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Le leggende del motociclismo: Storie di coraggio, emozioni e passione
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Le leggende del motociclismo: Storie di coraggio, emozioni e passione
E-book364 pagine5 ore

Le leggende del motociclismo: Storie di coraggio, emozioni e passione

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Info su questo ebook

Da quando esistono le corse su due ruote esistono gli eroi. Alcuni di loro hanno segnato un’epoca, altri ci sono finiti dentro e hanno provato a lottare per vincere ed entrare nella leggenda del mondo del motociclismo. Sono loro, le leggende, che vogliamo raccontare in questo libro. I vincitori, ma anche i vinti. Chi ci ha provato, chi ha rischiato la vita, chi, invece, l’ha persa per davvero, proprio lì, nella seconda casa di ogni pilota, la pista. Da Giacomo Agostini a Marc Marquez, da Valentino Rossi a Freddy Spencer, passando per fenomeni senza corona come Pasolini, fenomeni ritirati prematuramente come Casey Stoner e talenti che il motorsport ha voluto in segno di sacrificio, come Marco Simoncelli, il racconto delle loro carriere dai primi passi al compimento del percorso che che li ha consacrati a veri e propri “dei” delle due ruote.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita4 nov 2020
ISBN9788836160747
Le leggende del motociclismo: Storie di coraggio, emozioni e passione

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    Anteprima del libro

    Le leggende del motociclismo - Fabio Fagnani

    Introduzione

    Leggende, e perché le ho scelte come tali

    Chiedo scusa.

    Esatto, voglio iniziare così l’introduzione. E vi spiego subito il perché. Questo libro vuole essere una guida, una linea all’interno della storia del motociclismo, ma per raccontare una storia bisogna scegliere i personaggi giusti.

    Io ne ho scelti venti, pochissimi se pensiamo a quanti grandi campioni ci sono stati nel mondo della velocità, ma chi lo sa, magari in futuro potrebbe esserci una seconda parte e in quella potrò inserire anche i grandi miti che non sono riuscito a inserire in questa short list.

    Alcuni era impossibile non metterli, altri ho dovuto faticare a toglierli. Volevo dare un equilibrio, parlare a tanti e non a pochi. Perché questo volume non è un almanacco, non è un romanzo e non è un’opera per nerd del mondo dei motori, ma anzi punta ad avvicinare tutti coloro che guardano una moto e sorridono, ma che non sono necessariamente dei grandi appassionati della velocità, dei circuiti, delle bandiere a scacchi e delle vittorie all’ultimo respiro. Non che quelli non troveranno ciò che vogliono, spero proprio di sì, ma questo è un libro-guida per tutti.

    Quindi, scusate se non troverete il vostro campione preferito, ma spero potrete godere appieno anche delle altre leggende di cui non conoscevate esattamente la carriera, le vittorie, le sconfitte, le disfatte, gli infortuni, gli aneddoti e le follie. All’interno del libro troverete, ogni tanto, un commento, una suggestione, un pensiero, un’idea, un’intuizione di colleghi importanti nel mondo del motociclismo: Giovanni Di Pillo, voce del Mugello, giornalista, telecronista; Paolo Beltramo, per anni inviato di Mediaset, poi di Sky, dove oggi fa l’opinionista; Moreno Pisto, Brand and Content manager del Gruppo CRM (moto.it, automoto.it e mowmag.com); Zoran Filicic, telecronista e opinionista; Jeffrey Zani, giornalista, scrittore e documentarista; Paolo Gozzi, Direttore di Corsedimoto.com.

    Ad aprire le porte a questa storia, che attraversa ogni epoca del Motomondiale, dagli albori ai giorni nostri, c’è la prefazione di Mauro Sanchini, il miglior commentatore tecnico che la televisione ricordi, nonché ex pilota di calibro internazionale.

    Quindi, che dire a questo punto: godetevi la corsa. Buona lettura, con il gas spalancato!

    Prefazione

    Intervista a Mauro Sanchini

    Parlare di velocità, di Motomondiale, di coraggio, di piloti, non è facile, si rischia di cadere in alcune banalità che è meglio evitare. E allora chi meglio di un ex pilota, ora commentatore principe della MotoGP, può spiegarci un po’ di cose sul mondo dei motori? Sto parlando ovviamente di Mauro Sanchini, con cui ho scambiato qualche parola.

