Eppur in casa sto. Racconti e poesie in tempi di quarantena.
Di AA.VV.
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Le parole, sì. Quelle straordinarie boe semantiche che si avvoltolano, si accartocciano, si tendono e stendono, si protraggono e si ritirano alla ricerca, affannosa e imperante, di un senso in questo esilio esistenziale, seppur tra le pareti domestiche.
Le parole, sì. Che si interrogano e ci interrogano e hanno la forza, e il coraggio, di nominare questa strana e virale malattia che ha messo a nudo fragilità, paure, ipocondrie, solitudini.
A cura di Antonietta Cozza
L'intero ricavato della vendita dell'eBook sarà devoluto all'Azienda ospedaliera di Cosenza.
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Anteprima del libro
Eppur in casa sto. Racconti e poesie in tempi di quarantena. - AA.VV.
INTRODUZIONE
Eppur in casa sto.
Il racconto in prosa o in versi ai tempi della quarantena è un antidoto per le nostre anime che hanno bisogno di argini e dighe emotive per non esondare, una sorta di cordone ombelicale che ci consente di tenerci ancorati alla forza delle parole.
Le parole, sì. Quelle straordinarie boe semantiche che si avvoltolano, si accartocciano, si tendono e stendono, si protraggono e si ritirano alla ricerca, affannosa e imperante, di un senso in questo esilio esistenziale, seppur tra le pareti domestiche.
Le parole, sì. Che si interrogano e ci interrogano e hanno la forza, e il coraggio, di nominare questa strana e virale malattia che ha messo a nudo fragilità, paure, ipocondrie, solitudini.
Le parole nominano appunto le cose
e le rendono visibili, auscultabili, palpabili.
C’è bisogno oggi più che mai di rendere plasticamente il virus che, impalpabile e invisibile, si è insediato nelle nostre quotidianità e solo la scrittura, che è parola, può farlo.
Da qui l’idea del concorso #iorestoacasa della casa editrice Pellegrini che ha pensato alle parole come ponti tra le anime e la realtà opaca e sfilacciata di questi giorni.
Dal concorso di versi e narrazioni la pubblicazione del volume dal titolo
Eppur in casa sto che richiama l’Eppur si muove di Galileo Galilei e invita anche ad un riappropriamento filosofico di questo tempo.
Una rivisitazione in chiave poetico/narrativa della nostra esistenza che, senza la luce della scrittura, rischia di essere travolta.
Antonietta Cozza
Duecentocinquantacinque mattonelle
Alessandra Balla
Duecentocinquantacinque.
Duecentocinquantacinque è il numero delle mattonelle della mia cucina. Le conto in modo metodico. Ripeto l’operazione. Lo faccio con le dita, io che nei conti non sono mai stata brava. Non me ne ero mai accorta, non le avevo mai contate. Sarà perché odio lavare il pavimento. Sono bianche e blu, le mie mattonelle. Hanno disegni geometrici, un piccolo rombo scuro al centro e quattro quadrati intorno. Ho pensato di contare anche quelle del salone. Ma non ci sono, ho il parquet. La mia casa in questi giorni mi sembra diversa, più piena, affollata, stringente. È un monolocale, con poche mattonelle e una sola finestra. Un open space direbbe qualche architetto. A me non sembra altro se non una casa senza stanze e con duecentocinquantacinque mattonelle.
Appena arrivata avevo con me una valigia colma di libri e scatole di scarpe. Per i primi due giorni non li ho sistemati, li ho lasciati all’entrata. In cucina facevo solo il caffè e l’odore arrivava fino al letto. Ci svegliavamo così, con quell’odore di caffè mischiato al nostro. Camminavo a piedi nudi per riconoscere il terreno. Su quelle duecentocinquantacinque mattonelle c’ho ballato, così piano per paura di romperle e sprofondare in qualche luogo sconosciuto. Mi ci sono seduta una volta su quelle mattonelle, mentre non c’eri. Non te l’ho mai detto. Dovevo sentirle mie.
Oggi le conto. Mi sdraio sul divano e accendo una sigaretta. La cucina è così vicina che quasi posso toccarla. Pregi e difetti di una casa senza stanze. Un open space come direbbero sempre gli architetti. Vedo la tua sagoma dietro lo schermo e giro di nuovo la testa verso le duecentocinquantacinque mattonelle. Ripenso a quella bottiglia di vino caduta per terra e rotta in mille pezzi. Erano solo le dieci di mattina. E tutto, ma proprio tutto, sapeva di vino. Le mattonelle erano rosse e intrise di alcol e risate. Sì perché ridevamo, davanti al frigo e inginocchiati sulle nostre duecentocinquantacinque mattonelle. Non ho pulito subito. Abbiamo fatto l’amore inebriati di vino. Quella pozzanghera sapeva di noi, sapeva di casa. Ho sistemato i libri e le scarpe, ho tolto la valigia dalla porta e messo i calzini. Non sprofondavo più. I piedi camminavano tranquilli, si poteva ballare comodi su quelle duecentocinquantacinque mattonelle. E ci abbiamo ballato, la sera solitamente e nei ritagli di libertà dagli impegni. Senza fare conti, ma addizionando il tempo a quello perso dei giorni troppo corti.
