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Valentino Rossi: Il dio del motociclismo
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E-book334 pagine5 ore

Valentino Rossi: Il dio del motociclismo

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Info su questo ebook

Valentino Rossi è stato senza alcun dubbio il pilota più influente, mediatico e potente della storia delle due ruote. È stato capace di eguagliare leggende del passato e imporsi come un cannibale nel motociclismo moderno, riuscendo a conquistare nove titoli mondiali e vincendo in quattro categorie differenti. Il Dottore ha saputo giocare con il pubblico, lottare con gli avversari (dentro e fuori la pista), prenderne lo scettro, trionfare e non solo: anche cambiare moto quando nessuno lo avrebbe mai fatto, e continuare a vincere anche quando lo davano per perso. Valentino è sempre riuscito a mettersi in gioco e in discussione, senza pensare per un secondo alle conseguenze. Ha cambiato il motociclismo esattamente come Muhammad Ali ha fatto con il pugilato e Michael Jordan con il basket. Un professionista internazionale ma profondamente italiano, raggiante nella vita ma spietato in pista, baciato dagli dèi del motociclismo fino a prendere posto, legittimamente, nell’Olimpo dei piloti. Questa è la sua storia, che si è fatta leggenda.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita21 dic 2022
ISBN9788836162581
Valentino Rossi: Il dio del motociclismo

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    Anteprima del libro

    Valentino Rossi - Fabio Fagnani

    VALENTINOROSSI_FRONTE.jpg

    Fabio Fagnani

    Valentino Rossi

    Il dio del motociclismo

    Prefazione.

    Raccontare il motociclismo.

    Con Aldo Drudi

    Raccontare Valentino è un’impresa, umana più che sportiva. Per conoscerlo meglio, analizzarlo, scoprirlo un po’ di più mi sono fatto coadiuvare da chi gli ha permesso di diventare un brand internazionale: il suo amico e designer Aldo Drudi, l’artefice del successo dei caschi del Dottore.

    Tu hai vissuto Vale sin da quando era solo un bambino perché sei un grande amico di Graziano. Com’è stato vivere la sua crescita e vederlo diventare un campione?

    Con il senno di poi sappiamo con chi abbiamo avuto a che fare, ma ai tempi ci si poteva solo immaginare. Mi ricordo quando Graziano mi portava a vedere suo figlio alle gare della Sport Production, era velocissimo, ma la cosa che mi fece più impressione era con quale allegria Valentino andasse in pista. Non c’era pressione, o meglio c’era ma sapeva controllarla con il sorriso. Aveva già all’epoca un approccio scanzonato, quello che poi abbiamo conosciuto tutti.

    La mia relazione con Valentino è stata talmente lunga e continua in tutti questi anni da non essermi reso conto davvero di quanto fenomenale fosse. Lui mi ha dato questo privilegio di accompagnarlo per tutta la carriera con una escalation mostruosa.

    Dovessi scegliere il periodo più bello, il periodo d’oro di Vale, quale sceglieresti?

    La freschezza dei primi anni è impagabile. Il vero Vale in sintonia con il suo carattere, leggero, coraggioso, forte e divertente è quello delle 125. Mi ricordo che una volta l’ho accompagnato in Giappone, a Suzuka. Si passava letteralmente in mezzo ai tifosi e i giapponesi erano impazziti per questo ragazzino. Già lì mi sono accorto che stava diventando qualcos’altro, ma come ti ho detto quando sei lì con lui sempre la crescita non è subito così evidente. Vale era curioso, intelligente, furbo e andava veloce. Quello è un periodo bellissimo.

    Quanto è stata decisiva la vicinanza di Graziano, dei suoi amici e della famiglia?

    Il collettore di tutto il mondo di Valentino è decisamente Graziano. Credo che la maggior parte dei piloti in pista oggi debbano dire grazie, anche indirettamente, a Graziano Rossi. Ha innovato il modo di allenarsi, di guidare, di divertirsi. L’allenamento della Cava è tutta un’idea di Graziano Rossi. Era sempre pronto con una tanica di benzina, un treno di gomme e le moto o le auto pronte. È lui che ha ispirato il Ranch e il tipo di approccio alle gare, e ovviamente per Vale è stato un faro. Il Grazia gli ha insegnato quella sana follia che poi Vale ha reso grande. Ovviamente, anche la Stefi, con la sua dolcezza, ha plasmato Vale, dando una direzione alla sua energia e alla sua euforia.

