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Musica solida
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E-book604 pagine9 ore

Musica solida

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Info su questo ebook

Musica Solida, cioè la musica incisa su supporto fisico, che sia ceralacca, vinile o cd, contrapposta a quella attuale, liquida o, come uno dei discografici intervistati nel volume la definisce efficacemente, gassosa. La musica del passato, che spesso ha rivestito un ruolo rilevante socialmente e culturalmente, raccontata attraverso la storia di chi in Italia l’ha fabbricata, cioè le case discografiche, dalle origini in forme ancora artigianali fino agli sviluppi del secondo dopoguerra e del boom dei 45 giri, per arrivare ai decenni successivi e alle crisi dovute all’evoluzione tecnologica dei supporti, fino ad arrivare alla quasi totale eliminazione di essi e alla sostituzione dei solchi dei vinili con una serie di 1 e 0. Un pretesto per riscoprire, attraverso la ricerca storica, le radici culturali di questo mondo musicale che è stata arte ma anche scienza al servizio dell’arte.
LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2020
ISBN9788833860534
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    Anteprima del libro

    Musica solida - Vito Vita

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    Prefazione di Giangilberto Monti

    Capitolo 1 – Il disco a 78 giri: la gommalacca

    L’invenzione del fonografo e del grammofono

    La nascita dell’industria discografica

    La diffusione del fonografo e del grammofono in Italia

    Dallo spartito al vinile, la prima discografia italiana

    Capitolo 2 – L’industria discografica italiana tra le due guerre

    L’arrivo del jazz in Italia e la nascita della radio

    La nascita della Cetra

    La Fonotecnica e la Fonit

    Pathé, Parlophon, Odeon e le altre etichette estere

    Ladislao Sugar e le Messaggerie Musicali

    Vcm e Durium

    Persic Fono e Phonotype

    Capitolo 3 – Il secondo dopoguerra: l’avvento del vinile

    La Cgd di Teddy Reno

    La Durium di Krikor Mintanjan

    La Saar dei fratelli Gürtler

    La famiglia Carisch

    La Napoli della Vis Radio

    La Rca del Vaticano

    Fonit & Cetra

    I torinesi della Sonovox

    La Dischi Ricordi SpA

    Gli olandesi della Philips e gli inglesi della Decca

    La prima multinazionale

    Le etichette minori

    I primi cantanti-discografici, da Carosone a Celentano

    Capitolo 4 – Il trionfo del 45 giri e il boom della discografia italiana negli anni Sessanta

    La Carosello

    The Red Record e Cdi

    La Saar degli anni Sessanta

    Phonocolor e Style

    Il gruppo Meazzi

    I fratelli Rossi: la Juke Box di Carlo Alberto e la Ariston di Alfredo

    La Vedette di Sciascia

    La Ri-Fi Records di Ansoldi

    Karim e dintorni

    La Bluebell, la Belldisc e la Mini Rec di Tony Casetta

    La Durium degli anni Sessanta

    La Phonogram

    Piccole etichette torinesi: Excelsius, Emanuela, Dfk, Cedi

    Piccole etichette milanesi: Combo, Alpha Record, Mec, Maietti

    La Napoli degli anni Sessanta

    La Rca degli anni Sessanta

    La Ricordi di Vincenzo Micocci

    C’era una volta un Clan

    Le etichette di Agostino Campi

    La Fonit-Cetra

    La Cgd di Ladislao Sugar

    Altre etichette milanesi…

    Altre etichette romane…

    La Pdu di Mina

    I Dischi del Sole

    Capitolo 5 – Gli anni Settanta: l’avvento del 33 giri

    La Numero Uno di Mogol & Battisti

    La Rca e le etichette di Micocci

    La Produttori Associati di Casetta

    La Ricordi di Lucio Salvini

    La Durium dei Settanta

    La chiusura della Ri-Fi

    L’Ariston di Alfredo Rossi

    La Cgd di Piero Sugar e la Ascolto di Caterina Caselli

    La Emi Italiana di Scussel

    Dalla Phonogram alla Polygram

    La Wea italiana

    Il gruppo Saar nei Settanta

    Piccole etichette milanesi: Telerecord, Car Juke-Box e Sif

    La Carosello di Gramitto Ricci

    Dalla Vedette all’Editoriale Sciascia

    La Pdu di casa Mazzini

    Le prime etichette alternative: Bla Bla, Cramps, Ultima Spiaggia

    Le romane Cat, Erre, Picci, Yep e Aris

    Il sound napoletano di Splash e Bbb

    Il declino della Fonit-Cetra

    Torino senza Fonit Cetra: Voom Voom, Shirak, Mu Records, Drums

    Le piccole milanesi: Disco Tec, Basf, Dig-It, Spaghetti Records

    Capitolo 6 – Gli anni Ottanta: il declino del vinile e l’avvento del compact-disc

    La Baby Records

    Lupus, Bubble Record, FaDo, Panarecord, Discomagic e l’italodisco

    Dalla Rca alla Bmg

    La Ddd – La Drogueria di Drugolo

    Dalla Ricordi alla Bmg

    Dalla Cbs alla Sony Music

    Dalla Cgd alla Warner

    Sgm, Five Record e Rti Music

    Emi, Virgin e It

    La Polygram

    La Fonit-Cetra

    La chiusura di Ariston e Durium

    La Pdu

    La Carosello resiste

    L’ascesa delle etichette indipendenti

    Capitolo 7 – La musica gassosa

    alfredo gramitto ricci

    stefano patara

    roberto razzini

    Grazie…

    contrappunti

    ©

    2019

    Miraggi Edizioni

    via Mazzini 46,

    10123

    Torino

    www.miraggiedizioni.it

    Progetto grafico Miraggi

    Finito di stampare a Borgoricco (PD)

    nel mese di settembre

    2019

    da Logo

    Srl

    per conto di Miraggi Edizioni

    su Carta da Edizioni Avorio – Book Cream 80 gr

    Prima edizione digitale: settembre

    2019

    isbn

    978-88-3386-053-4

    Prima edizione cartacea: settembre

    2019

    isbn

    978-88-3386-045-9

    Prefazione di Giangilberto Monti

    Non uscite a cena con Vito Vita, vi sfinirà di musica. Pare sappia tutto… e chissà se poi è vero, ma quando voi pensate di saperne di più su un cantante, un disco o una canzone, lui aggiunge un particolare, un frammento, un si dice. Insomma, non usciteci, anche perché è inutile cercarlo: non risponde mai al telefono. E se vi desse un appuntamento, non credeteci. È uno di quei pochi critici musicali che la musica l’ha fatta veramente. In un tempo magico, o forse lontano, quando andava di moda la musica demenziale, in tutte le sue declinazioni ritmiche. Ma insomma, Vito voleva scrivere un libro, raccontare tutta la musica che aveva ascoltato… e perfino quella che gli avevano raccontato. Perché l’uomo, quando ha un attimo di tempo libero – e nessuno sa mai quando – va in giro a fare domande, s’incuriosisce per tutto. Sapeva più cose lui, sulla mia carriera, che io su me medesimo… e perché mai uno così non dovrebbe scrivere un libro sulla musica solida? Che poi è quella che si tocca con mano… E che una volta girava su piatti stratosferici e dischi grandi molti centimetri. Tanto che forse ci gira ancora oggi. E se quella musica la portassero su Marte, ebbene Vito Vita sarebbe lì, a ricordarti che lui, quella musica ce l’ha tutta qui… un lavoro di anni, fatto d’interviste inedite (tante) e pubblicate (ancora di più), nelle più disparate riviste musicali lungo la Penisola. Che poi le abbia scritte su carta, in testa o su qualche computer, cosa v’interessa? Sono tutte vere.

