Il Doblò che arrivò sulla luna
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Info su questo ebook
Ho percorso 363.104 chilometri, e tutto mi sarei aspettato di sentire quella mattina di gennaio in cui mi scelsero, tranne le parole: “Questo Doblò ci porterà sulla Luna”.
È l’inizio di un lungo viaggio… esattamente la distanza al perigeo che separa la Terra dalla Luna, in cui vengono raccontate dalle voce narrante del Doblò le vicissitudini di Barbara e Giorgio: una coppia ormai non tanto giovane, che ha fatto della solidarietà e impegno sociale un vero e proprio stile di vita.
Nel corso del viaggio, Doblò, partendo da una visione semplice e lineare della vita, scoprirà le diverse sfumature e complessità che la compongono.
Una complicità con i due che gli darà la certezza di essere un elemento importante nella loro vita, con la consapevolezza che ognuno, a suo modo, può fare la sua parte.
Un crescendo di scoperte e pensieri che lo porteranno ad arrivare alla fine del viaggio insieme ai due, con un bagagliaio pieno di esperienze e saggezza.
Attraverso episodi di “viaggio” a volte divertenti, a volte drammatici, con colpi di scena inaspettati, il libro si prefigge di accompagnare il lettore, con un linguaggio delicato, verso la ricerca di un modo più consapevole ed essenziale di affrontare la propria vita.
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Anteprima del libro
Il Doblò che arrivò sulla luna - Barbara De Luca
Indice
PREFAZIONE
L’INCONTRO
STELLE CADENTI E VINO BIANCO
ANIMA VERDE
FOTOGRAFIE
BUON ANNO ANCHE A LEI
DOLOMITI
GITTE
I FEEL GOOD
L’UNIONE FA LA TORTA
LA LEGGENDA DEL BOTO
LA PROVA DI FORZA
FESTA DELL’ALBERO
DONNA AL VOLANTE
LA BACIATRICE DI PIETRE
DI SOLE E D’AZZURRO
UBUNTU
L’ARCOBALENO
DOMANDE E RISPOSTE
ABBRACCI
CACCIA AL LADRO
LA BATTAGLIA
ASPETTAMI
HEIDI E LE OLIMPIADI
VUOI ARRIVARE A FARMI PIANGERE?
IL RICORDO INCASTONATO
PICASSO
C’È SEMPRE UN MOTIVO
IO PRENDO IL METRÒ
CRISTINA
PUNTI DI VISTA
LA RESURREZIONE DI DOBLÒ
L’INVITO
IL MATRIMONIO
ESSERE E NON APPARIRE
BAMBINE RIBELLI
IO STO CON LA SPOSA
LA CRISI
GRUPPO D’ACQUISTO
LO SVUOTAMENTO DEL NIDO
LA BANDA TRASLOCHI
IN VIAGGIO CON UN GATTO
SPIE ACCESE
CAPODANNO
L’ATTESA
L’ERA DELL’ARCIERE
NONNO GINO
IL MURO
PIOGGIA E PRIMULE
VIAGGIO NELLE VITE
QUANDO
L’ULTIMO CHILOMETRO
L’ARRIVO SULLA LUNA
Barbara De Luca
IL DOBLÒ
CHE ARRIVÒ
SULLA LUNA
Prefazione di Fiammetta Borsellino
PREFAZIONE
Quando conobbi Barbara e Giorgio nell’estate del 2007, ebbi la strana, ma profonda sensazione di conoscerli da sempre. Non come amici d’infanzia o come fratelli di sangue, ma come compagni di un lungo viaggio in cui si è in grado di ritrovarsi e riconoscersi subito. Un riconoscersi che avviene attraverso uno sguardo speciale, quello dell’anima.
Forse l’entusiasmo, l’energia con cui mi raccontavano dei loro progetti di solidarietà nei punti più remoti e abbandonati del pianeta, mi appassionava, mi coinvolgeva e coincideva con la mia grande voglia di viaggiare, conoscere il mondo e le diversità dei popoli.
