Poesie: Le poesie di Enrico Cardile dette le Apocalissi cui preambula il Cannizzaro
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Non conosco altrimenti l'autore di questi versi che attraverso i medesimi i quali da mano amica mi vengono resi visibili perchè io li presenti al pubblico.
Per quanto io stimi superflue siffatte presentazioni anche quando procedono da persone più autorevoli che io non sia, non ho saputo rifiutarmi al cortese invito che mi onorava di tanta fiducia, senza tema di peccare d'irriconoscenza. Li ho dunque letti con quell'amore e interesse che mi destano sempre vivissimo le produzioni dei giovani, perchè giovane mi fu detto esserne l'autore, circostanza che a dir vero più dal contenuto che dall'arte dei suoi versi si rileva. Infatti il poeta, (possiamo adoperare questo nome senza timore di profanarlo), non tentenna scrivendo, non ha incertezze di stile, nè povertà di voci, di suoni e di forme, che anzi, se qualche appunto gli si può fare, sarà soltanto di qualche neologismo non necessario o di qualche dittongo forzatamente contratto, benchè anche in questo egli sia ben lontano da quegli abusi in cui cascano sovente, in traccia di studiata eleganza, anche i migliori ingegni della giovane generazione.
Giunto alla parte sostanziale di questi versi, a quello che vorremmo chiamare la loro anima, essa è generalmente più subbjettiva che obbjettiva, più d'intuizioni che di osservazioni, più di sentimenti che d'idee; motivi rapidi e brevi, visioni fuggevoli, colte a volo e fissate dalla mano del poeta, tali quali gli si affacciano in tutta la loro indeterminatezza e i loro contorni vaghi e indefiniti che spesso li rendono nebulosi ed oscuri ma che perciò stesso, accrescono quel velame di cui l'autore si è piaciuto circondarli sotto un titolo biblico che suonerebbe Rivelazione, ma che si risolve in Mistero.
Però qual sia quella rivelazione o che nasconda questo mistero non ben s'indovina, poichè non vi s'intravvede alcuna idea o sentimento dominante che penetri e informi tutto il volume e che ne giustifichi il titolo. Malgrado ciò il libro è pieno, da capo a fondo, di versi belli per suono e per immagini ed anche, a quando a quando, di sentimenti, certo non nuovi, ma generosi e nobili che rivelano un poeta sincero, dell'antico stampo dei rêveurs oramai quasi perduto.
È l'opera di un giovane ma in pari tempo di un Iniziato, velato ancora d'ombre e di mistero, come i piccoli astri in formazione delle nebulose. Ma a quel modo che da queste usciranno un giorno i soli futuri per popolare firmamenti nuovi, così è da simili saggi che balzano fuori i poeti. Ed io saluto l'apparizione di questo libro come una bell'alba promettitrice di un giorno ancora più bello.
16 nov. 1903
Tommaso Cannizzaro
Enrico Cardile, noto anche con lo pseudonimo di Eli Drac (Messina, 19 marzo 1883 – Siracusa, 13 marzo 1951), è stato uno scrittore, poeta e giornalista italiano.
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Poesie - Enrico Cardile
Enrico Cardile
Poesie
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POESIE
SCRIVI, PERCIOCCHÈ QUESTE PAROLE SON VERACI E FEDELI.
QUESTA È LA PRIMA RESURREZIONE
SE ALCUNO HA ORECCHIO, ASCOLTI
E LE DARÒ LA STELLA MATTUDINA
IO TI DIRÒ IL MISTERÒ DELLA DONNA
DOVE SIEDE LA MERETRICE
VIENI, IO TI MOSTRERÒ LA SPOSA....
CIO' CHE DICE LO SPIRITO
COLUI CHE TESTIMONIA QUESTE COSE
PERCIOCCHÈ È VENUTO IL GRAN GIORNO DELLA SUA IRA, E CHI POTRÀ DURARE?
MA IO HO CONTRO A TE QUESTO...
ED IO MI FERMAI IN SU LA RENA....
MA UDII UNA VOCE
IO CONOSCO LE OPERE TUE, E LA TUA FATICA E LA TUA SOFFERENZA
FU TROVATO SCRITTO NEL LIBRO DE LA VITA
LA VOCE CHE IO UDII ERA COME DI CETERATORI CHE SONAVANO IN SU LE LOR CETERE
METTI DENTRO LA TUA FALCE E MIETI, PERCIOCCHÈ L'ORA DEL MIETERE È VENUTA
CADUTA, CADUTA È LA GRAN CITTÀ!...
QUAL CITTÀ ERA SIMILE A QUESTA GRAN CITTÀ?
E CHI È INGIUSTO SIELO ANCORA VIE PIÙ
BISOGNA ANCOR PROFETIZZARE CONTRO A MOLTI POPOLI E NAZIONI E LINGUE E RE
ANDATE, VERSATE NELLA TERRA LE COPPE DELL'IRA
VENDEMMIA I GRAPPOLI DELLA VIGNA DELLA TERRA... E DAL TINO USCÌ SANGUE....
COSTORO SON QUELLI CHE SON VENUTI DALLA GRAN TRIBOLAZIONE
E CHE TU DISTRUGGA COLORO CHE DISTRUGGONO LA TERRA
IL COMMIATO
POESIE
.
SCRIVI, PERCIOCCHÈ QUESTE PAROLE SON VERACI E FEDELI.
Ap: XXI-5.
Nel sonno cui grava l'eterno
sopor del mio core, diffuso
un pallido lume s'è schiuso,
un tenue sogno discerno;
ma balza, vibrante a l’occluso
destino, mia voce di scherno,
se il vostro compianto ricuso
con tremulo ghigno d'inferno:
Lasciate che l’Anima imperi
le cose di un sogno perduto,
i foschi del rito misteri,
lasciate che il biondo caduto
non volga i grandi occhi severi
ne l’ultimo e triste saluto....
QUESTA È LA PRIMA RESURREZIONE
Ap: XX-5
Nel sogno de la tetra Apocalisse
sostò l'Anima: il giovine pensiero
l'arco di