    Ci sono nomi noti e meno noti, fatti che non trovereste in nessun articolo della rete, e soprattutto personaggi che tutto questo l’hanno vissuto e toccato con mano, e che non si erano mai confidati prima. Perché questo mondo è bellissimo dal di fuori, ma da dentro è come una vasca di squali, che a vederli sembrano innocenti branzini, ma che non vi converrebbe mai mangiare, perché vi mangerebbero prima loro.

    E comunque con Vito Vita non riuscireste mai a parlarci, perché lui è in giro a far domande… e sa già tutto quello che avete in mente di chiedergli. Anzi, ve lo racconta lui, in questo libro, che secondo me ci voleva. Fidatevi…

    Capitolo 1 – Il disco a 78 giri: la gommalacca

    L’invenzione del fonografo e del grammofono

    Fino alla seconda metà del xix secolo la musica riprodotta non esisteva. È solo grazie all’invenzione del fonautografo da parte del francese Scott de Martinville, nel 1857, che Edison vent’anni dopo brevettò il fonografo e poi Berliner ideò il grammofono. Nei secoli precedenti, e in particolare dall’invenzione della stampa in poi, le composizioni musicali venivano trasmesse nel tempo e nello spazio grazie agli spartiti, il sistema di trascrittura delle note codificato dal monaco Guido d’Arezzo¹, poco dopo l’anno Mille. Scarne e incerte sono le notizie biografiche su di lui: nato tra il 990 e il 992, nonostante l’appellativo non vi è certezza del suo luogo di nascita, tanto che, oltre ad Arezzo, lo rivendicano Ferrara e Pomposa. Fu monaco benedettino, insegnante di musica e canto, e morì dopo il 1033. Nel frattempo lo spartito si affermò su altri sistemi più o meno contemporanei, che si erano diffusi in Europa², come il neuma, usato nel canto gregoriano a partire dal ix secolo, o la notazione adiastematica, diffusasi nel secolo seguente. Prima ancora la musica veniva trasmessa solo oralmente, che in ambito folk rimarrà a lungo la principale modalità di diffusione delle melodie tradizionali.

    Édouard-Léon Scott de Martinville (1817-1879) era un libraio ed editore francese di origini scozzesi che, a seguito dei risultati ottenuti con la fotografia per la registrazione dell’immagine, ebbe l’idea di studiare la possibilità di fare la stessa cosa con la voce: studiando il funzionamento dell’orecchio umano, decise di raccogliere il suono circostante utilizzando un corno, che collegò a un diaframma elastico, sul modello del nostro timpano. Il meccanismo faceva vibrare una setola di maiale, la quale registrava un’immagine su un cilindro a manovella, ricoperto di un pigmento di nerofumo. Nacque così il fonautografo, che tracciava così una riproduzione visiva delle onde sonore, senza però che queste fossero all’epoca riproducibili: è interessante notare che alcuni di questi fonautogrammi sono stati conservati e nel 2008 è stato possibile, tramite un’elaborazione informatica, riprodurre queste registrazioni. Una di queste risaliva al 9 aprile 1860 e la voce, quasi sicuramente dello stesso Scott de Martinville, cantava le parole «Au clair de la lune, Pierrot repondit»³: la più antica registrazione di voce umana mai riprodotta.

    Proprio a seguito dell’invenzione del fonautografo e di quella anteriore del telegrafo, partirono gli studi di Thomas Alva Edison (1847-1931), il più importante inventore statunitense della seconda metà dell’Ottocento. Registrò 1093 brevetti tra cui, oltre al fonografo, ricordiamo la lampada a incandescenza, il kinetoscopio, per la riproduzione delle immagini fotografiche in movimento, il dittafono, per registrare suoni mediante la scrittura con una macchina da scrivere, il tasimetro per misurare i raggi infrarossi e, purtroppo, anche la sedia elettrica. Ma Edison fu anche imprenditore, applicando alle sue invenzioni i principi della produzione industriale di massa, e infine economista, opponendosi alla prima legge antitrust degli Stati Uniti, lo Sherman Act del 1890.

    Edison rimase comunque nella storia dei supporti discografici, perché inventò un ripetitore telegrafico per incidere su disco i punti e le linee dell’alfabeto Morse in un’unica traccia a spirale, per poter ripetere un messaggio senza l’intervento umano: un giorno, facendo ruotare il disco a velocità più elevata del solito, si accorse che le vibrazioni emesse dalla puntina ricordavano la voce umana, e da lì ebbe l’idea di applicare lo stesso principio del ripetitore telegrafico dall’alfabeto Morse proprio alla voce, incidendo quindi le onde sonore da essa prodotte su un cilindro che ruotava intorno a un rullo.

    Edison chiamò il suo apparecchio fonografo, lo mostrò a i suoi collaboratori nel dicembre 1877 e lo brevettò due mesi dopo. Oltre che per incidere il materiale che ricopriva il cilindro rotante, il fonografo poteva essere usato per la riproduzione del solco, utilizzando una membrana inserita in un supporto collegato alla punta del fonografo, che vibrava a seconda delle oscillazioni di quest’ultima⁴. Il materiale su cui veniva incisa l’onda sonora poteva variare: all’inizio fu usato un foglio di carta stagnola, poi la cera⁵, grazie all’intuizione di Chichester Bell e Charles Tainter, che nel 1880 brevettarono con questa innovazione il grafofono e la celluloide. In Europa il primo fonografo con la cera al posto della carta stagnola fu presentato all’Accademia delle Scienze di Parigi il 23 aprile 1889 da un socio inglese di Edison, il colonnello Gourand, davanti a una platea di giornalisti e scienziati.