Forse la loro concezione dell’umanità, del rispetto delle diversità, della non discriminazione, della non violenza, ma nel contempo della necessità di lottare per un mondo di pari diritti con pari opportunità, di pari doveri e pari responsabilità per il bene comune, coincideva con la mia necessità di non abbandonarmi a sterili risentimenti o alla facile accettazione di mezze verità.
Forse averli visti, anche nelle situazioni più difficili, affermare con coerenza, se non addirittura con fede, che alla fine gli uomini e le donne di buona volontà, insieme, potranno cambiare questo mondo terribile che ci è toccato vivere, coincideva con il mio bisogno di non perdere la fiducia nelle persone.
Ma ciò che mi ha permesso di sondare la profondità della loro anima sono stati i momenti in cui, in punta di piedi, sono entrati nella mia vita, chiedendomi il permesso di sapere come stavo, del mio sentire, del mio vivere, della mia storia, quella della mia famiglia e di mio padre. Per poi stare lì, in silenzio, ad ascoltare le mie parole. Per poi semplicemente abbracciarmi e confermare la loro solida presenza.
Forse è stata la verità di quegli abbracci a rendere indistruttibile quel filo di fiducia e di amicizia che ancora oggi ci lega.
Infine, posso aggiungere che Doblò è stato per loro l’insostituibile compagno di questo straordinario viaggio.
Il fatto che abbia resistito, per oltre 360 mila km, dimostra la complicità profonda e la loro capacità di costruire rapporti duraturi.
I capitoli che seguono rappresentano il tracciato, quella scia luminosa e multicolore che potrà servire come riferimento a tutti quegli esploratori dell’anima e dell’umanità che vogliano intraprendere un viaggio fino alla Luna.
Doblò ci è arrivato.
Auguro buona lettura ed un buon viaggio a tutti.
Fiammetta Borsellino
Questo libro è dedicato a tutte quelle persone
che negli anni sono salite a bordo
in questo viaggio verso la Luna.
Grazie a Teresa, che ci ha creduto da subito.
Grazie a Lidia che ha pettinato le parole.
Grazie a Raffaele che ha ricominciato a disegnare
e ha realizzato la copertina.
Grazie a Silvia e Silvio, che con la loro amicizia
hanno reso meno tortuoso il percorso.
L’INCONTRO
Sono un Doblò FIAT: 1910 di cilindrata, motore diesel, blu metallizzato.
Ho percorso 363.104 chilometri, e tutto mi sarei aspettato di sentire quella mattina di gennaio in cui mi scelsero, tranne le parole: Questo Doblò ci porterà sulla Luna
.
Sono il risultato di una catena di montaggio, una di quelle dove c’è chi fa una parte e l’assembla ad un’altra, senza mai poter vedere il risultato finale.
Sono passato nelle mani di decine di persone, di operai che pezzo per pezzo mi hanno formato fino a rendermi quello che sono: un bellissimo e azzurrissimo Doblò. Il processo è stato veloce, hanno messo sul carrello la carrozzeria e subito dopo la parte meccanica, che è stata la più complicata. Il motore era lucidissimo e mi sembrava impossibile pensare che sarebbe stato proprio il mio. Nell’ambiente si diceva che fosse uno di quelli che durano una vita, progettati per fare centinaia di migliaia di chilometri.
Il momento della colorazione fu quello più eccitante: avrei scoperto di che colore sarei diventato.
Noi veicoli non abbiamo sesso, quindi la cosa che si aspetta di più è sapere il colore con cui usciremo. Fu un’emozione enorme quando cominciarono a spruzzare la vernice sulla carrozzeria. Sarei stato un Doblò blu metallizzato, certamente, un colore di serie, ma a me parve unico e meraviglioso! Già immaginavo come sarei stato lucente nelle giornate di sole, di come la polvere non si sarebbe quasi notata e pensavo a quei poveri Doblò bianchi, che al primo graffio o alla prima pozzanghera sarebbero sembrati già vecchi. Ero davvero felice, le mie preghiere erano state ascoltate.
