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Anche io ho i miei piccoli segreti
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Anche io ho i miei piccoli segreti
E-book365 pagine5 ore

Anche io ho i miei piccoli segreti

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Info su questo ebook

Linda si laurea e va sulla Costa Azzurra per una breve vacanza. In realtà, inizia un'avventura ricca di colpi di scena e di sogni d'amore. Il ballo, in cui Linda eccelleva già da bambina, è il tempo magico che la porta verso il futuro, ma che anche le fa ritrovare il legame con un lontano passato. Intorno a lei si muove, sulla scena illuminata della mondanità e del successo, la figura incantatrice di un uomo affermato. Non mancano intrighi e gelosie che possono oscurare una vicenda iniziata in modo promettente.

Linda vive con ansia momenti di incertezza e si sviluppa il terribile sospetto di essere al centro di un grande inganno: come mai scompaiono alcuni capi del suo vestiario? Tutto scivola in modo sempre più precipitoso e inevitabile verso una sorpresa finale: in una valigia c'è la soluzione di tutte le ansie e i sogni. Il romanzo è una dolce storia d'amore, ambientata in gran parte in Torino, che svela un volto inconsueto di città ricca di glamour and fashion.

LinguaItaliano
Data di uscita28 nov 2021
ISBN9788874145973
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    Anteprima del libro

    Anche io ho i miei piccoli segreti - Veronica Silvia Rosso

    1

    L’unica cosa che non manca mai nel mio frigo è il gelato.

    Mi piace talmente tanto che sono capace di mangiarlo in qualsiasi circostanza ed in qualsiasi momento della giornata, anche a colazione, magari spalmato sul pane o, ancora meglio, fra due fette di pan carré e scaldato sulla piastra come un toast.

    Adoro il cocco, la vaniglia e la mandorla. Certo non disdegno gli altri gusti, ma quando provo ad assaggiare qualcosa di diverso è la giusta occasione per rendermi conto che quei tre sapori sono i più buoni del mondo.

    L’unico problema è che la mandorla è difficile da reperire, così mi sono comprata la gelatiera e me lo faccio io quando voglio e quanto ne voglio.

    Il gelato è una malattia che cura ogni male, coccola ogni momento di tristezza e fa da contorno ad ogni momento di felicità. Refrigerio sotto il sole d’estate e scalda cuori nelle giornate d’inverno.

    Ma questo ora non ha importanza.

    L’unica cosa che conta è che mi sono innamorata.

    Del suo modo di ballare e del suo profumo.

    O almeno credo.

    Karl ha la mia età, è poco più alto di me e ha la pelle color e sapor gianduia, i capelli corti e neri, gli occhi verdi come il vetro delle bottiglie della Perrier, un sorriso ammaliante, due mani calde e sicure, un corpo perfetto e un modo di ballare coinvolgente e appassionante. È semplicemente quello da cui i miei occhi, il mio corpo e il mio cuore sono stati catturati nel giro di due minuti.

    Un colpo di fulmine, che ha scatenato una tempesta di pensieri ed emozioni da cui non riesco a liberarmi, ma che mi tormenta piacevolmente.

    Ho lasciato all’ingresso le scarpe e scaraventato lo zaino a terra per andare ad accendere subito il Mac. In tutte le stanze si respira aria di chiuso dopo due mesi che nessuno mette piede in questa tana disordinata piena di cose utili, e spesso inutili, che è casa mia. Mentre il computer si avvia spalanco le finestre per fare corrente. Mi fiondo nella doccia per togliermi di dosso quell’aura maleodorante che ricopre il mio corpo dopo un viaggio di quasi 4 ore in treno. Sono le sette di sera, fuori è ancora chiaro, mi metto alla scrivania rimasta così dal 23 giugno, giorno in cui ho consegnato le ultime foto alla QuickP prima di andare in vacanza.

