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Ali Per Volare: Scontri di un Supereroe al Quadrato
Ali Per Volare: Scontri di un Supereroe al Quadrato
Ali Per Volare: Scontri di un Supereroe al Quadrato
E-book154 pagine2 ore

Ali Per Volare: Scontri di un Supereroe al Quadrato

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Info su questo ebook

Vent'anni di boxe, vent'anni di vita americana. Dalla segregazione razziale all'ascesa sociale e politica dei neri, dal blues dal rap, dal cristianesimo all'Islam, da Liston a Tyson, dai missili di Cuba al razzo sulla luna, dalla tivù in bianco e nero ad internet. Al centro, Cassius Clay, aka Muhammad Ali, a scuotere il mondo e a tramortire l'America a suon di jab, di poesie, di grandi rifiuti, di clamorosi ritorni. Sempre con la fiaccola della polemica e di un'arte pugilistica impareggiabile. Oggi Muhammad Ali trema e tace, non parla più, non gli serve oltre: è patrimonio dell'umanità, storia americana: senza di lui non ci sarebbe stato un Obama alla Casa Bianca. La sua vita al quadrato, declinata al ritmo dei suoi epici scontri sul ring con altri campioni dell'Olimpo della nobile arte: Liston, Frazier, Foreman, Norton, Shavers, Lyle ed altri ancora, dalla stupefacente epifania alle Olimpiadi di Roma, 1960 fino alle ingiuste, atroci punizioni contro Holmes e Berbick. Eppure, questo non è un libro di sport: esce dalle corde, s'inoltra in territori musicali, iconografici, sociali, politici. E ritorna a Cassius, un ragazzino al quale un giorno rubarono la bicicletta: lui pianse, e si preparò a scuotere il mondo.

LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2013
ISBN9781301261222
Ali Per Volare: Scontri di un Supereroe al Quadrato
Autore

Massimo Del Papa

Faccio il giornalista dal 1990. Ho scritto alcuni libri, di preferenza in formato ebook.

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    Anteprima del libro

    Ali Per Volare - Massimo Del Papa

    Ali Per Volare

    Scontri di un Supereroe al quadrato

    Massimo Del Papa

    Copyright Massimo Del Papa 2016

    In memoria di mio padre, Alberto,

    che si alzava di notte per vedere Cassius Clay

    ed io mi nascondevo dietro la sua poltrona

    e imparavo

    Indice

    Introduzione

    Perché lo facciamo?

    Nella culla

    Per esempio

    Hai voluto la bicicletta

    Bambino bello!

    Arriva un Angelo

    Bellezza micidiale

    Grandi rifiuti

    La sera sbagliata

    Quando Ali chiuse il cerchio

    Oltre la fine

    Bestia nera

    Libero

    Un pazzo

    Un giorno lo capirai

    Quando si dice suonarle

    Soltanto un uomo

    Il predestinato

    Epilogo

    I libri che ho letto, i film, i documentari

    "L'uomo che non ha fantasia non ha ali per volare"

    Introduzione

    Se litighi con un sacco te ne accorgi. Tirare pugni è la cosa più difficile che puoi fare. Più di suonare, di dipingere. Rischi di farti male, di slogarti una spalla, di romperti qualche osso. Figurati contro un avversario vero. Duro come la roccia, che oltretutto ti picchia. Ci devi nascere. Oppure devi avere qualcosa dentro che va oltre i pugni, una danza, una armonizzazione di ogni muscolo, di ogni fibra, di ogni pensiero, istinto, impulso, una leggerezza catastrofica, una finezza che distrugge e questa si chiama Cassius Clay, aka Muhammad Ali.

    Perché lo facciamo?