    Qual è stato l’avversario di Vale che hai stimato di più?

    Tra tutti credo alla fine Casey Stoner. Stimavo molto Casey. Non si è mai dimostrato diverso da quello che era. Gli altri spesso hanno anche perso la loro strada. Marc ha avuto una sorta di complesso edipico. Lo spagnolo era un figlio d’arte di Valentino. Era un fan di Rossi e voleva ricalcare la sua carriera in tutto e per tutto, ma questa fame lo ha portato a voler uccidere metaforicamente il padre sportivo, ossia Rossi. Credo che tra tutti, alla fine, quello che meriti più la mia stima sia Casey. Poche parole, anche se a volte fuori posto, ma la testa era sempre alla pista e ad andare sempre più forte.

    Qual è il casco che ti è piaciuto più di tutti realizzare?

    Quello che mi ha emozionato di più è stato un casco che era un tributo a Graziano Rossi. Avevamo fatto un restyling del casco del papà di Vale in occasione del Gran Premio del Mugello. Era il 2002, l’anno in cui vinse la gara e poi fece la gag dei poliziotti che lo fermavano per eccesso di velocità. Tutti litigano con il proprio padre, è normale. Per diventare uomini ti devi staccare dal padre e non sempre è così facile. Quel casco lì rimise a posto le cose dopo qualche mese complicato, perché ognuno ha il suo carattere, ma Vale le persone importanti le tiene strette a sé, anche se a volte, come accade a tutti, non ci si capisce. L’importante è poi saper riportare la quiete.

    Sei un uomo che si commuove o sei un tipo di altri tempi?

    Penso che piangere sia un lusso. Per il motociclismo qualche lacrima l’ho fatta, spesso mi emoziono ma non si vede, a volte invece sì.

    Qual è stato il momento più buio?

    Decisamente la morte di Marco Simoncelli. Non serve aggiungere altro. Qualcosa di troppo intimo per provare a spiegarlo con le parole.

    Cosa serve a dare un futuro al motociclismo per lasciarsi alle spalle Vale?

    Difficile. Purtroppo il grande errore è stato quello di essere Valentino dipendenti. Questa cosa non ha fatto un favore a lui, che era sempre nell’occhio del ciclone, ma il problema è che non si sia lavorato per lo sport e nemmeno in funzione dello sport. Questo ha mostrato come non ci sia stata una programmazione per l’addio di Vale, che in ventisei stagioni ha vinto, ha cambiato stile di guida un sacco di volte, spesso non sappiamo raccontare l’hardware del motociclismo. Che arrivi o no un altro Valentino, bisogna saper raccontare questo sport nel modo più vero e profondo e non è vero che non ci sono personaggi. Non ci sono altri Valentino, ma è ovvio, forse non ce ne saranno mai, ma di suo il motociclismo è meraviglioso, è che forse non lo sappiamo raccontare.

    Introduzione

    Se penso a Valentino Rossi, penso alle corse.

    Penso alle vittorie, alle risate, alle gag, alle litigate. Penso ai grandi rivali, alle interviste, alle impennate. Penso alla Cava diventata Ranch, agli allenamenti con il Sic, all’Academy nata proprio dopo la sua morte. Penso alle sconfitte brucianti, ai mondiali non conquistati, al ritiro. Sempre e comunque alla sua grande capacità di impattare mediaticamente, con carisma e ironia, in uno sport di cui ha smesso di fare parte.

    Se penso a Valentino Rossi, penso alla forza di vivere sempre accelerando, alla bellezza di correre sulla pista e nella vita, alla follia di gareggiare sempre a un palmo dall’asfalto; all’amicizia sincera con Uccio, alla bolgia del Mugiallo, ai bambini in lacrime davanti al Motorhome.

    Penso che un pilota così, amato e odiato, capace di essere internazionale e italianissimo allo stesso tempo, non tornerà mai più. E va bene così.

    Penso al decimo titolo mai conquistato, una sorta di mancanza di completezza, di cerchio non chiuso, di assenza di maturazione: un po’ come è lui, come era nel paddock e in pista. Un eterno ragazzo capace di guidare fino a quarantadue anni e per ventisei stagioni consecutive nei massimi campionati del mondo.

