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Meccano. Storia di velocità
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E-book117 pagine1 ora

Meccano. Storia di velocità

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Info su questo ebook

Questo romanzo racconta la coinvolgente storia di Nicola, un bambino che diventerà giovane uomo crescendo nell’ambiente competitivo delle gare motociclistiche. Difficile riuscire a restare fedeli a sé stessi, mantenere relazioni sincere, non cadere nelle reti degli opportunisti travestiti da amici. Nicola saprà trovare il proprio modo di esprimersi e il proprio posto in un mondo dai ritmi sempre più veloci. Oltre al rischio e a molti momenti difficili, il protagonista conoscerà la sensazione di essere preso travolgentemente dall’amore, per poi essere gettato a tal punto da dubitare di tutto ciò che lo aveva circondato fino a quel momento. Si scontrerà con sé stesso fino a quando non riuscirà ad accettare che le altre persone possono anche deludere e che, anche se le cose della vita non sempre vanno come si vorrebbe, può sempre arrivare qualcosa di nuovo e inaspettato. L’importante è trovare la forza di rialzarsi e riprendere a correre.
LinguaItaliano
Data di uscita14 set 2020
ISBN9788855128308
Meccano. Storia di velocità

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    Anteprima del libro

    Meccano. Storia di velocità - Emanuele Lanaro

    Emanuele Lanaro

    Meccano

    Storia di velocità

    Copyright© 2020 Edizioni del Faro

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via dei Casai, 6 – 38123 Trento

    www.edizionidelfaro.it

    info@edizionidelfaro.it

    Prima edizione digitale: settembre 2020

    ISBN 978-88-5512-078-4 (Print)

    ISBN 978-88-5512-830-8 (ePub)

    ISBN 978-88-5512-831-5 (mobi)

    In copertina: Il viaggio, di Marta e Sofia Lanaro

    http://www.edizionidelfaro.it/

    https://www.facebook.com/edizionidelfaro

    https://twitter.com/EdizionidelFaro

    http://www.linkedin.com/company/edizioni-del-faro

    Il libro

    Questo romanzo racconta la coinvolgente storia di Nicola, un bambino che diventerà giovane uomo crescendo nell’ambiente competitivo delle gare motociclistiche. Difficile riuscire a restare fedeli a sé stessi, mantenere relazioni sincere, non cadere nelle reti degli opportunisti travestiti da amici. Nicola saprà trovare il proprio modo di esprimersi e il proprio posto in un mondo dai ritmi sempre più veloci. Oltre al rischio e a molti momenti difficili, il protagonista conoscerà la sensazione di essere preso travolgentemente dall’amore, per poi essere gettato a tal punto da dubitare di tutto ciò che lo aveva circondato fino a quel momento. Si scontrerà con sé stesso fino a quando non riuscirà ad accettare che le altre persone possono anche deludere e che, anche se le cose della vita non sempre vanno come si vorrebbe, può sempre arrivare qualcosa di nuovo e inaspettato. L’importante è trovare la forza di rialzarsi e riprendere a correre.

    L’autore

    Emanuele Lanaro è nato ad Asiago (VI) ed è cresciuto tra i piccoli paesi del Veneto. Attualmente vive con la moglie e le due figlie adolescenti vicino a Vicenza. Ha poco più di quarant’anni e lavora come tecnico in ambito sanitario. È appassionato di sport motoristici ed è pilota amatoriale.

    Meccano

    Storia di velocità

    Prologo

    Per la magg io r parte delle persone l’esistenza consiste nel correre per cercare di ragg iu ngere q ua lcosa, per ese mpio la fama, la ricchezza, la cultura oppure una vita serena e appagante. La stor ia insegna che da q ua ndo esiste l’ uo mo esistono anche cur io sità, spirito competitivo e gare sportive. Il personagg io di q ue sto breve romanzo si trova nella condiz io ne di correre, è nato per q ue sto e non conosce altro modo per esprimersi; per l ui è tutto così veloce che q ue llo che lo circonda gli sembra incredibilmente lento. La corsa, in q ue sto caso, diventa un inseg ui mento al contrar io dove il protagonista dovrà correre ancora più forte per cercare di ragg iu ngere non il migl io r tempo, ma la magg io r q ua ntità possibile di esso.

    Nella vita di una persona ci sono anche momenti difficili ed esiste quell’odore di fallimento nel quale è facile perdersi e risulta complicato rimettersi in gioco. Il protagonista scoprirà l’importanza della fortuna, perché di rado le sole buone idee sono sufficienti a ottenere un risultato soddisfacente, ma la cosa che capirà essere la più importante sarà riuscire a mantenere un contatto con il bambino che è dentro di lui. Di quel bambino, che è anche dentro di noi, sarà necessario avere cura perché così facendo a nostra volta tratteremo bene i nostri figli e i bambini in generale; come conseguenza, loro potranno imparare da noi e noi da loro. Scrivendo questo libro mi è apparsa chiara anche l’importanza della famiglia d’origine: essa dentro di noi lascia sempre un segno, buono o cattivo, che a volte può concretizzarsi in uno stimolo oppure in un’opportunità vera e propria che da soli non saremmo riusciti a cogliere.

    Un ringraziamento speciale devo farlo a mia moglie, senza la cui pazienza, talvolta portata al limite estremo, questo lavoro non sarebbe mai potuto esistere e ringrazio anche le mie due figlie grazie alle quali riesco a mantenere viva dentro di me una parte a cui sono molto affezionato.

    Capitolo 1

    La prima forma che costr ui i con il meccano fu q ue lla di una moto. Ero molto piccolo, non ricordo che età potessi avere, ma ritengo meno di cinq ue anni. D’altro canto m io padre lavorava in una fabbrica di motociclette, magari non le migl io ri del mondo, magari n ea nche le più affidabili, ma come personalità stilistica ne avevano da vendere.