    Qual è il primo ricordo che ti lega alle moto?

    Ti dico la verità, ne ho tre di ricordi importanti. Il primo è legato a mio papà che è un grande appassionato di moto, e quando io ero molto piccolo mi portava a vedere le gare. E mi ricordo che eravamo andati a vedere in circuito quella in cui vinse il Mondiale Walter Villa. Va’ che nome che ti tiro fuori! È un ricordo offuscato, ero piccolo. Ho dei flash, dei momenti, ma ricordo bene questo nome, tutti tifavano per Walter Villa. Mi sembra fosse il 1976, quindi ne aveva già vinti due, di Mondiali.

    Poi ho il grande ricordo di Virginio Ferrari. Parliamo di un’altra epoca, era già più grandicello, era il 1979 e ho tifato da matti per Virginio, anche se poi è arrivato secondo nel Mondiale.

    Il terzo ricordo è invece quello che riguarda Lucchinelli. Ero a Imola, sotto il diluvio, quando Marco divenne campione del mondo della 500.

    Tifavo sempre per gli italiani. Non che disprezzassi gli altri, anzi, ma sono sempre stato un po’ patriottico, diciamo. Almeno per quel che riguarda lo sport (ride, nda). Poi Lucchinelli, oltre che forte in pista, era anche un figo. Era stravagante, particolare, era rock. Era fuori dagli schemi, portava il casco girato al contrario quando girava per il parco chiuso. È stato uno di quelli, insieme a Graziano Rossi, fuori dai canoni. Addirittura ti dico che Graziano era troppo avanti per i tempi. Non veniva capito. Adesso sarebbe un influencer. Tra la gallina al guinzaglio e il casco aerografato aveva fatto cose simpatiche, divertenti e avanti.

    Prima parlavi di Virginio Ferrari e del 1979. Quell’anno Kenny Roberts vinse il suo secondo titolo. Come vedevi questo americano che arrivava nel Motomondiale e batteva tutti?

    Aveva un fascino bello, era lo yankee, poi il suo giallo-nero a scacchi era fighissimo. Guidava con il ginocchio in terra, gomme Goodyear. Era affascinante. Io preferivo il nostro italiano, ma Kenny era strabiliante da vedere.

    Cosa è cambiato da quel motociclismo a quello di oggi?

    Sicuramente gli sviluppi tecnologici hanno cambiato questo sport. Dalle tute ai caschi e poi le moto, l’elettronica, gli pneumatici, eccetera. Allora tutto ciò era impensabile. Però, secondo me, ci sono altri due parametri molto più profondi della semplice innovazione tecnologica. Il primo è che tutta questa tecnologia porta i piloti a un livello gigantesco, al limite, a limiti difficilmente pensabili, è umanamente difficile, ma spesso toglie la possibilità di essere predominanti sul mezzo. Ai tempi di Kenny Roberts, ad esempio, ci si poteva inventare qualcosa il sabato sera per la domenica e quella soluzione risultava vincente. Adesso no, quasi mai. Anche perché all’epoca c’era più margine di miglioramento, adesso si guidano moto perfette e migliorarle è difficilissimo.

    La seconda cosa è che all’epoca non c’era, praticamente, il professionismo. Quindi il pilota di turno partiva la sera e arrivava con la roulette al paddock e il paddock una volta era una grande festa di paese, dove tutti mangiavano insieme, giocavano, ridevano, si aiutavano a vicenda anche se correvano per team differenti. Adesso ovviamente non è più così. Sarebbe impensabile.

    E questo è un po’ anche il motivo per cui i piloti sono diventati come i calciatori. Nel senso di essere attenti alla dieta, all’allenamento, a vivere una vita sana. Forse tutto ciò ha intaccato quell’aura di fascino e romanticismo che avevano nei Settanta e Ottanta.

    Sì, è vero. Però, dicendo così sembra che uno vada a dar la colpa al motociclismo e ai piloti moderni. Non è così. In realtà è la società che è cambiata. Prima vedevi quello che arrivava con la paglia in bocca, beveva un bicchierino prima di chiudere il casco e poi regalava emozioni. Quella roba lì non la vedi più. E sarebbe anche sbagliato dare un esempio del genere. Ma se tu oggi prendi quei grandi campioni, con quella metodologia là, arriverebbero ultimi perché adesso c’è una preparazione fisica incredibile.