Mi assemblarono le portiere, aggiunsero la parte anteriore con i fanali, inserirono i sedili, poi i deflettori, i cristalli, le ruote e i tergicristalli. Dovevo essere una vera bellezza! Chissà perché negli stabilimenti non ci sono specchi? Ne abbiamo ancora di strada da fare per vedere riconosciuti i nostri diritti, ma noi non ci arrendiamo.
Mi caricarono su un camion con il rimorchio aperto insieme ad altre vetture fiammanti, destinazione un grande autosalone di Milano. Lì finalmente avrei conosciuto il mio proprietario e lui avrebbe conosciuto me e le mie performance tanto decantate dalle riviste di settore.
Mi misero in una buona posizione: ero ben in vista e in più, essendo un po’ più alto della media, non passavo inosservato. Chi avesse avuto bisogno di un veicolo spazioso, con un motore affidabile, comodo per il trasporto delle persone e delle merci, non avrebbe potuto ignorarmi.
Era già passata una settimana senza che nessuno chiedesse di me; ogni giorno vedevo andare via altre vetture, i clienti arrivavano, mi passavano davanti e poi sceglievano altro. Trascorsi tutte le vacanze di Natale e il Capodanno chiuso al buio, sognando di ascoltare il rombo del mio motore e immaginando il vento fresco tra i miei specchietti.
Arrivò il 10 gennaio del 2002, era un mercoledì, e quel giorno la mia vita ebbe una svolta. Si accesero le luci dell’autosalone, arrivarono i venditori profumati ed eleganti, e si posizionarono dietro ai loro desk, in attesa dei primi clienti. Non ricordo esattamente come andò, so solo che ad un certo punto mi ritrovai con tutte le portiere aperte, sentii uno dei venditori decantare le mie doti ad un uomo sui 45 anni, brizzolato, con una faccia bellissima e sorridente, con due occhi azzurri che si abbinavano benissimo al mio colore. Stavo già correndo con la fantasia, forse ero pronto ad innamorarmi, quando arrivò di corsa una donna, anche lei sorridente, che chiese:
«Cosa stai guardando?»
«Questo Doblò!» rispose lui.
«È bellissimo!» confermò lei.
Mi sciolsi, finalmente avevo trovato chi poteva apprezzarmi fino in fondo ai miei pistoni. Se lo avessi avuto, avrei trattenuto il fiato. Lei mi girava intorno, salì e volle provare tutti i sedili, aprì il cruscotto, provò i tergicristalli, salì anche dal portellone posteriore, fece suonare il clacson facendo trasalire tutti.
Lui sorridendo le chiese:
«Ti piace?»
«È meraviglioso!» rispose lei convinta.
«Allora lo prendiamo!»
Si abbracciarono ridendo… avrei voluto abbracciarli anche io.
Finalmente avevo i miei proprietari e da ora in poi sarei stato un veicolo su strada.
Non ebbi il tempo di scatenare la mia fantasia, quando sentii quella frase che mi lasciò a bocchettoni aperti: Questo Doblò ci porterà sulla Luna
. Non compresi esattamente cosa intendessero, che significato potesse avere quella frase, mi venne il dubbio che forse non ero quello che stavano cercando… Ma oramai era troppo tardi, erano partite le pratiche di immatricolazione.
STELLE CADENTI E VINO BIANCO
Una delle prime cose che volevo verificare era la composizione della famiglia che mi aveva scelto.
Mi dispiacque vedere che nel giro dei primi minuti non mi venne montato nessun seggiolino per bambini; sicuramente i tessuti dei miei sedili posteriori sarebbero rimasti puliti più a lungo, ma avere a bordo un frugoletto poteva essere divertente.
Eppure un bambino c’era: Corrado. In questo nostro viaggio verso la Luna, lo vedrò crescere e diventare uomo; solo una cosa, durante i nostri viaggi è rimasta la stessa: ora come allora, cullato dal suono del mio motore, si rilassa e dopo un po’ si addormenta.