    La mia era stata un’infanzia felice a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Le moto erano la mia più grande passione. Ricordo che una sera, non avevo ancora cinque anni, i miei genitori mi accompagnarono a scegliere una bici e nel negozio in cui andammo c’era una piccola moto sportiva da pista, di quelle che ai giorni nostri vengono chiamate mini-moto. Una volta salito ci erano volute tre persone per togliermi da essa, perché non avrei più voluto scendere. La bicicletta che mi comprarono era comunque bellissima: una Bmx con il telaio blu metallizzato e la sella e le manopole rosse. Guardandola pensavo che non chiedesse altro che fare salti e che avrebbe potuto saltare qualsiasi cosa se avesse voluto, anche una casa, oppure avrebbe raggiunto il tetto per poi volare chissà dove.

    Un pomeriggio, non molto tempo dopo aver ricevuto la bici, decisi che un certo salto, in un prato a poche centinaia di metri da casa, avrei dovuto farlo a ogni costo. Preparai quello che potevo, scimmiottando le protezioni dei piloti di moto-cross che avevo visto in TV e partii con in testa un piccolo casco giallo che era servito per partecipare a una lezione di sci. Non pensai al dopo, ma soltanto a prendere la maggior rincorsa possibile e mi lanciai tenendo stretto il manubrio. Il salto andò bene, ma l’atterraggio, che avvenne sulla ruota anteriore, provocò una rovinosa caduta.

    Sentii un dolore molto forte alla mano sinistra, non immediatamente, ma dopo qualche secondo. Non potevo evitare di piangere e tornai a casa, anche se riuscivo a vedere poco attraverso le lacrime. Ci volle più di un mese perché il mio dito medio della mano sinistra guarisse dalla frattura e, inoltre, mi dissero che l’unghia non sarebbe più stata come le altre. Una volta guarito, eludendo la sorveglianza di mia madre, riuscii a tornare nel prato per ripetere il salto e questa volta l’atterraggio avvenne sulla ruota posteriore e fu perfetto. Tornai a casa soddisfatto e rimasi per giorni con un certo sguardo assassino che anche oggi, dopo una gara vinta, non riesco a togliermi dalla faccia.

    La domenica abitualmente i miei genitori mi portavano a trovare i nonni. Erano giornate noiose perché io avevo voglia di fare tutt’altro e finiva che ripetevo sempre la stessa domanda: quando andiamo a casa?. I miei nonni materni risiedevano in un paesino, Zugliano, non lontano da quello dove abitavamo noi. La loro casa era stata edificata a poche decine di metri da una villa antica e disabitata, di fronte alla quale c’era la chiesa. La nostra giornata iniziava con mia madre che si metteva in ghingheri e con mio padre che sbuffava perché finiva sempre per dover correre con l’auto come un pazzo per arrivare, comunque, in ritardo alla messa. Io, che mi preparavo tutti i vestiti la sera prima, mi trovavo ad aspettare i due baruffanti sul divano in attesa della partenza. La funzione religiosa era difficile da sopportare anche perché avevo fame già all’inizio della stessa e l’unica cosa che potevo avere era una caramella dalla borsetta di mia madre, ma non prima che lei si fosse alzata per andare a prendere la comunione. Fuori dalla chiesa potevo finalmente correre e giocare con altri ragazzini, con i quali poi ci spostavamo nel giardino della villa, dove rimanevo fino a quando mi avrebbero chiamato per il pranzo.

    Le giornate di pioggia erano decisamente le peggiori: il fatto di dover stare a non far nulla nella cucina dei nonni, dove il caldo era soffocante, mi rattristava molto. Mio nonno, per alleviare le mie sofferenze, cercava di coinvolgermi, a volte in piccoli lavoretti a volte con la TV dove lui guardava principalmente programmi motoristici oppure le corse di moto. La prima volta che vidi una gara intera fu quella della 125 cc ad Assen, in Olanda. Quella mattina quando mi alzai non mi sembrava neanche domenica; la casa era silenziosa e sentii la Fiat 132 di mio padre che usciva piano dal vialetto. Io mi vestii e andai sul divano. Quando mi accorsi che mio padre rientrava gli corsi incontro cercando di arrampicarmi per farmi prendere in braccio, ma lui avendo in mano dei sacchetti del panificio cercava, scherzosamente, di allontanarmi con la gamba che non ero riuscito a bloccargli. Quel trambusto aveva svegliato mia madre che scese dalla scalinata che dava sul salotto stropicciandosi gli occhi con la vestaglia che svolazzava e mio padre la guardava come fosse stata una diva del cinema.

    Facemmo colazione con le due brioche e i due krapfen con la marmellata portati da mio padre e poi via verso Zugliano. Per raggiungerlo, da Breganze, si saliva verso le colline costeggiando un corso d’acqua, un canale artificiale che viene alimentato dal torrente Astico e che dona al paesaggio rurale una dolcezza che mi ha sempre dato un grande senso di serenità, anche grazie alla presenza di alcuni pescatori che molto spesso mi capitava di vedere su quel tratto di strada. La messa fu tollerabile, e poi avevo un modellino di Laverda ZF 750 in tasca e ogni tanto lo tiravo fuori per guardare il logo bianco, rosso e verde sul serbatoio arancione; era una così bella miniatura che mi affascinava enormemente. Arrivò la caramella da mia madre e finalmente fuori a giocare.

    Dopo pranzo, bisogna dire che mia nonna sapeva preparare piatti eccezionali, mi misi a guardare le moto alla TV con mio nonno. Mi piacquero particolarmente i preparativi, con le moto colorate, i piloti in attesa e i tecnici che si spostavano da tutte le parti.

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