    Le prime applicazioni del fonografo furono legate alla registrazione di lettere per gli uffici e per brevi messaggi, e solo dopo qualche tempo si cominciò a pensare alla registrazione di brani musicali: d’altro canto la durata massima dei primi cilindri era di circa due minuti. Per la produzione di questi cilindri Edison fondò la Edison Speaking Phonograph Company, che possiamo considerare l’antenata dell’industria discografica mondiale; negli anni successivi tutti i principali cantanti dell’epoca, tra cui l’italiano Enrico Caruso, registrarono cilindri audio. La «Gazzetta Torinese», il quotidiano che in seguito diventerà «La Stampa», nel 1889 diede la notizia che Edison aveva iniziato a raccogliere con il suo fonografo le voci di tutti i grandi personaggi del tempo⁶, designando alcuni suoi rappresentanti per raccogliere il materiale in giro per il mondo: il primo ad aderire fu il premier britannico William Gladstone⁷, che inviò la registrazione a Edison accompagnandola con un biglietto in cui si rammaricava che ormai la sua voce fosse solo più una rovina della sua antica. L’episodio è importante in quanto fa emergere un uso della nuova invenzione non più soltanto ludico o legato all’ambiente di lavoro, ma finalizzato alla raccolta di testimonianze storiche, mettendo quindi in luce un possibile utilizzo culturale di questo strumento. Per raccogliere queste voci Edison soggiornò nell’estate 1889 per qualche tempo a Parigi, dove fece anche un esperimento all’Accademia di Francia: registrò un’esecuzione orchestrale di un valzer di Chopin, che però fece eseguire a velocità dimezzata. In seguito, la riprodusse con il fonografo ma aumentò del doppio la velocità del cilindro, in modo che il valzer fu ascoltato con il suo ritmo effettivo⁸. Questo diventò il primo trucco usato in fase di registrazione nella storia della musica riprodotta, antesignano dei nastri rallentati usati decenni dopo da Renato Carosone, per registrare le vocine acute in alcuni suoi brani. Per pura curiosità, ricordiamo che Edison usò il fonografo anche in privato, registrando il pianto di sua figlia ancora bambina per farglielo poi ascoltare una volta diventata adulta⁹. Il 2 settembre 1889 avvenne invece la prima registrazione dal vivo di uno spettacolo: fu a Parigi, al Théâtre des Folies-Dramatiques. Vennero incisi sopra una serie di cilindri i principali motivi de Les Cloches de Corneville, opéra-comique di Robert Planquette¹⁰; il fonografo era stato posto nella buca del suggeritore.

    Il già nominato ingegnere tedesco Emile Berliner nacque ad Hannover il 20 maggio 1851, da famiglia ebraica, e si trasferì negli Stati Uniti nel 1870, per evitare di partire militare durante la guerra franco-prussiana. A New York iniziò a collaborare con Graham Bell – per il quale inventò il microfono usato poi nel telefono – affiancando suo cugino Chichester Bell e l’ingegnere associato Charles Tainter nell’invenzione del grafofono, e ottenendo infine il denaro per allestire un proprio laboratorio, dove preparò il suo grammofono.

    Emile Berliner applicò nel 1887 l’idea dello statunitense Thomas Edison a un disco, che veniva poi letto da un’apposita testina chiamata fonorivelatore, collegata a un corno che ne amplificava il suono. Modificò però il modo in cui il solco era inciso rispetto a quello ideato dall’americano, adottando uno spostamento a destra e a sinistra rispetto a quello in alto e in basso usato dall’americano. Inoltre il disco consentiva rispetto al cilindro la riproduzione più veloce di un certo numero di esemplari, usando uno stampo – detto master – del solco preparato.

    Berliner nel 1889 brevettò il disco fonografico¹¹, ma Edison, vista la concorrenza che questi dischi facevano ai suoi cilindri, intraprese una lunga battaglia legale per avere il riconoscimento dell’invenzione, che gli fu infine assegnato il 27 febbraio 1901 dalla Corte d’Appello degli Stati Uniti, in considerazione del fatto che Edison per primo aveva reso possibile la trasmissione su supporto delle onde sonore. Lo statunitense continuò quindi la produzione dei cilindri, con varie innovazioni tecniche per migliorare l’ascolto, affiancandola solo nel 1912 a quella dei dischi e abbandonandola definitivamente nel 1929, per poi scomparire a Washington, il 3 agosto dello stesso anno.

    La nascita dell’industria discografica

    Emile Berliner aprì dopo il suo brevetto un’industria per la produzione di dischi, la Berliner Gramophone, utilizzando come materiale la gommalacca – una resina naturale ricavata da un insetto diffuso in Asia orientale, la cocciniglia della lacca – e stabilendo come diametro 12,7 cm e una velocità di rotazione di circa 70 giri; a questo primo diametro fu affiancato nel 1895 il 17,5 cm e nel 1901 il 25 cm.

    Per molto tempo non vi fu una velocità fissa, e nei primi anni molte case discografiche stamparono dischi a 80 giri; solo nel 1925 la velocità fu fissata a 78,26 giri al minuto, che nell’accezione comune diventarono a 78 giri. Va ricordato che questi primi dischi a 78 giri non avevano etichetta, che apparve solo nel 1901: le informazioni sul titolo e l’esecutore erano impresse direttamente sul disco, che veniva inciso solo da un lato; in via sperimentale nel 1900 in Inghilterra furono pubblicati alcuni dischi incisi da ambo i lati, ma la pratica diventò comune solo nel 1908.

    Nel 1892 Berliner acquisì la United States Gramophone Company di Washington, creando poi nel 1896 la National Gramophone Company con sede a New York. Aprì anche una filiale in Gran Bretagna nel 1897, la Gramophone Company, l’anno dopo una in Germania, la Deutsche Gramophon¹² e infine inaugurò nel 1899 la Berliner Gramophone Company of Canada.

    Nel 1901 la National Gramophone cambiò denominazione in The Gramophone and Typewriter Company Ltd., indicata anche come G & T, e in seguito fu adottato come logo il celebre quadro di Francis Barraud, pittore di Liverpool, intitolato His Master’s Voice e raffigurante Nipper, il cane di razza Jack Russel Terrier del fratello Mark, che alla sua morte Francis aveva ereditato. Nipper era solito ascoltare dal grammofono la voce registrata del suo defunto padrone, mentre His Master’s Voice (La Voce del Padrone) diventò il nome ufficiale dell’etichetta.

    A cavallo tra vecchio e nuovo secolo, negli Stati Uniti e in Europa, nacquero molte case discografiche. Tra quelle che ebbero una vicenda storica più rilevante, citiamo la Columbia Records¹³, fondata nel 1888 a Washington, nel Distretto di Columbia – che ne ispirò il nome – da Roland Cronlin ed Edward Denison Easton, un rivenditore di fonografi e cilindri fonografici di Edison, che pubblicarono questo tipo di supporti fino al 1901, quando poi iniziò la produzione di dischi a 78 giri, dal 1908 incisi per la prima volta su ambo i lati.