    Se penso a Valentino Rossi, penso alla prima volta che ho tifato un pilota italiano, alla prima volta che ho tremato di gioia per una vittoria, alla prima volta che mi sono disperato per un infortunio.

    Ho un ricordo, come tutti, legato al Dottore. Ero giovane, molto giovane, e non avevo ancora minimamente idea che un giorno avrei fatto il giornalista, e che lo avrei incontrato, salutato, abbracciato, spalleggiato, osannato e criticato.

    È il 2009, ho appena finito di vedere la gara in Catalunya a casa della mia fidanzata. A un certo punto, mentre Meda e Reggiani continuano a urlare in telecronaca come matti furiosi, lei si gira e mi guarda: «Ehi, è successo qualcosa? Tutto bene? È stato male qualcuno?»

    Io immobile, mentre le lacrime mi scendono inesorabili sul volto. Non parlo, sono senza parole.

    Lei, preoccupata, insiste: «Oh, Fabio. Mi spaventi, tutto bene?»

    Io mi giro verso di lei, con gli occhi umidi, e le rispondo: «Che gara. Che gara ha fatto Valentino».

    Dopo aver compreso che era tutto assolutamente ok, anzi, che non sarebbe mai potuto andare meglio di così, mi osserva e scuote la testa.

    Le cerco di spiegare: «Ecco il replay, guarda. Guarda che roba».

    Lei mi osserva, si gira e risponde: «Non ne capisco molto di moto, ma mi sembra impossibile».

    Esatto, non avrei potuto trovare definizione migliore. Quelle parole mi sono rimaste in testa per sempre.

    Valentino è stato l’impossibile che diventa reale. È magia diventata scienza, uomo mortale divenuto semidivinità mitologica.

    Tutte le volte che mi è capitato di incontrare Valentino Rossi ho sempre avuto una netta sensazione: ossia quella di trovarmi di fronte a un polo magnetico di carisma, capace di metterti sempre a tuo agio, solare, ma allo stesso tempo schietto, spontaneo. Sia quando come reporter gli feci qualche domanda postconferenza stampa a Misano, sia quando lo incontrai dopo l’uscita di «Riders Magazine» dedicato a lui e ai dieci anni della VR46, sia quando lo incrociai dopo aver intervistato Franco Morbidelli alla VR46 di Tavullia.

    Non sto dicendo che Rossi non abbia mai sbagliato, sarebbe falso, ipocrita, ma sto dicendo che quando l’ha fatto, come nei trionfi e nei successi, l’ha fatto come Valentino Rossi. Come se stesso. Anche perché essere perfetti è impossibile, nonostante lui ci sia riuscito più volte con una sella sotto le chiappe.

    E concludo con la scelta della copertina. A volte è tutta una questione di sguardi e la prima volta che ho incrociato gli occhi di Valentino ritratti nella foto realizzata da max&douglas ho voluto fortemente che diventasse la cover di questo libro.

    Bianco e nero, un po’ come il sole e la luna con cui ha deciso di rappresentarsi. Magnetico, penetrante, potente. Anche quando manca la risata, gli occhi non tradiscono mai. Dietro quello sguardo forte, deciso, c’è un sorriso, quello che per una vita è sempre stato sul volto di Vale. Mi piace pensare che quello sia lo sguardo, feroce e tagliente, di quando dietro la visiera, dentro il suo casco colorato, decide di vincere, di annichilire gli avversari, di superare i limiti.

    Che spettacolo!

    La fine, è soltanto un altro inizio

    È il 5 agosto 2021. La sala stampa di Spielberg, al circuito Red Bull Ring, è gremita. I giornalisti sono accalcati, chi è seduto è fortunato. Chi è in piedi prova a scrutare l’orizzonte. Fa caldo, le mascherine non permettono di osservare le smorfie, ma gli occhi parlano da soli. Il Covid non è ancora un problema che ci si è lasciati alle spalle, ma nessuno vuole perdersi questo momento.

    C’è chi bisbiglia, chi immortala l’istante, chi scrive sui social, chi chatta con gli amici, la famiglia, gli affetti. È storia che si avvera. Gli occhi brillano, anche a chi non ha mai amato uno dei piloti più rappresentativi del Motomondiale.