    In mezzo a pezzi di carta, riviste di cucina, biro, foto e cd, recupero il mouse. Con grande sorpresa trovo anche un paio di orecchini in oro bianco (quelli che avevo disperatamente cercato e avrei voluto indossare alla festa di compleanno di Viola). Nel mio caos vivo bene, trovo sempre qualcosa di cui non ricordo neanche più l’esistenza. Mettere a posto è una cosa che ho sempre odiato fin da piccola. Elvira, la babysitter, mi imponeva a ritmo di ricatti di riordinare non appena finivo di usare un gioco. Per me il vero divertimento era tirare fuori tutto dall’armadio, mettere in disordine e scavalcare ogni cosa che era a terra per cercare quella con cui volevo giocare in quel momento. Riordinare voleva dire giocare a metà.

    La scrivania è il mio tavolo da gioco, e mentre nel resto della casa cerco di tenere più o meno un aspetto pulito e ordinato, lì su quel piccolo mondo a parte, mi permetto di liberare la creatività e faccio quello che non mi è mai stato concesso da Elvira.

    Ho lasciato giusto uno spazietto per poter muovere il mouse e uno per fare in modo che la tastiera rimanga tutta appoggiata alla superficie e non traballi. Sono le uniche cose di cui ho bisogno in questo momento.

    Devo scrivergli una email, voglio sentirlo, parlargli, cercare un contatto anche se ormai siamo distanti.

    Apro Mail e digito Nuovo.

    Dal mio portafoglio estraggo la lettera che Karl mi ha lasciato prima di partire e la rileggo. Quelle parole mi fanno piangere e sorridere allo stesso tempo. Annuso il foglio e lo immagino ancora vicino a me. Forse mi sono davvero innamorata. Copio l’indirizzo email che mi ha scritto in fondo.

    From: lindamartin@hotmail.it

    To: lewack@hotmail.com

    Subject: Ciao!

    Non mi vengono le parole.

    Mi manchi.

    No, non va bene, troppo mieloso per essere una persona che ho conosciuto una settimana fa.

    Dove sei?

    Logico che non mi può rispondere subito.

    Ma che cavolo, non mi viene in mente niente di carino e allo stesso tempo accattivante per farmi apprezzare e per attirare la sua attenzione.

    Forse è la fame. Spilucco qualche resto dal sacchetto dei viveri che avevo in treno, ma non mi soddisfa.

    Va bene, vado a prendermi del gelato nel freezer. Vaniglia. Perfetto. Vaschetta, cucchiaino e via al computer. La appoggio sulle cosce e inizio a mangiare e pensare.

    Così si può ragionare.

    Ciao Karl,

    Sono appena tornata a casa e già mi manchi.

    Peccato che ci siamo conosciuti pochi giorni prima della tua partenza, mi sarebbe piaciuto trascorrere più tempo con te invece è passato tutto così in fretta, altroché stelle cadenti! Certo che se non fossi venuta io a chiederti di ballare… a quest’ora avresti trovato un’altra dama, non certo come me! beh, il merito è anche di Andrea che mi ha accompagnata perché non venissi da sola al Barrio, continuava a dirmi che eri molto carino e che eravamo troppo belli insieme… e così ti ha accalappiato a bordo pista dicendoti Bravo con l’accento francese… Pensavo fossi francese, per questo non ho aperto bocca durante tutto il ballo… Ballavo guardando il tuo corpo muoversi nella densa e calda atmosfera rossastra del locale, le tante persone intorno a noi come semplice contorno di braccia al vento e movimenti veloci ovattati e lontani, e il tuo fantastico sorriso… Non potevo fare altro che restituirti la gioia di ballare mentre l’orchestrina suonava No vale la pena enamorarse. Ero al settimo cielo, a dir poco felicissima! Quando è finita la musica sono tornata da Andrea, ci siamo guardati negli occhi e lui aveva capito che eri fatto per me. Difficilmente riesco a nascondere le emozioni forti.

    È stato il ballo più bello di tutta l’estate.