    L’unico aspetto che un po’ rimpiango di allora è un aspetto che si potrebbe salvaguardare e che forse non c’è più: il divertimento nel guidare la moto. Io, soprattutto nei giovanissimi, non vedo quella luce negli occhi, quel battito cardiaco che ti fa capire che hai la passione vera che ti muove qualcosa dentro.

    Non per parlare sempre di lui, ma Valentino Rossi è l’ultimo della vecchia generazione e lo vedi che ha un modo diverso di stare lì, di divertirsi, di guidare, di parlare con i media. Ad esempio nelle interviste, lui è un po’ rock, un po’ stravagante. Quelli della nuova generazione diciamo che… sono un ottimo piatto ma manca un po’ di sale. Ecco.

    Cosa serve per diventare un pilota?

    Devi avere dentro quel fascino particolare per la velocità. E quello lo puoi avere sia che tu faccia lo sciatore, vada a cavallo o giri lo skate. È un’emozione, quella della velocità, che ti scatena un tipo di adrenalina della quale tu fai fatica a farne senza. Altrimenti non torneresti mai sopra una moto dopo che ti sei fatto male. Invece ci torni perché non puoi farne a meno. Poi c’è il pilota bravo che ha la tecnica e la capacità di usare quel mezzo, e poi c’è il campione. Secondo me per essere un campione devi avere una coordinazione del cervello e una coordinazione motoria che ti permette di essere in anticipo sugli altri. Secondo me questo è il talento.

    E dopo questa cosa seria, ti chiedo: ma come si fa a stare concentrati con le ombrelline di fianco?

    Eh (ride). In realtà questa è una cosa che si nota molto più da fuori che da dentro. Nel senso che te quando sei in griglia di partenza pensi solo alla gara, alle curve, a vincere. Non vedi altro che l’asfalto e la tua moto. Poi certo quando si arriva la domenica sera e magari c’è una festa tutto cambia, ma il Gran premio ti assorbe talmente tanto che la tua priorità è una e si chiama moto.

    Secondo te ci sarà mai un Mondiale dedicato alle donne? Come nel Motocross?

    Me lo auguro. Ci sono ragazze molto veloci, sono belle da vedere, guidano bene. Sarebbe bellissimo che fosse creato un Mondiale di velocità solo femminile, sarebbe molto spettacolare, un settore nuovo. E sarebbe giusto. Tra l’altro ho notato che negli ultimi anni le donne stanno entrando nel mondo dei motori con grande competenza e passione. Sarebbe bello.

    Se dovessi fare tre nomi di tutta la storia che hai visto di questo sport, chi sono per te le colonne portanti che hanno cambiato il Motomondiale?

    Io parto da Kenny Roberts. È stato lo yankee che arriva dagli Stati Uniti e ha portato un nuovo stile di guida, una novità, uno stile differente dagli altri. E poi era il primo americano a vincere un Mondiale. Al di là che io tifassi Ferrari. Kenny è stato indubbiamente il primo.

    Al numero due ti faccio tre nomi e sono Rainey, Schwantz e Doohan. Il blocco degli anni Novanta. Rainey ha portato per primo la capacità di essere martellante. Pulito, costante, performante. Schwantz nello stesso tempo ha portato la 500 guidando in un modo differente e con una generosità incredibile. E poi Doohan, devastante. Loro tre hanno portato ognuno uno stile diverso che obbligava gli altri, gli avversari, ad adattarsi a quello che faceva l’altro. Si sono migliorati a vicenda.

    Il terzo punto te lo devo mettere con Valentino Rossi. Anche se Loris Capirossi ha aperto la strada prima. Il monello che a diciassette anni ha vinto il Mondiale e ha avvicinato molte persone non del settore. Prima era uno sport di nicchia e grazie a Loris si è aperta la strada. Poi è arrivato Biaggi che ha incrementato ancor di più questa cosa, fino a Valentino Rossi che ha migliorato ed esasperato l’attenzione della massa. Che ha portato questo sport in tutte le case. Se gli altri hanno portato una ventata nuova, lui ha portato un ciclone. Estro, appeal, simpatia, andava fortissimo, sempre con il sorriso. E poi ha inventato le esultanze come nessuno.