    La Victor Talking Machine Company venne invece fondata nel 1901 a Camden, nel New Jersey, da Eldridge Reeves Johnson (1867-1945), un collaboratore di Emile Berliner che inizialmente si dedicò alla commercializzazione di fonografi e grammofoni, passando poi alla registrazione e alla distribuzione dei supporti.

    Concorrente della Victor, fu la Zonophone Company, fondata sempre a Camden da Frank Seaman nel 1901. Le esportazioni dei fonografi della Zonophone, chiamati talking machines (macchine parlanti) furono gestite da Frederick Marion Prescott, che impegnò molti agenti in Europa. Nel marzo 1901, Prescott organizzò l’International Zonophone Company a New York per poi recarsi a Berlino, dove fondò gli uffici europei della compagnia. Tra il 1901 e il giugno 1903 la International Zonophone Company produsse circa 6000 registrazioni in collaborazione con diversi agenti locali, tra cui la Anglo-Italian Commerce Company di Milano.

    La Brunswick Records nasce nel 1916, acquista la Vocalion nel 1925 – fondata anch’essa nel 1916 e nota per l’uso di una gommalacca di color rosso, considerata più resistente dell’usuale supporto nero – e viene acquisita nel 1939 dalla Columbia Records.

    Infine, la Radio Corporation of America, più nota come Rca, nasce nel 1919 per iniziativa della General Electric, società attiva nel settore dell’energia elettrica. Oggi fa parte del gruppo Sony, ma nel secondo dopoguerra diventerà la protagonista nel rilancio della discografia italiana.

    È poi interessante notare come, sin dalla fine dell’Ottocento appaiono negli Stati Uniti delle classifiche di vendita: la rivista The Phonogram pubblica i dati sui cilindri più venduti, che per le registrazioni di maggior successo arrivano a duemila copie, mentre nel 1896 una regolare classifica di vendita viene pubblicata da The Phonoscope, un’altra rivista, a cui si affianca nel 1900 quella di «Hobbies Magazine»¹⁴.

    La diffusione del fonografo e del grammofono in Italia

    In Italia la notizia della nuova invenzione, il fonografo, arrivò nello stesso momento in cui negli Stati Uniti la brevettava Thomas Edison: prova ne è un interessante trafiletto pubblicato il 2 febbraio 1878 sul quotidiano torinese antesignano de «La Stampa», la «Gazzetta Piemontese»:

    Non sono ancora cessate le esclamazioni di meraviglia e le lodi del telefono che la scienza ha già trovato un nuovo congegno più meraviglioso, ha già fatto un passo innanzi col fonografo. Se il primo trasmette i suoni nitidi, chiari, a grandi distanze, il secondo non solo li trasmette, ma li fissa per ripeterli poi quando piaccia a quelli cui sono diretti. Non ne diciamo di più, che di più e con brio e con vivezza d’ingegno ne parla oggi appunto il nostro rivistaio scientifico, signor D’Anfosso, in una bellissima conversazione scientifica pubblicata nella «Gazzetta Letteraria» e illustrata da incisioni originali¹⁵

    Poco più di un mese dopo, lo stesso giornale segnalò l’arrivo a Torino – dagli Stati Uniti d’America, con tappa in Inghilterra – del primo modello di fonografo¹⁶. L’anonimo articolista si chiedeva quali potessero essere le applicazioni pratiche di questa nuova invenzione; in agosto fu data notizia che l’inventore del fonografo, tale Edimson (sic), stava preparando delle «bambole parlanti per le bambine buone, che saranno pronte entro la fine dell’anno»¹⁷. Sempre nel 1878, durante l’estate, l’ingegnere Joseph Nigra, direttore del giornale scientifico «Il propagatore delle invenzioni» e rappresentante per l’Italia del professor Edison, presentò in una sala di via D’Angennes 90 questa e altre invenzioni, tra cui il microfono e il megafono, effettuando alcuni esperimenti con il fonografo per mostrarne il funzionamento¹⁸. Poco dopo Mr. Nigra presentò a Venezia il fonografo alla regina Margherita e secondo quanto riportato dalla «Gazzetta Piemontese», venne organizzato in presenza del principe di Napoli un esperimento di registrazione con la voce della stessa regina, al termine del quale Margherita di Savoia procedette all’acquisto dell’apparecchio¹⁹: a meno di un anno dall’invenzione il fonografo veniva quindi già commercializzato oltreoceano in Europa.

    È anche interessante notare che per quel Natale, il Beato Francesco Faà di Bruno allestiva nell’Istituto delle Suore Minime del Suffragio, in via san Donato 31 a Torino, un presepe a cui affiancò un gabinetto acustico dotato di fonografo e microfono, per fare esperimenti di registrazione. L’ingresso al presepio costava 20 centesimi e quello al gabinetto acustico 50, mentre chi avesse voluto visitare entrambi avrebbe dovuto sborsare 60 centesimi²⁰. Non deve stupire l’interesse di un religioso verso la nuova invenzione: Francesco Faà di Bruno, prima di diventare sacerdote, nel 1876 era stato ufficiale dell’esercito piemontese, si era laureato in matematica e astronomia alla Sorbona e aveva insegnato all’Università di Torino queste due discipline, inventando anche alcune apparecchiature per la ricerca scientifica e astronomica.

    Durante il 1878 e nell’anno successivo Joseph Nigra tenne nel resto d’Italia svariate conferenze per presentare il fonografo e altre invenzioni di Edison, simili a quella di Torino. Quando il 26 aprile 1879 approdò a Napoli²¹ si trattava della duecentoventiduesima presentazione e di questa rimase conservata la relazione grazie all’organizzatore Enrico Bottazzi, che ne stenografò il testo²². Possiamo così farci un’idea di come funzionassero questi incontri, anche se purtroppo non abbiamo dati sulla partecipazione del pubblico nelle varie città; il fatto però che ne fossero state organizzate più di duecento, fa supporre che evidentemente avevano un certo successo. Mentre alle altre invenzioni il Nigra fa poco più di un accenno, quella su cui si dilunga di più in spiegazioni tecniche è il fonografo, di cui veniva poi proposto l’acquisto: è evidente quindi che queste presentazioni accademiche nascondevano in realtà puri interessi commerciali.

    Dalla «Gazzetta Piemontese» apprendiamo che il professor Nigra tenne un’altra conferenza a Torino nel febbraio 1881, ma questa volta per presentare un nuovo modello di fonografo di sua invenzione, comunque ispirato a quello di Edison, che però funzionava senza pila²³. Un prototipo di questo modello, chiamato tinfoil è conservato nel Salone della Stireria presso la sede dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi, al Palazzo Mattei di Giove in via Michelangelo Caetani 32, a Roma.

