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1001 storie e curiosità sul grande Bologna che dovresti conoscere
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E-book1.105 pagine9 ore

1001 storie e curiosità sul grande Bologna che dovresti conoscere

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Info su questo ebook

Il Bologna Football Club è senza dubbio una delle società sportive più antiche e blasonate del calcio mondiale. Anche se, e sembra davvero una leggenda metropolitana, la sua fondazione avvenne nei locali di una birreria, precisamente la Ronzani in via Spaderie, nel 1909. «Il Bologna è uno squadrone che tremare il mondo fa»: ha una tifoseria appassionata, una città innamorata del proprio club calcistico frutto, appunto, di un passato glorioso e di un presente carico di promesse. Nel 2014 una cordata di imprenditori americani, guidata da Joe Tacopina e Joey Saputo, ha rilevato la squadra e i nuovi capitali e le rinnovate energie hanno già dato i primi splendidi risultati. E non è solo la straordinaria tifoseria felsinea ad augurarsi che il club rossoblù torni ai fasti, meritati, del passato.
Luca Baccolini
giornalista classe 1987, collabora dal 2010 con la redazione bolognese di «la Repubblica». Da anni conduce in radio una striscia quotidiana mattutina sulle sorti della squadra rossoblù.
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2016
ISBN9788822702333
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    1001 storie e curiosità sul grande Bologna che dovresti conoscere - Luca Baccolini

    477

    Prima edizione ebook: novembre 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    Disegni: Fabio Piacentini

    Icone: Thomas Bires

    ISBN 978-88-227-0233-3

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per StudioTi s.r.l., Roma

    Luca Baccolini

    1001 storie e curiosità

    sul grande Bologna

    che dovresti conoscere

    Newton Compton editori

    Prefazione

    In partenza, in quell’estate del 1993, fu un impegno civico, mio e di altri imprenditori amici, affiancati per breve tempo dalle cooperative. Ci riunimmo allo studio Gnudi con l’intenzione di sistemare questo calcio bolognese, che rappresentava la città, come oggi e come sarà sempre. Poi mi candidai sindaco, sapendo benissimo di non farcela, ma volevo cercare di sparigliare un po’ la situazione di questa città, e questo mio gesto fu interpretato come una decisione avversa alle cooperative. Pazienza. Il senso del mio impegno nel calcio non cambiava: bisognava ridare un po’ di vigore a una squadra caduta in serie c, che condizionava in negativo l’umore di tutti. Bologna, alla fine, si risvegliò. E anche se gli anni di distanza dall’ultimo scudetto erano diventati trenta, qualcosa si stava muovendo. Se il Bologna vince son contenti operai e imprenditori. Già, gli imprenditori. Perché, almeno qui, sono quasi sempre stati diffidenti nei confronti del pallone? Una vecchia teoria sosteneva, sbagliando, che a Bologna gli industriali fossero di retaggio agricolo e quindi molto prudenti per natura. Non era corretto: la verità è che nel calcio troppe forze occulte, troppi oligopoli, troppi trabocchetti avevano reso questo mondo infido per chiunque avesse disponibilità di denaro. Forse, a Bologna come altrove, si riteneva immorale tutto quel profluvio di soldi. Forse. Ma la realtà era che prendere in mano le sorti della squadra era un servizio reso alla città, un antidoto alla depressione. Io volevo semplicemente vedere com’era fatto questo calcio. Furono anni belli: due promozioni, l’Europa, Roberto Baggio, Giuseppe Signori e via discorrendo, fino al finale che conosciamo tutti. Mi auguro che tutto questo possa tornare e non vedo altra possibilità se non attraverso Joey Saputo. Si crescerà piano piano, ma sempre tenendo presente, spero, che lo stadio era e rimarrà il più bell’esempio di raduno civico.

    giuseppe gazzoni frascara

    presidente onorario del Bologna;

    presidente del Bologna fc dal 1993 al 2005

    Introduzione

    Un brano del compositore-filosofo John Cage è stato programmato per partire il 5 settembre 2001 e terminare lo stesso giorno del 2640. In mezzo, un apparente vuoto pneumatico. Assomiglia alla sensazione che accompagna il seguace del Bologna: passato e futuro, alle rispettive estremità, comunicano le loro grandezze, vere e immaginate; il presente, invece, deperisce o ristagna. Sperare in un glorioso avvenire rimpiangendo il passato genera di solito un corto circuito frustrante. Anche perché, spesso, quando la consapevolezza della storia evapora, anche il futuro perde di colpo i suoi tratti seducenti di promessa. Per esempio: un conto è passeggiare in via San Felice a Bologna nel prevedibile sciabordio del traffico, un altro è farlo sapendo che tra il civico 22 e 24 nel 1770 il quattordicenne Mozart tenne un grandioso concerto privato. Il calcio dovrebbe funzionare alla stessa maniera: la partita della domenica vale di per sé un giorno su sette, i sei restanti andrebbero trascorsi in altro modo, vivificando i luoghi e riempiendoli di storie. Lo stadio, in fondo, è una scusa: è il posto in cui tutti sanno di trovarvi sicuramente il calcio. La vera sfida è portare il pallone a spasso, farlo rimbalzare nel cuore di una città per riattivarne il battito, chiedersi quali racconti dormano sotto ogni pietra. Solo così si resta vivi, non più schiavi di un palo, di una gioia fugace o, peggio, di un rigore sbagliato al novantesimo.

    PARTE PRIMA

    Le origini: musica, calci e baionette

      1.

    Vietato giocare a pallone

    Il 10 marzo 1580, quando mancano ancora 329 anni, 6 mesi e 23 giorni alla nascita del Bologna Football Club, viene affisso un bando severissimo: «Si comanda – detta solennemente il leguleio – che nessuna persona di qualsivoglia grado o condizione ardisca in qualsivoglia modo né dentro la città né fuori di giocare al detto gioco del calzo, sotto pena di cento scudi d’oro». Il motivo? Evitare «risse, scandali, inimicizie, che da ciò nascere possono». È la lotta al calcio fiorentino, un incrocio tra rugby e football in cui si usano a piacimento mani e piedi; gli emissari papalini non possono che registrarlo con sospetto nella lista delle attività potenzialmente sediziose. Coincidenza vuole che quel decreto finisca sul tavolo di un papa bolognese: è Gregorio xiii, al secolo Ugo Boncompagni, raffigurato nella statua di Alessandro Menganti che proprio dal 1580 sovrasta il portale di palazzo d’Accursio in piazza Maggiore. Gregorio xiii è il celebre riformatore del calendario gregoriano. Ma l’alba del Bologna non vi è ancora contemplata.

      2.