    Ha vinto, ha regalato battaglia, ha rischiato. Ha portato il motociclismo a tutti, dai bambini ai nonni.

    Qual è secondo te il pilota che avrebbe meritato di vincere di più rispetto a quello che ha ottenuto?

    Facile, Pedrosa. Lo stile di guida, la tecnica di Pedrosa non c’è l’ha nessuno. Una tecnica spaventosa. Un ragazzo piccolino, leggero, magrolino che guida perfettamente una moto da più di duecento chili. Il problema è che è sempre stato molto esile, fragile e sfortunato. Quanto cadeva si faceva sempre male, e quando cadi in terra a quella velocità e sei così esile è ancora più facile infortunarsi. Ma la sua tecnica, nessuno. Nessuno.

    Un solo nome per il dopo Marquez.

    Ah, il problema che Marc è giovane (ride).

    Allora, azzardo e vado avanti come ottica, come visione futura, e ti dico Jorge Martin. Rimango in Spagna. Anche se ho molta fiducia nei nostri talenti, però secondo me Martin è un cavallo di razza.

    Se dovessi sintetizzare il tuo amore per il motociclismo per spiegarlo a qualcuno che non sa di cosa parli, quale sorpasso sceglieresti? Io ad esempio scelgo quello di Valentino Rossi su Jorge Lorenzo, Barcellona 2009. Piango ancora oggi. Oppure, più recentemente, lo scorso anno al Red Bull Ring, Dovi su Marquez. Brividi.

    Non posso non citare Laguna Seca 2008, Rossi al cavatappi su Stoner. Che non è per niente simile a quello che ha fatto Marc su Vale. Lì si giocava la stagione. Rossi doveva fare di tutto per non far scappare Stoner e con quella mossa lì, lucidamente folle, ha messo alle strette Casey che poi qualche giro dopo è andato fuori. E qui torniamo alla ragione, alla coordinazione tra testa e corpo.

    Però, torno indietro di qualche anno. Secondo me l’amore per la moto lo spiega bene il sorpasso di Schwantz su Rainey a Hockenheim nel 1991 con la moto tutta di traverso. Che gusto quel gesto lì, è come la moto che si imbizzarrisce. Di altissimo livello. La storia del motociclismo in qualche sorpasso. Ecco, un libro sui sorpassi dobbiamo fare.

    Geoff Duke

    Il pioniere

    Geoff Duke, ossia le basi. Le origini. Le radici della storia del motociclismo. Duke è una sorta di essere mitologico, quasi come se fosse un pilota di fantasia presente solo nei libri per ragazzi. Invece no. Duke è stato il pioniere delle vittorie iridate, della velocità, dell’estro, del coraggio, dell’eroismo.

    La prima volta che ho sentito parlare di Geoff Duke, però, non è stato per meriti sportivi, provenienti dalla pista, per le bottiglie di Champagne stappate o altro… no. Ho sentito parlare di lui grazie a un sito: dukevideo.com. La piattaforma più ampia di contenuti sul motorsport che il mondo abbia mai visto, in sostanza. Ci trovate di tutto, tra cui le biografie di alcuni dei campioni presenti in questo libro. Solo poi ho scoperto che il dominio scelto dall’azienda era un omaggio, una dedica, un regalo al padre di tutti i campioni della storia del motociclismo.

    Duke è stato il primo dominatore del Motomondiale. Ha vinto sei titoli iridati, due in 350 e quattro nella classe regina. Pochissimi hanno fatto meglio di lui, nessuno alla sua epoca, questo è certo. È stato lui a introdurre la tuta da moto nelle gare, da quel momento tutti hanno iniziato a utilizzarle: più sei protetto, più puoi rischiare. Più puoi rischiare, più puoi vincere. Questo è stato Geoffrey Ernest Duke, il pioniere del motociclismo.

    Gli inizi

    Non ha nemmeno dieci anni, Geoffrey, quando inizia ad innamorarsi delle due ruote. Un giorno – lo racconta lui stesso – sente il rombo dello scarico aperto di una Velocette. Amore a prima vista? No, a primo udito. Quel rombo gli aveva fatto vibrare il cuore, e il culo, e da quel momento si è accesa la scintilla: devo correre, pensava.

