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Funambolo della musica
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E-book129 pagine1 ora

Funambolo della musica

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Info su questo ebook

Alex Formosa Baudo è nato in Italia ma ha vissuto buona parte della sua vita in Australia, Canada, e in viaggio.Il viaggio, insieme alla musica, sono i veri protagonisti di questa intensa biografia in cui Alex, attraverso le parole di Teresa Giulietti, racconta per la prima volta e con disarmante sincerità il dietro le quinte della sua esistenza, volendo farsi conoscere anche nel nostro Paese per quello che è. Lo sconfinato amore per la musica coltivato fra le mura domestiche negli anni della sua formazione, la Roma degli anni Sessanta vista dalla casa delle meraviglie, le prime esperienze fra concerti, trasferte, la batteria e poi il pianoforte e le canzoni scritte, i viaggi in cerca di ispirazione e contratti discografici. Le avventure e le disavventure di un funambolo mai sazio di scoperte, sempre in bilico tra una realtà a cui dover rendere conto e la vena artistica che spesso trascina troppo lontano. Tutto l’amore con cui è stato cresciuto e uno sguardo “oceanico” che bandisce i preconcetti non lo preservano dal tunnel della depressione da cui esce grazie alla Dottoressa Brain e a una grande forza di volontà.
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2023
ISBN9791222424989
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    Anteprima del libro

    Funambolo della musica - Alex baudo

    Ringraziamenti

    La stesura di questo libro è stata impervia e piuttosto lunga rispetto alle previsioni iniziali.

    Ringrazio mio fratello Francesco che con pazienza e obiettività mi ha aiutato a ricordare eventi passati, partenze e ritorni e lo stato d’animo con i quali sono stati vissuti, poiché talvolta il diretto interessato rimuove o confonde.

    Ogni membro della mia famiglia, i miei fratelli, mio figlio Sean e la sua famiglia, gli amici di sempre e di oggi: tutte creature preziosissime che direzionano il mio passo. Ne cito qualcuno senza far torto a nessuno: Michael Oliphant, Joe Creighton, Jannine Bennett, Richard Lush, Mark Opitz, Randy Bulpin, Mariagrazia e Luca Di Nardo, Carlo Campili.

    Infine, ma non certo per ordine d’importanza, quelle due stelle che risplendono in cielo e a cui ogni sera rivolgo lo sguardo: Stella Mirella e Stella Tullio.

    L’inizio

    (Terni – Umbria, 30 giugno 2022. ore 9:10)

    È una splendida mattina di sole. Se c’è una parola che mi viene da accostarle è perfetta.

    Mi piace il suono che produce la parola perfetta. È rotondo, sinuoso, un soffio che si posa.

    Ieri sera ho scordato di chiudere le tende, esausto mi sono buttato sul letto, a peso morto, tempo qualche secondo sono caduto in un sonno profondo. Una dormita memorabile, di quelle che ristorano corpo e mente: nessuna interruzione, nessun sogno molesto. E io sono il re dei sogni molesti, ne ho collezionati a migliaia nel corso della mia vita rem. Freud si divertirebbe un sacco con me.

    Al mio risveglio il cielo era un’immensa campitura turchese, senza tracce di nuvole, che ho intravisto da dietro la finestra, Tutt’attorno, alture montuose ricoperte di verde.

    Questo è un piccolo paradiso devo aver pensato, stiracchiandomi un po’: braccia sopra la testa, la schiena che si allunga e il torpore della notte che scivola via. Non sempre tornando in Italia ho provato questa sensazione di benessere, per quanto sia legato al mio paese d’origine, in certi momenti della vita l’ho sentito nemico, disseminato di ostacoli. Un paese che voleva sempre chiedermi il perché di tutto.

    Cucina. Caffè. Macchinetta sul fuoco. La tazzina già pronta, la zuccheriera di ceramica, il cucchiaino. Una mattina senza caffè è una giornata persa. È stata mia madre ad avermi insegnato il piacere per le piccole ritualità, una forma di meditazione dinamica che sancisce un legame con se stessi. In tutti i miei continui spostamenti per il mondo la ritualità mattutina mi è stata di grande conforto.

    Poco prima che il fischio della caffettiera annunci il primo sbuffo, il telefono prende a squillare.

    «Buongiorno, tutto bene?»

    «Buongiorno a te, Alex. Sì, tutto bene».

    «Ci sono Novità?» domando.

    «Senti, ti va di pranzare con me oggi? Devo venire giù a Terni. Conosco un buonissimo ristorante… Allora, che ne dici?»

    «Dico che mi sembra una gran bella proposta! Fortuna che non ho ancora mangiato niente a colazione; mi tengo

    un discreto spazio per il pranzo?»

    «Direi di sì, più che un discreto spazio».

    «Perfetto! Ora, però, ti devo lasciare, stamattina mi sono svegliato molto ispirato».

    «E allora, ti lascio lavorare» risponde. È anche grazie a lui, il mio editore, se mi sono deciso a imbarcarmi in questo nuovo progetto che mi elettrizza e mi spaventa al tempo stesso.

    «Ho parecchie idee per questo libro… ora sono più che certo di volerlo scrivere. Stamattina mi concentro sull’introduzione; che ne pensi?»

    «Mi sembra un buon inizio. Ti consiglio anche di buttare giù una sorta di indice, assegna un titolo ai vari capitoli, ti può aiutare».

    «Sì, è proprio quello che sto facendo: capitoli, punti salienti della mia vita… nemmeno mi sembra possibile aver vissuto così tante vite».

    «Ottimo, mi fa piacere sentirti motivato. Dai, ora ti lascio alle tue muse e poi ne riparliamo davanti a un bel piatto di fettuccine. Facciamo a mezzogiorno?» «A mezzogiorno è perfetto».

