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Piccolo manuale di sopravvivenza in psichiatria
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Piccolo manuale di sopravvivenza in psichiatria
E-book220 pagine3 ore

Piccolo manuale di sopravvivenza in psichiatria

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Info su questo ebook

I profondi cambiamenti avvenuti dalla crisi economica del 2008 in avanti e ulteriormente acuiti durante la pandemia – migrazioni di massa, insicurezza sociale, incremento delle povertà – hanno determinato anche un aumento delle patologie psichiatriche. A fronte di ciò, tuttavia, i Dipartimenti di salute mentale hanno visto drasticamente ridurre organico e risorse, con conseguenze drammatiche sulla qualità della cura delle persone.
Due professionisti della psichiatria fanno il punto sui bisogni e i diritti delle persone con sofferenze psichiche, sulle reali possibilità di accesso ai Servizi territoriali per loro e per le loro famiglie e sui falsi miti che accompagnano il discorso sulla malattia mentale: dalla contenzione agli psicofarmaci, dalle basi biologiche dei disturbi al tema della guarigione.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mar 2021
ISBN9788865792223
Piccolo manuale di sopravvivenza in psichiatria

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    Anteprima del libro

    Piccolo manuale di sopravvivenza in psichiatria - Ugo Zamburru

    manuale_psichiatria_cover.jpg

    Ugo Zamburru

    Angela Spalatro

    Piccolo manuale

    di sopravvivenza

    in psichiatria

    314.jpg

    Edizioni Gruppo Abele

    © 2021 Edizioni Gruppo Abele Impresa Sociale srl

    corso Trapani 95 - 10141 Torino

    tel. 011 3859500

    edizionigruppoabele.it

    edizioni@gruppoabele.org

    ISBN 9788865792223

    Prima edizione digitale: marzo 2021

    Progetto grafico di copertina a cura di Elisabetta Ognibene

    Segui le promozioni e le attività della casa editrice:

    facebook.com/EdizioniGruppoAbele

    twitter.com/AbeleEd

    instagram.com/edizionigruppoabele

    Il libro

    I profondi cambiamenti avvenuti dalla crisi economica del 2008 in avanti e ulteriormente acuiti durante la pandemia – migrazioni di massa, insicurezza sociale, incremento delle povertà – hanno determinato anche un aumento delle patologie psichiatriche. A fronte di ciò, tuttavia, i Dipartimenti di salute mentale hanno visto drasticamente ridurre organico e risorse, con conseguenze drammatiche sulla qualità della cura delle persone.

    Due professionisti della psichiatria fanno il punto sui bisogni e i diritti delle persone con sofferenze psichiche, sulle reali possibilità di accesso ai Servizi territoriali per loro e per le loro famiglie e sui falsi miti che accompagnano il discorso sulla malattia mentale: dalla contenzione agli psicofarmaci, dalle basi biologiche dei disturbi al tema della guarigione.

    L’autore/L’autrice

    Ugo Zamburru, psichiatra, già presidente dell’Arci di Torino. Nel 2007 ha inventato e animato per oltre dieci anni il Caffè Basaglia, crocevia e luogo di incontro per chi, a Torino e non solo, sogna un mondo diverso e si impegna per realizzarlo.

    Angela Spalatro, psichiatra e dottore di ricerca in Neuroscienze. Lavora in ambito comunitario, dove oggi sperimenta in prima persona la ricerca intesa come reciprocità nella relazione con le persone portatrici di sofferenza psichica.