    Mi sono trovata di fronte ad una strana e piacevole sintonia con te, come se ci fossimo conosciuti da sempre. Non so se ti è mai capitato. Quella notte sono tornata a casa dopo che ci siamo salutati fuori dal locale ed ero su un altro pianeta (anche se tu mi hai poi lasciata sola sulla Promenade!) Mi sei subito piaciuto dal primo momento che ti ho visto. Il giorno dopo non vedevo l’ora che arrivasse la sera per mandarti un messaggio e combinare di rivederci, e non puoi neanche immaginare come mi sentissi quando non rispondevi e il tuo telefono era spento… Ho iniziato a pensarle tutte, pensavo che ti avessero rubato il telefono o che fossi fidanzato e che avessi avuto libera uscita solo quella sera e che ti fossi preso un cazziatone dalla tua dolce metà. Così ho pensato che se non ti avessi trovato al Barrio venerdì o sabato sera non ti avrei mai più rivisto. Quella sera al Barrio ci andai con la speranza di trovarti. Ti cercavo ma niente… tanta delusione, non mi spiegavo il perché, sembravo un’anima in pena come se mi avessero portato via ingiustamente e senza spiegazione qualcosa che in realtà non mi apparteneva neanche un po’. Forse mi ero solo lasciata trasportare dalla magia del nostro incontro. Andrea mi prendeva in giro: ti sarai mica innamorata del cioccolatino?

    E poi ti ho visto arrivare, accompagnato da lei. La donna che non ho ancora capito che posto occupi nella tua vita. Così come non ho ancora capito tante cose di te…

    Quando ripenso all’ultima sera penso che in quel momento ho chiuso alle spalle il mondo che mi circondava e ho aperto lo sguardo all’unica cosa bella che mi stava accanto, nonostante i dubbi e le poche certezze che avevo su di te. Qualsiasi tuo racconto, qualsiasi stella o pianeta del cielo che si spostava sopra la nostra testa mentre eravamo sul terrazzo, era la più bella e la più luminosa. Ero serena (anche se mi ritrovavo con due mazzi di chiavi e con il senso di colpa per aver mollato Andrea fuori casa). C’eravamo solo io e te. Vorrei stringerti come una tenaglia e allo stesso tempo essere delicata come il più leggero dolce che ti piace tanto… Qualsiasi tua parola mi riempiva di sogni lontani e fantastici. Non abbiamo fatto il bagno di notte nel mare, neanche quello di giorno, e chissà mai quando lo faremo, ma abbiamo nuotato nell’acqua dolce più cara della Costa Azzurra, siamo stati insieme una notte intera, la più magica, dolce e intensa della mia vita! Da quando sei partito sono ancora tornata una sera al Barrio, ed ogni cosa mi ricordava te. Adesso sono qua a casa, in compagnia di una vaschetta di gelato, lontana da te, e la cosa mi rattristisce ancora di più, e aggiunge carico alla mia voglia di allontanarmi da tutto e cambiare… Avrei voluto svegliarmi prima che tu partissi, avrei voluto chiederti di portarmi con te a Madrid, con te a vedere il mare di Alicante, con te a mangiare churros con chocolate a Barcellona, fuggire con te sul primo aereo per il luogo più distante possibile da casa, sai quando hai voglia di cambiare vita, persone, abitudini e luoghi… Il giorno dopo è rimasto solo il sapore di te sul mio corpo. Sono andata da Sephora a cercare il tuo profumo per spruzzarmene un po’ addosso e ti ho portato con me tutto il giorno fino a sera, a dormire. Non sai quanto mi abbia fatto piacere che mi chiamassi da Parigi. Sono le 23,34, ti scrivo e ti penso, penso a quanto mi farebbe piacere vedere il tuo sorriso mentre balli, penso alla tua pelle, la più liscia del mondo, e penso a quello che è stato…

    Non so perché sei partito così in fretta, non so cosa sia stato fra noi, non so quando ci rivedremo e se davvero quello che mi hai scritto e quello che hai fatto per me l’hai sentito con il cuore, ma so che ti desidero tanto, per me è stato un sogno che vorrei vivere ad occhi aperti.

    Adesso vado a dormire.

    Chissà dove sei, cosa fai, con chi sei…

    Ti penso.

    Un bacio.

    Notte.

    Linda

    Premo Invio senza neanche rileggere cosa ho scritto e spengo tutto. La vaschetta di plastica giace davanti a me, vuota. Mezzo chilo di gelato prima di andare a dormire penso possa essere abbastanza per avere incubi e sonni agitati, più che sogni.