In questa apnea sociale dove la distanza è uno standby solitario apro il mio balcone mentale e faccio prendere aria e luce ai pensieri. Resto seduta per lo più, ma non per terra. Non questa volta. Il mondo è un posto strano, più del solito. È vuoto e deserto come se ci fossimo dimenticati di camminarci sopra. Non ci sono mattonelle. Non poterle contare, come invece faccio nella mia cucina, oggi mi fa paura. Forse appena uscirò farò proprio come ho fatto su quelle mattonelle: ci passerò sopra delicatamente e a piedi nudi, con ancora il timore di sprofondare in qualche luogo sconosciuto. Pure i quartieri sembra che non ci appartengano più, ma come non mai li sentiamo nostri. Da casa rimbombano le voci del mercato, vedo gente prendersi una birra seduta al bar e sento il profumo di carbonara, come in quelle sere stanche e mangiate di corsa. Ma è solo nella mia testa. Dalla finestra, quella in cucina, l’unica che ho, non vedo altro che palazzi distanti. Mi sembrano migliori di come li ricordavo. A volte cantano e a me pare che si muovano anche. Detto da una che conta le mattonelle capisco possa risultare poco credibile.
Eppure in questi giorni qui, la mia casa senza stanze è un luogo sicuro. Non me ne ero mai accorta. O almeno non del tutto. E allora sono un po’ felice. In questo mondo strano e senza mattonelle da contare non abbiamo tempo per accorgerci dei particolari. Ora affamati di merendine che finiscono troppo presto, ma solitamente bulimici di vita e frenesia corriamo senza sapere dove andare. Non importa quasi più la meta, importa la velocità. Si arriva a fine giornata senza fiato, con i polpacci che tremano e i piedi che fanno male. Un po’ di sonno e la mattina si rinizia, su questa giostra dove i lenti non sono ammessi. Ho fermato il corpo, ma i pensieri no. Quelli non li blocchi, continuano a correre all’impazzata. Una palestra di pensieri è quello che viviamo, oggi più che mai.
Io allora apro una bottiglia di vino. Ma senza rovesciarla sul pavimento questa volta. Guardo la tua sagoma, sempre dietro al solito schermo, e sorrido. Noi insieme possiamo ancora ballare su queste duecentocinquantacinque mattonelle, nessun timore. Intanto resto sul divano e accendo un’altra sigaretta. Magari domani conto pure le mattonelle del bagno, sono poche non ci metterò molto.
TORNERò A VIVERE
Alessandro Curia
Tutti dicono tutto andrà bene
Siamo chiusi in casa per proteggerci dal virus, minuscolo nemico che ha dichiarato guerra a tutto il mondo
Rimani in casa
Lavati le mani
Mantieni le distanze
Non toccarti occhi, naso e bocca
Rimani in casa
Non è facile
La cosa che maggiormente mi manca sono gli abbracci, il guardarsi negli occhi con gli amici a cui vuoi bene e che ti vogliono bene, i baci affettuosi, lo stringere la mano a chi ti sta vicino e ti sorride
Rimani a casa
Rinuncia a tutte queste emozioni belle che mi fanno stare bene
Mi mancano e mancano, credo, tutte queste cose ad ognuno di noi
Rimani a casa
Finirà tutto questo
Finirà
Usciremo di casa e con un unico abbraccio costruiremo un mondo nuovo, dove i mari non saranno più pieni di plastica, non ci saranno animali in estinzione, non ci sarà inquinamento atmosferico
Finirà
Ci sarà un unico abbraccio
E io tornerò a vivere.
WALKING ON THE MOON
Alessandro Guainella
Mia madre piange ed è colpa mia. La sento singhiozzare in salotto. Avrà indosso ancora il grembiule mentre siede dietro la poltrona di papà. Vorrei abbracciarla ma non riesco ad alzarmi dal letto. Vorrei chiederle scusa per essere nato. Per aver distrutto le loro vite. Ed è vero. Io sono buono a nulla, non so fare niente e non servo a niente. Non ho mai capito che ci sono venuto a fare