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La chimica nel monolocale
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E-book192 pagine1 ora

La chimica nel monolocale

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Info su questo ebook

La chimica è la tavolozza della vita. Tutto ciò che siamo e che vediamo, ogni giorno, è chimica. Monolocali metropolitani e ville hollywoodiane hanno tante differenze, ma non possono differire per la scienza che le riempie. La chimica è sotto i nostri occhi, dentro il frigorifero, sul soffitto, nell’armadio… occorre solo esserne consapevoli!
LinguaItaliano
Data di uscita17 gen 2023
ISBN9788892956087
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    Anteprima del libro

    La chimica nel monolocale - Stefano Cinti

    La cucina

    C’è chi sostiene che il chimico sia un bravo cuoco. Secondo me è vero anche il contrario! Quello che è certo è che tutti e due stanno a combattere, quotidianamente, con le quantità. Che si maneggino delle provette o che i nostri arnesi del mestiere siano pentole, poco cambia. Ci sono molte affinità in un laboratorio chimico e in cucina. In tutti e due i luoghi deve regnare la pulizia, altrimenti una reazione potrebbe non verificarsi oppure un tiramisù potrebbe avere un retrogusto di cipolla. Quando un chimico ha la necessità di sintetizzare un composto, solitamente parte da alcuni reagenti, che non sono diversi, concettualmente, dagli ingredienti che si utilizzano in cucina quando si vuole preparare un ciambellone. In entrambi i casi, gli ingredienti/reagenti, dovranno essere utilizzati in quantità precise, altrimenti il risultato finale potrebbe non essere soddisfacente. In laboratorio come in cucina è importante seguire delle procedure, per consentire a ciascuno dei reagenti di dare il loro meglio al momento della reazione e per far sì che la pasta della nostra carbonara non sia troppo cruda o troppo cotta. Come vedete le problematiche sono le stesse, e io sono sicuro che la manualità dei cuochi sarebbe molto apprezzata anche in un laboratorio (dopo aver studiato un po’ di chimica!). E poi, in laboratorio come in cucina, la mano del chimico/cuoco si vede quando si esce dagli schemi: giocando sulle quantità e sui trattamenti è possibile realizzare qualcosa di nuovo! Ma in cucina la chimica non ci aiuta solamente a cucinare. Ci aiuta a conservare un cibo a lungo, ci aiuta a dare dei segnali su quanto questo sia ben conservato, ci aiuta a evitare le incrostazioni di calcare e aiuta anche a non preoccuparci quando ci scordiamo un liquore nel freezer. Ci aiuta anche al supermercato leggendo le etichette dei prodotti che consumiamo: cosa c’è lì dentro? Può, qualche nozione basilare di chimica, aiutarci a scegliere il miglior prodotto secondo le nostre esigenze? Queste e tante altre risposte si trovano tra i cassetti, le mensole e i frigoriferi delle nostre cucine.

    Pizza: è tutta questione di gas!

    Alzi la mano chi non ha mai preparato (o provato a preparare) una pizza. Immagino ci siano poche mani alzate tra i lettori. In particolare, uno dei modi per superare la noia del coprifuoco durante la pandemia Covid-19 è stato proprio quello di sfornare pizze, a tutte le ore. Ora, alzi la mano invece chi ha mai pensato a ciò che avviene durante la sua preparazione. Probabilmente non tutti sono a conoscenza delle reazioni chimiche che portano alla formazione del nostro cavallo di battaglia culinario. Si è sempre sentito parlare di lievitazione. Quella naturale e quella chimica, quella buona e quella cattiva, la sana e la meno sana. Lievitazione in tutte le salse, ma cosa c’è di vero? Quando si impastano acqua, farina e lievito, cosa succede? E, perché l’acqua deve essere (preferibilmente) tiepida? È necessario, come prima cosa, chiarire cosa siano i lieviti. Questi sono dei microorganismi che fanno parte del regno dei funghi, i quali respirano e si riproducono. Tuttavia, fino a che questi microorganismi sono tenuti in frigorifero, non si riproducono e non respirano. Non sono morti, sono in letargo fino a quando verranno esposti a un ambiente più caldo rispetto a un freddo frigorifero. Questo è esattamente quello che ognuno di noi fa al momento di preparare l’impasto per una buona pizza. Li svegliamo dal letargo e mettendoli nell’acqua tiepida, contribuiamo ad attivarli al meglio. Questi microorganismi, in un ambiente accogliente iniziano a riprodursi. Ma l’ambiente deve essere accogliente: se troppo freddo continuano a dormire (non tutti si svegliano), mentre se troppo caldo muoiono. Il miglior compromesso è appunto un ambiente tiepido, come l’acqua che utilizziamo. In presenza di farina, il lievito inizia a nutrirsi e come tutti gli organismi viventi, inizia anche a digerire. Quando incontra la farina, il lievito inizia a mangiare, producendo del gas, un gas specifico, che tutti conosciamo: l’anidride carbonica, CO2 in chimichese. L’impasto lievita in seguito alla formazione di anidride carbonica che rimane intrappolata al suo interno. Una volta nel forno, i lieviti muoiono dopo aver utilizzato tutta la loro energia nella creazione dello scheletro della nostra pizza.