    Le bocchie di Mozart

    Persino Giovanni Calvino, nella rigida Ginevra protestante del Cinquecento, non disdegnava le partite a bocce. Con qualche secolo di ritardo, pur diffidente ai palloni che insidiavano le sue strade, nel 1753 Bologna fu la prima città in cui vide la luce Il giuoco pratico, catalogo fondamentale delle regole dei principali giochi praticati in Italia, a palla o a carte. Così, tra l’Ombre, il Tressette, la Bazica, la Gallinella, la Primiera, il Cucù, il Pentolino, la Bestia, il Faraone e il Trionfo finì censito per mano di Raffaele Bisteghi anche il gioco delle bocchie, che trovò un praticante nel più famoso viaggiatore di quel tempo, Wolfgang Amadeus Mozart, giunto a Bologna nel 1770 per studiarvi tre mesi presso l’Accademia Filarmonica di via Guerrazzi. Il pallone, sia pure in forma di boccia e di boccino, non era più un oggetto tanto diabolico.

      3.

    Buffalo Bill e l’inganno dei Sioux

    Nel 1906 il futuro campo del Bologna, ai Prati di Caprara, era stato il teatro del circo di Buffalo Bill, al secolo William Frederick Cody, l’avventuriero americano che dopo la guerra di secessione interpretò se stesso in fortunate e lucrose tournée europee. Tre anni prima che i calci d’esordio avviassero irrevocabilmente la storia del Bologna, ottocento uomini mascherati da indiani e da cow boy, cinquecento cavalli sellati e un grandioso apparato coreografico invasero la spianata inscenando assalti alla diligenza, massacri di pellerossa e battaglie tra nordisti e sudisti. Tutto, o quasi, nel Wild West Show era fasullo: Cody era stato solo un cacciatore di bisonti che aiutava le ferrovie a tenere lontani gli indiani dai binari e un abile impresario lo aveva trasformato in un epico scotennatore senza macchia. Nel 1890 aveva debuttato a Bologna dispensando un’esotica novità: i pop corn. Ma la sua seconda apparizione non scaldò come la prima volta. Forse lo spettacolo del calcio era ciò che serviva davvero in quella brulla distesa di periferia.

      4.

    Quando Kafka preferiva gli aerei

    Mentre i fondatori del Bologna Football Club si muovono da gestanti inconsapevoli, il 9 maggio 1891 si svolge una delle prime esibizioni di calcio ginnico, organizzata dai soci della Ginnastica Virtus per il ventennale della fondazione. Seguono dieci anni di silenzio, e di nuovo, nel 1901, a Bologna viene assegnato il titolo di Campione ginnastico del calcio nell’ambito del quinto concorso ginnastico italiano. I vagiti del calcio sono coperti però dai motori: il 6 settembre 1908 romba la Coppa Florio sul nuovo circuito automobilistico, tra Borgo Panigale e San Giovanni in Persiceto, cinquantadue chilometri da replicare per dieci giri. Partono diciassette automobili, ne arrivano sei. La prima è la Fiat di Felice Nazzaro, che trionfa in 4 ore, 25 minuti e 21 secondi. Ma la sete di sport, in una città di 150.000 abitanti, zeppa di studenti, si può soddisfare solo con pratiche meno elitarie. Quattro ruote diventano allora due, con la prima corsa del Giro dell’Emilia organizzata dal «Resto del Carlino». E mentre nel settembre 1909 Mario Cobianchi, figlio di Stanislao, proprietario della distilleria Montenegro, partecipa a Brescia al battesimo dell’aviazione italiana (presenti Kafka, Puccini, Marconi e D’Annunzio), in questo magma di poeti, scienziati e musicisti distratti dai motori, una palla s’intrufola nei pensieri dei giovani pionieri. Bologna deve avere un pallone. E lo avrà.

      5.

    Il miracolo del dottor Nigrisoli

    Bartolo Nigrisoli aveva studiato medicina a Parigi, frequentato i migliori colleghi dalla Germania alla Russia, esplorato da pioniere le nuove frontiere della chirurgia. Agli inizi del Novecento era da tempo nel novero dei migliori medici italiani. Quando una notte di aprile del 1906 vennero a bussare a casa sua due genitori diafani di paura, reggendo un bambino moribondo, dovette richiamare a sé tutta l’esperienza maturata in trent’anni di carriera. Prese il corpo afflitto del piccolo paziente, lo riversò sul tavolo della cucina e senza anestesia gli praticò un taglio sulla schiena. Ne estrasse una costola incrinata, che stava ottundendo il respiro. E così salvò il bambino da morte sicura. Nigrisoli non poteva sapere che quella notte aveva operato Angelo Schiavio, il calciatore rossoblù più grande d’ogni tempo. Sulla punta del suo bisturi, da un imperscrutabile avvenire, 250 gol vennero custoditi per il futuro del Bologna.

      6.

    L’alba cancellata

    Ogni nascita ha un luogo sacro da venerare. Ma non tutti i santuari sopravvivono al tempo. L’alba del Bologna oggi è un punto immaginario, all’angolo tra via degli Orefici e la scomparsa via Spaderie, dove si fabbricavano lame e pugnali: là palazzo Lambertini ospitava l’Albergo del Commercio e al primo piano vi si trovava la Birreria Ronzani, accessibile sia da Orefici 2 che da Spaderie 6. In uno di questi tavoli, il 3 ottobre 1909, una domenica, viene sancito l’atto di nascita del Bologna Football Club. Tutto questo non esiste più. Oggi lo si può solo idealizzare, poiché tra il 1910 e il 1911 tutto il lato destro di via Rizzoli (guardando le Torri) venne ridisegnato secondo il nuovo piano regolatore, che prevedeva l’allargamento della strada e la cancellazione di via Pelliccerie, via Tosapecore, piazza Uccelli, via Cimarie e, ovviamente, via Spaderie. Lì giace la scena madre del Bologna fc, immolata per sgranchire le vie pigre di un borgo provinciale che stava prendendo l’aspetto di una città moderna.

      7.

    La birra della domenica

    Il varo del Bologna scivola su fiumi di luppolo. Nel 1909 Birra Ronzani è già un marchio storico, fondato nel 1855 nell’ex convento di San Filippo e Giacomo in via delle Lame. Da lì, nel 1887, il cavalier Ronzani si trasferisce a Casalecchio (qui l’appellativo wagneriano di Oro del Reno, nella città che, prima in Italia, rappresentò un’opera di Richard Wagner). Il caffè-birreria di via Spaderie resisterà pochi mesi dopo la fondazione del Bologna, ma il vecchio birrificio di via Lame avrà ancora a che fare con le sorti rossoblù: divenuto hotel Garden, vi soggiorneranno le squadre avversarie in trasferta. Birra Ronzani assorbe nel 1929 la Fabbrica Birra Bologna ma trent’anni dopo è la stessa Ronzani a subire l’acquisizione della Birra Würher, dissolvendosi in un altro marchio. Nel 2010 la Ronzani riappare a Casalecchio, proprio di fronte al vecchio stabilimento di cui sopravvive la ciminiera. Così son tornati a zampillare gli alcolici auspici del 1909.

