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Beach Boy: Mariani, #4
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E-book135 pagine1 ora

Beach Boy: Mariani, #4

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Una sera, il ventiduenne Emanuele dai favolosi capelli lunghi e biondi, grande amante del surf, dei Beach Boys e delle spiagge californiane, mentre è in procinto di tornare a casa, si ritrova ad assistere a qualcosa di terribile. Mentre osserva, capisce prontamente di essere diventato involontariamente testimone di un omicidio che però non sa se è avvenuto per davvero, se si è trattato di un gioco estremo o se forse paradossalmente non è morto nessuno. Ora Emanuele deve capire cosa è reale e cosa non lo è, nel tempo in cui si avventura nello sfondo di relazioni omosessuali intrise di un amore giovanile, frenetico ed emozionante generante un climax inaspettato. Violenza, nudità maschile ed erotismo degli ambienti gay del litorale capitolino forniranno delle prove in più per rintracciare l'assassino di una serie di omicidi simili avvenuti a Ostia. Il finale imprevedibile raffigurerà uno degli aspetti più sgraziati dell'Italia dell'attuale millennio.

LinguaItaliano
Data di uscita6 dic 2023
ISBN9798223618058
Beach Boy: Mariani, #4

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    Anteprima del libro

    Beach Boy - Nicolas Mariani

    A YOUNG MAN IS GONE

    ... For this daring young star, met his death while in his car, no one knows the reason why: screaming tire, flashing fire, and gone was this young star. Oh how could they let him die! Still a young man is gone, yet his legend lingers on, for he died without a cause... ovvero ... Per questa giovane stella audace, che ha incontrato la morte mentre era nella sua macchina, nessuno ne conosce il motivo: pneumatico urlante, fuoco lampeggiante e se n'è andata questa giovane stella. Oh come hanno potuto lasciarlo morire! Ancora un giovane è andato, eppure la sua leggenda persiste perché è morto senza motivo...

    Sgrano gli occhi. Sono le 06:00, forse le 06:30. Non ho bisogno di rivolgere lo sguardo verso il polso sinistro, sull’orologio ancora sporco di sabbia, per saperlo. Lo capisco dall’aurora; quella luce rosea che comincia a fendere la coltre scure di una notte ormai morente. D’altronde, guardare l’orologio non avrebbe senso: nel tuffo da stuntman che ho improvvisato poco prima, ricordo distintamente di aver colpito un sasso, sfondando definitivamente un quadrante già martoriato dai segni del tempo. Ancora riverso nella sabbia, strofino gli occhi ormai superstiti di una notte a base di musica ed alcol, attonito dalla scena che mi si è palesata davanti. In ventidue anni - che sia chiaro non sono tanti - non mi sono mai ritrovato in una situazione simile. Al massimo potrei aver visto qualcosa di simile in qualche film. Ma nemmeno. Cercherò di essere il più chiaro possibile, per quanto la lucidità del momento me lo permetta. Due uomini all’interno di un’utilitaria, una KIA rossa, Sorento, se non vado errato. Uno dei due si muove in modo innaturale, come fosse parzialmente immobilizzato; credo sia ferito. L’ho visto mentre veniva colpito con qualcosa somigliante a una cinta... o forse no. Non lo so. Non riesco a vedere bene, c’è troppo buio... Quello che so per certo è che dopo alcune brevi effusioni, i due si sono intrattenuti bevendo qualcosa. Ho potuto chiaramente notare un tatuaggio sul braccio dell’uomo sul sedile del passeggero. Rappresentava una mano con le tre dita centrali piegate; un simbolo chiamato shaka, associato al mondo del surf. Dopodiché ho visto uno dei due accasciarsi sul sedile e l’altro smontare dalla macchina allontanandosi velocemente, come farebbe qualcuno che ha appena compiuto qualcosa di profondamente sbagliato. Potrebbe averlo ucciso? No, è assurdo, non credo. A dire il vero sto viaggiando troppo con la mente, d’altronde la mancanza di sonno e l’alcol mi fanno diventare paranoico. Probabilmente starà soltanto dormendo. Avrò visto male e si saranno solo salutati...

    È stata una serata allucinante. Se non fossi sceso in spiaggia, ora non avrei questo dubbio. Mi avranno messo qualcosa dentro il cocktail... Mi sono ridotto a convincermi niente meno che dell’incessante retorica di mia madre: Ostia regala sempre grandi sorprese. È possibile che sia avvenuto un omicidio o sto solo viaggiando troppo con la mente? L’uomo che stava con lui se n’è già andato da diversi minuti.

    Fissando attentamente la figura immobile, mi torna in mente la teoria del gatto di Schrödinger, secondo cui il gatto vivo e il gatto morto non sono allo stato puro, ma coesistenti e covalenti con uguale peso. Il sistema del gatto vivo-morto rimane indefinito e indecidibile fino a quando la scatola non viene aperta e il gatto viene osservato, così come nel caso del mio uomo del mistero, accasciato nella macchina a pochi metri da me. Potrei avvicinarmi, aprire lo sportello e osservare il gatto, verificare quale delle due ipotesi questo universo abbia deciso di riservarci... nel migliore dei casi riceverei un Vaffanculo e nel peggiore... lascerei gratuitamente le mie impronte digitali sulla maniglia di un’auto che probabilmente sarà al centro di un’indagine per omicidio.

    Sono una persona molto spirituale da un certo punto di vista. La morte è un tema ricorrente dagli albori dell’esistenza e per molti qualcosa che terrorizza.

