Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Oltre le sbarre: Detenzione e riabilitazione psichiatrica tra memoria e cura
Oltre le sbarre: Detenzione e riabilitazione psichiatrica tra memoria e cura
Oltre le sbarre: Detenzione e riabilitazione psichiatrica tra memoria e cura
E-book148 pagine1 ora

Oltre le sbarre: Detenzione e riabilitazione psichiatrica tra memoria e cura

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Questo libro nasce dall’esperienza lavorativa svolta presso una comunità riabilitativa ad alta intensità psichiatrica e dall’attività di volontariato prestata presso una casa di reclusione femminile pugliese.L’intento è quello di offrire un contributo rieducativo che possa stimolare i protagonisti a conquistare sicurezza e autostima nell’interagire con le persone, le cose, gli avvenimenti della realtà circostante.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2019
ISBN9788899598402
Oltre le sbarre: Detenzione e riabilitazione psichiatrica tra memoria e cura

Correlato a Oltre le sbarre

Ebook correlati

Articoli correlati

Recensioni su Oltre le sbarre

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Oltre le sbarre - Margherita Trotta

    I

    Storia della malattia psichiatrica: la nascita della psichiatria

    Il pioniere della riabilitazione dei pazienti psichiatrici è stato Philippe Pinel (1754-1826), il quale, trasferendo nella psichiatria i fermenti innovatori della Rivoluzione francese, nel suo Traité médico-philosophique sur l’aliénation mentale del 1801 pose in evidenza che i malati di mente, se venivano approcciati con un più vivo interesse umano, liberati dalle catene e dalle restrizioni fisiche di vario genere, in voga a quei tempi, mostravano una considerevole regressione dei loro sintomi.

    Ciò portò a una ‘moralizzazione’ dei trattamenti effettuati da operatori che non considerarono più i malati mentali come posseduti dal demonio o da spiriti malvagi e non agirono più contro di loro con violenze o pratiche magiche ed esorcistiche, bensì tentarono di aiutare le facoltà rimaste integre ad assumere il controllo di quelle malate.

    Nella prima metà del XIX secolo, nei ricoveri per malati mentali d’Europa e del Nord America, si iniziarono ad applicare, in un clima ricco di aspettative, i cosiddetti ‘trattamenti morali’: metodi psicologici e spirituali (la persuasione, l’insegnamento, l’esempio, l’occupazione e la pressione sociale) resi possibili dall’aumentato rapporto personale-pazienti, dalla migliorata selezione e preparazione dei custodi-infermieri e dalle piccole dimensioni delle strutture ospedaliere di quei tempi.

    Il superamento dei puri aspetti custodialistici, con l’introduzione di trattamenti psicologici, produsse il miglioramento delle condizioni psicopatologiche e quindi l’incremento delle dimissioni dagli ospedali.

    In quel periodo, nel mondo occidentale, vari filantropi e operatori sociali si batterono per la creazione di ospedali psichiatrici statali per accogliere e curare i più poveri.

    Col passare del tempo la spinta ideale si affievolì e l’impegno economico pubblico si ridusse progressivamente.

    Vennero costruiti ospedali di dimensioni più grandi che accoglievano un numero maggiore di pazienti, specialmente cronici, gestiti da personale sempre più insufficiente.

    Ovviamente l’affollamento e il ridotto supporto finanziario concesso a queste strutture portarono al loro rapido deterioramento.

    In proporzione, i successi terapeutici e le dimissioni diminuirono, e così questi ospedali persero le funzioni riabilitative per cui erano stati rifondati, tornando a svolgere solo compiti custodialistici fino a tutta la prima metà del Novecento.

    I progressi della psichiatria nella prima metà del XX secolo furono affidati solamente all’evoluzione prima delle somatoterapie (malaroterapia di Wagner von Jauregg, 1917; narcoterapia o terapia del sonno con l’uso di barbiturici di Epìfanio, 1912 e Klasi, 1922; insulinocomaterapia di Sakel, 1932; convulsivoterapia al Cardiazol di von Meduna, 1936; shock acetilcolinico di Fiamberti, 1937; elettroshockterapia di Cerletti e Bini, 1938) e della psicochirurgia (leucotomia frontale di Moniz, 1935; leucotomia transorbitaria di Fiamberti, 1937; lobotomia di Freeman e Watts, 1947 ecc.) e poi, dal 1952, della psicofarmacoterapia.

    L’efficacia della terapia insulinica e dei trattamenti convulsivanti negli anni Trenta, e soprattutto degli psicofarmaci negli anni Cinquanta, riaccese parzialmente l’ottimismo terapeutico.

    I nuovi orizzonti della riabilitazione dei malati psichiatrici si aprirono durante la Seconda Guerra Mondiale, basandosi su sperimentazioni forzate dall’emergenza delle situazioni belliche.

    Nel Croydon Hospital in Inghilterra, in seguito a un bombardamento aereo, crollarono diverse pareti e furono divelte porte e finestre con l’impossibilità di riparare l’edificio per mancanza di materiali; ciononostante i pazienti ricoverati non fuggirono né si verificarono conseguenze drammatiche.

    In Francia, e precisamente a Charité-sur-Loire, in seguito alla confusione generale determinata dall’invasione da parte dell’esercito tedesco, un notevole numero di ricoverati abbandonò l’ospedale psichiatrico; queste dimissioni, in gran parte non autorizzate e determinate dal collasso dell’organizzazione amministrativa statale francese, spinsero molti pazienti a impegnarsi per procurarsi un’abitazione e un lavoro.