      8.

    Pionieri e factotum

    Come i padri pellegrini della Mayflower erano in grado di navigare, piallare, combattere e predicare, anche i fondatori del Bologna sanno fare un po’ di tutto. Il «Resto del Carlino» del 4 ottobre 1909 segnala in venticinque righe la nascita del comitato direttivo, organizzato «dopo diverse assemblee presiedute dal cav. Sandoni», il presidente del Circolo turistico bolognese che ospita la congrega. Alla direzione dei campi sono deputati i signori Emilio Arnstein (ventitreenne boemo, che nella Mitteleuropa ha trovato il tempo di fondare l’anno prima il Black Star Football Club), Pietro Bagaglia e Leone Vincenzi. Nel comitato del circolo sono nominati i signori Centofanti, Tampellini, Zacchi. Il signor Penaglia funge da segretario, Lampronti da cassiere. Vicepresidente Guido Della Valle. Capitano Arrigo Gradi. E presidente? Un odontoiatra di ventinove anni proveniente dalla Svizzera, chiamato in Italia dal professor Arturo Beretta.

      9.

    Un dentista come presidente

    Louis Rauch ha già estratto con successo centinaia di molari quando a ventinove anni viene eletto primo presidente del Bologna, carica che manterrà per un anno, mutandola in allenatore, e poi in semplice tifoso. Svizzero di nascita, in città è arrivato per aiutare il professor Beretta, anch’egli a suo modo un pioniere nel campo della stomatologia. I due si conoscono all’estero, perché in Italia la branca è pressoché sconosciuta. È questo esilio medico a formare il sodalizio. Giunto a Bologna, il dentista svizzero trova in pochi mesi lavoro, squadra e moglie. La primogenita Isotta nasce il 17 novembre 1909, un mese dopo la fondazione del club. Rauch non ha bisogno di altri segnali del destino per capire che essere padre, medico, presidente e calciatore richiederebbe un impegno superiore alle sue possibilità. Così comincia a seguire le partite del Bologna solo alla domenica, pagando regolare biglietto di tribuna. Null’altro farà per esser riconosciuto tra i padri fondatori.

      10.

    L’altro Bernabéu

    Uno studente diciannovenne di Ontinyent, oggi nella comunità autonoma Valenciana, approda a Bologna nel 1909 per studiarvi al Reale Collegio Maggiore di San Clemente degli Spagnoli, meglio conosciuto come Collegio di Spagna. Antonio Bernabéu Yeste vi giunge sul solco di una tradizione secolare, che aveva visto accogliere, sin dal 1364, solamente selezionati studenti spagnoli di buona famiglia. Inevitabile che la sua passione per il calcio, maturata al Collegio di San Lorenzo de Escorial, trovi subito sfogo a Bologna, spalleggiata dagli altri ragazzi stranieri che si danno appuntamento ai Prati di Caprara, il primo campo cittadino adibito al football. Bastano pochi giorni per far entrare Antonio nel cuore del sodalizio. Il calcio è il suo strumento per inserirsi in città, ma anche la miglior cura per alleviare la perdita della madre Antonia, scomparsa due mesi prima. Così il 3 ottobre 1909, nella riunione che detta l’atto di nascita del club, Bernabéu è in prima fila tra i fondatori. Calciatore e pioniere, proprio come il fratello Santiago, destinato a giocare nel Real Madrid, per diventarne poi il presidente più longevo, con 35 anni di governo e 71 trofei in bacheca.

      11.

    La casacca riciclata

    Momento cruciale per la vita d’ogni club: la scelta dei colori sociali. Tocca ad Arrigo Gradi (1887-1969), primo capitano del Bologna, decidere quali tinte debbano affacciarsi al debutto. Non digiuno d’esperienza calcistica, Gradi propone la divisa da gioco dell’istituto svizzero del cantone di San Gallo in cui aveva studiato. I due esemplari rossoblù che ha conservato convincono il sodalizio, anche perché fanno risparmiare sulla fabbricazione delle altre otto maglie. Otto, e non nove, perché il portiere può ancora permettersi il lusso di indossare un maglione, purché di colore coerente alla divisa (in questo caso bastava la tinta scura), ma non necessariamente uniforme. Libertà anche sui calzoncini, sostenuti con una spilla da balia, meglio se bianchi o neri, ma con il decoroso obbligo di non lasciare scoperto il ginocchio.

      12.

    L’introvabile pallone

    Tutti idealmente pronti sul campo, eppure manca l’accessorio fondamentale. Chi ha portato il pallone? Gli sguardi si cercano, il silenzio cala sugli astanti. Non c’è neanche l’ombra di una vera ball all’inglese, di cuoio regolamentare, come i più navigati hanno visto utilizzare all’estero. E allora, con versamenti settimanali di pochi centesimi per ciascuno, andando lentamente a formare l’enorme somma di una quindicina di lire, si raccoglie il gruzzolo per acquistare un pallone di prammatica. Ordinarlo dall’Inghilterra è pressoché impossibile; a Bologna, invece, nessun negoziante ha mai sentito parlare di un prodotto simile, né di gomma né di cuoio. Occorre dunque rivolgersi alla aggiornatissima Milano, sollecitando una catena di amicizie. E così dopo due settimane d’attesa, ingannate con surrogati di fortuna, anche a Bologna rotola un vero pallone. L’unico, per molto tempo ancora.

      13.

    Primi calci in periferia

    Vigilano sul primo campo del Bologna il colle della Guardia e la basilica di San Luca. L’orizzonte cittadino, tra il 1910 e il 1911, respira ancora nell’aperta campagna. È là, nel quartiere in cui sorgerà il futuro Ospedale Maggiore, che i rossoblù in maglia a scacchi ricavano il terreno per le prime «esercitazioni in campo aperto di un interessante e gradevole sport educativo» (come le definì il «Resto del Carlino»). Le porte consistono in due travi per i pali e una corda per la traversa, e tutto viene montato, smontato o spostato a seconda del bisogno. Chi assiste agli incontri è disposto a rimanere in piedi senza sollevare eccezioni. I Prati di Caprara resisteranno fino al febbraio 1911. Poi, per accorciare il tempo degli spostamenti, verranno preferiti gli spazi in località Cesoia, fuori porta San Vitale, con porte fisse e il perimetro delimitato da un dignitoso steccato che darà la prima parvenza di solennità al rito del pallone.

      14.