    2

    Sono le 11,00, mi sono alzata da dieci minuti e mi precipito ad accendere il Mac. Posta in arrivo. Nessun nuovo messaggio. Non ho niente da mangiare, neanche una briciola di pane secco. Non mi resta che andare a suonare a Camilla che sicuramente ha fatto il pane.

    Esco sul pianerottolo in ciabatte e camicia da notte e le suono.

    Cami… Sono io, apri. Dico a voce alta in modo che sappia chi è prima di aprire la porta.

    Linda aspetta un attimo, lo so che sei arrivata, ho visto le tue scarpe fuori dalla porta ieri notte ma ero già nel letto, un momento che cerco le chiavi… ecco!

    Effettivamente avevo lasciato sullo zerbino le mie Superga gialle, che sono le scarpe più comode che ho, ma nei miei piedi hanno un difetto: puzzano. Non a caso le ho soprannominate puzzoline.

    Inoltre ieri sera, mentre sotto casa cercavo le chiavi nella borsa, ho chinato la testa per frugare meglio e mi è caduto a terra il cicles (così a Torino chiamiamo la gomma da masticare) che avevo in bocca. Fin qui niente di male. Il fatto è che quando circa un’ora dopo sono riscesa per buttare l’immondizia (il packed lunch che mi ero portata in treno), ho pestato la gomma che ora sta lì, sotto la suola, in attesa di essere rimossa, e si mescola alle innumerevoli vicende che hanno fatto la storia di queste scarpe. Una volta avevo pestato un lombrico dopo un acquazzone al Parco del Valentino e una cacca di cane mentre andavo all’Università.

    Inoltre, ora che ci penso bene, sono le stesse scarpe con cui avevo pestato la coca-cola alla festa di Viola, e poi una volta ero scivolata sopra della pasta al pesto caduta dal vassoio di un signore nel self service dell’autogrill, e poi avevo anche involontariamente pestato la vernice della segnaletica stradale mentre facevano le strisce a terra (beh, più o meno involontariamente, in realtà con Viola volevamo lasciare le impronte bianche sull’asfalto).

    Va bene, cercherò anche di ripulirle dalla gomma appena avrò un po’ di tempo.

    Sei sola? Chiedo a Camilla prima ancora che apra la porta, per evitare di incontrare Alessandro.

    Siii, tranquilla, dovrebbe tornare fra qualche giorno! mi rassicura Camilla.

    Ciaaaao! mi accoglie con voce squillante e felice. E poi prosegue con una sorta di cantilena di cose straconosciute e all’ordine del giorno: Scommetto che devi ancora fare colazione e che non hai né pane e né gelato e che sono le 11 e non hai voglia di scendere al supermercato perché devi ancora farti la doccia, vestirti e truccarti eccetera eccetera…

    Non mi rimane che stare zitta e annuire con la testa. Camilla mi conosce come se fossi sua sorella… va beh, in realtà…

    Entra così ce la contiamo un po’, ho appena fatto il pane…

    Lo sapevo.

    Entro in casa e mi fiondo in cucina, mi siedo a tavola con l’acquolina in bocca e Camilla sforna due baguettes dorate.

    Che buono, sei proprio brava! Ci manca solo un po’ di… Posso prendere il gelato? mi permetto di chiederle come se fossi a casa mia.

    L’ho messo nel secondo scomparto mi risponde mentre preleva dalla credenza un cucchiaio e un coltello da pane, che posa sul tavolo.

    Mi alzo e apro il congelatore, mandorla e cocco, li prendo tutti e due. Ci sediamo e taglio a fette il pane per spalmare il gelato e le chiedo come ha passato questo mese.

    Allora sei riuscita a studiare?

    Camilla è andata in vacanza solo una settimana perché si sta preparando per un concorso, ed è venuta a trovarmi al mare qualche giorno. Io invece sono stata via due mesi. Mi sono appena laureata e finalmente è la prima estate in cui posso gustarmi le vacanze senza l’incubo di dover riaprire libri e cervello per immagazzinare nozioni. Per l’occasione io e Andrea abbiamo affittato un piccolo appartamento a Nizza, con un terrazzo direttamente sulla magnifica Promenade des Anglais. Due camere, un soggiorno-cucina che da sul terrazzo e due bagnetti con doccia. Vecchio palazzo stile francese.