    Un viaggio lungo ventisei stagioni, condensato di vittorie, siparietti, gag, fallimenti, infortuni, litigi, cambi di squadra, sbagli, errori, successi e risate. Il sorriso, quello non è mai mancato e non manca neppure quando Valentino Rossi fa il suo ingresso all’interno della sala stampa. Ad attenderlo uno sgabello al centro del palchetto dove solitamente si piazzano i piloti per la conferenza stampa pre-weekend. Luci puntate addosso, come fosse uno stand up comedian pronto a far ridere il pubblico o un politico prima di un comizio.

    Entra, sorride, saluta con la mano e si siede. È emozionato, prova a nasconderlo, ma è evidente. È vestito come deve essere: berretto Monster con il suo classico 46 giallo fluo, polo e pantaloni della tuta, brandizzato Yamaha del team Petronas, l’ultimo a concedergli la propria sella per guidare una MotoGP.

    Prima di questo momento si faceva un gran parlare nei talk show e sui giornali di tutto il mondo. La domanda era soltanto una: cosa farà Valentino Rossi? Le ipotesi sul piatto non erano molte. La prima il ritiro dalle corse. Nessuno lo vuole davvero, ma tutti sanno che prima o poi sarebbe dovuto accadere. La seconda, quella che tutti gli appassionati delle moto, i suoi tifosi e anche gli avversari, hanno sperato: correre un altro anno con la sua squadra, quella che oggi si chiama Mooney VR46 Racing Team, composta da Luca Marini, suo fratello, e Marco Bezzecchi, pilota dell’Academy di Valentino Rossi, entrambi in sella a una Ducati.

    Il pensiero lo ha solleticato. Da una parte, però, l’idea di essere proprietario del team e pilota non lo entusiasmava. È vero, dividere il box con il fratello, forse, non sarebbe stata una brutta storia, ma i piloti sono animali selvaggi, individualisti, amano stare da soli, vivere da soli, vincere da soli. Le moto non sono uno sport di squadra, quando si scende in pista si è con se stessi, e basta.

    L’idea di tornare in Ducati, in questa Ducati, che funziona, che viaggia, che vince, lo stuzzica, ma forse Valentino si è reso conto che non ha più le energie giuste, gli stimoli per continuare a fare quello che ha saputo fare meglio di tutti per ventisei stagioni. Non ha voglia di ricominciare, non ha voglia di mettersi a far pratica, a cercare il limite, a poggiare le orecchie sull’asfalto, a rischiare la vita. Lo ha fatto per troppo tempo e ha deciso che è venuto il momento, all’età di quarantadue anni, di lasciare le moto e mettere su famiglia con la sua fidanzata Francesca Sofia Novello. Una ragazza che lo ha cambiato, lo ha completato, lo ha reso grande, lo ha fatto diventare uomo, per davvero. Noi che pensavamo a lui come un eterno Peter Pan, noi che lo vedevamo con lo stesso sguardo innamorato delle corse, noi che per ventisei anni lo abbiamo seguito, scrutato, tifato, idolatrato, ma anche criticato, commentato, a volte insultato.

    Vale ha deciso di diventare grande nel momento in cui ha trovato il suo futuro, fatto di amore, famiglia e relax. Certo, sempre con le moto al Ranch, i suoi ragazzi dell’Academy, le corse in auto, ma senza quella tensione, quello stress, quell’ansia da prestazione che ti assalgono anche quando sei stato il migliore della storia.

    Mentre il mondo del Motorsport si impegna a comprendere quale potrebbe essere il futuro di Rossi, Vale ha già deciso. Non ci sono alternative. La speranza è nella testa di ogni persona presente in sala stampa e anche da casa. C’è chi si è fermato in un’area di sosta per vedere su SkyGo la conferenza, chi è sgattaiolato in bagno nel bel mezzo di una riunione, chi ha fermato un allenamento per ascoltare le parole di Valentino Rossi che alle 16.19 del 5 agosto 2021, suonavano così:

    «È un momento molto triste, è difficile sapere che l’anno prossimo non correrò in MotoGP», lo dice come al solito con il suo slang inglese-tavulliese. Una cadenza che ha contraddistinto da sempre la parlata internazionale del pilota marchigiano, anzi, come dicono in molti, marchignolo, perché è cresciuto in quella fetta di Marche a un passo dalla terra dei motori, l’Emilia-Romagna. E quando dici a un romagnolo che Rossi non è roba loro, soffre.