    Quando riaggancio mi sento leggero. Carico di idee, eppure leggero. Può sembrare una contraddizione ma a me accade sempre così quando l’ispirazione arriva, e la testa si riempie di nuove immagini o di suoni: ho come la sensazione di evaporare, di staccarmi da tutto.

    Esco in terrazza, la luce mi avvolge col suo calore intenso, bevo il primo caffè. Un secondo. So che mi devo controllare ma ora non ho troppa voglia di dare ascolto alle regole, ci penserò domani alle regole, ora sono felice. Leggero e felice. Ho sempre pensato che felicità e regole non potessero andare troppo d’accordo.

    Perlustro con lo sguardo lo spazio tutt’attorno, faccio il pieno di azzurro, di verde, delle screziature cromatiche della campagna umbra. Tu sei dove poggi il tuo sguardo, quella voce mi risuona come un mantra: a qualcosa sono valsi tanti anni di meditazione.

    Quando sono lontano da casa la mia vita con i suoi ricordi mi sovrasta. Questo fa la distanza: ti obbliga a rimanere fedele al passato, anche a quello più recente e a quello che vorresti dimenticare. Una sequenza rapidissima di fotogrammi mi assale: volti che conosco bene, quelli dei miei fratelli, di mio figlio Sean, di mio padre Tullio negli ultimi giorni di vita, e voci familiari si succedono in maniera sconclusionata, senza ordine.

    Molte di quelle immagini fanno capo a lei, il fulcro della mia esistenza: mia madre. Anche adesso mi sorride.

    Sono così in ansia per mamma Mirella, non sta bene e temo di non poterla più rivedere, di non fare in tempo a rientrare in Australia per poterla abbracciare un’ultima volta. Peggiora di giorno in giorno, talvolta al telefono fatica a riconoscermi, dice cose senza senso. Demenza senile, una malattia cinica e spietata che si porta via lucidità e ricordi.

    La vecchiaia non dovrebbe essere così meschina, per nessuno. Nonna Mirella ora si potrebbe godere i suoi nipoti, gli insegnerebbe il valore della musica, le poesie di quando era bambina, li crescerebbe attraverso le parole che guariscono, come ha fatto con noi tre fratelli.

    Ma questo viaggio non potevo più rimandarlo, ci sono in ballo un po’ di progetti professionali, tra cui questo libro. Come musicista sono poco conosciuto in Italia, i miei successi toccano paesi anglofoni, Canada e Australia soprattutto. Vorrei poter acquisire un’identità professionale anche nel mio paese di origine, vediamo se con questi nuovi pezzi ci riesco.

    Rientro in soggiorno, accosto appena le tende, prendo posto davanti alla scrivania con il mio computer portatile già aperto. Un modello che mio fratello Francesco definisce di era Sovietica, non ne fabbricano più in giro ma lui non mi ha mai lasciato a piedi e, fintanto che non lo farà, resterà con me.

    L’inizio.

    "Potrei cominciare dal giorno in cui ho deciso di mettermi a suonare. Oppure, da quando ci siamo trasferiti in

    Canada o dalla partenza per l’Australia…"

    Un soggiorno pieno di libri. Il pianoforte di papà Tullio. La nostra stanza di bambini. La mia prima batteria. Le mie valigie, i cassetti aperti. Il giorno del mio matrimonio. Una stanza d’hotel. Un vecchio telefono. Sean che dorme nella sua culla. Un nuovo aeroporto. Delle mani che accarezzano. Il mio primo viaggio a Londra. Una bottiglia di vino. Un letto d’ospedale. La dottoressa Brain…

    Troppe immagini mi sovrastano, devo concentrarmi su una. Una soltanto. La prima immagine, la prima scena, come il primo mattone di una casa che si vuole costruire. E io voglio costruire la mia casa fatta di parole con cui dire agli altri chi sono veramente.

    Sono anni che amici e parenti mi consigliano di farlo. Devi scrivere un libro, Alex, la tua vita sembra un romanzo.

    Allora non mi sentivo pronto. Ora sì.

    «Ora sì» dico a voce alta.

    E lo ripeto, una, due volte. Dirsi le cose a voce alta sortisce un effetto diverso, catartico. L’ho imparato in quelle settimane di oblio, di nero assoluto. Se sono riuscito a ritrovare la luce oltre il tunnel della depressione, vuoi che non riesca a raccontare della mia vita fra le pagine di un libro?

    Aggiusto la mia posizione sulla poltroncina, sciolgo i muscoli del collo, adagio le dita sui tasti del pc, come un pianista che si accinge a suonare. E da questo momento è come se qualcuno al di fuori di me le muovesse, rapidamente. Per un attimo sento solo il battito dei polpastrelli sulla plastica dura, il mio respiro, l’aroma di caffè.

    Poi, rileggo qualche passaggio che, a getto, ho appena scritto. Devo concentrarmi sulle parole, azionare la modalità lingua italiana, è più frequente che pensi in inglese, specie se manco da tempo dall’Italia.

    Sono Alessandro Baudo, spesso anche chiamato Alex, in quanto ho vissuto quasi tutta la mia vita in paesi anglofoni come l’Australia e il Canada, spostandomi spesso in altri paesi di lingua inglese per suonare. Mi sento un cittadino del mondo, ma non così, tanto per dire. Mio fratello Francesco, docente di antropologia, sostiene che la nostra è una famiglia oceanica, aperta e inclusiva. Siamo figli del vento, solerti verso ogni cambiamento, lontani anni luce dai pregiudizi.

    "Non so come sarei oggi se non avessi viaggiato tanto, se i miei genitori e i miei nonni

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