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Le prime sette vite di Helena Kanthegel
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E-book137 pagine1 ora

Le prime sette vite di Helena Kanthegel

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Info su questo ebook

Avventure, confidenze private e assurdi monologhi di un'arzilla signora austro - genovese invitata a sostituire il consorte, l'esimio Professor Seneca Kanthegel, durante alcune importanti conferenze filosofico-letterarie.
LinguaItaliano
Data di uscita2 gen 2024
ISBN9791222709963
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    Anteprima del libro

    Le prime sette vite di Helena Kanthegel - Irene Chiozza

    1

    Si dice ha sette vite come i gatti con troppa leggerezza e nessuna base scientifica, perciò mi perdonerete se quelle di cui vi parlerò sono circa, più o meno, forse e pressappoco, le mie prime sette vite; possiedo un’acritica baldanza che certamente mi farà superare la dozzina di esistenze e affrontare la pochezza dei nostri tempi con sorriso sguaiato e maliziosa ironia. Ho scoperto in tarda età la trovata forse più singolare e geniale dell’umanità, l’invenzione dei tipi quasi tragici, degli infelici dotati di massima intelligenza: l’umorismo, che è un’altra saggezza di vita.

    A rivelarmelo è stato l’ingenuo Hermann Hesse nel suo romanzo autobiografico Il lupo della steppa del 1927. Il poveretto certamente ignorava in quali mani stava affidando la confidenza e soprattutto che uso ne avrei fatto.

    Da quel momento le vite di Helena Kanthegel si sono moltiplicate come i pesciolini della polvere sotto la mia scrivania.

    So bene che il mondo si regge su regole effimere come il vapore nel sole di un prato, come le scuse bugiarde e il fuoco di carta straccia, ma i miei giorni si lasciano sedurre da REGOLE INDEROGABILI che rispetto con il rigore di un generale.

    Seduta su uno scoglio in prossimità del mare che ora abito, osservo le increspature dei colori variegati, respiro la fragranza salmastra e il profumo di aranci selvatici, desidero un tuffo, ma rinuncio perché non esiste un modo per immergermi senza bagnare i capelli, che si arriderebbero disordinati e non potrei tollerarlo.

    Prima regola inderogabile:

    MAI BAGNARSI I CAPELLI.

    Anche se la roccia che sostiene i miei glutei è scomoda, non perdo l’autocontrollo né mi mostro debole; niente possono gli attacchi d’asma, il tremore delle labbra e soprattutto la busta che intravedo nella borsa di paglia.

    Come un lago d’inchiostro rovesciato vedo i miei pensieri sporcarsi d’emozioni e muoversi nella calotta cranica, uffa! Era così bello scimmiottare la felicità!

    La nebbia in fondo al mare spinge sulla costa, sul mio viso e su tutta la pelle gocce di disagio grandi come boccette di Chanel numero 5: sono guerriere vittoriose e non donano certo alla nobiltà del mio aspetto.

    Seconda regola inderogabile:

    FORMA BATTE CONTENUTO DIECI A ZERO. SEMPRE.

    Ad essere sincera non sono il mare e la macaia a mettermi in difficoltà, ma la lettera che è arrivata oggi e adesso è lì nella borsa. Di per sé non avrebbe dovuto riguardarmi né preoccuparmi, ma...

    La veranda custodisce letture, tisane e lavori a maglia. La luce entra copiosa, i raggi si colo rano di pulviscolo e d’arcobaleno, mutano le tinte delle cose e m’abbandono su una poltrona dai cuscini rosati, ondeggio le dita tra fili immaginari, sposto i piedi per affondarli in pozzanghere di luce chiara, uno sbuffo di polvere mi fa starnutire, o forse sarà il pelo della gatta, visto che la mia allergia si ostina a tenermi compagnia.

    Seneca, mio marito, è seduto al tavolino verde su cui ama poggiare i gomitoli del suo lavoro all’uncinetto; di fianco a lui il cestone di vimini accoglie i quadratini di lana già pronti.

    È un bell’ uomo il mio Seneca, è così alto! Docente di Filosofia Primordialis.

    Mi chiedete dove? All’Università di Puburgo-Taburgo-Caburgo-Soburgo, ed è titolare di una decina di cattedre, tutte alte anch’esse. Sorseggiamo la tisana Intellettualix che gli preparo con deferente devozione coniugale ogni giorno alle 15 e 33. Lo scampanellio della bicicletta di Fiorina la postina ci sorprende. «Professore! C’è da firmare.»

    Corro alla porta, una spruzzata decisa in direzione della ragazza e la faccio entrare. Simonweil alza appena le vibrisse per annusare la nuova arrivata. Non siamo razzisti, ma nessuno di noi tre apprezza il sentore di traspirazione e cibo mal digerito della poverina, anche se non abbiamo mai protestato con la dirigente dell’ufficio postale. Teniamo un deodorante spray sempre pronto sul graffiatoio di Simon. Fiorina si aggiusta la gonna a pieghe ed estrae una missiva dal borsone, fa due passi in avanti e la porge a Seneca che appoggia la tazza accanto a un gomitolo pervinca. La ragazza tira su col naso, si gira e se ne va.