    Questa lievitazione è di tipo naturale, in quanto il lievito naturalmente si nutre e produce gas che fa lievitare l’impasto. A seconda del tipo di farina utilizzata, è possibile decidere quale sia il tempo di lievitazione più appropriato. Tipicamente, 30 minuti a temperature ambiente sono sufficienti. Quando invece si sente parlare di pizza lievitata per 24, 48 o 72 ore, in quel caso si utilizzano delle farine che permettono delle lievitazioni più lunghe, spesso condotte in frigorifero, in modo da rallentare l’attività del lievito. Una lievitazione più lunga comporta una maggiore azione da parte del lievito, in grado di scomporre le strutture complesse presenti nell’impasto in elementi più semplici e quindi digeribili più facilmente. Ma oltre alla lievitazione naturale, c’è anche quella istantanea o chimica. Non si deve cercare nei frigoriferi dei supermercati: questo lievito si trova negli scaffali a temperatura ambiente. In questo caso la lievitazione avviene in modo artificiale, o meglio, non vi è alcuna specie vivente che mangia e produce gas, ma ci sono due composti che reagendo nell’acqua (calda) generano anidride carbonica. Il risultato è lo stesso, anche se la pizza lievitata naturalmente contiene anche il sapore dei lieviti utilizzati. E state tranquilli, la dicitura lievitazione chimica non deve spaventarvi. Pensateci, se facesse male, permetterebbero mai la vendita del lievito istantaneo? Ora che siete diventati esperti di lievitazione, scegliete i vostri ingredienti preferiti e… buona pizza!

    Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Chiedilo alla mamma

    Sono tante le indicazioni che ci vengono date durante la nostra vita, in maggior modo quando siamo giovani e inesperti, nel senso più ampio del termine. I primi a darci indicazioni o, più semplicemente, i primi che ci aiutano a non sbagliare sono i genitori. Soprattutto le mamme, sono quelle che ci danno saggi consigli, e io, ancora oggi rimango stupito nel sentirli. Ma come fanno? Sono delle streghe? No, si chiama esperienza. Inoltre, loro già hanno sperimentato i consigli dei loro genitori. Beh, pensiamo ad esempio alla spremuta d’arancia. Più o meno tutti sanno che la spremuta d’arancia, insieme ad altri alimenti e bevande, ha una forte funzione antiossidante (termine che attira molto l’attenzione dei consumatori). Ma quello che non tutti sanno, e che invece sanno le mamme, è che la spremuta va bevuta quasi immediatamente. Altrimenti? Altrimenti diminuisce il suo effetto antiossidante. Non tutte le mamme però si soffermano sul perché. Non importa. Importante è che loro, in ogni caso, abbiano ragione. Ora però è necessario che si stabilisca il fondamento scientifico che sta alla base di questa, chiamiamola così, indicazione materna.

    L’arancia contiene la (famosa) vitamina C, anche conosciuta come acido ascorbico. Questa vitamina, essenziale per la vita dell’uomo, la si può trovare nella frutta, verdura e vegetali. Si sa, anche, che ha una grande funzione antiossidante. Ci protegge dai radicali liberi: chimiche che si ottengono in seguito alla rottura di un legame tra due atomi. Questa rottura, porta alla formazione di due radicali. Sono molto reattivi. Quello che fanno, solitamente, è rubare un elettrone alle molecole vicine. Cosa c’entrano ora gli elettroni? Beh, gli elettroni sono il collante tra due atomi. Tanti atomi formano una molecola. I radicali liberi sono alla ricerca di una qualche molecola per formare un altro legame o semplicemente per appropriarsi di un suo elettrone, senza formare nessun legame. I radicali si possono generare in tanti modi: radiazione UV, fumo, alcol, stress. L’invecchiamento precoce della pelle è solo uno degli effetti. Tuttavia, la loro formazione è inevitabile. Il nostro organismo però è in grado di opporsi a queste specie reattive. Gli antiossidanti sono i primi nostri soccorritori. Ecco che entra in gioco la vitamina C, come altri sistemi e molecole. Gli antiossidanti giocano un ruolo fondamentale: non permettono ai radicali liberi di rubare elettroni alle molecole (cioè, di ossidarle) o ai tessuti che gli si trovano vicino. Sono delle specie essenziali per il nostro organismo perché sono loro a cedere il loro elettrone ai radicali (cioè, si ossidano), in modo da evitare spiacevoli effetti per il nostro organismo. Ecco il loro ruolo. Importante la loro assunzione, perché il nostro organismo non produce ad esempio la vitamina C (ma ovviamente possiede altri meccanismi di controllo). La spremuta quindi va bevuta velocemente, perché la vitamina C all’interno del bicchiere, in quanto antiossidante, è, per sua natura, facilmente ossidabile. Da chi? Beh, dall’ossigeno che respiriamo, che è un ossidante (non a caso la radice del nome). Per far sì che quel bicchiere di spremuta di arancia ci faccia immagazzinare il più alto contenuto di vitamina C attiva, è consigliabile una rapida assunzione della stessa, proprio come ci raccomanda la mamma. Sapere questo, vi aiuterà anche a capire perché la frutta tagliata annerisce velocemente. Per lo stesso motivo: l’ossigeno atmosferico attiva dei processi, che portano all’ossidazione di alcune specie contenute sulla superficie di mele, pere, banane. Guardate un po’, un rimedio per evitare questo processo è quello di cospargere la frutta con succo di limone o arancia, entrambi ricchi di vitamina C. Lo sapevate? Le mamme sì!

    Manuale per un buon caffè

    Ci chiediamo sempre come far un buon caffè. Poi sentiamo dire che il caffè fatto a Napoli è il più buono. Che dipende dall’acqua. Che dipende dalla caffettiera utilizzata. La caffettiera più utilizzata è senza ombra di dubbio la moka, ognuno di noi ne possiede almeno una. Di tutte le dimensioni. Ma come si fa il caffè? C’è della chimica anche in questo? Assolutamente sì! Il caffè macinato che utilizzate, ovviamente, determina quale sia il gusto finale. Essenzialmente, le tipologie di caffè sono Arabica e Robusta, rispettivamente il 75% e il 25% della produzione

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