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Karma City
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E-book434 pagine6 ore

Karma City

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Info su questo ebook

Cosa faremmo se ci venisse offerta l’opportunità di cambiare vita, di ripartire da zero? Amanda, Mary Jane, Sarah, Joy, Robin, Yuki, Zac e Sasha hanno tra i venticinque e i quarant'anni e ognuno di loro ha una sua storia particolare. Zac ha una discoteca di successo e gli è appena stata diagnosticata una brutta malattia. Amanda è una milionaria famosa sui social ma sente di aver costruito solo rapporti superficiali. Sasha è un tatuatore che fa anche il ghost writer, soffre per i mancati riconoscimenti e di notte va a disegnare meravigliosi graffi ti sui muri della sua città. Mary Jane è una scrittrice che ha perso l'ispirazione e non riesce a trovare l’amore… Tutti e otto sono accomunati da una cosa: sono insoddisfatti della loro vita. Per questo accettano la proposta, che viene da uno psicologo conosciuto online, di abbandonare la loro esistenza quotidiana e trasferirsi su un’isola bellissima e appartata che possa offrire loro la possibilità di ricominciare. Qui, assieme ad altri giovani, potranno vivere un nuovo inizio in un luogo capace di riportare l’anima in contatto con la sua parte più vera. Passano i mesi, si creano legami, amori, amicizie. Ma qualche tensione comincia a scuotere il gruppo. È possibile che non sia tutto perfetto come sembra? Forse il sogno di un luogo ideale è soltanto un’illusione…
A due anni e mezzo di distanza dal precedente romanzo, Massimo Bisotti torna con un nuovo straordinario libro capace, con il suo stile inconfondibile, di raccontare il mondo di oggi e quanto di unico è nascosto nelle profondità del cuore umano. Bisotti scende negli abissi delle nostre emozioni, e, con Karma City, restituisce ai lettori l'amore, il dolore, la debolezza e la forza degli esseri umani, con una scrittura che in ogni pagina colpisce la mente e il cuore.
LinguaItaliano
Data di uscita28 mar 2019
ISBN9788830500518
Karma City
Autore

Massimo Bisotti

È nato e vive a Roma, ha studiato Lettere, suona il pianoforte ed è appassionato di psicologia. Nel 2012 ha pubblicato il suo romanzo di esordio La luna blu (Lit Edizioni), che è stato uno dei casi editoriali dell’anno. Il successo è stato confermato e accresciuto dai libri seguenti, editi da Mondadori, che sono tra i bestseller più venduti degli ultimi anni: i romanzi Il quadro mai dipinto (2014), Un anno per un giorno (2016) e la raccolta di racconti Foto/grammi dell’anima (2015). Karma City è il suo nuovo romanzo.

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    Anteprima del libro

    Karma City - Massimo Bisotti

    felicità?

    1

    LASCIA LE COSE PRIMA CHE LE COSE LASCINO TE

    Mi chiamo Andrea Kairos e questo non è il mio vero nome.

    Non è importante parlare di me, né sapere chi io sia, da dove venga e per quale ragione mi trovi qui, a Karma City. Di cosa mi occupo? Scrivo un libro senza fine. Metto a soqquadro l’equilibrio. Solo questo mi fa stare bene. A volte mi fermo e lo riprendo, a volte perdo l’ispirazione per molto tempo e faccio i conti con ciò che so di essere e con ciò che non so di essere, perché ancora non l’ho capito. Scrivo, delineo, mi avvicino, mi allontano, poi cancello. Sono una persona sinestetica, i miei racconti sono verde menta ma molti li vedono neri. Sarò io l’unico essere responsabile di ciò che scrivo, devo assumermene interamente colpe e desideri? O sono gli altri a chiedere, a volere, a intrecciarsi a ciò che vedo e a tirar fuori ciò che vogliono?