    1. Lo sviluppo della sociopsichiatria: la nascita delle comunità terapeutiche

    Partendo da queste osservazioni, fatte agli inizi della Seconda Guerra Mondiale, sulle capacità di recupero da parte dei pazienti cronici, i medici inglesi furono incoraggiati a riadottare il modello sociopsichiatrico dell’ospedale aperto, e finirono con l’assumere un ruolo d’avanguardia nel movimento che sosteneva la comunità terapeutica come strumento di riabilitazione psicosociale dei pazienti cronici.

    In Inghilterra la sociopsichiatria si sviluppò già dal 1940, partendo dalla sperimentazione da parte di Maxwell Jones di comunità terapeutiche sotto l’urgenza di trattare, con personale numericamente ridotto, un gran numero di soggetti, in buona parte soldati con psicopatologie post-traumatiche da guerra.

    Tale modello venne poi esportato e adottato da quegli psichiatri che ritenevano che le turbe mentali derivassero prevalentemente da rapporti interpersonali disturbati.

    La comunità terapeutica si diffuse in molti altri ambienti psichiatrici e nel 1953 venne introdotta nel rapporto del Comitato di esperti d’igiene mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Questa data, precedente alla diffusione dell’uso dei neurolettici, può essere considerata come l’anno della seconda rivoluzione nei modelli dell’assistenza psichiatrica.

    Dal 1955 si registrò in tutto il mondo occidentale l’inversione del trend dei ricoveri negli ospedali psichiatrici e l’inizio della reale diminuzione nelle loro popolazioni.

    Nel 1955 il Congresso degli Stati Uniti approvò una legge che portò, a partire dal 1961, alla diffusione dei Mental Health Centers, centri comunitari d’igiene mentale. Dopo il 1960 si accrebbe nel mondo occidentale l’interesse per le questioni sociali e ciò ebbe ripercussioni anche in campo psichiatrico.

    2. Le istituzioni totali

    Nel 1968 Erving Goffman pubblicò il libro Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, in cui mise in rilievo che, con l’aumento del numero dei soggetti residenti in un’istituzione (dal manicomio al carcere), questa incrementava le caratteristiche proprie di un’‘istituzione totale’.

    Si definisce ‘totale’ un’istituzione che controlla in alto grado la vita personale e sociale del soggetto ammessovi (o istituzionalizzato), in quanto consente un ridotto o assente contatto con il mondo esterno.

    Nell’ospedale psichiatrico della prima metà del Novecento, classico esempio di istituzione totale, si atrofizzavano progressivamente quelle abilità dell’individuo che lo rendevano capace di affrontare le difficoltà della vita quotidiana, dal momento che i bisogni di base venivano soddisfatti senza che i soggetti, così deresponsabilizzati, avessero bisogno di ricorrere alle proprie capacità e alle proprie iniziative. Nell’ospedale psichiatrico si instaurava la cosiddetta ‘nevrosi istituzionale’, sindrome caratterizzata da apatia, sottomissione e incapacità decisionale.

    3. Evoluzione legislativa nel trattamento globale dei pazienti psichiatrici e genesi della legge 180/78

    In quasi tutti i paesi occidentali si è progressivamente manifestata la tendenza a proporre strutture alternative all’ospedale psichiatrico, per contenere ed eliminare gli effetti della nevrosi istituzionale.

    Dopo il 1968 vi furono, in tutto il mondo occidentale, iniziative legislative tendenti a proteggere i diritti dei pazienti affetti da disturbi psichici. In Italia si giunse in ritardo, nel 1978, con la legge n. 180 che rese illegali le prime ammissioni in ospedali psichiatrici; la legge suddetta fu inclusa successivamente nella riforma sanitaria approvata con la legge n. 833 del 1978.

    Questa legge non esclude un trattamento obbligatorio, anche ospedaliero, dei casi acuti, che dev’essere affrontato in piccole unità cliniche all’interno di ospedali generali e per periodi di tempo molto brevi.

    Il concetto di trattamento psichiatrico globale, che si è venuto evolvendo, tiene conto attualmente della moderna problematica.

    I disturbi da nevrosi istituzionale, conseguenti all’ormai lontana impostazione custodialistica nel trattamento dei pazienti psichiatrici cronici, sono stati sempre più sostituiti da quelli determinati dall’opposta filosofia tendente alla ‘liberazione’ del paziente psichiatrico, senza che spesso a questo obiettivo venissero destinate le risorse necessarie in termini di assistenza psichiatrica nella comunità; ciò ha indotto, nel passato più recente, a caricare in alcuni casi i pazienti di eccessive responsabilità di autogestione, lasciandoli di fatto abbandonati a se stessi.

    Anche le famiglie sono state spesso caricate di un peso eccessivo, e ciò ha accentuato la tendenza all’espulsione e quindi all’abbandono dei pazienti più gravi e disturbanti.

    A fronte dei successi si è osservato infatti un certo numero di casi in cui la deistituzionalizzazione ha portato a una condizione di abbandono dei pazienti cronici, i quali, avendo progressivamente perso la capacità di vivere nel proprio contesto sociale, sono giunti spesso ad adottare comportamenti illegali che li hanno portati in carcere o in manicomi giudiziari (processo di transistituzionalizzazione).

    In casi meno gravi i pazienti cronici non sono riusciti ad ‘autonomizzarsi’ e hanno tentato di ritornare nell’istituzione, da loro vissuta come più protettiva dell’ambiente esterno (processo della porta girevole).

    La legge di riforma psichiatrica n. 180 del 13/5/1978 è stata recepita integralmente dalla successiva legge n. 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale.

    4. Elementi innovativi della legge 833

    La L. 180/78 e successivamente la legge 833/78, nel recepire le profonde trasformazioni culturali che hanno interessato la psichiatria italiana intorno agli anni Settanta, hanno introdotto elementi di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1