    «Avremmo potuto offrirle una tisana.» Mio marito mi allunga la posta.

    «Ma Seneca, sei troppo buono tu.»

    Leggo a voce alta.

    All’illustrissimo, esemplare, esimio, eccellente, saggio, bellissimo Professor Seneca Kanthegel

    Villa Socratica n. 3

    Saggia Riviera

    Italy

    In realtà l’ultimo aggettivo (bellissimo) è stato malamente cancellato dal timbro delle Poste locali.

    Meraviglioso professore,

    venuti a conoscenza della sua attuale residenza nella nostra regione, desideriamo invitarla alla prima conferenza dell’associazione Scrittura Zen Genova che si terrà nella nostra deliziosa sede in piazzetta Ninfeo. Quali fedeli e ammirati Suoi allievi, abbiamo tenuti vivi i Suoi insegnamenti e ora siamo orgogliosi di diffondergli e farli conoscere al mondo: una persona, una piazza, una città, uno stato alla volta!

    L’evento si terrà sabato 28 maggio 2022 e verterà su un tema a Lei tanto caro: L’umorismo italiano del 1900.

    L’aspettiamo.

    Firme

    Giotto, Haika, Jean Paul, Nathalie.

    Quando mi giro, Seneca ha la testa abbandonata sul panciotto a fiori e russa borbottando, è sfinito, poverino! A me sfugge un sospiro, alla gatta un miagolio | non è mai contenta quando il padrone non ci presta attenzione | salta sul piatto del giradischi e fa partire il canto scout Lupo salta su a tutto volume. «Brava Simon! Ora torna dalla mamma, piccina!... oh, Seneca, hai sentito? quanto sei amato, tesoro? Dovresti preparare la tua valigetta da conferenziere e partire subito.»

    «Non andrò da nessuna parte, donna. Dovresti dire alla tua gatta di lasciarmi dormire o cambiare canzone.»

    «Come dici, caro? Sei atteso! Non sei impaziente?»

    «Per niente, moglie. Io non li conosco neppure.»

    «Giotto, Haika, Jean Paul e Nathalie ... No? » Il mio adorato coniuge passa dalle ginocchia al cesto il suo lavoro all’uncinetto, s’asciuga le labbra con una smania, si alza e raggiunge la scala a chiocciola per il piano superiore.

    «Hai una macchia sulla manica della camicia, amor mio.»

    «Al diavolo la macchia, la lettera, la gatta e te.»

    «Ma i tuoi ami.. .iii...»

    «Vacci tu.»

    «Ciiiiiiiiiiiiiiiii.»

    «Vacci tu Helena!»

    «Eh?» A volte faccio finta di non sentirlo. Non ho la minima intenzione, né la capacità di sostituire Seneca alle conferenze, ma lo vedo ombroso ultimamente.

    «Mon amour, ti capisco, hai così tante responsabilità, domani disdico la partita di burraco, rimando la seduta di ragionamenti filosofici e verrò con te caro. Domani è martedì, mancano quattro giorni e devo solo organizzarmi con un nuovo beauty, un portafortuna qualsiasi e inutile per coccolarmi un po’ e il mio prezioso set di bigodoni.» Lui è sparito al piano di sopra e certo non mi ha sentito.

    Terza regola inderogabile:

    IL MIO SENECA E TUTTI I MASCHI CONOSCONO IL VERO.

    HANNO SEMPRE RAGIONE.

    Con questo pensiero fulgido in testa, salgo la scala che porta alla camera da letto; spero che la notte porti consiglio al mio sposo. A volte, non sempre (quasi mai) succede. Domattina gli farò trovare un morbido pane fresco da intingere nel latte fumante e il suo libro Antiche consolazioni poggiato vicino alla tazza. Di solito funziona. Lui prende a carezzare la copertina come fossero i ricci di un bambino, poi lentamente lo sfoglia, finché si ferma su una pagina che comincia a leggere pronunciando a mezza voce le parole come se avesse appena imparato a farlo, come fosse una preghiera o, che so, una formula magica per andare avanti. Quando avvicino la sedia e gli sorrido, Seneca chiude il libro, solleva il viso e mi racconta qualcosa ridendo. Mentre parla mi dà buffetti sul braccio o mi stuzzica la manica. Lo vorrei affogare quando lo fa, ma sopporto. A volte vorrei strappargli quel libro e dirgli: «Seneca, a cosa ti serve? Non sono io la tua consolazione? Non sono forse abbastanza bella, intelligente, ironica, scherzosa, profumata e con i capelli sempre a posto?» Vorrei persino aggiungere: «Non sono alta come desideri?» Poi mi fermo, rifletto e cancello dalla mente l’ultimo pensiero. Lui, per fortuna, non sa leggermi in testa e, ridendo, mi chiede «Oh Helena mia, è un grande conforto sapere che quando l’universo finirà al pari di noi, le nostre anime si rincorreranno ancora e io sentirò il profumo del tuo ragù austro-bolognese.»

    Domattina mi avvicinerò a lui, forse mi siederò sulle sue ginocchia e gli dirò: «Oh Seneca, come puoi temere una conferenza, se Seneca, il tuo omonimo, Platone,

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