    Gli do una sculacciata e vengo giù. Muhammad Ali ha sempre amato le iperboli da rockstar. Ma un'ora dopo, scende dal ring e non è più lui. La sculacciata l'ha data, ma quella che ha ricevuto in cambio lo ha menomato, ha fulminato sinapsi, ha acceso i cortocircuiti della sindrome di Parkinson. Non devi fare incazzare uno come Joe Frazier, che ha quasi staccato un occhio a una roccia come George Chuvalo, non devi provocarlo per anni e poi dire che vai lì a sculacciarlo. Quello dice cose terribili, molto prima di Tyson, che gliele copierà pari pari: Non voglio buttarlo giù, voglio colpirlo, allontanarmi e vederlo ferito. Voglio il suo cuore. E mantiene. Quello ti ammazza. E infatti Frazier resuscita quella mattina del 1975 nella sauna umida dell'Araneta Coliseum di Manila, mattina d'orrore, di resa dei conti, di giorno del Giudizio, di Dies Irae, resuscita dalle sue ceneri e la sua furia punisce per sempre un Ali ormai insopportabile, totemico, semidivino: dopo il trionfo improbabile e apocalittico di appena un anno prima sul colosso George Foreman, che aveva staccato da terra Joe a suon di uppercut, l'aveva annientato, sei volte per terra in cinque minuti sotto gli occhi di mondo che non credeva a quel che vedeva, Ali pensava bastasse la sua epifania su un ring per cancellare chiunque. Beh, il vecchio Joe (di due anni più giovane del rivale) non la pensa così. E per questo incontro si è allenato brutalmente. Sempre con quell'espressione truce sul volto. Mentre l'altro pensava all'autopromozione, agli affari di denari e di cuore, alla nuova fiamma, Veronica Porsche, psicologa con ambizioni di attrice, conosciuta come ragazza immagine del Rumble in the Jungle di Kinshasa, promossa ad amante ufficiale del Thrilla in Manila, con tanto di pochade: a un certo punto viene presentata come la moglie del Campione, che invece viene raggiunto dalla legittima (e sputtanata) consorte, Belinda Boyd, la quale gli regala una scenata da campionato del mondo. Forse Ali pensa che, dopo quell'addio, incontrare Frazier sarà una passeggiata.

    Invece i suoi guai non sono neanche cominciati.

    Non è stato come ai tempi del primo incontro, quattro anni prima, quando Ali tornava a reclamare quanto gli spettava, un titolo che nessun pugile aveva potuto portargli via tra le corde, e Frazier si opponeva, ritenendo di avere diritto alla stessa corona quanto e più di Ali. C'erano due sovrani che consideravano l'altro un usurpatore, eppure potevano inscenare una strategia di avvicinamento per vendere meglio l'evento. Ali è sempre stato un maestro di comunicazione, capace di renderla perversa come nessuno e di attirare nel suo gioco sporco anche l'avversario. Vuoi fare un po' di soldi extra, non è vero?. E Frazier non si sottrae certo, è un nero duro, orgoglioso ma anche pragmatico, che non dimentica la povertà patita fino al giorno prima. Certo, si odiano come possono odiarsi due pugili che si accingono ad incontrarsi: ed anche qualche cifra di più, come al solito se c'è di mezzo Ali. Ma nel loro antagonismo si nasconde altrettanta malizia che avversione. Almeno nel 1971.

    Adesso, invece, a Manila, tutto assume il sapore sgradevole di un deja-vu sfuggito di mano. Non c'è più bisogno di gonfiare la sfida, ora c'è più cattiveria, più malignità in un Ali che ad ogni dichiarazione, intervista, sortita, anche alla conferenza stampa, anche al peso, non perde occasione per umiliare Joe, gli fa il verso del gorilla, punge stile voodoo una orribile bambolina con la fattezze di Frazier, gli dà pubblicamente dello scemo, dell'ottuso, del gorilla, del... negro (Muhammad è razzista, a modo suo) e, insieme, del finto nero, del bianco ritinto. L'altro ci prova a replicare, ma non sa che trovar sempre le risposte sbagliate, le più patetiche e sgradevoli, da negro cattivo, da guappo di strada: Ti uccido, Cassius. Sei un uomo morto, Cassius. Frazier è nato incassatore, si vede che con le parole non può far quasi niente contro quel torrente di sarcasmo in piena. E così incassa. Mette via. Trasforma le offese in carburante di rabbia da bruciare tra le corde. Salgono, se Dio vuole, e Ali, con in faccia il suo sorriso più odioso, si porta nell'angolo il trofeo al centro del quadrato. Sarà l'ultima sua buffonata.

