeraLab, di Estetista Cinica.

    Magari quel ristorante con lo staff di cui conosci tutte le facce e le voci.

    Magari quel negozio di vestiti che posta i caroselli di outfit grazie ai quali hai imparato ad abbinare la tua nuova fusciacca color pervinca.

    Magari quell’agenzia di viaggi che ti fa sognare con i suoi video girati in Molvanîa?

    Magari quella catena di supermercati che ti fa ridere con scenette un po’ trash e musiche tamarre in sottofondo.

    Magari quel personal trainer col codino e l’irresistibile accento romagnolo che ti spiega nelle stories come prenderti cura dei tuoi acciacchi, mentre ti mostra la centrifuga di spinaci che si è preparato per merenda?

    Sono realtà completamente diverse, postano contenuti diversi e su canali altrettanto diversi, ma hanno qualcosa in comune: lavorano tutte con dinamiche da content creator, e si muovono oscillando – chi più chi meno – fra due poli apparentemente opposti: relazione e intrattenimento.

    Ti ingaggiano con un video virale che rapisce la tua attenzione, poi ti nutrono nel tempo con post che ti sembrano interessantissimi; ti fanno affezionare con sprazzi di vita quotidiana nelle loro Stories, rispondono ai tuoi commenti, chiacchierano con te nei messaggi privati.

    Mentre TikTok si «instagrammizza» con le Stories, introducendo le ricondivisioni e sostituendo la tab scopri con quella amici, mentre Instagram si «tiktokkizza» con i Reels, mentre Facebook prova a implementare di tutto senza azzeccarne una, mentre le piattaforme hanno identità sempre più ibride e fluide per contendersi rilevanza e attenzione, trovare una direzione chiara per promuovere il nostro brand può sembrare una sciarada. Ci stressa, ci frustra, ci confonde.

    Ma una certezza sembra esserci: le piattaforme hanno sempre più fame di contenuti, e di contenuti sempre più articolati.

    Postare una foto del nostro ultimo modello di scarpe da trekking appoggiate sullo scaffale con un adesivo del prezzo e la didascalia «ti aspettiamo», non basta più.

    E forse non bastava neanche prima.

    Questo libro non ti servirà per diventare content creator e costruire fama e carriera attraverso like e follower.

    Questo libro ti servirà, invece, se hai un brand (grande, piccolo, o personale) e vuoi promuoverlo online attraverso contenuti rilevanti, per nutrire relazioni con chi già ti conosce o farti scoprire da persone nuove.

    E ti aiuterà a farlo sfruttando consapevolmente diversi formati e diverse piattaforme.

    Insomma: sarai sì content creator, ma solo per il tuo stesso brand.

    Capitolo 1.

    Social network

    VS

    piattaforme di content discovery

    Relazione e intrattenimento, i due poli verso cui far oscillare i nostri contenuti di cui ti ho parlato nell’intro, rappresentano i due principali bisogni che le persone cercano di soddisfare attraverso le piattaforme online e ai quali assegnano pesi diversi a seconda dell’età, dello stile di vita, della personalità, della connessione, del momento della giornata e della settimana.

    Ad esempio, immaginiamo un giorno qualunque di Francesca,17 anni, di Lecce.

    La mattina va a scuola. Torna a casa e ha a disposizione diverse ore di tempo libero nel pomeriggio e dopo cena, che riempie uscendo o con sessioni di zapping su YouTube, TikTok e un pizzico di serie TV in streaming (non si perde una puntata di Skam Italia). Francesca soddisfa il suo bisogno di socializzare dal vivo oppure online in privato, tramite messaggistica e videochiamate. Non usa moltissimo i social. Se lo fa, è per guardare qualche Story della sua cerchia di amicizie o di influencer per farsi ispirare, oppure per scoprire meme e Reel divertenti, da inviare compulsivamente a chi conosce aggiungendo in calce: «Amo, noi!» (va beh, questo lo faccio anch’io, lo ammetto).

    Ora invece pensiamo a Roberto, 41 anni, di Codroipo, in provincia di Udine.

    Al mattino sente la radio, un podcast, oppure della musica, mentre si reca in ufficio. Poi lavora per otto ore. Nelle pause, risponde a messaggi e scrolla al volo il newsfeed di Instagram e Facebook, per restare in contatto con le amicizie e vedere di cosa si parla nel mondo. A pranzo, chiacchiera con i colleghi e le colleghe. Dopo il lavoro, si dedica allo sport o alla famiglia. La sera è esausto, fa una mezz’ora di doomscrolling su TikTok per rilassarsi e staccare il cervello, poi si guarda una serie su Netflix.

    Francesca e Roberto usano le stesse piattaforme, ma con approcci e obiettivi molto diversi.

    Difficile – per ora – immaginare un unico strumento che soddisfi i bisogni così diversi di una e dell’altro.

    In effetti – fino ad ora – è esistita una divisione piuttosto netta fra gli strumenti digitali che le persone utilizzavano per socializzare e quelli che usavano per divertirsi.

    Per le relazioni

    social network come Twitter, Facebook, LinkedIn, Snapchat, Instagram, BeReal, ma anche Reddit, Discord; messaggistica come WhatsApp e Telegram; email.