    Indice

    Premessa

    I. Disturbi psichiatrici e Servizi di cura

    1. Epidemiologia dei disturbi psichiatrici nazionali

    2. Epidemiologia dei disturbi a livello internazionale

    3. Le linee guida in psichiatria: modello o salvagente?

    Post scriptum

    II. A chi rivolgersi in caso di necessità?

    1. Primo contatto con i Servizi di salute mentale

    2. La rete dei Servizi per la salute mentale

    I Servizi a Torino

    III. I falsi miti della psichiatria

    1. L’oggettività della diagnosi

    2. «La schizofrenia non guarisce»

    3. «Gli psicofarmaci bisogna prenderli a vita»

    4. La contenzione

    IV. Le buone prassi

    1. Open dialogue

    2. Contratti di cura e direttive anticipate di trattamento

    3. Gli uditori di voci, ovvero il sapere dell’esperienza

    4. Il Caffè Basaglia, il ristorante come terapia

    V. Domande aperte

    1. C’è qualcuno che aiuta i familiari?

    2. Come faccio se non vuole curarsi ed è maggiorenne?

    3. Può lavorare?

    4. Posso cambiare lo psichiatra?

    5. Sarebbe utile la psicoterapia?

    6. Consigli per i giovani

    VI. Alla prova del coronavirus

    1. «Nulla sarà più come prima»

    2. Un insegnamento: quando i matti divennero liberi

    Conclusioni. Psichiatria, libertà e partecipazione

    Postfazione

    Appendice. Per saperne di più

    Bibliografia

    Dedicato a

    Meo, Carlo, Pino, Augusto, Lello, Sergio,

    i vecchi infermieri che sono stati i miei maestri.

    Albo Braccia, psichiatra e amico

    che ci ha lasciati troppo presto.

    Taty Almeida, Madre de Plaza de Mayo.

    L.F. Sasà, Dora, Anna, Fabio, Giorgio, Robertino

    Ugo

    La mia dedica va ai pazienti guariti

    e ai guaritori feriti (e alle loro famiglie)

    affinché possano dai loro porti sufficientemente sicuri

    offrire supporto e sostegno a chi lotta ancora

    nel mare aperto della sofferenza psichica

    Angela

    Se è vero, come è vero, che il titolo di un libro ne ricapitola il contenuto, da un manuale di sopravvivenza in psichiatria ci si aspetterebbe di ricevere un salvagente per restare a galla tra le onde della sofferenza mentale. Il piccolo salvagente che vogliamo lanciare con questo libro è un mix di informazioni e di testimonianze con lo scopo di unire e non di dividere le persone in cerca di aiuto e i Servizi ai quali queste si rivolgono.

    Sulla sofferenza mentale e la sua cura c’è ancora tanto da dire, molti salvagenti possono essere preparati e lanciati, ed è quello che ci apprestiamo a fare qui, almeno in parte, consapevoli come operatori dei Servizi che per molti di questi salvagenti noi non siamo sufficienti. Prendiamo come esempio le note guide turistiche Lonely Planet, le bibbie dei viaggiatori. Sono redatte da autori professionisti, ma tutti i viaggiatori che le consultano possono inviare all’editore suggerimenti e correzioni su quanto hanno letto, eventuali cambiamenti avvenuti, ulteriori informazioni utili a tutti i futuri viaggiatori. Ci piacerebbe molto che a questo manuale ne seguisse un altro, un Piccolo manuale di sopravvivenza 2 scritto insieme a familiari di persone con malattia mentale (esperti per prossimità non professionale), insieme agli stessi utenti (esperti per esperienza) e magari anche con qualche amico psichiatra.

    Durante anni di clinica abbiamo incontrato familiari e utenti, raccolto i loro consigli, ascoltato domande spesso rimaste inevase o confuse, e abbiamo tentato di dare delle risposte.

    Non siamo ricercatori, non siamo scienziati. Crediamo però che sia importante condividere qualche informazione e per farlo, oltre a consultare operatori, familiari, utenti, durante la scrittura del manuale abbiamo anche fatto riferimento ad articoli accademici, per raccontare con parole adatte la nostra chiave di lettura del mondo della salute mentale.

    Se, come noi, siete convinti che la psichiatria è una cosa troppo seria per lasciarla solo agli psichiatri, scriveteci, saremo lieti di leggere riflessioni, consigli, eventuali osservazioni e critiche agli indirizzi: baires76@hotmail.com e angelaspalatro@gmail.com.

    gli autori

    * * *

    Grazie!

    comincio a esprimere le prime considerazioni dopo una lettura fatta senza interruzioni!