    Ma da quel giorno del 1933, ne passano di anni prima di cominciare la carriera professionistica. Prima di tutto c’è il lavoro. Messo sotto da giovanissimo, impegnava il tempo, mal pagato, facendo l’apprendista in una centrale telefonica dell’Isola di Man, dove è nato. Poi il primo settembre 1939, quando ormai Geoff ha sedici anni, il Regno Unito entra in guerra. La Regina chiama a rapporto tutti i suoi giovani uomini per combattere il nemico nazista. Geoff risponde presente.

    La guerra va come sappiamo, lui torna vivo, intero, senza problematiche di sorta, pare, ma vuole a tutti i costi correre. E vuole farlo seduto, scomodo, su una moto sportiva.

    Nel 1949 nasce ufficialmente il Campionato del mondo di motociclismo. L’anno successivo, nel 1950, Duke fa il suo debutto ufficiale in due categorie: la 350 e la 500, entrambe in sella alla Norton, uno dei marchi più affascinanti del Regno Unito. È il suo esordio, dopo aver affrontato la Seconda guerra mondiale, a ventisette anni, un’età già matura per l’epoca e soprattutto per il mondo dei motori.

    La gara del debutto è a casa, all’Isola di Man: si corre il Tourist Trophy. La prima è in sella alle 350. Non male come prima partecipazione a un Mondiale. Geoff va fortissimo, è un fulmine, nonostante la pericolosità della gara, anche perché in mezzo a quelle curve ci è cresciuto.

    Ma più veloce di lui, quel giorno, alla prima tappa del campionato, c’è il nordirlandese Artie Bell, che vince all’esordio con più di un minuto di distacco su Geoff.

    Alla gara delle 500, però, le cose cambiano e i ruoli si sovvertono: Duke strapazza tutti in sella alla sua Norton, lasciando solo spettacolo e ammirazione sul circuito. Vince nella classe regina nella gara d’esordio con più di due minuti di vantaggio proprio su Bell che lo aveva battuto nella cilindrata inferiore.

    Un bell’inizio per Duke. Al primo scalino del Campionato del mondo, davanti alle persone che conosce da sempre, su un circuito che ha provato e amato moltissimo, riuscire a conquistare la prima vittoria iridata nella classe più ambita di tutti, la 500, non ha prezzo.

    In campionato però non è solo. C’è Bell, il nordirlandese, ci sono Graham e Lockett, ma soprattutto c’è l’italiano Umberto Masetti che corre per Gilera e che all’Isola di Man proprio non si è presentato.

    In 350, invece, oltre a Bell e Graham ci sono Armstrong, Hinton e Foster, che al debutto è stato costretto al ritiro per un problema meccanico alla moto.

    Tra il Belgio e l’Olanda, Duke conquista zero punti. È costretto al ritiro per ben due Gran premi consecutivi: ci pensa Masetti a prendere i punti, vincendo entrambe le gare in sella alla sua Gilera.

    La quarta tappa del campionato è in Svizzera, a Ginevra. La gara è divertente, pazza, per certi versi, e inaspettata. Vince Graham sul duo di inseguitori italiani Masetti e Bandirola, appena giù dal podio Geoff Duke. Masetti ha quasi il torneo del 50 in tasca con 22 punti, mentre Pagani è a 12 e i britannici Duke-Graham inseguono a 11. Ma mancano ancora due gare: al Gran Premio dell’Ulster, sul circuito di Clady, i britannici dominano. Duke vince con quasi un minuto di vantaggio su Graham. Lockett completa il terzetto vincente. La classifica si accorcia, ma la tappa più bella è quella italiana.

    Masetti è ancora primo in campionato, ma sa che se Duke gli arriva davanti con troppe posizioni di vantaggio potrebbe perdere il titolo all’ultimo Gran premio e soprattutto davanti ai propri tifosi e concittadini.