    L’articolo svela che durante quell’incontro, tenutosi a Palazzo Carignano, era stato fatto ascoltare un brano della Traviata di Giuseppe Verdi, registrato poco prima con il pianoforte a casa dello studioso torinese Michele Lessona, ottenendo grandi applausi. Lessona (1823-1894), nominato senatore del Regno d’Italia nel 1892, fu zoologo, scrittore e divulgatore scientifico: docente di zoologia e anatomia comparata all’Università di Torino, fondò e diresse la rivista «La scienza a dieci centesimi», che illustrava al grande pubblico le scoperte scientifiche del periodo. In ogni caso va notato che qui, per la prima volta, si faceva cenno alla riproduzione di un brano musicale tramite il fonografo. La stessa conferenza verrà ripetuta pochi giorni dopo, e il giornale la descriverà con qualche dettaglio in più:

    Il pubblico era numerosissimo talché nella sala ci si stava pigiati e si soffocava. […] Il fonografo consiste in un diaframma munito di punta che incide sopra una foglia di stagnola avvolta ad un cilindro dotato di duplice movimento di rotazione e di traslazione i suoni che giungono alla imboccatura o padiglione a cui va unita la membrana. Il fonografo registra bensì qualsiasi suono ma nel restituirli pare si faccia beffe col ripeterli alquanto alterati e fiochi, in modo da destare ilarità in chi lo sente. Tuttavia è questione solo di maggiore precisione di costruzione, e con un po’ di fede scientifica se ne può sperare prossima la perfezione. […] Il Nigra sta studiando di combinare il telegrafo col fonografo, ossia uno strumento che chiamerebbesi telefonografo, il quale registrerebbe a distanza i suoni sulla solita stagnola e che potrebbensi ripetere dove e quando si voglia. Auguriamo al Nigra buona riuscita per questo strumento e facciamo plauso alla sua invenzione, i cui buoni risultati potemmo constatare.²⁴

    Oltre al Nigra, un altro singolare personaggio che si dedicò a girare l’Italia per presentare il fonografo fu il cavaliere Enrico Copello, a volte riportato erroneamente nelle cronache del tempo come Coppello. Nato a Genova il 22 gennaio 1844 da famiglia facoltosa, a soli quindici anni Copello partecipò alla spedizione dei Mille e al termine di quest’avventura si laureò in ingegneria, risiedendo per qualche tempo negli Stati Uniti. Trasferitosi a New York, l’Ing. Copello lavorò alla Edison, tanto che il suo nome figura ancora nell’Archivio dei dipendenti della Società, e scrisse sporadicamente qualche articolo per il «New York Times» sulla situazione italiana, sposando poi un’insegnante di lingue. Morì il 2 aprile 1920 a Quarto, durante un soggiorno in Italia. Un’interessante testimonianza sulla sua figura si ritrova in un articolo del 16 agosto 1889 sul quotidiano della cittadina texana di Galveston:

    Charles H. Wood, vice console generale a Roma, riferisce al dipartimento di stato il 29 luglio che il signor Enrico Copello, che risiedeva da molti anni negli Stati Uniti, ha acquistato il diritto di vendere il Fonografo Edison in Italia. Come preliminare per l’impresa, il console riferisce che Mr. Copello visitò Roma, portando con sé il primo fonografo mai visto nel regno. Fu esposto davanti ai rappresentanti della stampa associata, del Senato e della Camera dei deputati, di eminenti scienziati e del re Umberto.²⁵

    Enrico Copello, recatosi a Londra, registrò il 27 giugno 1889 la voce di un incaricato italiano all’ambasciata, che salutava il presidente del consiglio Crispi; tornato in Italia, fu ricevuto il 4 luglio dallo stesso Crispi, che ascoltò la riproduzione perfettamente riuscita del fonogramma²⁶; pochi giorni dopo presentò l’apparecchio al re²⁷ e in seguito, recatosi a Venezia, alla regina²⁸, al sindaco e ad altri personaggi cittadini nel palazzo del Municipio. Copello registrò anche le voci di Margherita di Savoia e del principe Vittorio Emanuele, in tre fonogrammi di saluto per i sovrani del Portogallo²⁹. E Maria Pia di Savoia, moglie del re Luigi, era sorella di re Umberto I, come a dire noblesse oblige…

    Nelle settimane successive l’Ing. Copello girò l’Italia: presentò il fonografo il primo agosto a Bologna³⁰, facendo ascoltare la banda di New York e una fanfara dei bersaglieri registrata nei giorni precedenti a Venezia; poi si recò a Milano e il 25 dello stesso mese approdò a Genova³¹, proponendo un’incisione dell’Africaine di Jakob Meyerbeer³² e registrando un saluto che il sindaco di quella città, Stefano Castagnola³³, volle indirizzare al sindaco di Torino, città in cui Copello era atteso, subito dopo. Nel capoluogo ligure vi era una numerosa presenza di inglesi, oltre alla sede nazionale dell’Anglo Italian Commerce Company (Aicc); pochi anni dopo sarà proprio un gruppo di inglesi a fondare, nel 1893, una delle più antiche squadre di calcio italiane: il Genoa, il cui nome completo era all’epoca Genoa Cricket and Athletic Club. E che i primi fonografi fossero arrivati in Italia passando per questa città, essendo proprio il Copello genovese, è probabilmente un’ipotesi attendibile.

    Nel frattempo, il tour promozionale del frenetico ingegnere prosegue: a Torino presenta il fonografo presso il Municipio³⁴ il 3 settembre 1889 e nei giorni successivi organizza incontri quotidiani a pagamento presso la Società dell’Industria Nazionale, in piazza Castello 25³⁵, devolvendo poi l’incasso all’Istituto dei Rachitici. Diverse personalità parteciparono a questi incontri: il conte Lovera, prefetto di Torino, il deputato Domenico Berti³⁶, il senatore del regno Alessandro Pernati³⁷ e altri parlamentari torinesi; molta impressione suscitò il fonogramma del sindaco genovese, che salutava il suo collega torinese Melchiorre Voli³⁸, oltre a musiche già fatte ascoltare in altre città con l’aggiunta di un frammento tratto da La contessa d’Amalfi, di Enrico Petrella. Un anonimo giornalista della «Gazzetta Piemontese» definì in quell’occasione il fonografo un pappagallo elettrico. Come fece a Genova, il Copello registrò un messaggio del sindaco Voli per il collega di Firenze, che sarebbe stata la tappa successiva dell’intraprendente ingegnere. Il testo del messaggio, integralmente riportato dal quotidiano torinese, ci permette di comprendere la lunghezza delle incisioni allora consentite dal fonografo. E testimonia di come la nuova invenzione fosse vista dai cittadini dell’epoca, in un’ottica positivista di progresso e innovazione tecnologica:

    Al sindaco di Firenze. Il sindaco di Torino è lieto di rispondere al fonogramma con cortese pensiero inviatogli dal sindaco di Genova, dividendo a nome della cittadinanza torinese e partecipando al primo magistrato della gentile città dei fiori i sentimenti di ammirazione espressi dall’illustre rappresentante della città superba per la portentosa invenzione, ai cui esperimenti la cortesia del cavalier Copello volle farci assistere; e cogli egregi colleghi altamente si compiace che il novello trovato dal genio inesauribile di Edison serva, colle altre utili applicazioni, anche a perpetrare nel vivo loro accento quei sensi d’affetto tra le città d’Italia che, fuggevoli nella estrinsecazione, sono costanti ed immutabili nel cuore degli italiani. Melchiorre Voli, sindaco di Torino.