    Tentativi di volo

    Poiché il primo campo del Bologna appartiene all’autorità militare, che concede volentieri il terreno a patto di lasciarlo libero da ingombri, non deve stupire che ai Prati di Caprara ogni tanto subentrino gli aerei ai palloni. Si tratta, in fin dei conti, di due attrezzi ugualmente innovativi per l’epoca. Il 6 gennaio 1910, quando il Bologna ha appena tre mesi di vita, viene organizzata una dimostrazione di volo a due passi dal campo da calcio. Filippo Monti, impiegato del dazio e allievo del trasvolatore della Manica Louis Blériot, tenta di sollevarsi da terra col suo velivolo, ma invano. Il pubblico, che aveva pagato regolare biglietto, inveisce contro il Monti. E a lui si appiccica subito una filastrocca canzonatoria: «Quand Monti al vularà, al Zigant al cantarà» (quando Monti volerà, il Nettuno canterà). Nel 1913, dopo che il Bologna s’è già trasferito allo Sterlino, la piazza d’armi dei Prati viene trasformata in un vero aeroporto per velivoli e dirigibili dell’esercito. E a quell’uso sarà destinata fino al 1931, quando resterà solo la sede delle esercitazioni paramilitari dei sabati fascisti.

      15.

    Il due-tre-cinque

    Il nuovo sport che impone la vittoria segnando un gol più dell’avversario, ancora preservato dai tatticismi, necessita di schemi agili e artiglieria pesante. Il primo Bologna, dunque, s’adegua al dettato. Cinque attaccanti veloci, per tentare di forzare le difese, tre mediani e due soli difensori in funzione di cerbero. Se leggessimo la formazione con gli occhi iniettati di tattica degli allenatori d’oggi, suonerebbe così: 2-3-5, l’esatto ribaltamento del 5-3-2 diventato poi, più modernamente, 3-5-2. Koch in porta, Chiara e Pessarelli (i più robusti) in difesa; Bragaglia, Geppe Della Valle e Nanni in mezzo; Donati, Rauch, Bernabéu, Mezzano e Gradi là davanti. Tutto è sbilanciato sull’attacco, in uno squilibratissimo schema a piramide che, comprensibilmente, avrà bisogno di urgenti contromisure per non trasformarsi in colabrodo.

      16.

    Una nuova tenzone medievale

    Tutte le rivalità medievali, gastronomiche e persino musicali (tra il partito di Wagner e quello di Verdi) si risolvono nel calcio: Bologna-Modena è un derby eterno con una data di inizio precisa, il 17 aprile 1910, e in quella prima tenzone vincono in trasferta i rossoblù per 3-1. Saranno organizzate molte rivincite, amichevoli solo in apparenza, perché modenesi e bolognesi s’infiammano a dimostrare la propria superiorità. «Vorrei cantar quel memorando sdegno / ch’infiammò già ne’ fieri petti umani / un’infelice e vil Secchia di legno / che tolsero a i Petroni i Gemignani», scriveva in versi Alessandro Tassoni nel 1622. Meno di tre secoli dopo, la Secchia Rapita è ancora al centro della disputa, sebbene ricondotta a contorni più rotondi e a campi di battaglia meno cruenti. La febbre contagia in fretta i primi tifosi. Tanto che dopo la prima sconfitta del Bologna contro il Modena – è il 2 febbraio 1913 – il più ardente si prende il disturbo di scrivere al «Resto del Carlino» per dimostrare che «i footballers bolognesi si ritengono superiori e sono pronti a un retour-match pour l’honneur in qualunque campo, purché decente».

      17.

    Probabili e possibili

    Il debutto della Nazionale di calcio italiana era atteso per il 15 maggio 1910 contro la Francia. Sceglierne i primi componenti fu un affare per nulla semplice. Innanzitutto: chi selezionava il selezionatore che avrebbe selezionato? Il garbuglio si risolse così: in mancanza di un allenatore designato, le nomine dei giocatori spettarono agli arbitri, non per una questione d’equità morale, ma perché con la loro visione panoramica e itinerante erano i più aggiornati sulle prestazioni di tutti. Questa commissione tecnica fu composta da rappresentanti di ambienti perlopiù milanesi (del resto, il debutto era previsto proprio all’Arena Civica meneghina), riuniti in un senato di saggi che stilò la bozza delle pre convocazioni. Vennero quindi allestite due squadre: i Probabili (candidati titolari, in maglia bianca) contro i Possibili (le riserve, in maglia celeste). Com’era lecito attendersi, i Probabili vinsero entrambi i confronti. Guido Della Valle, unico calciatore rossoblù convocato nei Possibili, perse così l’occasione d’essere convocato per il debutto assoluto dell’Italia.

      18.

    Vita da bar

    La birreria delle origini era stata stralciata da un rapido segno d’inchiostro sul foglio di un piano regolatore. Orfano della sua prima sede, il Bologna nel 1910 deve trovare subito una nuova dimora per le proprie riunioni. Dalla birreria si sceglie quindi di passare al bar. Ma anche su questo, accordarsi non è facile: tra i café-chantant (a fine Ottocento ne era apparsa una trentina) e i magnifici locali profumati d’art déco del centro, il Bologna rischia di impiegare settimane a decidersi. Il bar Nazionale sotto le due torri sembra il candidato principale, seguito dal caffè Vittorio Emanuele in piazza; c’è chi propone anche il caffè ristorante Chianti sotto il Voltone del Podestà; meno successo ottiene il caffè Venezuela di via Zamboni. Alla fine, la spunta il bar Libertas, al numero 13 di via Ugo Bassi. Il conclave lo indica solo come sede temporanea. Ma nessuno oserà più lasciarlo fino al 1917.

      19.

    Il bambino che fece la differenza

    Al primo derby contro il Modena, il 17 aprile 1910, il Bologna si presentò in dieci. Il terzino Pietro Bignardi, livornese, non era reperibile: servizio di leva, inutile insistere. L’Associazione studentesca del calcio Modena non ebbe remore a giocarsela con l’uomo in più e col favore del pubblico. Eppure, nonostante le svantaggiose condizioni di partenza, il Bologna si portò subito avanti di due gol. Il terzo scatenò il pandemonio: al quarantesimo un tiro destinato a uscire fu deviato chissà come da un bambino nella rete modenese. L’arbitro veronese Brivio indugiò un attimo, poi convalidò il 3-0, tra le comprensibili proteste dei locali. Gli animi, già surriscaldati, divennero incandescenti nella ripresa, quando il direttore di gara annullò la rete del possibile 3-2. Ligio al suo dovere e certo d’esser nel giusto, Brivio non si fece intimidire nemmeno quando si trovò braccato dai tifosi che l’avevano seguito fino alla stazione. Per quietare gli animi dei calciatori, invece, fu organizzato all’impronta un banchetto al caffè Cacciatori. Il clima da derby, comunque, era segnato per sempre.