    A Monza va in scena il GP delle Nazioni. Artesiani, Milani, Bandirola e Masetti si giocano la vittoria. Il tempio della velocità non ha bandiere, e infatti il più veloce è lui, Geoff Duke. Nessun italiano riesce a stare al suo passo e relega a quasi un minuto di distacco tutti gli inseguitori. Masetti è costretto a uno sforzo. Se non arriva secondo perde il mondiale. Gli altri connazionali sembrano quasi assecondarlo. Duke arriva al traguardo, si volta e non vede nessuno: troppo distanti. Apprende soltanto dopo che il Mondiale è stato assegnato a Umberto Masetti, che lo ha conquistato con 28 punti contro i 27 del britannico. C’è tempo, Geoff. C’è tempo.

    In 350 invece la differenza è un po’ più sostanziale: Foster è il dominatore della categoria, vince tre gare su cinque, lasciando l’aria agli avversari. Duke conquista la tappa italiana, quella finale dove Foster non partecipa nemmeno perché i giochi sono già fatti.

    Duke chiude la stagione del 1950, quella del suo debutto, con due secondi posti che un po’, detta alla romana, lo fanno rosicare, e dall’altra gli permettono di capire quanto il suo livello sia alto e quanto ancora si possa migliorare.

    Primi titoli

    Migliorare, dicevamo. Eccolo lì. È la stagione 1951, è passato solo un anno da quel doppio "runner up" e Duke è già pronto, insieme alla Norton, ad affinarsi.

    In 500 il debutto in Spagna è roba di Masetti che riporta le cose alla normalità. In Svizzera Duke ha problemi con l’accensione, si ritira. Masetti non c’è e a vincere ci pensa Anderson in sella alla Moto Guzzi.

    Avevo scritto migliorare, ma nelle prime tappe Duke è pressoché inesistente. Si arriva alla terza uscita, l’Isola di Man, il TT. È casa sua e come lo scorso anno, in 500, domina la gara senza nessuna possibilità per gli avversari di insidiare la prima posizione. E un’ira di Dio su questa pista. Il podio lo completano Doran e McCandless.

    Nel frattempo nella 350 Duke non aveva preso parte alle gare né in Spagna e né in Svizzera. Il suo campionato comincia di fatto al TT e, come per la classe regina, vince. Lockett è secondo e Brett terzo. Ma da quel momento in poi Duke non si ferma più: vince in Belgio, in Francia, in Irlanda del Nord e anche nella tappa finale in Italia, conquistando il Campionato del mondo con ben 40 punti, ventuno in più degli inseguitori Bill Doran e Johnny Lockett. È il primo Campionato del mondo conquistato da Duke, ma non gli basta: vuole il titolo grande, il bersaglio grosso, quello che tutti ambiscono. Il titolo della 500.

    In 500, dopo la vittoria imbarazzante al TT, Duke si ripete in Belgio e in Olanda prendendo il largo in campionato nonostante abbia concluso solo tre gare sulle cinque disputate. La classifica a tre gare dalla fine vede Duke a 24 punti, Milani a 12 e Masetti a 8. Un’eternità di vantaggio.

    In Francia, però, conquista la prima posizione Milani che accorcia in classifica visto il quinto posto di Duke. Doran e Pagani chiudono il podio, Masetti si accontenta di un risicato quarto posto.

    Geoff torna subito alla vittoria durante la penultima tappa del campionato, il Gran Premio di Ulster. Il Duca di ferro, così viene rinominato, vince con quasi tre minuti di vantaggio sull’australiano Kavanagh e sul campione del mondo in carica Umberto Masetti. La distanza non è ancora matematicamente valida per consacrare Duke a campione, ma al GP di Monza serve solo pazienza.

    Milani, Masetti e Pagani fanno i fenomeni sul circuito di casa, ma non basta. Duke è quarto e suoi punti bastano per conquistare anche il titolo iridato della classe 500. Due titoli mondiali al secondo anno di partecipazione.

    Qui inizia la grandezza del Duca di ferro, che è stato il primo pilota nella storia a conquistare due titoli mondiali in due classi differenti nella stessa stagione.

    Siamo in un’epoca in cui uscire vivo da un weekend di gara era quasi miracoloso, eppure Duke, direttamente dai campi di battaglia della Seconda guerra mondiale, andava senza timore al doppio degli altri, fregandosene di tutto pur di vincere ed entrare nella storia delle due ruote.

    È già diventato uno che viene fermato per strada, riconosciuto tra la folla, soprattutto in Gran Bretagna dove questo sport, di fatto, nasce, vista la grande partecipazione (va detto che Regno Unito e Italia sono i due Paesi che portano più piloti al Mondiale e che, storicamente, sono i più vincenti. Fino all’avvento di Stati Uniti e Spagna).