    Nello stesso periodo i giornali italiani riportano alcuni dati sulla diffusione del fonografo negli Stati Uniti che, presente in duemila esemplari fino al 1889, toccò l’anno seguente le diecimila unità. E anche se non viene specificata la fonte di questi dati, è presumibile che fosse lo stesso Copello a informare i giornalisti del successo di questa invenzione. Al proposito, segnaliamo come nella commedia brillante Castore e Polluce di Cesare Ruberti, andata in scena nel novembre 1889 a Torino, per la prima volta il fonografo è parte della scenografia e viene utilizzato nel contesto della trama³⁹, segno anche questo della diffusione che aveva avuto nella Penisola.

    Nel 1890 il fonografo ebbe anche un’isolata applicazione come antifurto: venne infatti presentato un particolare modello che, applicato ad una porta, al minimo tentativo di aprirla faceva partire un fonogramma con registrato l’abbaiare di un cane, che avrebbe spaventato il ladro⁴⁰.

    Dallo spartito al vinile, la prima discografia italiana

    Nella Penisola l’industria del disco si sviluppò inizialmente a Milano e Napoli, le due città dove aveva preso piede l’editoria musicale. Nel capoluogo lombardo fu principalmente legata alla lirica, in primis con Casa Ricordi, fondata nel 1808 da Giovanni Ricordi, seguita nel 1874 dalla Sonzogno. Già nel 1804 il nonno del fondatore Edoardo Sonzogno, Giovanni Battista, aveva aperto una propria casa editrice e le edizioni musicali nacquero come sua emanazione. La Sonzogno, che stampava anche la rivista «Il teatro illustrato», pubblicò in Italia molti operisti francesi tra cui Bizet e Massenet, mentre tra le opere italiane spiccò Cavalleria rusticana, di Pietro Mascagni.

    Nel 1887 fu la volta della Carisch. L’editore svizzero Giovanni Andrea Carisch e il socio Arturo Jänichen, all’inizio si occupavano anche dell’importazione in Italia di strumenti musicali; nel 1894 entrarono nell’azienda i figli di Giovanni – Andrea, Otto e Adolfo – ampliando l’azione anche sulla canzone e ottenendo un grandissimo successo nel 1898 con il brano Ciribiribin. Nel 1914 l’azienda passò al figlio di Otto, Giulio Carisch, che lanciò molte loro produzioni grazie all’Eiar, l’ente radiofonico di Stato, lasciando nel 1945 l’azienda al figlio Alberto, il quale nel 1949 affiancò all’attività editoriale quella discografica, fondando l’omonima etichetta. Suo figlio Maurizio continuò l’attività editoriale, ma non quella discografica, fino al 2002, anno nel quale vendette il catalogo Carisch al Gruppo Editoriale Monzino.

    L’editoria musicale aveva dato origine, seppur in maniera non molto diffusa, alla stampa specializzata musicale: anche in ciò la Ricordi fu capostipite, iniziando già nel 1845 la stampa di «Musica e musicisti. Gazzetta musicale di Milano», un mensile con notizie del settore da tutto il mondo – spartiti, fotografie, inserzioni pubblicitarie –, che alla fine del secolo consisteva in un centinaio di pagine illustrate. Nel 1905 vide invece la luce «Il canzoniere italiano», 20 centesimi a numero, dove si poteva trovare il testo e lo spartito di una canzone⁴¹. Parliamo comunque di un’epoca in cui, a causa delle obiettive difficoltà nelle comunicazioni, era molto difficile, per non dire impossibile, che un brano avesse successo a livello nazionale; nella maggior parte dei casi una canzone popolare a Roma poteva essere del tutto sconosciuta a Torino e viceversa. Napoli rimaneva un’eccezione e in quel periodo era – e lo fu ancora per molto – la città italiana più popolosa.

    L’economia partenopea legata alla canzone era rappresentata dal successo del Concorso Musicale di Piedigrotta e da una prestigiosa trimurti del settore – le Edizioni Musicali Curci, la Casa Editrice Ferdinando Bideri e la Casa Editrice La Canzonetta – che viveva sul commercio di spartiti, ma non solo.

    La prima di questi tre pilastri dell’editoria musicale nacque nel 1860, su iniziativa dell’avellinese Francesco Curci, che aveva sviluppato la società editrice come attività collaterale al suo negozio di strumenti musicali; dopo la scomparsa nel 1912 del suo fondatore, il gruppo passò al figlio Pasquale, mentre il fratello Achille, incisore, si occupò dell’aspetto grafico e la sorella Concetta dell’amministrazione. Con Pasquale l’azienda si espanse, aprendo nel 1932 le sedi di Roma e Milano, che diventerà poi la sede principale, e alla sua morte la Curci passò nel 1938 ai figli Alberto – anche paroliere con lo pseudonimo Devilli –, Alfredo e Giuseppe. La figlia di Alfredo, Clotilde, sposò Giuseppe Gramitto Ricci che, entrato in azienda, diede vita nel 1960 alla discografica Carosello, strettamente connessa alla casa editrice di origine, che poi Gramitto Ricci rilevò nel 1973, alla morte di Alfredo Curci. Al suo ritiro, la gestione delle Edizioni Musicali Curci è passata al figlio, Alfredo Gramitto Ricci, la cui sede storica milanese di Galleria del Corso ospita anche la discografica collegata, oggi Carosello Records.

    La casa editrice legata a Ferdinando Bideri (Napoli, 1851-1930), venne fondata nel 1876 dall’omonimo barone partenopeo, la cui famiglia aveva sviluppati interessi per la musica: già il nonno Giovanni Emanuele Bideri, all’inizio del xix secolo, aveva stampato un libro e due libretti d’opera, mentre Ferdinando, oltre agli spartiti, pubblicò la Storia del Teatro San Carlo di Salvatore Di Giacomo. Attraverso le varie generazioni, prima le figlie Valentina e Flavia, poi i nipoti Luciano e Paolo Villevieille Bideri e infine Silvia, la figlia di Luciano, le Edizioni Bideri sono tuttora attive.