    Sì, ho ritrovato il nostro percorso, ho ritrovato le esperienze che abbiamo fatto e quelle che mi sarebbe piaciuto fare, ho ritrovato le domande che ci siamo fatti e le risposte che abbiamo avuto e quelle che non abbiamo avuto. Una dimensione che ho trovato interessante è stata la solitudine nella quale si attraversa, sia come familiari, sia come pazienti e credo anche come operatori, l’esperienza della sofferenza mentale: non si può curare o guarire da soli. Mi ha appassionato condividere la visione e l’approccio politico del Manuale e mi ha incoraggiato la ricerca di differenti modelli teorici e metodologici. Mi sono commossa per le storie raccontate e per la speranza che semina e coltiva capitolo dopo capitolo questo Piccolo manuale di sopravvivenza!

    Sicuramente sento il bisogno fin da ora di rileggere alcuni capitoli o di approfondire alcuni temi, andando a leggere gli articoli o i libri che vengono indicati o di andare a guardare i film e/o i video. Insomma, l’ho trovata una lettura molto stimolante. Ho trovato complessa la parte sui farmaci; da un lato devono essere considerati come una componente del percorso di cura e dall’altra sono devastanti e instabili. La parte farmacologica è quella che mi inquieta di più per tutti gli aspetti che si trascina dietro: politici, economici, sociali, personali ed è quella che sembra più irraggiungibile come gestione partecipata. Uno degli aspetti che ho apprezzato molto è che questo salvagente può essere acchiappato da più persone: pazienti, familiari, operatori e operatrici dei Servizi con qualsiasi profilo professionale e l’obiettivo che esprimi nell’apertura del libro è stato raggiunto: aiuta, sostiene, orienta e informa in modo aperto, partecipato e soprattutto unisce e non divide.

    El pueblo unido jamas serà vencido! Ancora grazie.

    A presto!

    Cristina, madre di un ragazzo seguito dal Dsm

    Il libro è frutto del confronto e del lavoro comune dei due autori ma, al fine di restituire la vivacità e la complessità delle esperienze, si è scelto di variare in alcune parti il registro espositivo. In particolare, per dare conto di racconti e riflessioni personali, si è talora passati dall’impersonale alla prima persona singolare, segnalandolo, quando possibile, in parentesi. In ogni caso si precisa che sono di Ugo Zamburru i passaggi personalizzati contenuti nei capitoli III (tranne il paragrafo 2), IV, V (paragrafi 3 e 4), VI e nelle Conclusioni mentre sono di Angela Spalatro quelli contenuti nel paragrafo 2 del capitolo III e 1, 2, 6 del capitolo V. Nel lavoro sono stati coinvolti anche Rubina Affronte, Maria Giuseppe Balice, Paola Cannone, Riccardo Tiraferri e Giuseppe Tibaldi: i loro contributi sono specificamente indicati in nota.

    Premessa

    C’era una volta... Tutte le storie che si rispettino iniziano così e non possiamo esimerci da questa tradizione.

    C’era una volta un nobile cavaliere che si chiamava Franco Basaglia. C’era anche un drago che si chiamava Manicomio. Il cavaliere, con un gruppo di giovani seguaci, iniziò una lotta contro il drago e contro la sua stirpe, le Istituzioni totali. La lotta fu lunga e difficile, ma alla fine il cavaliere e i suoi prodi, che nel frattempo erano cresciuti di numero in maniera impressionante, riuscirono ad abbattere il drago. Il villaggio fu liberato dal Manicomio e nacquero, così, i Servizi territoriali per la salute mentale. E vissero tutti felici e contenti.

    Ma poiché questa non è una favola il finale non è così lineare.

