Rocky Marciano: Sulle tracce del mito 1923 - 2023
Di Dario Ricci
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Anteprima del libro
Rocky Marciano - Dario Ricci
Aristotele a bordo ring
«Consideri che io non sono un esperto né di miti né di filosofia. E che in più, di Rocky Marciano e di pugilato, non so proprio niente». Le premesse, bisogna ammetterlo, non sono delle migliori. Senza dimenticare il contesto: lo scorrere sui binari del Frecciarossa che mi sta riportando da Roma a Milano come costante sottofondo, la voce che gracchia nel cellulare che va e che viene seguendo con cadenza ritmata e precisa l’alternanza di pianure e gallerie, i passeggeri vicini pronti a rimproverarmi se solo il tono della mia, di voce, dovesse superare di neanche mezzo decibel quello dell’ultima puntata della quarta stagione de Il Trono di Spade sparata a tutto volume dallo smartphone di quell’energumeno a maniche corte (e siamo a dicembre…) che siede due posti davanti a me. Eppure le parole del mio interlocutore dall’altra parte dell’immaginaria cornetta mi arrivano calme, calde, persuasive, avvolgenti, come il fumo della sigaretta che non so perché immagino stia centellinando mentre dialoga con me.
D’altra parte non storia stiamo facendo, in queste pagine. Quella, e con la S maiuscola, Rocky Marciano l’ha scritta sul ring e a suon di pugni, a partire dalla leggendaria Suzie-Q, quella combinazione gancio sinistro-diretto destro e corto che faceva tremare il ring (e gli avversari…) neanche fosse una bomba scagliata appunto da The Brockton Blockbuster (cioè il bombardiere di Brockton
), con una potenza ed efficacia che i rivali, cadendo al tappeto, quasi sembravano in preda di quel ballo popolare omonimo (il Suzie-Q appunto) tanto in voga negli anni Trenta e Quaranta dalle coppie che lo interpretavano al ritmo di swing.
No qui non si fa storia, né La Storia. Piuttosto, si è simili a rabdomanti, che seguono istinto, sensazioni, emozioni, pulsioni ferine, vien da dire, consapevoli che solo seguendo quelle si potrà riportare alla superficie e alla luce il fiume nascosto, sotterraneo, carsico, inghiottito e finora sepolto da parole, nebbie, visioni, pallide percezioni.
Ecco allora che la voce di Sebastiano Maffettone – il mio interlocutore in questa avventurosa telefonata – va seguita eccome, e con la massima attenzione. Proprio perché indica una pista, e poi si mette subito a battere la traccia per seguirla. Senza trascurare due elementi fondamentali. Il primo, è che il prof (Maffettone, classe 1948, è docente di filosofia politica e teorie della globalizzazione alla Luiss, la Libera Università degli Studi Sociali Guido Carli di Roma), così estraneo alla materia che stiamo per trattare non è; e poi – e forse soprattutto – è di Napoli, città che incrocia in modo decisivo la parabola esistenziale di Marciano. Dal porto di Napoli, infatti, in due momenti diversi, partirono i due transatlantici che portarono verso il Nuovo Mondo i genitori di Rocky (o meglio di Rocco Francis Marchegiano, che solo dopo non troppo tempo trascorso sul ring sarebbe diventato appunto Rocky): è il 14 marzo del 1912 quando dal porto partenopeo salpa il Canada, piroscafo che era stato costruito nei cantieri di Marsiglia in Francia, col suo carico di circa 1800 migranti, destinazione New York. A bordo, imbarcati nei cameroni promiscui della classe più economica, anche Rocco Francesco Marchegiano (il nonno di Rocky), classe 1867, e Filomena De Virgiliis, classe 1861 e sposata nel 1897, dopo la morte della prima moglie Luisa Salvatore nel novembre 1896. Dei due figli di Luisa il maggiore, il diciassettenne Quirino (che sarà il papà del campione), parte con i genitori; il secondo, il quindicenne Stefano, rimane in Italia con Elisa, Emilia e Maria, nate dal secondo matrimonio. Abruzzesi, i Marchegiano, originari di Guardiagrele ma che da tempo risiedono a Ripa Teatina, a pochi chilometri da Chieti e a non molto di più da Pescara e dalle rive dell’Adriatico. Meta finale di quei 14 giorni ininterrotti di navigazione, è Brockton, Massachusetts, dove li attende Daniele Salvatore, fratello della prima moglie di Rocco Francesco e quindi zio di Quirino, che lì si era già trasferito da qualche tempo trovando lavoro in un laboratorio dove si producono scarpe. Sarà invece dal Duca degli Abruzzi (sì, proprio Abruzzi! Quando si dice il destino), salpato sempre da Napoli, che sbarcherà il 4 novembre 1916 a Ellis Island Pasqualina Picciuto, quindicenne di San Bartolomeo in Galdo, in provincia di Benevento. Non sapeva né leggere né scrivere, quella piccola donna che a Napoli era stata imbarcata da mamma Concetta con destinazione finale le braccia di papà Luigi, che l’aveva preceduta aldilà dell’Atlantico. Si incontreranno proprio a Brockton, Quirino e Pasqualina, dove si sposeranno nell’estate 1921 e daranno alla luce, il 1° settembre 1923, Rocco-Rocky, secondogenito dei cinque figli della coppia (col primo morto il giorno stesso della nascita).
Napoli e il suo porto quindi primo approdo, punto d’incontro, crocevia di parabole e destini tutti contenuti in un secolo e spiccioli, tempo dilatato e slabbrato della memoria, che esonda dai rigidi limiti imposti da calendari e cronometri. Ma appena individuatolo, questo primo, pencolante appiglio, ecco subito che s’intravede il secondo, ma su un pendio ancor più irto e inerpicato, manco fossero da arrampicare a piedi e affondando le mani nella terra nera, le pendici di questo Vesuvio che appena percepisco stagliarsi tra le nuvole del tempo, del ricordo,