    La Casa Editrice La Canzonetta venne fondata nel 1901 da due artisti napoletani: il poeta Francesco Feola (Napoli, 1871-1945) e il musicista Giuseppe Capolongo (Napoli, 1877-1928); quest’ultimo, nel 1916, abbandonò il ruolo di amministratore, lasciando la casa editrice nelle sole mani di Feola, che nel 1906 era anche diventato l’organizzatore del Concorso Musicale di Piedigrotta. Ancora oggi l’azienda è gestita dagli eredi di Francesco Feola.

    A Napoli però, l’antesignana del settore fu una casa editrice fondata dal compositore francese Guillaume Cottrau (1797-1847), il cui padre si era trasferito in Italia al seguito di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. Appassionato di canzone partenopea, Cottrau – poi naturalizzato italiano, con il nome di Guglielmo – editò molti brani tradizionali di pubblico dominio, che proprio grazie al suo lavoro sono arrivati ai giorni nostri, come Fenesta ca lucive, mentre il figlio Teodoro firmò Santa Lucia.

    Mentre a Milano la discografia nasce su emanazione di aziende straniere, che aprono le loro filiali in Italia, a Napoli si ebbe la nascita di un’azienda autoctona che fu la prima di questo settore, la Società Fonografica Napoletana, fondata nel 1901 da Raffaele Esposito, soprannominato ’O Fruntino. Costui era un negoziante di selle, briglie e altri accessori per l’equitazione e aveva una bottega in via Sant’Anna dei Lombardi: gli affari andavano molto bene al punto che Esposito, che era anche fornitore dei Savoia, si fece costruire una villa a Capodimonte. Appassionato di lirica e quindi assiduo frequentatore del Teatro San Carlo, fu uno dei primi acquirenti di un grammofono a cilindro della città – e non è escluso che abbia fatto parte del pubblico della citata conferenza di Joseph Nigra, il 26 aprile 1879 –, finché ebbe l’idea di fabbricare lui stesso i dischi e nel 1901, acquistati i macchinari, fondò la Società Fonografica Napoletana: stabilì la sede in una ex stalla situata in via Enrico De Marinis 4 e scelse come logo una sirena. Tra i dischi prodotti dall’azienda in quei primi anni, oltre al repertorio operistico che costituiva comunque la gran parte dei dischi incisi, vanno ricordate le celebri macchiette di Nicola Maldacea (1870-1945), vera star della comicità musicale dell’epoca, e le interpretazioni di Diego Giannini, Gennaro Pasquariello ed Elvira Donnarumma. Il cantattore comico Nicola Maldacea divenne molto noto nel mondo del café-chantant e nei teatri di varietà, codificando il genere della macchietta, soprattutto grazie al suo coautore Ferdinando Russo, e proponendo decine di canzoni umoristiche anche su musiche di Salvatore Gambardella o Vincenzo Valente. Tra i suoi hit, ricordiamo ’O jettatore, il Superuomo, ’O Rusecatore, Il Conte Flick e l’Elegante.

    Nel 1911 la Società Fonografica Napoletana cambiò denominazione in Phonotype Records, anche se durante il fascismo venne obbligata ad adattare il nome in Fonotipe⁴². Al fondatore Raffaele si affiancò poi il figlio Americo, che concluse accordi commerciali con gli editori La Canzonetta e Bideri, realizzando dei bollini applicati ai dischi venduti come certificazione, in maniera tale che i due editori potessero retribuire gli autori in base alle vendite. Nel secondo dopoguerra Americo Esposito verrà sostituito da tre dei suoi nove figli, Roberto, Ferdinando e Vincenzo.

    Sempre a Napoli nacque la Polyphon, etichetta discografica pionieristica che ebbe un’attività cronologicamente limitata. La spinta fu data da un’azienda tedesca, la Polyphon Musikwerke, fondata a Lipsia nel 1889 per la produzione di fonografi e carillon, che passò agli strumenti musicali, in particolare pianoforti, arrivando a produrre i primi juke-box e persino delle automobili, oltre a dedicarsi alle edizioni musicali. L’azienda tedesca inviò a Napoli un proprio agente, Max Weber, omonimo del noto sociologo, che aprì una filiale napoletana chiamando alla direzione lo scrittore e giornalista Ferdinando Russo, mettendo sotto contratto il popolare poeta-drammaturgo Salvatore Di Giacomo e iniziando nel 1910 a stampare dischi, un’attività che s’interruppe con il primo grande conflitto bellico. In seguito la tedesca Polyphon verrà acquistata dalla Parlophon.

    E a Milano? Nel 1899 approda in Italia il musicista Fred Gaisberg, che riceve da Emile Berliner l’incarico di effettuare registrazioni di musica locale, sull’intuizione che sviluppare un mercato autoctono avrebbe portato un aumento delle vendite anche dei grammofoni. Gaisberg, con le sue attrezzature tecniche di registrazione fondò varie succursali della Gramophone di Berliner e registrò diverse fonti sonore, facendo base proprio a Milano.

    Nel mese di luglio produsse ben 253 matrici, di cui sono noti 175 titoli, con incisioni della Banda Municipale di Milano e delle voci del baritono Ferruccio Corradetti e di altri cantanti lirici – come Enrico Moreo, Ramona Galan, Nazzareno Franchi e Bice Adami – oltre a un disconosciuto signor Fantoni, che incise alcuni brani in napoletano, tra cui Funiculì funiculà e Santa Lucia. Nella stessa estate, Gaisberg registrò a Berlino altre nove canzoni partenopee eseguite da un certo J. Artuso, tra cui ’E spingule francese. Queste matrici ebbero un certo riscontro perché nel 1900 ritornò in Italia, arrivando a Milano il 14 giugno e proseguendo pochi giorni dopo per Roma, con l’obiettivo di registrare la voce del papa – ma senza ottenere il permesso di farlo – e il coro della Cappella Sistina. Nel suo itinerario, tocca Napoli il 28 giugno e nei giorni seguenti incide trentacinque canzoni napoletane accompagnate da chitarra e mandolino. La prima per numero di matrice e di registrazione fu Maria Marì, seguita da ’O marenariello e ’A montagna, eseguite dal tenore Diego Giannini (1868-1936), ma nell’elenco compare anche ’O sole mio, interpretata da Florigio Penza⁴³. Sulla strada del ritorno, incontrò ai primi di luglio Giuseppe Verdi e terminò nel capoluogo lombardo altre registrazioni. Le modalità di lavoro di Fred Gaisberg – aprire una succursale nel paese prescelto e registrare brani autoctoni da commercializzare – fu ai primi del Novecento il medesimo di tutte le industrie del settore.

