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Diario di una hostess
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E-book145 pagine1 ora

Diario di una hostess

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Info su questo ebook

Il diario di Alice. Una hostess che, in un vortice di emozioni, racconta sette personaggi che intrecciano le loro vite in un cocktail frizzante e divertente. Amori, amicizie reali e virtuali, viaggi e colpi di scena frizzanti, per un libro da leggere in un “sorso”. Perfetto per sorridere e sognare.

Alice: assistente di volo innamorata dell’amore, in continua ricerca di conferme. Un’anima allegra e positiva, un’esplosione squinternata di emozioni.
J.J.: l’incarnazione vivente del “Peter Pan” moderno, un metro e novanta di puro narcisismo e savoir faire.
Albert: l’uomo perfetto, presente, fedele, protettivo e chiaramente gay!
Cinzia: la biondissima, desiderabile, sensualissima e fintamente svampita “Barbie tutto pepe” del 2013.
Paolo: l’imperscrutabile. L’attento amante degli animali. Silenzioso e ombroso.
Marta: la donna new age per eccellenza. Salutista, saggia e senza età.
Marco: il ciber lover, l’uomo dal viso sconosciuto, perfetto psicologo low cost, contatto di un social network.
Leila: la gatta vanitosa e intelligente, amica di disavventure e testimone di innamoramenti e pianti.

Le loro realtà si intrecciano, tra storie di vita vissuta e di vita virtuale, tra sorrisi e lacrime, tra superficialità e pensieri profondi.

Un libro da leggere in un “sorso” come un cocktail fresco, frizzante e divertente, con un retrogusto romantico di momenti rubati dal tempo e dalla distanza.

Serena Fumaria (più nota come Serena Fumar), nasce a Gubbio, ma inizia a viaggiare fin da neonata. Modella professionista per molti anni, diventa, assecondando la sua passione per i viaggi, un’assistente di volo.
Svolge questa attività con passione fino al 2009, facendo approssimativamente 160 volte il giro del mondo, per poi dedicarsi al settore moda e comunicazione.
Ad oggi vive a Milano dove, oltre ad essere marketing manager, è consulente di stile e opinionista per alcune testate e cura due rubriche radiofoniche che parlano di moda e life-style.
Sostenitrice da sempre di progetti di beneficienza personale, ha aperto un’attività fashion (www.hu4me.com) il cui obiettivo è fare da charity support attraverso la moda.

Diario di una hostess è la sua prima pubblicazione.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2016
ISBN9788863584127
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    Anteprima del libro

    Diario di una hostess - Serena Fumaria

    Capitolo 1

    Non c'e distanza che possa allontanarci dal provare amore.

    Tokio, 18 marzo

    Ore 05:25

    La sveglia suona per la terza volta ed impigrita premo il tasto repeat del mio cellulare. Altri cinque minuti per tornare alla realtà e fare il punto della situazione.

    Prima di tutto: dove sono?

    È buio, sento la pioggia fuori dalla finestra e girandomi dalla parte opposta mi aggroviglio ancora un po’ con il piumone, mentre il sogno di questa notte svanisce.

    Lui. Ancora lui.

    Non basta pensarlo ogni minuto della mia giornata; la mia testolina continua ad insistere e me lo fa anche sognare di notte.

    Lui, che in questo momento è chissà dove, a bersi una birra con chissà chi o a tampinare chissà quale bionda in giro o peggio ancora tra le braccia della sua superfidanzata perfetta di turno.

    No. No. No! Vietato pensare a lui. Assolutamente vietato.

    Ma nel sogno, oddio come era bello, sexy e hot. E che sogno da 10. Era così vero. Finito. Peccato.

    Non ho ancora capito dove sono ma se la sveglia sta risuonando con il tema di City of Angels significa che sono già passati cinque minuti e che forse un motivo per cui l’avevo messa c’è, anche se non ho voglia di ricordarmelo.

    Mi sforzo di aprire un occhio che non ne vuol sapere, provo con l’altro, che sembra essere più accondiscendente e decide di darmi uno spaccato poco chiaro del mondo. Tende scure, buio pesto, solo un filo di luce riesce a raggiungermi.

    A fatica cerco di farmi strada tra il piumone e le lenzuola che oggi, reduci da un sogno veramente piccante, sono particolarmente intrecciati.

    Allungo un braccio verso la sagoma di una abatjour enorme. Una cosa è sicura, non sono a casa mia. Io non ce l’ho una abatjour così.

