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American Icon: Miti e leggende dello sport a stelle e strisce
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E-book164 pagine2 ore

American Icon: Miti e leggende dello sport a stelle e strisce

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Info su questo ebook

Il rapporto tra Stati Uniti e sport è profondo, totale, ancestrale. Sono talmente peculiari, dal punto di vista sportivo, gli Stati Uniti, da averne inventati alcuni, come basket, ormai planetario, baseball e football, importati e resi universali altri, come il golf, sublimati altri ancora, come l’atletica leggera. Lo sport è da sempre una parte fondamentale dell’educazione scolastica e poi della vita di qualunque americano. Un compendio di storia dello sport USA doveva quindi necessariamente tenere conto dell’evoluzione della società stessa, delle dinamiche politiche ed economiche che hanno trasformato gli Stati Uniti nel corso del tempo in uno dei paesi leader mondiali anche in campo sportivo. La scelta è stata quella di tratteggiare i profili di un numero limitato di protagonisti, coloro che Valerio Iafrate definisce miti e leggende, che più di ogni altro, o altra, hanno caratterizzato il loro periodo. Il risultato è un viaggio affascinante, lungo 121 anni, 13 capitoli e tanti ritratti di atlete ed atleti, donne e uomini che con le loro gesta, il loro esempio, le loro virtù (e qualche difetto) hanno divertito, ispirato e fatto sognare milioni di appassionati.
LinguaItaliano
EditoreLab DFG
Data di uscita17 ott 2022
ISBN9791280642356
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    Anteprima del libro

    American Icon - Valerio Iafrate

    Capitolo 1

    1900 – Theodore Roosevelt, l’inizio

    Golf, soprattutto. Ma anche football, baseball, basket, running, bowling, nuoto. E persino il pugilato o la pesca. Il rapporto tra lo sport e gli inquilini della Casa Bianca è sempre stato molto stretto, addirittura alla base, secondo alcuni storici americani, del loro modo di governare. «Presidenti come George H.W. Bush o Dwight Eisenhower – sostiene John Sayle Watterson, autore di The Games President Play: Sports and the Presidency – che al college avevano praticato sport di squadra, erano soliti, prima di prendere importanti decisioni, riunire sempre i propri più stretti collaboratori per ascoltare i loro consigli. Un uomo solitario come Herhert Hoover, che non a caso amava la pesca, preferiva al contrario decidere quasi tutto da solo: se Hoover avesse giocato a football o a baseball – conclude Watterson – probabilmente alcune sue decisioni sarebbero state diverse, dopo essersi confrontato con i suoi collaboratori, come in uno spogliatoio».

    Al di là delle tesi politico-sportive di Watterson, nel corso degli anni la Casa Bianca è stata spettatrice, e in qualche caso teatro, delle gesta sportive dei Presidenti, a partire dal primo. George Washington, il padre della nazione americana, venne definito da Thomas Jefferson, nel suo discorso d’insediamento alla Casa Bianca, il 4 marzo 1801, «il miglior cavaliere della sua epoca, e in assoluto la figura più aggraziata che, al tempo, potesse capitare di vedere montare a cavallo». E in effetti a fianco del Generale Washington per tutta la durata della Guerra d’Indipendenza ci furono Nelson e Blueskin, due quarter horse che, al termine del loro servizio attivo trascorsero il resto della loro esistenza a Mount Vernon, nella residenza padronale della tenuta presidenziale.

    In qualche caso la pratica sportiva alla Casa Bianca è ammantata di leggenda, come il match di pugilato che vide protagonista Abraham Lincoln. Che non era ancora il ventiseiesimo Presidente degli States nel 1830, quando venne sfidato da Jack Armstrong, un pugile dilettante di Clary’s Grove, la cittadina a poche miglia da New Salem, in Illinois, dove il futuro primo cittadino si era trasferito, adolescente, con la famiglia. In realtà più che Armstrong fu Denton Offutt, il proprietario del drugstore dove Lincoln lavorava come garzone a 8 centesimi l’ora, a raccogliere la sfida di Bill Clary, il proprietario di un saloon accanto al suo negozio, che scommise con lui 10 dollari sul fatto che Lincoln non fosse in grado di battere Armstrong. Il match, come racconta Carl Sandburg in Abraham Lincoln – The Prairie Years, fu organizzato nella piazza centrale di Clary’s Grove, di fronte a centinaia di persone, che puntarono sull’uno o sull’altro tabacco, whisky, coltelli e ogni genere di chincaglieria. Oltre ai soldi, naturalmente. Armstrong, muscolarmente molto più potente di Lincoln, sembrava nettamente il favorito, ma il futuro Presidente, più alto di almeno venti centimetri del suo avversario, riuscì a tenergli testa con il superiore allungo, respingendo ogni tentativo di assalto. Alla fine, stremato, Armstrong venne spedito al tappeto da un destro di Lincoln: si rialzò per proseguire, ma le forze ormai lo avevano abbandonato. Anche Lincoln, però, era in evidente difficoltà, e quindi propose ad Armstrong una conclusione onorevole per entrambi: «È chiaro che tu non puoi battermi ma nemmeno io sono in grado di farlo. È un incontro pari». Armstrong, nonostante i mugugni della folla, tese la mano al futuro presidente, che lo aiutò a rialzarsi. Lincoln e Armstrong, dopo quel primo, burrascoso one-to-one, divennero amici, e lo rimasero per sempre.