    Suona il primo gong e un Ali disinvolto comincia a muoversi sculacciando Joe. Che, per il momento, non fuma affatto. Non fa uscire il fumo dai guantoni, caratteristica per la quale si è meritato dal primo manager, Yank Durham, il soprannome, Smoking. Si agitano parecchio, entrambi, Joe sul tronco come d'abitudine, Ali di braccia e anche, discretamente, di gambe. Porta un gran numero di colpi che rimbalzano sul cranio di ghisa di Frazier. Finisce la prima, e le altre due non cambiano canovaccio: nell'umidità grondante il ritmo è molto alto, si sente lo strisciare stridulo delle suole degli scarponcini sul tappeto, si sentono i tonfi secchi, pesanti di Ali addosso a Frazier. Quando il piccolo bulldog prova ad accorciare le distanze, ne ricava severe conseguenze. Ovviamente non molla, più ne prende e più viene avanti secondo l'unico stile che conosce. Alla quarta, Ali si esaspera: Va' giù, stupido coglione, va' giù!. L'altro ringhia in risposta: la sua morsa psicologica, del tutto opposta a quella di Ali, ha cominciato a chiudersi. Al quinto Muhammad appare sconcertato. Al sesto il diesel Frazier cambia marcia e comincia a mulinare i suoi terribili ganci sinistri, oltre a diretti che adesso arrivano da tutte le parti e impattano il bel corpo dell'altro. Capace di prenderne tre, cinque, sei per portarne uno micidiale, ricorda Ali nella sua autobiografia, Il Più Grande. Arriva una randellata che sbarella Ali: si lascia cadere sulle corde; l'altro insiste; Ali deve divincolarsi, il rope-a-dope, la presa al laccio dell'imbecille, funzionava con Foreman, che era un pitbull, ma col bulldog no, non serve. Frazier se prende il laccio lo divora e poi passa alla tua gola. Ali sembra improvvisamente groggy, sul punto di cadere, la sensazione è che no, non scherzi affatto, non reciti affatto, maledizione. Adesso Ali non insulta più. In un corpo a corpo sussurra a Frazier: Joe, mi avevano detto che eri finito. Ti hanno detto male, fighettina, ansima l'altro. Piovono altre botte. Per Ali.

    Settima ripresa. Ali danza per la prima volta, dice lo speaker, Frazier si fa sotto e continua. Continua a martellare, rigenerato. È convinto di farcela almeno quanto l'orgoglioso Ali si direbbe convinto di non farcela. Certo, sono sensazioni che traspaiono da uno schermo televisivo: però terribilmente concrete, anche dopo la millesima volta che si rivede l'incontro. Da qui in avanti, il match diventa un sacro macello, con scambi cruenti sul filo della disperazione, le bordate devastanti di Frazier dappertutto ma in particolare al tronco, le raffiche di sbarramento di Ali che non sbarrano niente, l'altro le prende ma continua a venire avanti come un maledetto (la battuta è del film Rocky 2, e senz'altro si deve a questo incontro, di pochi mesi precedente). Perché lo facciamo?, si chiede retoricamente Ali nelle sue memorie. La domanda, tuttavia, è mal posta: quella giusta sarebbe stata Ma cosa mi è venuto in mente di provocare un tipo del genere? E sì che lo sapevo di che pasta rabbiosa fosse fatto.

    Frazier dopo la terribile lezione subita da Foreman era entrato in crisi, aveva perso anche da Ali nel match di rivincita del 1973, il viale del tramonto era fin troppo imboccato e nessuno lo nascondeva. Ma adesso non gli importa più di niente, non del titolo, non dei soldi, vuole solo distruggere quell'incubo che non ha mai smesso di fargli pesare tutto: la sua ombra, la sua assenza, la presenza, la bellezza, lo charme, perfino, incredibilmente, il colore della pelle. Vuole ripagarsi di tutto, ma così, senza pensare, senza ragionare, è solo furia cieca che viene fuori. Frazier non si fermerà stavolta, nessuno potrebbe fermarlo, non Foreman, non Liston, non Tyson, meno di tutti Ali, l'Odiato. Finché avrà un'oncia di energia nei guantoni, la userà per martoriare il Nemico, ingiustamente favorito dagli dei.