    A tastoni arrivo all’interruttore: click. La luce bianca mi acceca. Quello che vedo non mi dice molto. Il solito albergo in giro per il mondo, in cui sono abituata a svegliarmi ad ore improponibili.

    Tutto molto sobrio. Tutto molto freddo. Tutto molto beige.

    Mi sento stordita e cerco quello che per noi assistenti di volo è molto spesso la storia della nostra vita: il foglio dei turni di volo. Lì sopra ci troviamo scritto il nostro futuro.

    Cerco il cerchietto rosa che mi ricorda gli orari di partenza accanto al quale scrivo l’orario di pick up. È l’ora precisa in cui, belli, stirati, pettinati e carichi di valigie, dobbiamo essere nella hall dell’hotel, pronti a partire.

    Oh mio dio! Devo essere giù alle 6:00! Guardo la sveglia e sono le 5:33, ho meno di mezz’ora, sono distrutta e la camera sembra un mercato. Perché ho comprato tutta questa roba!? Certo! Shopping compulsivo da attacco di nervi da se-compro-dodicivestitini-sexy-forse-mi-noterà, con il risultato che dovrò sedermi sulla valigia e rischiare che esploda senza un minimo di possibilità di potermi mettere i dodici vestitini in sua presenza.

    Mi alzo e mentre mi lavo i denti getto tutto quello che vedo nella mia Samsonite.

    Facendo quasi un miracolo riesco ad entrare nelle calze 120 denari a compressione graduata, antigonfiore ma anche anti-sesso, che sono sicura riuscirebbero a far sentire un cesso anche Monica Bellucci ma che in cambio, ben coperte dalla divisa, mi strizzano in una taglia slim.

    Camicia, gonna, foulard, orecchini, trucco, chignon, orologio. Mi manca qualcosa… Non trovo le scarpe.

    Rovisto a fatica sotto il piumone che ho lanciato scattando fuori dal letto e finalmente le trovo.

    Sono le 5:54. Ancora sei minuti. Salgo sulla valigia rigida che presto o tardi scoppierà e riesco sorprendentemente a chiuderla senza troppa fatica.

    Mi guardo allo specchio. Perfetta.

    Respiro forte, ce l’ho fatta, posso rilassarmi.

    Immediatamente, come se fosse una cosa normale, mi viene in mente JJ.

    Certo, Perché il mio corpo ragiona così: respiro, JJ. Bevo, JJ. Dormo, JJ. Mangio, JJ.

    Un dolore mi colpisce in pieno petto, un brivido di freddo mi ricorda che JJ, l’uomo che amo, la cosa più bella che mi sia successa, non sarà mai mio.

    Vorrei fare una magia, per tornare indietro, per trasformarmi in qualsiasi cosa possa stargli vicino, ma non funziona così. Perché?

    Mi guardo allo specchio. Sono carina, alta, slanciata, quasi austera; e nella mia divisa la mia immagine è perfetta, emana serenità, bellezza, sicurezza, forza. Esattamente il contrario di quello che mi sento.

    Sorrido sforzata a me stessa. Guardo i miei occhi truccati.

    Loro, anche camuffati da vincenti, non mentono mai. Sono tristi come me, ma più sinceri.

    Cerco con lo sguardo l’orologio, sono le 5:56. Sospiro e ricaccio indietro le lacrime, prendo le mie cose ed esco.

    Come canta Freddie Mercury, The show must go on.

    La porta sbatte dietro di me e a pochi metri dall’ascensore una voce amica mi risveglia dalle mie paturnie mentali.

    Ehi! Principessa, buon giorno! Dormito bene?

    È Albert, il mio migliore amico che come sempre mi sorride da lontano.

    Vedere lui è un po’ come vedere un tramonto abbracciati alla persona che si ama. Ti scalda il cuore. Sa di casa. Sa di famiglia.

    Per molto tempo siamo stati l’unico riferimento l’uno per l’altra, abbiamo convissuto per anni, lontani dalle nostre case. Poi ha incontrato Glenn, con il quale è veramente felice. Chiaramente Albert è gay, come la maggior parte degli uomini perfetti.

    Paradossalmente è uno degli uomini più uomini che io conosca.

    Di lui mi piacciono molte cose, ma in particolar modo la sua discrezione, la sua fermezza. Il suo modo inconsapevole di farti sentire speciale quando sei in sua compagnia.