      20.

    La prima amichevole di lusso

    Trecento spettatori sorvegliano assiepati a bordo campo la prima amichevole di prestigio del Bologna. Si gioca il 15 maggio 1910 tra i neonati rossoblù – società in cui le cariche danzano ancora a seconda della disponibilità di tempo dei diretti interessati – e i neo campioni italiani dell’Internazionale, impegnati in una tournée tra l’Emilia e la Toscana. La partita, anziché finire in goleada, è di vibrante equilibrio e viene risolta soltanto nei minuti finali per una svista del portiere Orlandi, che non protegge a dovere, forse a causa del fatto, dicono i maligni, che il suo sport d’elezione è la palla a bracciale, che allo Sferisterio gode ancora di pubblico e praticanti. Per poter affrontare la sua visita emiliana, l’Internazionale ha ottenuto dalla Federazione di anticipare al 23 aprile lo spareggio scudetto contro la Pro Vercelli. I piemontesi, che avrebbero preferito giocare il primo maggio, hanno reagito mandando in campo ragazzini da undici a quindici anni, che hanno perso 10-3, ma con onore. L’Internazionale, inseguita ancora dalle polemiche per aver accettato quella sfida, è potuta così mettersi in viaggio con lo scudetto cucito sul petto.

      21.

    Derby a senso unico

    Il derby bolognese diventerà negli anni un’esclusiva del basket. Ma agli albori del calcio, in un magma sportivo che non lascia intravedere molte differenze tra un club e l’altro, essendo in fondo tutti neonati, il Bologna Football Club si trova ad affrontare parecchie squadre rivali con il medesimo accento. Accade per esempio nel 1910, quando i rossoblù liquidano nell’arco di poche ore la Sempre Avanti (10-0) e la Virtus Bologna (9-1). Nel girone unico emiliano del 1919-20 sonore sconfitte toccano al Gruppo Sportivo Bolognese (8-0 e 4-2) e alla Nazionale Emilia (9-0 e 3-0). Niente da fare, per quest’ultima compagine, nemmeno nel campionato successivo, con due ko per 4-1. Solo la Virtus Bologna, al cui interno si muovono ottimi elementi come Giordani, futuro rossoblù, riesce a contenere i danni (2-1 e 3-0). Ma la storia dei derby bolognesi non cambierà: il calcio a Bologna è solo il Bologna Football Club.

      22.

    Una questione di principio

    Non i raggiunti limiti d’età – trentuno anni implicavano infatti il crepuscolo d’ogni ambizione agonistica – ma un disaccordo col compagno Guido Nanni provocò l’abbandono di Louis Rauch, il dentista svizzero che del Bologna era stato tutto: allenatore, presidente e fondatore. Un litigio su una questione di principio, l’orgoglio ferito, il senso d’appartenenza calpestato: Rauch voleva che il Bologna vivesse di forze proprie, senza attingere agli organici delle squadre vicine; Nanni, più realista, sosteneva che senza un ricambio tecnico il gruppo non avrebbe avuto futuro. Così nel 1911 il Bologna aprì le sue porte agli stranieri della Sempre Avanti, una delle rivali cittadine. E il purista Rauch, contrario alla commistione, abbandonò per sempre il campo degli allenamenti, arrestando così anche le sue funzioni di prezioso organizzatore. Sarebbe rimasto solo tifoso, sino alla fine dei suoi giorni.

      23.

    Malfatti, l’instancabile fondatore

    Il difensore grossetano Domenico Malfatti troneggiava tra i titolari nella terza partita ufficiale del Bologna, il 5 febbraio 1911 a Venezia. Prima di approdare in Emilia, questo agiato possidente dell’agro toscano era stato tra i fondatori del Pisa Football Club, vi aveva giocato col fratello Pietro e poi era salito al Nord, in cerca di nuovi sodalizi sportivi. A Bologna si prese il merito di segnare un rigore decisivo nella vittoria per 3-2 sul Vicenza (era il 17 dicembre 1911) ma poi, di colpo, sparì. Riapparve a Pisa, e di nuovo la sete di novità lo portò a fondare altre colonie, nella sua città natale a Massa Marittima. Questo instancabile faticatore ebbe sorte segnata da un cancro allo stomaco, che nel 1922 lo stroncò a trentadue anni. Da quel momento, e fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, la Massetana avrebbe giocato in suo onore con il nome di Malfatti Football Club.

      24.

    Scampagnata all’estero

    Il 30 aprile 1911, per la prima volta nella sua storia, il Bologna esce dai confini nazionali. La squadra di pionieri sale sul treno per Trieste, avamposto dell’impero austro-ungarico. Passaporti e lasciapassare obbligatori. L’aura internazionale è rafforzata dal nome dell’avversario, i Black Star, club fondato nel 1907 da un gruppo di residenti britannici e da alcuni appassionati locali, tra i quali Emilio Arnstein, uno dei padri del Bologna Football Club. Per lui, si tratta di un derby a tutti gli effetti. L’amichevole termina 2-1 per i padroni di casa, che concedono come di prammatica la rivincita in Italia. I Black Star diventano così la prima squadra straniera a giocare a Bologna. Il 14 maggio si consuma un risultato identico, stavolta a favore dei rossoblù. Ma la partita è mutilata di un quarto d’ora per le proteste dei triestini dopo il terzo rigore fischiato per il Bologna. Il sospetto ricade sull’arbitro e non si fa fatica a capirne il motivo: il direttore di gara, in quell’amichevole intrisa di goliardia, è proprio Emilio Arnstein.

      25.

    La sassaiola di Verona

    Unico intruso emiliano in un torneo integralmente veneto, nel 1911 il Bologna si trovò stritolato in una selva di derby incrociati tra Hellas Verona, Vicenza e Venezia. Era il campionato di prima categoria del girone veneto-emiliano, un lotto infernale da giocarsi tra metà dicembre e metà febbraio, nel pieno dei rigori dell’inverno e della bellicosità locale. Ne seppero qualcosa i rossoblù che a Verona, il 21 gennaio 1912, rischiarono la lapidazione. Era appena terminato l’incontro al velodromo scaligero contro l’Hellas, vincitore per 2-1. Riallestite le salmerie, i calciatori del Bologna s’avviarono al tram. Un lancio isolato, poi una selva più fitta di pietre. In pochi secondi, una sassaiola. La comitiva non trovò altro rimedio che riparare in albergo e aspettare rinforzi.

      26.