    Per alcuni presidenti lo sport rappresentò una necessità: Franklin Delano Roosevelt cominciò a nuotare, tre volte a settimana, per rinforzare spalle, braccia e torace e permettergli di rimanere in piedi e anche di percorrere qualche breve tratto di strada – con l’aiuto del solo bastone – lui che, a trentanove anni, colpito dalla poliomielite, stava meditando di abbandonare l’attività politica. Il nuoto, invece, gli fu di grande aiuto, tanto che, una volta eletto Presidente, il New York Daily News lanciò una sottoscrizione pubblica per la costruzione di una piscina nel giardino della Casa Bianca. Fu proprio grazie alla regolarità dell’esercizio fisico che Roosevelt riuscì a condurre una normale vita da primo cittadino degli States, soprattutto in occasione delle uscite pubbliche e dei discorsi ufficiali, che affrontava in piedi senza problemi.

    Nel 2018 Curt Smith, l’ex portavoce del Presidente George H.W. Bush, ha pubblicato I Presidenti e il Passatempo: una storia d’amore tra il baseball e la Casa Bianca (negli States il baseball è conosciuto come National Pastime, passatempo nazionale). Nel capitolo dedicato a John Fitzgerald Kennedy, che di baseball non era solo un appassionato, ma un tifoso accanito dei Boston Red Sox, Smith racconta un JFK inedito: «Nella preparazione di questo libro – scrive – ho parlato con tanti sportivi professionisti, di diverse discipline. Uno di loro mi disse che se John Fitzgerald Kennedy non avesse avuto problemi alla schiena, e avesse voluto farlo, sarebbe stato certamente un ottimo golfista professionista, da primi posti nel PGA Tour. Il suo swing aveva qualcosa di meravigliosamente lirico».

    La definizione di scaldapanchine, invece, accompagnò Richard Nixon per tutto il periodo al trascorso al Whittier College, in California, quattro anni nei quali giocò pochissimo – troppo piccolo e leggero per essere un uomo di linea, troppo poco veloce per essere un runningback – senza tuttavia mai perdere la determinazione, quella capacità di applicazione quasi feroce che lo contraddistingueva negli allenamenti, durante i quali più cadeva, travolto da compagni più forti e veloci, più si rialzava; quella stessa tenacia che lo portò, una volta intrapresa la carriera politica, fino alla Casa Bianca. Dove, prima di essere travolto dallo scandalo Watergate, che il 9 agosto 1974 lo costrinse alle dimissioni, primo e unico, finora, Presidente americano a sottoscrivere di proprio pugno l’uscita di scena, si dedicò, quasi ogni giorno, e, secondo i critici, anche con notevole abilità, al bowling. Con la moglie Pat, infatti, trascorreva i momenti liberi sulla pista a una sola corsia che aveva fatto costruire appositamente nell’ala Est della residenza presidenziale. Il football rimase in ogni caso la passione principale di Nixon, almeno da guardare: uno dei suoi migliori amici era George Allen, il capo allenatore dei Washington Redskins. Rimane un alone di mistero, tuttavia, su uno schema di corsa suggerito da Nixon all’amico, da usare nel corso del Superbowl del 1973: che sia vero o no, non doveva trattarsi di uno schema particolarmente brillante, visto che i Redskins vennero sconfitti 14-7 dai Miami Dolphins, e riuscirono a segnare solo a 2 minuti e 7 secondi dalla fine. A differenza di Nixon, il suo successore alla Casa Bianca, Gerald Ford, nel football eccelleva, eccome. Nonostante le gag su di lui del Saturday Night Live che in una puntata lo definì «il goffo Presidente», per la sua andatura ciondolante e dinoccolata, la propensione a sbattere continuamente contro spigoli e stipiti, e le immagini della pallina da golf che piomba sulla testa di uno spettatore dopo un suo drive, Ford resta uno dei più grandi atleti che abbiano frequentato la Casa Bianca da padrone di casa. Le sue gesta come centro e come linebacker dei Wolverines della University of Michigan, con i quali conquistò due campionati nazionali, non passarono inosservate, e il futuro Presidente ricevette due offerte per diventare professionista, dai Detroit Lions e dai Green Bay Packers, ma le rifiutò entrambe, per arruolarsi nella Marina e imprimere come ufficiale, nel corso della Seconda guerra mondiale, la spinta decisiva sull’importanza fondamentale della preparazione fisica per i piloti dei cacciabombardieri, sottoposti a uno stress del tutto paragonabile a quello di un giocatore di football professionista. Lo sport, insomma, fu l’insostituibile compagno di vita di Gerald Ford, e anche quando, nel 1974, a sessantun anni, prese il posto del dimissionario Nixon, non smise di nuotare ogni giorno, di sciare e di giocare a tennis. E anche di frequentare il green, nonostante il suo swing non ricordasse, nemmeno da lontanissimo, quello di JFK.