    È l’unico che sappia veramente tutto di me, l’unico con il quale, in piena crisi di pianto, riesco a ridere. O perlomeno sorridere.

    Mi manca la nostra quotidianità ma sono felice che la sua storia vada a gonfie vele.

    Per fortuna voliamo insieme, facciamo le stesse linee. Lungo raggio e abbiamo fatto richiesta di volare in coppia appena ci hanno confermato il contratto a tempo indeterminato.

    Dopo tanti anni insieme soltanto guardandomi capisce come mi sento.

    No daaai! mi rimprovera "Non mi dire, stai ancora pensando a JJ? Bella mia, quello è uno che non sa nemmeno da che parte stare! È un superficialotto! Non merita il tuo cuore. Al massimo può essere un giocattolo con il quale divertirsi!

    Sì, belloccio è belloccio! Ma finisce lì il suo fascino… No, assolutamente. Non ti merita proprio. Nemmeno per una notte d’amore!".

    Rido perché è buffo il modo in cui lo dice. Lo adoro quando fa così.

    Riesce a far passare me per una rarità e l’uomo che vorrei e che nemmeno se ne accorge per uno sfigato. E quasi mi convince.

    Lo so che mi vuoi bene… rispondo con un mezzo sorriso ma il fatto è sempre lo stesso. Io lo amo ma lui non ama me. E me ne devo fare una ragione.

    Ma tu non lo ami Alice! Tu non puoi amare uno che nemmeno si accorge di un mondo al di fuori di Mister JJ. Un pesce lesso superficiale come lui! Daaaaai! Sei superiore. Sono sicuro che se ti morisse dietro non lo guarderesti nemmeno!

    Non capisci…

    Sì infatti. Non riesco proprio a capire che ci trovi in quel coso. A me non è mai piaciuto. Molto meglio Gerber!

    Gerber è il cane di Glenn, un dispettoso pechinese che Albert tollera a malapena.

    Ridiamo insieme divertiti di me e Gerber. Ora va meglio. Lui ha questo potere.

    Arriva l’ascensore e l’argomento JJ cade con un sorriso. Scendiamo nella hall.

    Il volo è lungo, ma tra 15 ore saremo a casa.

    Capitolo 2

    Spesso il destino fa di tutto per dirci qualcosa che non siamo pronti a sentirci dire.

    Milano, 19 marzo

    Circa 15 ore dopo

    Il mio appartamento è un piccolo loft a meno di un chilometro da quello di Albert.

    È stato difficile trovarlo, ma appena sono entrata con l’agente immobiliare l’ho sentito mio.

    È piccolo, luminoso e pieno delle mie cose in disordine. Tanti libri ovunque, tanti fogli disseminati sui mobili, tanti oggetti che amo, piante grasse e soprattutto la vera padrona di casa: Leila.

    È una micia certosina di tre anni che ho salvato da morte certa quando aveva un paio di mesi.

    Girava per strada tutta sola vicino alla Stazione Centrale.

    Era una sera di quelle piovose e umide in cui l’unica cosa che vuoi è metterti sul divano con una bella copertina calda. Lei, terrorizzata dalle luci delle macchine e bagnata fradicia, miagolava disperata su un marciapiede.

    È stato amore a prima vista. Per entrambe. L’ho portata con me nel mio vecchio appartamento in affitto e da quel momento è stata la mia amichetta del cuore.

    Con lei ho passato le ore più allegre e quelle più tristi, ho condiviso i miei pianti… e i miei panini al prosciutto!

    Direi che se li merita proprio, anche perché è l’unica vera anima in attesa del mio ritorno.

    A qualsiasi ora del giorno io rientri, lei, con il suo miagolio buffo, mi accoglie strusciandosi tra le mie gambe e vibrando in alto il suo codino sottile.

    È la cosa più simile ad un essere umano in pelliccia permanente che abbia mai conosciuto.

    Ha la sua personalità: dolce, forte e vanitosa.

    Ha più collarini di strass colorati lei, che io collanine. Uno per ogni occasione. E adora farsi fotografare. Si mette in posa, sembra una modella professionista!

    Insomma, lei è la mia piccola principessa. E lo sa.

    È un gatto, ma per me è come una bambina. La coccolo, la pettino e lei mi regala affetto senza chiedere niente in cambio.

    E poi è simpaticissima.

    Oggi ha una giornata no, forse perché sono stata via troppo tempo. Le capita. Quando si sente abbandonata per dispetto dissemina la casa di tutto

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