    Nella laguna ghiacciata

    Maurizio Zamparini amava ripetere di aver ceduto il Venezia perché «in laguna non si può fare calcio». Forse aveva pensato la stessa cosa Antonio Bernabéu, uno degli undici rossoblù impegnati il 4 febbraio 1912 alla pineta dell’isola di Sant’Elena. Là, tratteggiate le linee del campo tra gli intirizziti pini marittimi, si celebrò la sfida più fredda dell’epoca: quel giorno il termometro non era mai salito sopra i -14°. Trattandosi di un recupero, però, nessuno ebbe il coraggio di proporre un altro rinvio. Il Venezia vinse 2-1, anche grazie a un’autorete di Gradi, che vanificò il gol di Bernabéu. Esaurite rapidamente le energie, il secondo tempo fu solo una lotta contro l’assideramento. L’arbitro Cattaneo di Milano fischiò pietosamente la fine con qualche minuto d’anticipo. E nessuno sollevò obiezioni.

      27.

    Da Bologna al Titanic

    Quando la notizia del più grande disastro navale della storia raggiunse la città, s’era appena concluso il terzo campionato della storia del Bologna. Il 14 aprile 1912 i rossoblù avevano finito da un mese la Prima Divisione del girone veneto-emiliano e non potevano sapere che tra i loro primi spettatori, qualche anno prima, c’era stato anche il francese Roger Marie Bricoux, classe 1891, vincitore del primo premio in violoncello al conservatorio di Bologna. Diplomato, a caccia di un ingaggio, s’imbarcò prima sul Carpathia, e poi – attirato da compensi migliori – salì sul nuovissimo Titanic, dove con altri sette musicisti formò la celebre orchestrina che fino all’ultimo, prima dell’inabissamento, eseguì walzer e inni religiosi sul pontile. Bricoux era uno dei tanti stranieri transitati in città in quegli anni, come Rauch e Bernabéu. Ma la musica, a differenza del calcio, lo aveva condotto fatalmente lontano da Bologna. Sulla nave sbagliata.

      28.

    La squadra che farà tremare il mondo

    «È il Bologna lo squadrone che tremare il mondo fa» nel 1941 era ormai un intercalare pienamente legittimato dalle vittorie: quattro scudetti nei sei anni precedenti, due Coppe dell’Europa Centrale, il Torneo dell’Esposizione di Parigi. Anche il «Guerin Sportivo» registrò il motto per celebrare la vittoria del campionato 1941. Ma la più celebre didascalia sul Bologna, in realtà, era nata insospettabilmente quasi un trentennio prima nella fumosa sala del bar Libertas, in via Ugo Bassi, opera dell’ingegno visionario di Giannino Tonelli e Vittorio Ortali. Era il 1912, il Bologna aveva nemmeno tre anni di vita, affacciato solo una volta oltre i confini italiani (nell’austriaca Trieste…) e nessuno poteva ancora prevedere i successi dell’avvenire.

      29.

    Il diplomatico d’Africa

    Italo Zappoli era nato a Loiano nel 1893 ed essendo figlio di agiata famiglia non poté che guardare a Bologna per completare i suoi studi. Scese in città nei giorni in cui il sodalizio calcistico muoveva i primi passi. Nel novembre 1912, Zappoli si ritrovò subito mediano titolare nella squadra che aveva osservato per settimane a bordo campo, confuso in mezzo ad altre matricole universitarie. Nel Bologna avrebbe disputato dodici partite, prima che la Grande Guerra interrompesse il campionato. Non riprese più il vecchio mestiere, per consegnarsi definitivamente alla carriera politica e militare. Cavalcò il conflitto da ufficiale dei bersaglieri e ne uscì come uno dei diplomatici più in vista d’Italia. In qualità di inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe prestò servizio per più di trent’anni, soprattutto in Marocco, dove tutti lo salutavano non più come calciatore, ma come console generale.

      30.

    Morte a Venezia

    Forse la carriera di Umberto Venzo, classe 1895, non sarebbe mai durata come quella di Javier Zanetti, in un’epoca in cui venticinque anni erano già un attestato di vetustà sportiva. Ma di sicuro questo attaccante delle seconde linee non avrebbe mai pensato di abbandonare l’attività il 3 novembre 1912 a Venezia, alla sua terza partita ufficiale con la maglia rossoblù. Gli fu fatale uno scontro di gioco, che in un terreno già indurito dal freddo provocò la rottura del menisco. Una sentenza, per i medici d’allora: con un infortunio del genere, riprendere l’attività sportiva era utopia. Chiuse così una carriera di tre sole gare, con altrettante sconfitte. E non fu l’unico, in quegli anni da lupi, a dover salutare la compagnia per lo stesso motivo.

      31.

    Guardigli, il portiere terzino

    Prima di attribuire la patente di jolly a qualcuno, occorre chiedere il permesso a Enrico Guardigli. Tutto si poteva dire di questo diciottenne, non che gli mancassero eclettismo, duttilità e spirito di adattamento. A questo pioniere bolognese del 1893 toccarono due ruoli diversi nei quattro campionati che disputò dal 1911 al 1915, prima che la Grande Guerra interrompesse la sua corsa. Guardigli calcò le scene in ventuno occasioni ufficiali: la prima metà da portiere (subendo 18 reti in 11 gare), la seconda da terzino. Restò l’unico caso di calciatore rossoblù promosso dalla porta a un ruolo di movimento. Negli stessi anni, solo Guido Della Valle sfilò in tutte le posizioni della difesa, completando il giro inverso con due presenze tra i pali.

      32.

    Un colpo di Cesoia

    Il primo campo con tribuna della storia rossoblù si stende fuori porta San Vitale, lungo l’attuale via Massarenti. Si chiama Cesoia, ed è davvero un taglio col passato. Qui, dove sorgeva sin dal 1820 un’osteria in cui viandanti romagnoli dormivano e ferravano i cavalli, viene realizzata la prima piccola tribuna in legno, a pochi passi dal terrapieno lungo il quale corre la linea ferroviaria. È un impianto – si legge dal «Resto del Carlino» – «realizzato a regola d’arte, dotato di ogni comodità». La partita di debutto («un’interessante gara di foot-ball cui, siamo certi, non mancherà nessun sportmann bolognese») si gioca il 26 febbraio 1911 alle 14:30 tra Bologna e Venezia. Finisce 3-0 e quasi non c’è gara, «perché la squadra veneziana – annota il cronista – appare affiacchita, i suoi uomini mancano di velocità e quando anche si avvicinano alla porta bolognese vengono respinti dai due ottimi terzini, che con calci poderosi fanno fare alla palla dei lunghissimi voli». La vita della Cesoia, onorata ma breve: nel 1913 è già tempo di traslocare.

      33.