    Sì, sono soddisfatta, ho fatto tutto quello che potevo, adesso vediamo lunedì come andrà… e mentre si alza per prepararmi una tazza di caffè prosegue: Tu piuttosto raccontami cosa hai fatto, chi hai conosciuto, di chi hai infranto il cuore, di chi ti sei innamorata…

    Andrea infatti non è il mio fidanzato. Siamo amici da quando avevamo 10 anni e da allora siamo quasi sempre andati in vacanza insieme.

    Camilla è abituata che ogni vacanza, anche se solo di una settimana, è per me un momento di stravolgimenti sentimentali e di coinvolgimenti emotivi unici, totalmente l’opposto di quello che succede a lei, perennemente alla ricerca dell’anima gemella senza neanche aver voglia di conoscere qualcuno, forse pensa che un giorno le possano suonare il campanello. Ma a parte questo, io ho un carattere diverso, faccio amicizia anche con l’autista dell’autobus o l’impiegato delle poste, ho una naturale predisposizione ad attaccar bottone e soprattutto mi innamoro molto facilmente, sempre convinta che l’ultimo che incontro sia l’uomo giusto, peccato che alla fine sia sempre sola, con mille ricordi e mille castelli costruiti con la sabbia del mare asciutta. Ma nonostante tutto, in fondo, sono una bella persona.

    Ho troppe cose da raccontarti… questa volta credo di aver trovato la persona giusta! le rivelo con entusiasmo.

    Sì, sì, mi sembra di averla già sentita un centinaio di volte questa frase, poi…

    Non crede mai a quello che le dico, eppure le assicuro che questa volta non è come pensa lei: Davvero, non ci crederai ma è così.

    E chi sarebbe il fortunato questa volta? Dove l’hai conosciuto? prosegue incredula ma incuriosita.

    L’ho conosciuto a ballare, tanto per cambiare! Si chiama Karl, ha 25 anni, vive in Canada, a Toronto.

    Ma tu ne hai… 25! Mi assale come se avessi fatto il più grosso errore della mia vita, E poi come fai a vederlo se abita dall’altro capo del mondo?

    Ha sempre qualcosa da dire a proposito delle mie scelte e soprattutto sostiene che i fidanzati debbano essere almeno di 4 anni più grandi della nostra età.

    E che sarà mai andare a Toronto una volta ogni tanto, poi lui viaggia parecchio, non sta sempre lì, e poi anche se fosse, ormai si arriva dappertutto ribatto convinta.

    Lei controbatte: Sì sì, si arriva dappertutto, con l’immaginazione! e sogghigna.

    Beh? Anche se fosse? Ogni tanto anche l’immaginazione serve per stare bene.

    Non mi perdo d’animo, a qualcuno lo devo pur raccontare cosa mi è successo e sono sicura che appena sentirà la storia si ricrederà.

    L’ho conosciuto una sera a Nizza, al Barrio, hai presente il locale dove ti ho portata quella sera?

    E così le racconto con entusiasmo l’incontro con Karl e senza rendercene conto parliamo fino all’una e mezza.

    Ma non le svelo proprio tutto, qualcosa lo tengo per me, non vale la pena sprecare troppe parole con una perfida e invidiosa sorella che di buono sa fare solo il pane. Va beh dai, qualche altro pregio ce l’avrà, solo che io in questo momento non lo riesco a vedere.

    E Alessandro? L’hai più sentito? Mi chiede come se la domanda fosse dovuta.

    No, sinceramente credo che debba passare un po’ di tempo per riprendermi dallo shock! Sai, è venuto a trovarci un giorno al mare…

    E… aspetta che le racconti qualcosa.

    È stato carino… dico sorridendo e con un po’ di malinconia.

    Poi mi alzo dalla sedia per dirigermi verso la porta della cucina, mi appoggio con la schiena allo stipite e, con le braccia conserte scruto il calendario:

    Che giorno è oggi? osservo le date e concludo è a Montecarlo per lavoro.