    La legge n. 180 del 1978 e la riforma che seguì furono una conquista eccezionale, tra le più importanti nel nostro Paese. Tuttavia, la piena realizzazione di quella rivoluzione della cura non si è purtroppo tradotta fino in fondo nella pratica. Lo slancio vitale che aveva accompagnato la territorializzazione del disagio mentale con la chiusura dei manicomi e la conseguente apertura dei Dipartimenti di salute mentale (Dsm), articolata in Centri di salute mentale (Csm) sul territorio, Strutture residenziali e semiresidenziali, Spdc (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura), si muoveva in una direzione chiara, la cui bussola seguiva concetti ben precisi, generando un forte senso di appartenenza tra gli operatori che ne furono protagonisti. La persona e non la malattia al centro, l’ascolto partecipe, l’attivazione delle risorse territoriali anche non professionali, l’interezza del progetto che riguardava la sfera della vita nel suo complesso e quindi non solo la scomparsa o il contenimento dei sintomi, ma includeva la questione del lavoro, della casa, delle relazioni interpersonali. Un pensiero che si traduceva nelle équipe multiprofessionali, in cui comparivano gli assistenti sociali, gli psicologi, gli educatori insieme ai medici e agli infermieri. Ma ancora oggi, diversi sono gli ostacoli al completamento di quella rivoluzione e sovente si tratta di difficoltà di accesso, di confronto, di reciproca comprensione tra utenti e Servizi di salute mentale. Persone e famiglie, infatti, troppo spesso si trovano inermi e confuse di fronte alla fragilità delle risposte dei sistemi di cura. Si oscilla tra la passiva e rassegnata accettazione di quello che viene offerto, schiacciati da una sofferenza che sembra non trovare sollievo, e la rabbia di chi pensa di non ricevere quello che gli spetta, ovvero un aiuto professionale e materiale. Altre volte, tali difficoltà possono risiedere nell’atteggiamento che le persone, anche inconsapevolmente, mettono in campo nell’approccio alla cura.

    Lo scopo di questo piccolo manuale di sopravvivenza è di fornire un minimo di informazioni per orientarsi anche nell’atteggiamento.

    Ron Coleman è un signore nato in Scozia nel 1958, poi laureatosi in Economia e commercio. Ma è anche stato un paziente psichiatrico, con una diagnosi di schizofrenia e una carriera da paziente di tutto rispetto: con ricoveri assortiti, anche coatti, e una storia di malato della durata di dieci anni, che si interrompe quando inizia a frequentare un gruppo di uditori di voci a Manchester. Comincia da lì un percorso di guarigione personale che lo porta a diventare uno dei più importanti studiosi delle cosiddette allucinazioni uditive, comunemente note come sentire le voci, definite sintomo tipico della schizofrenia. Molti anni fa, durante un incontro con Coleman ascoltammo queste parole: «La sensazione più opprimente che si prova quando si entra nel circuito psichiatrico ha a che fare con l’impressione della perdita della speranza!». Coleman, che è una persona brillante e simpatica, esortava allora gli operatori a dare molto rilievo al fatto che le persone e le loro famiglie, che arrivano ai Servizi con una sofferenza enorme, hanno la necessità vitale di ricevere la sensazione che è possibile farcela, che ci sono delle possibilità e delle opportunità, che vale la pena fare fronte comune. La necessità, cioè, di incontrare la speranza nel nostro lavoro.

    Costruire speranza, inoltre, non è un fattore univoco, non riguarda solo le persone con sofferenza psichica e le loro famiglie. Riguarda anche operatori stanchi, oberati di lavoro, in numero sempre minore, con tanti turni di guardia, sempre più avanti con gli anni, con sempre meno risorse a disposizione. Il tutto in un contesto sociale, politico ed economico dominato dalla crisi e dalla povertà – o meglio dalla ingiusta redistribuzione della ricchezza (il fondatore di Amazon nel corso della pandemia da coronavirus ha visto il suo patrimonio personale passare in pochi mesi da 97 a 200 miliardi di dollari) – in cui la discriminazione, lo stigma, la violenza sembrano dominare la scena in quella che la bravissima sociologa Rita Segato chiama «la pedagogia della crudeltà». E allora cercheremo di non semplificare attaccando gli psichiatri che sarebbero freddi, incapaci, organicisti e pronti solo a dare psicofarmaci o, al contrario, arroccandoci in una posizione difensiva secondo cui ci sono troppi turni, poco personale, e insomma cosa si può pretendere, e poi «da certe malattie non si guarisce mai».