    La stagione successiva al binomio del 1951, Duke partecipa ancora a entrambi i campionati, ma lo scontro con Umberto Masetti non è finito.

    Se in 350 la situazione è più tranquilla – sono in pochi a potersi permettere il lusso di stargli davanti – in 500 gli italiani Masetti e Pagani, gli oceanici Kavanagh e Coleman e i connazionali Graham e Brett riescono a infastidirlo e anzi, spesso, a mettergli le ruote e il culo davanti.

    Al debutto stagionale, in Svizzera, vince Brett. Sia Masetti che Duke sono costretti al ritiro. Al TT, la seconda tappa, tutti sanno che è una questione tra il cronometro e il Duca di ferro. Sbagliato. Altro ritiro: vince l’irlandese Armstrong davanti a Graham e Amm.

    Insomma, i due protagonisti alle prime due gare della stagione sono a zero punti. Il campionato del 1952 è apertissimo.

    In Olanda e in Belgio succede di tutto. Le gare sono clamorose. Masetti e Duke, nel circuito più tecnico del mondo, Assen, se le danno come nessuno, come mai prima. Vince di appena un secondo Masetti, cosa che all’epoca era difficilissimo potesse accadere (arrivare appaiati al traguardo, intendo). Duke è secondo.

    La storia si ripete a Spa-Francorchamps: Masetti vince con due secondi di vantaggio sul britannico e tre su Amm.

    In 350, la storia, come dicevo, è diversa. Le prime quattro tappe del calendario (Svizzera, TT, Olanda e Belgio) sono tutte roba di Duke. Nessuno è al suo livello e la sua Norton è incantevole. Dopo quattro gare è a quota 32 punti, ne mancano tre alla fine del campionato e non c’è già più nessuno che possa spodestarlo da quello che è già suo matematicamente.

    In Belgio, Duke è campione del mondo della classe 350 per la seconda volta consecutiva. Né Armstrong né Amm possono nulla contro di lui. Ora la concentrazione è solo sulla seconda parte di stagione della 500, ma non servirà.

    Duke non prende parte alle gare di Germania e di Ulster che vengono vinte da Armstrong e McCandless, mentre Masetti si ritira in entrambi i casi. Il campionato è sì aperto, ma Duke è fuori dai giochi.

    Alla fine della stagione vincerà Masetti per una manciata di punti (28 a 25) su Graham che per un soffio permette al pilota della Gilera di riportare lo scettro iridato in Italia.

    Il Re della Regina

    Geoff, dopo aver conquistato il suo terzo titolo del mondo in due stagioni ma aver perso il Mondiale delle 500, decide di concentrarsi solo sulla classe regina, abbandonando momentaneamente la 350. Ed è la scelta che lo consacra definitivamente a fenomeno.

    Nel 1953 diventa membro dell’Ordine dell’Impero Britannico, un ordine cavalleresco istituito da re Giorgio V nel 1917. Per il Regno Unito è tra le onorificenze più importanti. Ma oltre a tutto ciò, c’è una stagione da correre, e Duke lo sa. C’è una novità: non correrà con la Norton, ma con la vincente Gilera.

    L’annata non inizia bene, come il precedente Gran Premio dell’Isola di Man, Geoff è costretto al ritiro. Il TT lo vince Amm, davanti a Brett e Armstrong.

    Il primo passo falso di Duke, che riesce subito a rifarsi in Olanda, ad Assen. Una gara formidabile conclusa con più di 45 secondi di vantaggio sull’irlandese Armstrong e più di 55 nei confronti di Kavanagh.

    La ripresa? Ancora uno zero. Dopo il ritiro dell’esordio, un altro ritiro colpisce la stagione di Duke. In Belgio vince l’italiano Milani con Amm e Armstrong. E dopo tre Gran premi Armstrong e Amm sono davanti con 14 punti, poi Duke, Milani e Brett a 8 punti. La distanza non è per niente esagerata, ma l’inizio è stato drammatico.