    Ah, sempre per l’Università? si interessa Camilla.

    Sì, pare che gli propongano un contratto più lungo a partire dal prossimo anno.

    Bene sono contenta per lui, a me aveva detto che sarebbe rientrato per prendersi alcune cose prima di uno stage a Londra… risponde senza più di tanto ardore.

    Alessandro è laureato in Medicina ed è un chirurgo oculoplastico (di quelli che se hai la palpebra cadente te la tirano su, ma non fa solo quello ovviamente).

    Affitta una stanza a casa di Camilla e quindi, per mia disgrazia, siamo vicini di casa.

    Per fortuna da quando si è specializzato continua a fare corsi su corsi per perfezionarsi ed è sempre in giro per il mondo.

    Sappiamo entrambe che la conversazione su Alessandro termina lì. Camilla è a conoscenza del fatto che non mi va tanto di toccare quell’argomento e quindi per un attimo nessuna delle due apre bocca. Ad un certo punto lei si alza per andare a staccare dalla carica il suo cellulare e io mi raccolgo i capelli in una coda usando come elastico il braccialetto fine di silicone lilla che tengo sempre al polso. Al suo ritorno cambio discorso:

    E tu? Com’è andata ieri sera? Ti sei divertita? Chi c’era?"

    Sì, è stato bello, il posto è fantastico, una villa megagalattica con piscina e un giardino bellissimo, abbiamo mangiato, ballato e bevuto, bevuto e ballato risponde sottolineando ogni volta il verbo bevuto.

    Dai dico con un po’ di invidia, Gli hai detto qualcosa?

    No, veramente no… e improvvisamente si concentra su altri aspetti della festa.

    La maggior parte erano parrucchieri, sai che Patrick ogni anno fa l’evento Perlier, comunque c’era gente simpatica, sono tornata tardi… dice con finta indifferenza perché in realtà leggo nel suo viso una celata aria sognante.

    Patrick è il suo parrucchiere, da quattro anni gli muore dietro ma non fa niente per farglielo capire, si vedono quando lei va a farsi la piega o la tinta o qualsiasi altro esperimento tricologico pur di vederlo.

    Tutto qui? Proprio niente gli hai detto? Secondo me non me la conti giusta…!

    E lei sta muta mentre ritira le tazze della colazione nella lavastoviglie.

    Una tazza le scivola dalle mani e si rompe sulle piastrelle azzurre. Frettolosamente raccoglie i pezzi e li getta nella spazzatura e commenta: Meglio, tanto era vecchia.

    Capisco il suo imbarazzo e lascio perdere: Dai, l’importante è che tu ti sia divertita, anche se muoio dalla voglia di sapere che cosa mi sta nascondendo. Con un po’ di curiosità mista a agitazione vado verso la porta.

    Ci sentiamo più tardi?

    Sì Linda, così adesso ripasso ancora un po’…

    Camilla mi accompagna all’uscita, ci scambiamo tre baci sulle guance.

    Vuoi venire da me a cena così chiacchieriamo un altro po’? mi chiede Camilla.

    Ok, a dopo cara attraverso il pianerottolo ed entro a casa mia.

    3

    Vivo in un appartamento in Via Battisti 3 a Torino. Dal balconcino vedo Piazza Carlo Albero, Palazzo Campana, la Biblioteca Nazionale e il retro del Museo del Risorgimento. Torino è bellissima. È bella d’inverno sotto la nebbia e sotto la neve, quando esci di casa e ogni volta che apri bocca fai la nuvoletta di fumo, è bella in primavera, quando le rondini garriscono la sera al tramonto e passeggiare per le vie del centro o lungo il Po diventa magico, ma è bella anche ora che è finita l’estate e tutto riprende.

    Anche se Torino sembra un sogno, la mia testa non è qui. È dove vorrebbe ancora essere, dove avrebbe voluto rimanere, nell’unico posto che ora per me significa bellezza. La casa è molto luminosa, ho tante piante grasse di cui anche una carnivora che mi aveva regalato uno dei miei fidanzati durato qualche settimana. Alle pareti ci sono appese foto di ballerini più e meno famosi, immortalati in attimi di esaltazione fisica e straordinaria bellezza artistica, gesti atletici e armoniosità di corpi scolpiti da sacrifici di ore di esercizio quotidiano e diete rigorose. Tutte le volte che entro in una stanza osservo il ballerino incorniciato che mi sta di fronte e lo guardo come se mi volesse dire qualcosa che solo io e lui possiamo capire.