    E Ali sa. È troppo intelligente per non capirlo. Vede che i suoi colpi, per quanto violenti, non hanno effetto. Rimbalzano su una testa insensibile, su un corpo disposto a tutto. Non è neanche come quattro anni prima al Madison, lì c'era una guerra selvaggia, ma dove entrambi accusavano momenti di pausa, c'era l'esaltazione di una serie portata, c'era il dolore di un colpo ricevuto. Adesso non c'è più niente. Solo una enorme macchia bianca che va oltre il male, che travolge ogni sensazione ed ogni significato. Perché lo facciamo?.

    E più la campana suona, più l'odio di Frazier cresce. Si alimenta dal sangue che riesce a spremere, si nutre di ogni smorfia di sofferenza di Ali. Settimo, ottavo e nono round sono 9 minuti che valgono 9 anni, senza mai un momento di sollievo. All'angolo Ali ha la faccia del condannato a morte. Ha negli occhi uno sguardo mai visto, neppure nei lampi di preoccupazione contro Foreman. La luce della rassegnazione. Respira a bocca aperta. L'altro ancora si china, flette, rimbalza sul tronco sgraziato, su dalle gambe ciclopiche. E più pugni prende, più non si placa. Forse sarebbe da non dargliene più, tenerlo lontano e aspettare la fine, comunque arrivi. Ma come fai a tenere distante Frazier, un Frazier impazzito di furia?

    Joe è così sovreccitato che, di colpo, alla decima, d'improvviso si spegne, una lampadina fulminata al momento sbagliato. Così come si era messo in moto con quella zampata assassina, 4 round prima, ora si ferma come un pupazzo che ha finito la carica. È un attimo, ma ad Ali non serve di più per capire che qualcosa sta cambiando. L'altro continua ad avanzare, prendendo però più botte in testa di prima. Anche Joe adesso tiene la bocca aperta, economizza gli assalti. E pure nell'angolo del Campione se ne accorgono, gli urlano di tenere duro, che il peggio è passato. Puntuale, nel round successivo Muhammad torna fuori. Ricomincia a danzare, una danza spastica, patetica, ma che sortisce il suo effetto. Frazier sembra disorientato, non gli bastano le gambe per braccare il nemico, lo insegue a vuoto per mezza ripresa. Poi lo blocca, lo azzanna ancora, lo stringe in clinch. Testa contro testa, fiato contro fiato. Sembrano due amanti decisi ad uccidersi. Però, almeno, adesso le forze sono più equilibrate, le raffiche di Ali possono arginare la furia di Frazier per il tempo necessario a respirare prima che l'altro ricominci. Ancora un minuto, un minuto d'eternità. Ali lo usa per gonfiare e lacerare la faccia di Joe, i cui occhi oramai sono due fessure. Campana.

    Nel dodicesimo assalto non succede granché, la boxe lascia spazio ad una specie di rissa da vicolo. Ali tenta di controllare l'impeto di Frazier, che, seppure più spento, pare in grado di insistere. Invece sono proprio le ultime stille di energia, Joe torna all'angolo soffiando come un bufalo. Il round successivo vede il match precipitare in una magnifica tragedia omerica. Verso la metà Ali trova un varco e il paradenti di Joe schizza via, in quinta fila, come un proiettile messo in moto da un destro; seguono tempeste, raffiche col volto di Frazier ridotto a un orribile bersaglio di carne morta che viene frollata. Ali non ha pietà. Non deve averne, non può averne. Stanno sfogando tutto l'odio residuo di due combattenti, accumulato in anni di schermaglie, ed è proprio una di quelle situazioni per cui o muore lui o muoio io. Entrambi sanno che l'altro non si fermerà, l'unico modo per salvare se stessi è annientarlo. Ali, la faccia a sua volta gonfia come mai gli si era vista, i lineamenti alterati, scaglia mazzate di una pesantezza spietata. L'altro vacilla, Ali insiste, scivola, finisce mezzo fuori dalla

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