    Guido Della Valle, portiere mai più

    Erano tempi in cui non si poteva andare per il sottile. Il difensore Guido Della Valle lo sapeva e non accampò scuse quando si trovò costretto a retrocedere in porta per sostituire l’infortunato Guardigli. Difendere coi piedi e con le mani, in fondo, non era che un modo diverso di fare la stessa cosa. Il debutto tra i pali non fu glorioso, ma nemmeno il disastro che si poteva immaginare: 1-0 per il Venezia sul campo del Bologna. Un mese più tardi, il 23 febbraio 1913, Guardigli si dette di nuovo malato. Coincidenza volle che l’avversario fosse sempre lo stesso, il temibile Venezia. Della Valle, con lo spirito temprato dalla prima prova, accettò ancora l’incarico di portiere ad interim. Ma quel giorno i veneziani non si accontentarono di vincere di misura. Ne fecero otto. E per il povero Della Valle, destinato da lì a due anni a morire in trincea, calò il sipario sulla sua seconda vita coi guantoni.

      34.

    Una locanda per cambiarsi d’abito

    Col nuovo campo della Cesoia, il Bologna comincia a incassare le prime discrete somme. Per il terreno di gioco viene pagato un canone d’affitto, ma le tribune in legno garantiscono denaro grazie al biglietto d’ingresso. Gli investimenti nel pallone, insomma, non sono a fondo perduto. Ultimati i lavori, ci si accorge però che rimane irrisolta una delicata questione di decoro: l’utilizzo degli spogliatoi. E qui non si parla solo di cortesie per gli ospiti, ma di un dettato preciso della Federazione. Senza quel requisito, il campo del Bologna non può essere omologato. Il presidente Domenico Gori escogita allora un diversivo: prima promette agli organi federali di sistemare la lacuna poi, ottenuto il placet sulla fiducia, contratta con i padroni della confinante locanda Cesoia un accordo in cambio merce. Per un paio di settimane i giocatori potranno utilizzare due stanze al piano superiore come spogliatoi e deposito salmerie. A patto, s’intende, di scendere dabbasso, per fermarsi a consumare la cena dopo ogni partita.

      35.

    Il derby musicale della Coppa Verdi

    Al torneo dedicato al centenario della nascita di Giuseppe Verdi, nel settembre 1913, i rossoblù si presentarono a Parma come intrusi musicali. Bologna era infatti da più di quarant’anni una città a vocazione wagneriana. E nel più celebre duello di critica tra Verdi e Wagner, il teatro Comunale aveva deciso di parteggiare nettamente per la causa tedesca, diventato il primo palcoscenico italiano a proporr Lohengrin, Tannhäuser, Olandese Volante, Tristano e Isotta e Parsifal, cinque dei tredici drammi musicali del genio di Lipsia. Dal 1872, Wagner era diventato anche cittadino onorario di Bologna, sebbene vi avesse soggiornato appena il tempo necessario per assistere al suo Rienzi. Giocare a Parma, nel feudo di Verdi, e in un torneo a lui intitolato, sembrava un controsenso artistico. E infatti il Bologna, pur guadagnando la finale battendo il Brescia, fu sconfitto dal Modena negli ultimi minuti. La Coppa Verdi non entrò mai nelle bacheche nemiche.

      36.

    Il campo inclinato

    Dal 1913 al 1926 il Bologna attacca e difende in pendenza. Succede almeno una volta a partita, poiché il campo da gioco in località Sterlino, in via Toscana 79 (ora via Murri), soffre di una sensibile inclinazione tra una porta e l’altra: più di un metro, diluito sui cento di lunghezza. Per la prima volta nella sua storia, tuttavia, il Bologna può godere di comode tribune in muratura e tettoie, rendendo lo spettacolo simile a quello degli appassionati inglesi. Dopo i Prati di Caprara e il campo della Cesoia, si tratta del terzo impianto usato dal Bologna, il più longevo dopo l’attuale Dall’Ara. Nel 1921 lo Sterlino cambia nome e diventa Campo Angelo Badini, in memoria del calciatore oriundo morto di setticemia a soli ventisei anni. Quando i rossoblù si trasferiscono al Littoriale, lo Sterlino diventa campo da rugby fino al 1937, poi demolito nel 1969.

      37.

    Lo champagne sulla traversa

    La bottiglia di champagne che, secondo controversa leggenda, non s’era frantumata al battesimo del Titanic non deve aver impressionato i colletti inamidati del bel mondo bolognese, quando il 30 novembre 1913 si ritrovano allo Sterlino per la cerimonia d’inaugurazione del nuovo campo. L’avvenimento è così sentito che, tra bandiere, stendardi e gran sfoggio di galanterie per signore, si nomina addirittura una madrina, la signora Sbarberi, moglie del dirigente e futuro presidente ad interim del Bologna. A lei è deputata la fatale operazione del varo. Per fortuna dei presenti, la Sbarberi sceglie il montante più comodo, il palo destro. Una foto immortala l’operazione: vestita con vistoso cappello a pennacchio e con ampio collo di pelliccia, la madrina protende prudentemente il braccio destro e compie il rito tra gli hurrà dei calciatori.

      38.

    Il discorso di Lipparini

    È uno scrittore di scuola carducciana a dare dignità letteraria al nuovo campo dello Sterlino. Il 30 novembre 1913 Giuseppe Lipparini (1877-1951) introduce, con gran foga oratoria, la sfida tra Bologna e Brescia, un inno alla bellezza del calcio: «Qualche volta ho lasciato a mezzo un periodo o una strofa per correre ad ammirare un calcio ben dato, o un pallone ben riparato: soprattutto per ritemprarmi l’animo in questo spettacolo di forza, di bellezza, di giovinezza, di audacia, onde si compone il fascino singolare di questo gioco. La letteratura italiana non ci ha perduto nulla: probabilmente ci ha guadagnato la mia salute». E ancora: «[nel calcio] ci vuole animo risoluto contro le piccole disgrazie che spaventano molti: bisogna imparare a non temere il dolore, anzi a non sentirlo neppure. E questa, piaccia o non piaccia, è una scuola di vita, che giova più delle massime dei filosofi e delle declamazioni dei poeti. Mi sia quindi lecito terminare con un saluto alla forte squadra avversaria e alla città sorella, dove i giovani bresciani torneranno stasera, dopo aver sperimentata, vincitori o vinti, la fraterna cortesia di Bologna».

      39.

    L’impossibile livellamento

    Se il campo della Cesoia era tutto sassi e (poca) erba, quello dello Sterlino presentava un problema ancor più evidente: l’inclinazione. Si trattava di un metro abbondante sui cento di estensione. Fu chiaro a tutti che si sarebbero resi necessari lavori di livellamento. Ma a quali costi? Venne chiamato un ingegnere esperto in costruzioni, ma la risposta fu raggelante. Non solo la cifra sarebbe stata sproporzionata al risultato, ma nemmeno un intervento simile avrebbe garantito la tenuta negli anni. Lo Sterlino era nato obliquo e tale doveva restare. Così, alle sofferenze dei calciatori in pendenza si pensò di dare sollievo con la costruzione di spogliatoi all’avanguardia: nacquero i primi luoghi deputati al cambio e ai massaggi, con docce, lettini e ampie vasche. E per non indisporre il direttore di gara, si ricavò pure una stanza privata, a protezione in caso di tumulti.