    La prima cosa che decido di fare è dare un senso alla mia camera che sembra sia stata attraversata da un uragano. Rivado a controllore le email ma per il momento non ho ricevuto nessun messaggio importante se non SPAM e due email di Luisa, la mia responsabile in QuickP. Al cellulare nessun SMS, per il momento l’unica cosa che mi rimane di Lui è il ricordo e le promesse fatte. Ho paura di essermi illusa, non riesco ad accettare l’idea che forse anche questa volta mi sia presa una cantonata. Sollevo gli abiti da terra e li ripongo nell’armadio, faccio altrettanto per le scarpe e le riviste di cucina, sparse sulla scrivania, e le accatasto in una pila a lato della porta. Adoro cucinare ma non sono poi così brava, ho tutti i numeri di Cucina Per tutti (sono abbonata da due anni), quelli di Cucina Facile, che poi così facile non è perché ci sono anche ricette indicate con quattro cappelli da chef il che vuol dire che sono di difficile realizzazione. In particolare adoro cucinare torte e dolcetti.

    Riordino le foto in un raccoglitore e tolgo di mezzo il faldone delle fatture della casa, rimasto fuori per il pagamento dell’ultima rata del condominio. Il grosso è fatto. Rimane da svuotare lo zaino, ma finché la roba rimane lì dentro è comunque più in ordine che vederla sparsa qua e là per la casa. Sono in ansia. Non so cosa fare. Potrei provare a chiamarlo ma non voglio passare per la rompiscatole di turno che sta con il fiato sul collo, voglio cercare di fare finta di niente ma non ci riesco.

    Presa da una morsa di fame nervosa vado in cucina.

    Mi fermo a guardare la foto di fianco al microonde: è la scena del video di Yuri Buenaventura "Salsa" che mi ricorda l’estate appena trascorsa. Colori giallo rosati di un locale di Cuba con uomini e donne che ballano con la musica nel cuore e nel sangue, e anche a me in quel momento, sembra di sentire la musica e sospiro. Distolgo lo sguardo e apro il frigo. È vuoto, beh non proprio, in realtà c’è un barattolo di maionese, uno di ketchup, uno di pesto, uno di salsa tonnata e uno di bernese, cinque Crodini, un Martini bianco ancora chiuso, un barattolo di miele millefiori e nel freezer una scatola di Sofficini e un sacchetto di piselli.

    "Dimmi che cosa hai nel frigo e ti dirò chi sei" era il titolo di un articolo pubblicato su una rivista di cucina che ho comprato quest’estate al mare, certo che dal mio frigo non so che profilo psicologico possa venir fuori… beh, sì, le salse mi piacciono più o meno tutte, ma ce n’è una che mi fa impazzire più delle altre: la Salsa cubana.

    4

    Non è da tanti anni che ballo, cioè, volevo dire che ballo Salsa, ma è da quando avevo 5 anni che frequento corsi di danza, prima classica, poi moderna, poi contemporanea, poi orientale, quindi, se adesso ne ho 25, sono 20 anni che ballare è il verbo che più volte è entrato nelle mie orecchie e nel mio corpo.

    Quando andavo all’asilo mia mamma mi aveva iscritta ad un corso di danza organizzato dalla scuola (credo per disperazione visto che a casa non stavo mai ferma, ballavo tutto il giorno e rompevo che volevo fare danza).

    "Seminata in una notte di tempesta" diceva Elvira, la babysitter antidisordine che mi guardava tutti i pomeriggi mentre mamma era a scuola.

    Il primo anno di danza me lo ricordo come se fosse ieri.

    Alle 16,30 suonava la campanella e tutti i bambini venivano accompagnati dalle maestre nell’atrio. Aspettavano i genitori e tornavano a casa. Io invece rimanevo sola dietro

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