    E infatti, dal GP di Francia in avanti Duke non sbaglia più. Sui 5100 metri del Circuito di Rouen, Duke porta a spasso la sua Gilera senza difficoltà e stravince davanti ad Armstrong e Milani, tutti su Gilera, che dimostra di essere la moto più competitiva e veloce del paddock.

    In Irlanda del Nord, Milani è costretto al ritiro. Armstrong è quarto. Duke avrebbe la vita facile, ma tra lui e il primo gradino del podio si presenta l’australiano Kavanagh. Il secondo posto comunque conferisce a Duke altri sei punti. La classifica è la seguente, a sole tre tappe dalla fine: Armstrong 23, Duke 22, Kavanagh 18, Milani 16.

    In Svizzera, Duke prende il largo. Milani prova a stargli addosso, ma niente. Duke è troppo forte, troppo concentrato, troppo bravo a portare al limite la Gilera. Milani chiude secondo e l’irlandese terzo.

    Siamo alla penultima tappa, in Italia. La Gilera è a casa, Duke no, ma è come se lo fosse.

    Milani e Kavanagh non prendono parte alla gara. Duke contro Armstrong. La battaglia è cominciata.

    Non c’è gara da disputarsi, la Gilera vola e occuperà i primi quattro posti della graduatoria e Duke vince con una vita e mezza di vantaggio su Dale e Libero Liberati che si infilano nella lotta con Armstrong che chiude solo quarto. La classifica alla fine della gara è definitiva: Duke 38 punti, Armstrong 30, ma scende a 24 per via degli scarti (in Spagna sarà costretto al ritiro). Duke si impone anche nel 1953 conquistando il suo quarto titolo iridato, tornando campione del mondo della classe regina, cosa che adesso non vuole più lasciare.

    Il 1954 è quasi la copia carbone della stagione precedente. Duke parte malissimo. Dodicesimo in Francia, ma finalmente torna sul podio durante il Tourist Trophy, dove arriva secondo dietro al rhodesiano Ray Amm, sempre più l’avversario numero uno: per poco, però.

    Duke, dopo una gara buttata, quella in Francia, e una d’assestamento, quella di casa sull’Isola di Man, non lascia scampo a interpretazioni o a previsioni sull’andamento del Mondiale: le vince tutte!

    Altro titolo, altro regalo! Il quinto.

    Duke è sulla bocca di tutti. Un fenomeno, un genio della motocicletta, della velocità, della libertà appesa al manubrio e al polso.

    Chiude il campionato con 46 punti, validi 40, ma con gli avversari che non sono mai stati davvero concreti, palpabili, al livello di Geoff, il Duca di ferro.

    Se nel 1954 è stata una passeggiata, l’anno successivo è tutto diverso, come nel 1953. Duke sa che potrebbe essere l’ultima chance perché ha già trentadue anni e, con una guerra mondiale sulle spalle, non è proprio semplice andare avanti a rischiare il cranio e il cuore correndo come un matto su due ruote.

    La stagione comincia con il classico ritiro di Geoff, questa volta durante il GP spagnolo. Vince Armstrong, secondo Bandirola, terzo il due volte campione del mondo Umberto Masetti.

    In Francia il distacco è enorme: due minuti su Liberati e Armstrong. Duke è inarrestabile. Conquista altre due vittorie consecutive, che fanno tre in totale, al TT, dove non c’è nemmeno da parlarne, nella quale l’irlandese Armstrong riesce a prendersi un’ottima medaglia d’argento e poi Kavanagh a completare il podio.

    In Germania ci pensa, per poco, Zeller a dar fastidio a Duke. Alla fine però è il britannico a conquistare, come dicevo, l’ennesima vittoria della stagione con più di venti secondi sulla BMW del tedesco. Una vittoria preziosissima visto che Reg Armstrong non ha portato a termine la gara e Masetti è solo quarto.

    Dopo i tre successi messi in fila la classifica vede Geoff a 24 punti, mentre Armstrong è a quota 18 e Masetti 7.

    Al Gran Premio del Belgio l’italiano non partecipa, ma cambia poco: si ritirano sia Duke che Armstrong. È tutto in mano al nostro,che in Olanda non sbaglia. Vince, stravince e conquista davanti all’irlandese la sua sesta vittoria iridata. Nel 1955, all’età di trentadue anni, Duke conquista il sesto Mondiale della sua carriera, il quarto in

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