    Tra il 1901 e il giugno 1903, la statunitense International Zonophone Company effettuò a Milano alcune registrazioni per cilindri, in collaborazione con la già citata Anglo-Italian Commerce Company. Molti di questi lavori erano in capo ad artisti napoletani, tra cui i più popolari furono Berardo Cantalamessa (1858-1917) e Olimpia D’Avigny (1872-1937), pseudonimo di Olimpia Arditi – compagni nella vita e sulla scena – che il 5 agosto 1901 incisero una serie di canzoni su cilindri Edison, che avevano in due minuti la loro durata massima, con l’accompagnamento di un pianoforte: dieci furono registrati a duetto – tra cui Il clarinetto, i cui allusivi doppi sensi e il ritornello filu-filu-filà ispirarono quasi certamente l’omonimo brano sanremese di Renzo Arbore (1986) – quattro vennero interpretati dalla canzonettista e due dal solo Cantalamessa, tra cui ’A risa. Quando pochi anni dopo il brano fu riversato su disco a 78 giri, il titolo venne italianizzato in La risata, costituì il primo hit nella storia della discografia italiana e la sua genesi ci è nota attraverso il racconto che ne fece il cantante Nicola Maldacea.

    Durante la festa di Piedigrotta del settembre 1895, Cantalamessa e Maldacea, entrambi in quel periodo scritturati presso il Salone Margherita, stavano passeggiando in Galleria Umberto I, quando si fermarono a osservare dei fonografi esposti in un negozio. Da uno di questi ascoltarono «la voce di un cantante moro del Nordamerica, che rideva a suon di musica»⁴⁴ e il brano colpì a tal punto Cantalamessa che si adoperò subito per far trascrivere la melodia, adattandovi un testo in napoletano. Il brano originale era di Bert Sheppard, un robusto cantante di colore con la voce tenorile, si intitolava The Laughing Song ed ebbe un grandissimo successo in tutto il mondo⁴⁵. L’adattamento di Cantalamessa riscosse grande interesse durante le sue esibizioni dal vivo: il pubblico iniziava a ridere insieme all’artista e persino Margherita di Savoia, assistendo un giorno all’esibizione, si mise a ridere a squarciagola. Così fu del tutto naturale inserire ’A risa tra le canzoni da registrare, nella trasferta a Milano del 1901.

    Questi cilindri furono poi riversati nel 1903 su dischi a 78 giri, poiché nel frattempo la International Zonophone Company aveva aperto una filiale italiana a Milano, la Disco Zonofono, che confluì l’anno successivo in una nuova società, la Saif (Società Anonima Italiana di Fonotipia) nata per la distribuzione in Italia dei dischi della Gramophone Company che, come abbiamo visto, era la filiale britannica della National Gramophone di New York. Nelle pubblicità dell’epoca, spesso le inserzioni per la Gramophone o Grammofono e per la Zonophone o Zonofono venivano accoppiate, sottolineando che la differenza di prezzo tra i 78 giri della prima, più cari, e quelli della seconda era dovuta non tanto al materiale di fabbricazione ma ai costi degli artisti, poiché quelli che incidevano per la Gramophone erano più noti, e quindi più cari: in un certo senso la Zonofono diventò la collana economica della Saif, mentre la Grammofono risultò essere quella a prezzo pieno.

    Un esempio su tutti è quello di Enrico Caruso. Proprio a Milano era avvenuta la prima registrazione documentata di un disco 78 giri in Italia: l’11 aprile del 1902⁴⁶ in una stanza dell’Hotel Spatz⁴⁷ in via Manzoni. Caruso incise in due ore per la Gramophone dieci brani operistici – No non chiuder gli occhi e Studenti, udite (da Germania di Franchetti), Questa o quella (dal Rigoletto di Verdi), Celeste Aida (dall’Aida di Verdi), O dolce incanto (dalla Manon di Massenet), Una furtiva lagrima (dall’Elisir d’amore di Donizetti), Giunto sul passo estremo e Dai campi dai prati (dal Mefistofele di Boito), E lucevan le stelle (dalla Tosca di Puccini), e Serenata (dall’Iris di Mascagni) – accompagnato dal suo pianista di fiducia, il M° Salvatore Cottone, alla presenza del rappresentante milanese dell’azienda, Alfred Michaelis, e del musicista Fred Gaisberg, incaricato come abbiamo visto di ampliare il catalogo dell’etichetta. Lo stesso Gaisberg aveva contattato il tenore, dopo aver assistito alla sua interpretazione dello studente Federico Loewe nella Germania di Alberto Franchetti, durante la prima alla Scala dell’11 marzo 1902, diretta con grande successo da Arturo Toscanini.

    Non si trattava in assoluto delle prime incisioni effettuate dal tenore italiano, che in precedenza aveva registrato all’estero alcuni cilindri e dischi registrati per la Pathé e la Zonophone, ma poiché questi brani furono pubblicate dalla Gramophone, passarono alla storia con il nome i dieci angiolini rossi di Caruso, dall’etichetta rossa con l’angelo che ne caratterizzava il marchio. Dal diario di Gaisberg conosciamo anche il cachet richiesto da Enrico Caruso: cento sterline, equivalenti a circa 2500 lire, una cifra considerevole per i tempi – poco dopo l’incisione il tenore si fece costruire nella campagna toscana una villa –, tanto che la casa madre non diede a Gaisberg l’autorizzazione per procedere, inviandogli un telegramma con la frase «Fee exorbitant. Forbid you to record», ma il musicista inviato da Berliner, d’accordo con Michaelis, decise di effettuare ugualmente la registrazione. Il suo diario ci informa anche che le esecuzioni di Caruso furono tutte buona la prima, senza bisogno di reincidere nulla.

    I dieci dischi frutto di queste registrazioni, incise solo da un lato, furono stampati in duemila copie ciascuno e andarono subito esauriti. È interessante ricordare che i due fratelli Will e Fred Gaisberg tra il 1902 e il 1904 registrarono a Roma 17 brani musicali cantati da Alessandro Moreschi, l’ultimo interprete evirato, e l’unico di cui possiamo ascoltarne oggi la voce originale. La stampa dei dischi di Caruso avvenne ad Hannover, dove esisteva l’unica fabbrica della Gramophone in Europa, e l’enorme fama del tenore italiano spinse altri grandi cantanti lirici a registrare. I dischi vennero messi sul mercato a maggio su etichetta Gramophone and Typewriter Co., in coincidenza con il debutto londinese al Covent Garden di Caruso, al prezzo di 10 scellini l’uno, mentre in Italia costavano 12 lire e 50 centesimi, e alla fine il guadagno dell’etichetta fu di 15 000 sterline.

    Lo stesso Caruso beneficiò del successo di questi dischi, poiché una copia di E lucevan le stelle fu ascoltata a Parigi da Heinrich Conried (1855-1909), direttore del Metropolitan di New York dal 1903 al 1908, che fece subito stipulare un contratto al tenore, che nel frattempo aveva effettuato altre

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