    La passione sportiva era una caratteristica anche di casa Bush. Vela, parapendio, equitazione, tennis, golf: non c’era una disciplina della quale i due presidenti, padre e figlio, non fossero appassionati praticanti. Entrambi, al college, avevano giocato a baseball e a football, con George H.W. che poteva vantare anche discrete percentuali di battuta sul diamante. Il baseball, per Bush Jr., rappresentò invece una remunerativa forma di investimento. Nel 1989, infatti, alla conclusione della campagna elettorale che avrebbe portato Bush Sr. a Washington, acquistò per 89 milioni di dollari, insieme a un gruppo di amici del padre, imprenditori e petrolieri, l’intero pacchetto azionario dei Texas Rangers, la squadra della Major League, della quale figurò tra i proprietari fino al 1998, l’anno della vendita al miliardario Tom Hicks per 250 milioni di dollari, con un guadagno, per lui, di 14 milioni. Scaltro in affari, certamente, ma anche quando si trattava di allacciarsi le scarpe da running, George W. non temeva confronti. Nel 1993, qualche mese prima di diventare Governatore del Texas, corse la maratona di Boston in 3.44.52, con una media di 5.35 al km; ancora più impressionante, però, fu la sua performance del 2002 quando, da Presidente, partecipò a una gara sulla distanza delle 3 miglia (4,82 km) e la chiuse in 20’29, con un passo appena appena superiore a 4’ al km, una prestazione notevole per un cinquantacinquenne. Del resto, però, Dan Emmett, l’agente segreto responsabile della scorta presidenziale, sottolineò, in un’intervista al Wall Street Journal, come fossero davvero pochi gli agenti in grado di accompagnare Bush Jr. nelle sedute di allenamento: «Il Presidente – disse Emmett – non è un semplice jogger ma un vero e proprio runner». Una volta lasciata la Casa Bianca, peraltro, George W. ha sostituito le scarpe con la bici: dal 2009, infatti, l’ex Presidente organizza, nel suo ranch in Texas, la Warrior 100-K, un evento in mountain bike riservato ai militari feriti in combattimento, durante il quale vengono raccolti fondi da destinare alle famiglie dei reduci.

    Un’attenzione, quella per i veterani delle forze armate, che contraddistinse in maniera importante anche il mandato del successore di Bush alla Casa Bianca: uno degli ultimi atti ufficiali del primo Presidente afroamericano, infatti, fu la trasformazione in legge del cosiddetto Hire Heroes Act del 2011 nel Veterans Opportunity to Work (vow), per favorirne l’ingresso nel mondo del lavoro al termine del servizio in divisa. Dal punto di vista sportivo, invece, la passione di Barack Obama era, ed è, il basket: cresciuto alle Hawaii, ala piccola, mancino, il futuro quarantaquattresimo Presidente vinse un campionato liceale dello stato nel 1979, ma quelle che hanno fatto il giro del mondo sono le immagini delle sue performance con la palla a spicchi nel playground della Casa Bianca, impegnato in tiratissimi due contro due con protagonisti anche il Segretario per l’Educazione, Arne Duncan, che era stato capitano della squadra riserve ad Harvard, e soprattutto l’assistente personale, Reggie Love, che nel 2001, con la canottiera dei Blue Devils di Duke, conquistò il titolo NCAA.

    Lo sport, quindi, ha sempre rappresentato un elemento importante nelle dinamiche presidenziali, come il ricevimento annuale dei campioni NBA, NFL o MLB, una tradizione ultradecennale. In una di queste circostanze, proprio Obama, tifoso dei Chicago White Sox, venne simpaticamente preso in giro («Per fortuna almeno la First Lady tifa la squadra giusta della città, ma io, signor Presidente, le offro il mio perdono») dal proprietario dei Cubs, Thomas Stuart Ricketts, quando, nel 2016, vennero ricevuti dopo la vittoria nelle World Series che riportò il titolo a Chicago, spezzando la maledizione della capra e interruppe 106 anni di astinenza, il più lungo periodo senza vittorie da parte di una squadra nella storia dello sport mondiale.

    Nessun altro Presidente statunitense, tuttavia, ha avuto un impatto maggiore, sullo sport americano, e in particolare sulla sua organizzazione, di Theodore Roosevelt. All’inizio del xx secolo, la pallacanestro era stata appena inventata dal professor James Naismith, e la sua diffusione era ancora relativa: il football e il baseball, perciò, erano gli sport più popolari degli Stati Uniti. Il football, in particolare quello dei college, attirava decine di migliaia di spettatori a partita e rivaleggiava con il baseball professionistico a livello di appeal nei confronti degli appassionati. A fine Ottocento e nei primi anni del

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