    Per l’intrattenimento

    piattaforme cosiddette di content discovery, quelle il cui centro è la scoperta di nuovi contenuti, come YouTube e TikTok; piattaforme di streaming come Netflix, Amazon Prime, Disney Plus, Now TV; piattaforme di gaming.

    Gradualmente, vuoi per inseguire i concorrenti, vuoi per rendersi più complete, vuoi per non perdere centralità e fanbase, vuoi per ragioni pubblicitarie o contingenti, le principali realtà sul mercato hanno iniziato – con più o meno successo e creando più o meno confusione – a diventare più ibride, incorporando funzionalità proprie di altre. In alcuni casi, sono sorte anche piattaforme settoriali ibride dalla nascita, come Twitch.

    Chissà cosa ci riserverà il futuro: spariranno i social network e torneremo a tenerci in contatto solo con i messaggi, mentre ci intratteniamo passivamente in un infinito doomscrolling? Per ora, sembra che la direzione sia quella.

    O magari arriverà qualcosa di completamente nuovo: il metaverso, il multiverso, l’antiverso, l’inverso?

    La sfera di cristallo non ce l’abbiamo. Per il momento, cerchiamo di capire il percorso che ci ha portato qui e che cosa ha a che fare con i nostri contenuti.

    Brand emozionali e social network

    In principio era Mastrota; poi giunse un certo Zuckerberg

    Se, come me, hai vissuto gli scintillanti anni ‘80, ti ricordi il mobiliere Aiazzone, che ti invita a Biella per «provare per credere» oppure il funambolico Chef Tony, che affetta la qualunque brandendo come un samurai i suoi Miracle Blade. Sono certa che in un cantuccio del cervello ti risuoni ancora: «Alza la cornetta: Mondialcasa ti aspetta!».

    E soprattutto ti ricordi di lui, l’eroe delle televendite nostrane: il mitico Giorgio Mastrota.

    Proprio lui, che tutti i giorni cercava di venderci comodissimi materassi, fiammanti pentole, portentose cyclette. Per ore e ore, per giorni, sempre lui.

    Se lo ricordi, lo ricordi magari con affetto – io sì – eppure c’è stato un momento in cui la mia generazione e quelle venute dopo hanno iniziato a non volerne più sapere dello stile televendita. A mal tollerare la vendita esplicita e costante, l’eccesso di pubblicità nude e crude, i contenuti commerciali fini a sé stessi.

    Quando è stato? Quando alcune fasce di popolazione hanno iniziato a interrompere l’indigestione di TV per approdare su internet. E, sempre di più, quando hanno iniziato a bazzicare stabilmente i social network e sviluppare sia abitudini che sensibilità differenti.

    Come afferma il pubblicitario del mio cuore Paolo Iabichino, le persone nate dal 1980 in poi hanno iniziato a scegliere i brand, ad acquistare, non più sulla base solo del prezzo e delle caratteristiche di un prodotto, ma anche sulla base dei valori di chi lo produce.

    Attraverso i social network, infatti, per la prima volta le persone hanno avuto la possibilità di entrare in relazione diretta con i brand e creare un rapporto e un dialogo partendo da affinità e valori condivisi.

    Questo concetto inizia a farsi strada con la pubblicazione nel 1999 del Cluetrain Manifesto di Levine, Locke, Searls e Weinberger.

    Si tratta di una raccolta di 95 tesi che partono dall’assunto secondo cui i mercati «sono conversazioni». Grazie a internet, le persone hanno per la prima volta la possibilità di parlare di e con le aziende.

    Nel manifesto, gli autori invitano i brand ad adattarsi al cambiamento rivoluzionando il loro approccio relazionale e comunicativo con la clientela: da verticale / unilaterale a reciproco / conversazionale, «human to human».

    Come scrive un altro grande saggio, Seth Godin, c’è stato un parziale passaggio dall’interruption marketing (un dannato spot con un jingle martellante che subisci regolarmente mentre guardi altro) al permission marketing, in cui le persone che ricevono il messaggio pubblicitario non sono più solo passive, ma parte di un rapporto volontario in cui interagiscono. Mostrano insomma di appartenere a un sistema di valori comune e, a loro volta, generano contenuti per i loro marchi preferiti.

    In questo nuovo contesto consumer-centrico, per brand grandi e piccoli la visibilità non è più scontata: devono guadagnarsi e contendersi l’attenzione, l’interesse e l’affetto delle persone, sgomitando nel mare magnum di contenuti da cui sono continuamente e volutamente sommerse.

    Cocco bello, cocco fresco

    Diversi anni dopo l’arrivo dei social, vorrei dirti che i brand, piccoli e grandi, hanno ormai capito il ribaltamento di paradigma e si sono adattati alle esigenze comunicative che i nuovi canali hanno portato con sé, ma purtroppo così non è.

    Se esistono tanti esempi virtuosi di marchi che hanno imparato a sfruttare le potenzialità delle piattaforme social, ne esistono altrettanti che ancora reiterano con trasporto e fede cieca il modello Mastrota.

    Diluvi senza requie di «compra ora», profluvi di «acquista subito», distese di «vi aspettiamo», martellamenti

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