      40.

    Le donne non pagano

    Ingentilire gli scontri di gioco era utopia, in uno sport che attingeva linguaggio e ispirazione al bellicoso repertorio degli eserciti. In tribuna, però, si poteva ancora fare qualcosa. Il presidente Rodolfo Minelli, commerciante di liquori con una propria casa di rappresentanza in via Ghirlanda, intuì in tempi non sospetti il potenziale di una folta presenza di pubblico femminile in tribuna. Era l’unico modo per penetrare ancor più all’interno della società, attirare nuove persone non necessariamente appassionate di calcio, trasformare l’evento in un buon salotto cittadino. Così, alle prime forme di pubblicità per far conoscere il Bologna, Minelli unì un colpo di genio commerciale: biglietto gratuito e omaggio floreale a tutte le donne. All’inaugurazione dello stadio Sterlino, nel 1913, i cappelli colorati non si contavano più.

      41.

    La casa del custode

    Lo stadio Sterlino era il primo in Italia ad aver ricorso al cemento armato, necessario per stendere lo zoccolo della tribuna coperta. Ma fu anche tra i primi templi del calcio a essere sorvegliato da un custode in esclusiva. Si trattava di Romolo Cocchi e abitava in una casupola costruita a pochi metri dal campo. Vi prese possesso nel 1913, poco dopo l’inaugurazione ufficiale. E lì rimase per quattordici anni. Poi, col doloroso trasloco, siccome la vita del Bologna era diventata anche la sua, si trasferì nel nuovo Littoriale, restandone il fedele custode fino alla morte, avvenuta nel 1956.

      42.

    La maledizione dei fratelli Alberti

    Per non sovrapporli, gli almanacchi hanno avuto bisogno di assegnar loro i numeri i e ii. La morte, invece, non ha fatto distinzione per Guido e Cesare Alberti, fratelli calciatori di San Giorgio di Piano, separati da sette anni, uniti da un talento non comune per il calcio. Il primo era nato nel 1897 e poteva dirsi membro del Bologna dei pionieri, quello che prima della Grande Guerra mise le basi per la ripresa post bellica; il secondo si mosse proprio su quel solco, ereditando dal fratello uno slancio generoso che gli faceva trovare il gol con disarmante facilità, anche fuori dai confini bolognesi. La sorte ne avrebbe preteso quasi subito gli spiriti: e come se avesse deciso per entrambi la medesima durata, recise il filo della vita nello stesso punto. Guido, a causa di un virus contratto in trincea; Cesare per un’infezione batterica di frutti di mare. Entrambi salutarono a ventuno anni.

      43.

    Un team manager ante litteram

    Definirlo factotum sarebbe riduttivo. Alessandro Oppi faceva di tutto, ma non con la qualifica del maggiordomo di casa. Era, più modernamente, il primo team manager della storia del calcio: segretario, organizzatore, diplomatico, contabile, addetto stampa, club manager e risolutore di problemi. Dalla sua scrivania sono transitati, dal 1913 al 1949, tutti i fogli e gli incartamenti della società. Oppi era un imprenditore nel ramo coloniali e mai si sarebbe immaginato di piantare in asso l’azienda per diventare segretario generale di una società sportiva appena nata. Ma è quello che accadde quando il presidente Minelli gli propose un incarico, in fondo ancora tutto da inventare. Dalla sua sagace lungimiranza hanno attinto anche federazioni straniere, ammirate dalle capacità logistiche e organizzative di un uomo solo al comando. Sotto il presidente, infatti, c’era solo lui, macchina inesauribile di un Bologna che si faceva già riconoscere nel mondo.

      44.

    L’oblio sfiorato

    Il pisano Guido Pera ha rischiato d’essere escluso per sempre dalla storia del Bologna. Ha scampato d’un soffio l’eterno oblio scendendo in campo il 24 novembre 1912, in occasione della sfida casalinga contro l’Hellas Verona, la sua unica partita ufficiale in tre anni di militanza rossoblù. E tuttavia essere stralciato dalla memoria degli almanacchi sarebbe stata una vera ingiustizia. Pera era considerato infatti un attaccante di riserva. Per lui era quasi impossibile sperare di comparire nelle dieci partite del campionato veneto-emiliano. Viceversa, era sempre il primo a esser scelto per le numerose amichevoli che rimpolpavano l’attività agonistica dei primordi. La sua specialità erano i derby contro il Modena. Poi, stanco d’esser solo un rincalzo, trovò spazio tra i milanesi della Forza e Coraggio e infine a Pisa, per un dorato viale del tramonto a due passi da casa.

      45.

    I giorni di Parsifal

    Negli ultimi giorni del 1913 sportivi e melomani di Bologna erano in fibrillazione. Chi era entrambe le cose rischiava la nevrosi. Il 28 dicembre allo stadio Sterlino andava in scena la sfida di ritorno con l’Hellas Verona, appuntamento campale, dopo l’umiliante 8-2 dell’andata. Il primo gennaio, invece, al teatro Comunale era in programma il debutto italiano di Parsifal, il grandioso dramma mistico di Richard Wagner, atteso in tutta Europa dal 1882. Vigeva infatti da trent’anni il divieto assoluto di rappresentarlo, eccetto che al teatro di Bayreuth in Germania, il tempio sacro del compositore. Il primo giorno utile per il suo allestimento, senza violare i diritti d’autore, cadeva con l’avvio del 1914. Bologna, che a Wagner aveva consegnato la cittadinanza onoraria, fremeva per essere la prima città in Europa a mettere in scena il capolavoro. Ci riuscì, ma il primato fu stabilito solo in Italia. Barcellona, infatti, aveva fatto partire la musica allo scoccare preciso della mezzanotte. Andò meglio al Bologna, che trentasei ore prima s’era vendicato del Verona, trionfando 3-1.

      46.

    Un quattordicenne alla prova di maturità

    Se Federico Rossi fosse nato un secolo dopo, avrebbe giocato appena due categorie sopra i pulcini. Nel 1914, invece, gli toccò in sorte di esordire in campionato a quattordici anni. Accadde il giorno del santo patrono, nella sfida tra Bologna e i milanesi della Juventus Italia. Finì 0-0 e la buona prova difensiva del ragazzino convinse il gruppo a riconfermarlo per la successiva gara con l’Audax Modena. In trasferta, però, il contraccolpo si fece sentire. I rossoblù rincasarono con quattro gol e Rossi fu accantonato. La guerra, da lì a

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