    Preferiamo seguire lo spirito del noto aforisma «fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce». È, dunque, importante non solo denunciare le criticità, ma anche dare rilievo alle buone prassi. Pensiamo alle storie di guarigione, alle esperienze costruttive, come quella di un concorso letterario che da anni vede raccontati in prima persona l’esperienza di malattia e l’esserne usciti. Citiamo Giuseppe Tibaldi, un amico, uno psichiatra, un bravo ricercatore che ha scritto un libro su questo tema, sul dare voce e protagonismo a coloro che da portatori di un handicap (la malattia) diventano esperti di un problema, condividendo le loro strategie di contenimento di quella sofferenza, fino a una qualità di vita degna di essere vissuta.

    Divisi non si va da nessuna parte. Cerchiamo un pensiero che unisca operatori, utenti e familiari. Lavoriamo su ciò che ci unisce. Poi lo faremo anche su quel che ci divide, in maniera dialettica, dialogica come direbbe Jaakko Seikkula, lo psicologo finlandese che ha teorizzato e messo in pratica il «dialogo aperto», un approccio alle prime crisi davvero interessante e con ottimi risultati.

    Gli psichiatri rischiano di oscillare tra l’onnipotenza e l’impotenza più assoluta, tra lo slancio e la rassegnazione, tra il cinismo e la sopravvivenza con un rischio di burn out notevole, all’interno di un sistema pubblico in crisi, fedele specchio di una società in crisi. Troppo spesso l’intervento è demandato al senso etico e professionale dei singoli operatori, con il carico che ne consegue. Utenti e familiari, tra rassegnazione e rivendicazione, hanno un compito importante, che alcune frange organizzate già svolgono: essere stimolo e controllo, ma anche preziosi alleati degli operatori nella costruzione di un mondo in cui si dia dignità alla sofferenza mentale attraverso risposte umane, collettive e scientifiche.

    Oggi i Dsm si trovano ad affrontare una crisi di organico e di risorse che si riverbera inesorabilmente sulla qualità della cura. Una crisi profonda, radicata ben oltre le mura del Servizio e che trae origine dall’ancor più grave crisi del sistema politico, economico, etico del mondo occidentale. Una società alimentata dal pensiero neoliberista nella quale cresce sempre più, a livello mondiale, il numero degli esclusi. I fenomeni secondari di tale crisi come le migrazioni di massa, una maggiore disponibilità delle droghe, la povertà, la mancanza di orizzonti e di riferimenti determinano un aumento delle patologie psichiatriche. A fronte di queste situazioni i Dipartimenti di salute mentale rischiano di collassare e di rispondere sempre meno ai bisogni delle persone.

    La ricchezza della presa in carico psichiatrica garantita dal lavoro di équipe multidisciplinari (medico, educatori, infermieri etc.) oggi è diventata un miraggio. Gli infermieri sono diventati il farmaco che somministrano su indicazione medica, gli psichiatri fanno colloqui una volta al mese, gli educatori conducono i gruppi ma spesso non hanno il tempo nemmeno per quelli. Chi chiede aiuto, invece di poter parlare con qualcuno, si perde nel macchinario burocratico: ricetta rossa, competenza territoriale, attese di uno o due mesi rappresentano il fallimento della legge 180. Quando una persona telefona per un primo contatto le domande che vengono poste o le indicazioni che vengono date sono solitamente di questo tipo:

    – Lei dove abita?

    Spesso senza specificare che la domanda è fatta per definire la competenza territoriale. Con due riflessioni: la prima è che le zone coperte dagli ambulatori sono sempre più vaste per motivi organizzativi, venendo meno al principio base della territorializzazione del disagio. La seconda: se il fondamento della cura è la relazione, cosa fare quando la scelta è fatta sulla base di criteri che contemplano aspetti organizzativi più che

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