    Rappresenta il cambio radicale che trasla chi ci lascia in un ambiente temporale differente, inducendo a ristrutturare la narrazione della storia di una coppia, di una famiglia e in casi eclatanti anche di una società, il tutto possibile solo dopo l’atto finale, l'opera del lutto. Ma, sul piano psicologico, la morte è prima di tutto un vero e proprio percorso. Il processo sommariamente rimane uguale per tutti: negazione – rabbia – contrattazione – depressione – accettazione. D’altronde la morte esiste solo per chi rimane, pagandone le conseguenze, mai per chi se ne va. È l’enigma che apre un abisso davanti alla debolezza e alla precarietà della vita e ai vincoli dell'attaccamento. La fuga dalla parte dello spirituale, della memoria o dell'immaginario è un risultato contemporaneo della terribile osservazione della scomparsa. Anche di fronte ai morti e ai segni della perdita della vita, è difficile rassegnarsi e persiste il profondo disagio di fronte alla presenza simultanea di attaccamento, amore e rifiuto che emerge. L'amato che contempla un morto non si può astenere dall’interrogarsi sulla propria morte.  Costituisce il passaggio finale, si lega alle altre tappe fondamentali della vita... Il cielo si sta schiarendo; meglio allontanarsi prima che qualcuno possa dire di avermi visto nei paraggi, e che possa essere io quello dichiarato morto. Cercando di muovermi in modo abbastanza disinvolto da non essere notato, mi dirigo verso il mio scooter, parcheggiato a qualche centinaio di metri da lì. Dal profondo del mio inconscio una domanda scatta in automatico nella mia testa: Ma nun te potevi fa’ li cazzi tua stasera? mi chiedo, rassegnato. Lascio scivolare il portone dietro di me, bloccandolo con il piede poco prima dell’impatto. Con la mano ferma di un chirurgo accosto la porta fino allo scatto della serratura. Finalmente sono a casa, quello che la mia psiche può definire un luogo sicuro. Le mani, fino a poco prima rigide come una pinza meccanica, intorpidite dalla paura, cominciano a sciogliersi, ad ammorbidirsi e a riprendere quel colorito roseo delle cose perlomeno vive. Prego di non aver svegliato quel demone che chiamo Mamma mentre mi dirigo verso la porta di camera mia. Una nota positiva?

    Non ho potuto sperimentare in ventidue anni di vita il solito dramma familiare del figlio gay. Grazie a Dio, aggiungerei.

    CROCODILE ROCK

    Mia madre è sempre stata single, a parte quest’ultima storia. È rimasta incinta di mio padre durante un’avventura estiva. Vi svelo un segreto: non ho mai conosciuto mio padre. Per di più sono anche figlio unico.

    Vabbè del padre, ‘sti cazzi. Ora vi svelo un segreto ancora più scioccante... o forse no... vabbè, l’avete capito... so’ gay. E che ce voleva a scoprillo?

    Cresciuto con mia madre... mai avuto un fratellino... padre non pervenuto... e cosa manca più all’appello? Il compagno di mia madre? Uno stronzo omofobo. Maschera il suo ribrezzo nei miei confronti in battute che non fanno ridere. Ma tutta ‘sta confidenza chi glie l’ha mai data? Ma a proposito... come ha fatto mia madre a darla a uno come lui? Io di uomini me ne intendo. Lui è un cesso: trascurato, sgradevole e svampito, sicuramente non un grande amante del buon costume... In suo favore posso dire che lavora in banca.

    Ma rimane comunque un cafone. Al contrario suo io amo molto la palestra, adoro prendermi cura del mio corpo.

    Nessuno può immaginare quanto in tutti questi anni l’etichetta del gay mi abbia portato offese e insulti vari, ma questo è normale.

    Ao te piace er cazzo eh? Ma come te piace? A voi ‘sta bella zucchina? Queste cose qua mi hanno fatto più male di Ricchione, Finocchio e altri appellativi simili. Mi piacciono gli uomini, come a voi piacciono le donne.

    A te piace la figa? Ok. A me piace la spiaggia. E il cazzo, ovviamente. Nella stessa misura. Una sofferenza più grande di quella degli insulti ricevuti da piccolo è rappresentata dal mare a cui sono abituato... il mare di Ostia penso che sia più famoso per il fatto che Totti andava lì secondo alcune barzellette e dicerie piuttosto che per la sua bellezza. Tra l’altro nell’ultimo documentario si parla di una casa a Torvajanica; quindi, dov’è nata ‘sta cosa de Ostia non se sa... ma senza dilungarmi sul grandissimo capitano, arrivo subito al punto: per me è stata una vera tortura crescere tra la spiaggia di Ostia e quella di Torvajanica.

    Il mio sogno è quello di surfare. Surfare via dai pregiudizi di questa società ipocrita. Surfare lontano da tutti questi problemi. Surfare lontano dall’obbligo sociale di dover prendere una laurea magistrale per poter poi lavorare.

    Lo stile di vita californiano mi ha sempre affascinato. Non solo da piccolo quando giocavo al GameBoy Advance e utilizzavo la mossa Surf dei miei adorati Pokemon per andare da un villaggio all’altro. Vorrei che il mio sogno, un giorno, si avverasse. Vorrei trasferirmi sulla Costa Ovest e vivere di questo. 

    C’è una frase di Bethany Hamilton che mi è sempre piaciuta molto e che dice: La mia passione per il surf era più grande della mia paura degli squali. Lei rappresenta un esempio per me; anzi, un’icona. Questa surfista statunitense è sopravvissuta all’attacco di uno squalo tigre, perdendo il braccio sinistro. Il mio sogno più grande, per l’appunto, è quello di riuscire

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