    «Ho fatto questo per quasi trent’anni e dal 2022 la mia vita cambierà. È stato tutto grandioso, mi sono divertito tantissimo, è stato un percorso lungo e divertente. Mi ero dato un tempo e ho deciso di smettere a fine anno. Sarà la mia ultima mezza stagione in MotoGP. Mi dispiace un sacco, avrei voluto correre per altri venti-venticinque anni ma purtroppo non è possibile. È stata una decisione difficile, ma bisogna capirla. In tutti gli sport i risultati fanno la differenza e credo che quella di ritirarmi a fine stagione sia la scelta giusta».

    Rossi sa che è dura da digerire, per lui, prima ancora che per i tifosi. I suoi tifosi. E prova a indorare la pillola: «Mi sarebbe piaciuto continuare al fianco di mio fratello, avrei potuto farlo, ma va bene così. Abbiamo ancora metà stagione davanti, credo sarà più difficile quando arriveremo all’ultima gara, ora sto solo comunicando la mia decisione. Dall’anno prossimo correrò con le auto. Adoro correre con le macchine, ma dobbiamo ancora definire questa decisione. Mi sento un pilota e penso lo resterò per tutta la vita».

    Aver dato indicazione, seppur poco precisa, sul suo futuro lo libera, lo rallegra, lo rende più leggero. Prende confidenza con la scelta che ha maturato in estate. Due anni prima, quando si vociferava l’addio – come in molti facevano già da dieci anni – non era ancora pronto per salutare definitivamente le corse, le qualifiche, le libere, dire addio al paddock, ai tifosi, al motorhome, ai cordoli, all’emozione prima della gara, ai viaggi intercontinentali, al muro giallo dei tifosi in ogni parte del mondo, all’applauso degli avversari, al commento dei giornalisti, alla vittoria, alla bandiera a scacchi, al sorpasso in staccata all’ultimo giro, alle impennate.

    Non era ancora pronto, oggi lo è.

    È in pace con se stesso, sa che da adesso, o tra qualche mese inizierà la vita di un altro Valentino Rossi, che non sarà più come lo è stata negli ultimi quarant’anni.

    La stagione di Valentino non è stata mai entusiasmante o interessante sotto l’aspetto strettamente sportivo, quello legato ai risultati, per intenderci. Nel 2020 era riuscito a conquistare il suo ultimo podio nel Gran Premio di Andalusia, dopo una gara strepitosa da ogni punto di vista. E pensare che nessuno credeva che Rossi, ormai dato in prepensionamento, potesse ancora salire su quel gradino. Pensavano che il ritiro dovesse arrivare molto prima, qualcuno nel 2007, qualcuno nel 2009, altri nel 2011, dopo la morte di Marco Simoncelli e la deludente stagione in Ducati; e ancora nel 2015, dopo la cocente, stressante, a tratti umiliante parentesi con Marc Marquez e il mancato decimo mondiale che lo avrebbe catapultato ancor di più verso l’infinito. Un titolo che gli avrebbe permesso di superare piloti del passato come Carlo Ubbiali e Mike Hailwood, diventando il terzo pilota più vincente dopo Angel Nieto e a un altro orgoglio italiano come Giacomo Agostini, rispettivamente a tredici e quindici titoli iridati.

    Il terzo posto a Jerez ha un valore enorme, anche perché si corre nel campionato del mondo più strano di sempre per via del Covid che ha spezzato la quotidianità e ha messo in dubbio le nostre esistenze con la speranza però di ripartire meglio di prima, cosa che poi non è andata affatto così.

    Quel podio, ancora in sella ai colori ufficiali Yamaha, conferisce sicurezza a Valentino, che sa benissimo che non può più giocarsi il mondiale, ma le gare, quelle sì.

    Quando si arriva a Misano, nel 2020, Rossi ha già in testa l’addio, o comunque sa per certo che non potrà esserci per sempre e vuole lasciare un ultimo ricordo indelebile per la storia, per i suoi tifosi, per se stesso. In questa stagione, l’ultima di Rossi nel team ufficiale Yamaha, di gare nel World Misano Circuit dedicato a Marco Simoncelli ce ne saranno due, una sarà il Gran Premio di San Marino e della Riviera di Rimini e l’altra il Gran Premio dell’Emilia-Romagna. Per questa viene chiamata la doppia di Misano. E da qui, come ha sempre fatto nella sua carriera, Rossi vuole tirar fuori un colpo di genio insieme all’amico di una vita e designer delle grafiche dei suoi caschi, Aldo Drudi.