Allora aveva circa dodici anni, ed era un ragazzino appassionato di videogiochi e basket e da lì a poco lo sarei diventato anche io, visto che tutti i sabati lo accompagnavo alle partite. Restavo parcheggiato, fuori dalla palestra e aspettavo, non senza una certa agitazione, di conoscere il risultato, perché da quello dipendeva la sorte della serata di Barbara e Giorgio: se Corrado avesse vinto, si sarebbe tornati a casa e tutto sarebbe andato bene; se avesse perso, o se per qualche oscura ragione, l’allenatore l’avesse fatto giocare poco, il mio sedile sarebbe diventato un pungiball. Non serviva a niente fargli discorsi sul saper perdere, sul considerare l’altra squadra non come un nemico, bensì come un avversario, sull’inutilità di denigrare l’antagonista, sulla fiducia che doveva riporre nel Mister. Non ne voleva sapere. Io capivo tutta la sua rabbia ed ero davvero solidale con lui, ma non nascondo il mio sollievo quando arrivavamo a casa e le portiere si chiudevano alle loro spalle.
Mi dispiaceva vedere Corrado allontanarsi tutto nervoso, ma sapevo che sarebbe durato poco: dopo averlo fatto sfogare, Barbara, con la sua magia di mamma, sarebbe riuscita a distrarlo.
Nei giorni successivi al mio arrivo, mi presentarono agli amici, ai genitori, ai colleghi. Tutti ammiravano il mio spazio, la mia solidità, ed io ne ero realmente gratificato. Mi fecero addirittura una cerimonia di inaugurazione.
Avevano una casetta in affitto dalle parti del Mottarone, in provincia di Verbania. Un sabato pomeriggio in cui Corrado non doveva giocare, andammo a prendere i genitori di Barbara e salimmo in cima a questa montagna. Il paesaggio era mozzafiato. Dalle spiegazioni di Giorgio scoprì che quella vetta di fronte a noi, tutta bianca di neve che si stagliava lungo la catena delle Alpi, era il Monte Rosa. I due specchi d’acqua che si vedevano dai due versanti opposti del crinale, erano il lago d’Orta da una parte e il lago Maggiore dall’altra. Non avrei mai immaginato che potesse esistere un posto così bello.
Giorgio parcheggiò in uno spiazzo erboso e scesero tutti. Barbara diede a Corrado una bottiglia di spumante. Non volevo credere ai miei fari: se è vero che stavano per fare quello che immaginavo, mi si sarebbero fermati gli iniettori per l’emozione!
Ricordo le parole che Corrado rivolse a Barbara e Giorgio:
«Stile Schumacher?»
Loro annuirono sorridendo. Rivedo quella scena al rallentatore, come fosse ora: Corrado che leva la gabbietta metallica, agita la bottiglia e la stappa inondando di spumante tutta la mia carrozzeria e i cristalli anteriori. Sentì scoppiare l’applauso, in quel preciso momento compresi cosa provava una Ferrari dopo la vittoria di un Gran Premio.
Ero stato ufficialmente inaugurato, nel modo migliore che un’automobile possa desiderare: quel momento si è impresso in modo indelebile nella mia centralina.
Un’altra volta sarei tornato al Mottarone. Era una notte d’estate, dopo l’imbrunire Giorgio cominciò a caricare nel mio portabagagli due poltrone da giardino, una coperta matrimoniale, un tavolino basso da campeggio, un sacchetto con dentro del vetro, non capivo cosa contenesse. La notte era calda, ma man mano che salivamo l’aria si faceva sempre più frizzante, era davvero piacevole. Arrivammo sul crinale, nello stesso luogo dell’inaugurazione, e Barbara e Giorgio scaricarono il loro equipaggiamento. Rispettosi del silenzio della notte, interrotto solo dai grilli e dal richiamo degli uccelli notturni, posizionarono le poltrone e il tavolino sul prato costellato di lucciole, tirarono fuori dal sacchetto due calici e una bottiglia di vino bianco, si accomodarono reclinando gli schienali e tenendosi per mano aspettarono.
Era la notte di San Lorenzo: senza saperlo, li avevo portati a vedere le stelle cadenti.
ANIMA VERDE
Tutti al mare, tutti al mare, a