    Vale si presenta con una pastiglia di viagra, la classica pillola azzurra, da 46 milligrammi (e quanti se no…). Sulla parte posteriore del casco invece il blister con una pastiglia mancante, quella che ha dovuto prendere per riuscire a fare la doppia di Misano, anche perché alla sua età, quarantuno suonati dal febbraio precedente, è comprensibile aver bisogno di un aiutino, quantomeno per andare in moto a 300 orari, con i giovanotti che ti superano a destra e a sinistra, senza chiedere permesso e senza avere rispetto per le leggende, tutt’altro.

    La prima delle due Misano è bellissima, soprattutto per i tifosi italiani. Franco Morbidelli è primo e non ne vuole sapere di cedere la posizione, a metà gara Francesco Bagnaia è secondo, con Valentino Rossi terzo. Sarebbe fantastico chiudere dietro i due piloti migliori dell’Academy, entrambi campioni del mondo di Moto2. Sta crescendo una nuova generazione sulle spalle del nove volte campione del mondo. Una fotografia migliore di questa non ci potrebbe proprio essere, ma quando manca un giro alla fine Joan Mir, che diventerà campione del mondo a fine anno anche grazie a questo sorpasso, supera Rossi e conquista un podio insperato per la Suzuki, rovinando il weekend a Rossi che sognava di riuscire a conquistare un ultimo podio a Misano, sapendo che non ce ne sarebbero stati altri.

    È comunque felice, sa quello che può dare, sa che ha difficoltà con la sua M1 – soprattutto con il posteriore, problema che denuncia da almeno dieci anni –, sa che gli altri son giovani, affamati e vanno forte, ma l’idea di poter stare sul podio con i suoi pupilli forse lo ha tradito o forse non ne aveva proprio più per rispondere all’attacco dello spagnolo.

    Un peccato, anche se un quarto posto si prende e si mette in tasca con gioia. La Misano 2 sarà molto meno felice: perdita di avantreno in inserimento della curva 14 mentre era settimo, ghiaia, out. Ritiro. Fuori dai giochi. La scelta della gomma dura davanti forse non ha aiutato, ma Rossi si prenderà tutte le colpe al termine del Gran Premio dicendo che è stato un suo errore. È anche per questo che Rossi arriva a Misano nel 2021 carico, ma con una moto che non lo assiste, la Yamaha M1 del team Petronas di Razlan Razali. Un amore mai sbocciato, forse entrambi si sono trovati senza cercarsi e la scintilla non è mai arrivata, un po’ come quei matrimoni combinati che andavano una volta. Le famiglie avevano intenti comuni e concedevano i propri figli per mandare avanti gli interessi, poi l’amore sarebbe arrivato, si diceva. Invece no, l’amore, i sentimenti, le emozioni prima di ogni cosa. È anche per questo che il Gran Premio di San Marino e della Riviera di Rimini del 2021 è un flop. La classifica finale recita diciassettesimo, fuori dalla zona punti. È troppo.

    Per Misano 2, il GP dell’Emilia-Romagna, Rossi vuole salutare al meglio che può. È difficile.

    La gara è tutta incentrata su Bagnaia e Quartararo. Pecco sta inseguendo il francese nella classifica finale del Mondiale. Il pilota Ducati sta guidando benissimo, ma la distanza con il francese è comunque abbastanza per far star tranquillo il pilota Yamaha quando le piste non sono a favore del proprio stile di guida.

    A cinque giri dalla fine del Gran Premio, Pecco è davanti, dietro c’è Marc Marquez e terzo Pol Espargaro. Quartararo è quinto, mentre Rossi che alla prima curva di questa gara si ritrovava in ultima posizione è quattordicesimo. A un certo punto, però, Bagnaia la butta via, cade, ghiaia. Quartararo è virtualmente campione del mondo e Marquez sta tornando sul podio dopo un anno difficile e complicato postinfortunio e operazione al braccio. Al traguardo un italiano salirà comunque sul podio ed è Enea Bastianini.

    Ciò che però colpisce è il muro giallo presente a Misano per salutare un’ultima volta in Italia Valentino Rossi. Nei quattro giri finali, Rossi è riuscito a superare i quattro piloti che lo precedevano e a chiudere in decima posizione. Un risultato che una volta sarebbe stato un fallimento, una delusione e nemmeno da prendere in considerazione: o davanti o niente. In quel 2021, invece, diventa fondamentale, diventa un risultato apprezzato e coraggioso. Con quanta fame, quanta voglia, quanto coraggio… Rossi a quarantadue anni si inventa quattro sorpassi in un giro per chiudere nella top ten, il più vicino possibile alla vetta.

    Fabio Quartararo vince e festeggia il suo titolo iridato, ma i volti, le lacrime, le attenzioni, i festeggiamenti sono tutti per Valentino e la sua ultima volta a Misano. L’abbraccio dei tifosi, degli appassionati, lui che lancia il suo casco, i fumogeni gialli a colorare tutto il circuito e quelle vibrazioni che riconosci dal primo brivido e sai che non torneranno più.

    Misano lo ha accolto, lo ha cresciuto, ha gioito con lui, ha pianto per lui, ha urlato il suo nome e in quel giorno, tutta la Romagna, anzi tutta l’Italia, lo saluta con un enorme grazie. Le telecamere sono sul giallo degli spalti, mentre El Diablo racconta la sua vittoria. Fabio Quartararo è da sempre tifoso di Valentino, da sempre amante del suo stile di guida e del suo modo di essere spensierato e leggero in pista e davanti alle telecamere. Nel giorno più importante di Quartararo, l’ombra di Rossi è stata ingombrante, ma allo stesso tempo un enorme saluto e, perché no, una staffetta che si completa.

    È il 14 novembre 2021. Il mondo della comunicazione festeggia perché 14, il giorno, più 11, il mese, e 21, l’anno, sommati danno 46, il numero di Rossi. Un numero abusato nella stagione del ritiro, ma che ai numerologi fa un certo effetto.

    Prima della partenza Valentino si gode fino all’ultimo ogni gesto, sin dall’arrivo nel paddock del circuito. L’ultimo weekend, l’ultimo motorhome, le ultime interviste pre-gara. Il sabato, vanno in scena le ultime qualifiche da pilota di MotoGP di Rossi, che non è mai stato un fenomeno del giro secco, nemmeno quando andava al doppio della velocità dei suoi avversari.

    Al termine del sabato Rossi si trova al sedicesimo posto. Una fine che non si merita, serve concludere quanto meno a punti. Oppure, e questo sarebbe stato bellissimo, ultimo, impennando a ogni curva del circuito valenciano: punta all’insù e via. Per fortuna non è finita come qualche folle ha proposto sui social: «Lasciatelo passare, lasciatelo arrivare sul podio cosicché possa arrivare al duecentesimo podio in carriera in MotoGP».

    Fosse accaduto sarebbe stata la morte dello sport, la morte di Valentino Rossi come pilota, la morte della competizione, dell’adrenalina, di tutto.

    Una dimostrazione evidente di come spesso i social siano inutili e lontano dalla realtà. Rossi partirà sedicesimo e lotterà con unghie, denti, motore e pelo sullo stomaco per godersi gli ultimi sorpassi, veri, reali, difficili, complicati, come è giusto che debba essere. Non siamo mica nel mondo dei videogame, qui si rischia davvero. E Vale lo ha fatto per ventisei stagioni.

    E il giorno della gara, infatti, Valentino si gode tutto. Ogni momento della sua ultima domenica da Dottore del Motomondiale: sveglia, colazione, vestizione della tuta, sempre con gli stessi tempi, sempre con le stesse persone attorno, sempre con quegli accorgimenti, quei dettagli che sono come gesti e atteggiamenti scaramantici, come ha sempre fatto in queste ventisei lunghissime stagioni che, però, sono volate, velocissime, proprio come faceva Vale in pista.

    Uccio, Albi, Max, ci sono tutti, tutti coloro che gli devono una vita passata insieme, come lui deve a loro tanto, tantissimo. Le abitudini, la tranquillità, la compagnia. Quel pezzo di Italia, di Tavullia, che ha girato con Rossi in tutte queste stagioni, attraversando gli emisferi più volte all’anno, prendendo aerei a orari impossibili, attraversando ogni epoca e ogni genere di avventura.

    L’ultima tuta, l’ultimo casco, le ultime saponette. Quando Vale arriva in griglia di partenza l’ansia da prestazione è alta, non per il risultato, ma perché circa un’ora dopo sarà tutto finito. Finito per sempre. Saranno gli ultimissimi giri di una carriera, gli ultimi chilometri di una vita da pilota.

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