    Lo stato di karma esiste già, è possibile abitarlo in ogni posto. C’è un posto per tutte le cose, ma non è detto che tutte le cose siano al loro posto. Il posto non è il luogo e tutte le persone che al mondo ho incontrato e che ho minuziosamente descritto mi sembrano libri. Siamo o non siamo tutti dei potenziali bellissimi romanzi sempre in attesa della storia giusta? C’è un posto senza età che non invecchia mai, lo abiti con la testa incastrata nel collo di chi ami, è un posto caldo, composto da quella fragile saldatura di anime salve. Sto con te perché ci sei tu, se ci sei tu io sono sempre dove voglio essere. Sarebbe abbastanza e non è mai abbastanza, poi torna a esserlo tutte le volte che ti sposti per cercare un luogo che non c’è.

    Hai sempre in mente un viaggio per un luogo inaspettato e poi ti accorgi di essere tu stesso il luogo e forse non è lui a cambiare veramente, a strapparti dal cuore le radici primordiali. Tu cambi e cambiano gli occhi con cui ti guardi, ogni volta che ritorni in quel luogo che sei tu. Dovresti provare a lasciarlo sempre più accogliente ogni volta che te ne rivai, ogni volta che riparti e questo per chi arriverà, non solo per te. Probabilmente è qui il senso del viaggio, questo è ciò che ho capito, con la lentezza inesorabile del tempo che come un lampo folgora tutto e il sorriso di chi ami diventa per sempre il tuo paesaggio. Ti fai domande a cui rispondi e poi la vita te le mescola di nuovo. Ma se ti occorre una risposta che non sia fuori tempo ne esiste solo una, alla fine. Si rischia sempre per ciò che conta. Ecco, è tutto. Il karma lo porti con te ovunque tu vada. È la tua valigia di ogni momento, contiene lo spettacolo emotivo della tua vita e probabilmente non solo della tua.

    Bado più all’intensità che alla durata delle cose. Lascia le cose prima che le cose lascino te, è ciò che da sempre sostengo. Il mio è un punto di vista. D’altronde conosco solo il mio e ci faccio i conti ogni giorno. Esploro e indago, sia l’abisso, sia la superficie. Il passato non è un regalo che puoi mettere per sempre in soffitta, né tantomeno riciclarlo a qualcuno, mentre il futuro non realizzato equivale al passato, non ha alcun valore. A volte passato e futuro combaciano e le persone non sanno che chiamano destino uno strano amico con il quale non hanno alcuna familiarità. Si ostinano a dargli un nome, una personalità, una parte da protagonista. Non c’è peggior sconosciuto di quello che conosci da tantissimo tempo.

    Siamo vittime degli oroscopi oppure calcoliamo tutto alla precisione. Sembra essere un paradosso ma il risultato è lo stesso: un fallimento.

    Soffro il silenzio, la solitudine e la vittoria. Soffro d’insonnia; la mia insonnia è gialla. Gialla e calda, come una bella giornata che inizia sapendo che arriverò già con una stanchezza infinita al mio primo appuntamento. A volte sono prevedibile, a volte arrivo all’improvviso, come un ospite inatteso, ma senza lasciare nessuna libera uscita alle interpretazioni della mia presenza.

    Nessuno mi ha mai invitato alla sua festa. Non ho mai ricevuto un vero invito. Nessuno mi ha mai prestato i suoi giochi. Però, le volte che ho scelto di accomodarmi, prima magari curiosando dalla finestra e poi aspettando il momento giusto per presentarmi con un pretesto, non tutti mi hanno chiuso la porta in faccia, anzi spesso mi hanno aperto volontariamente, mi hanno permesso di prendere molto spazio nelle loro vite. Accanto a me non hai bisogno di essere niente, niente di diverso da quel che sei. Con quanti ti senti così?

    Oh, certo, ho anche molti nemici, ma non ne parlo mai. Ci sono molte persone delle quali gli altri non avrebbero neppure conosciuto l’esistenza, se non fossero state nostre acerrime detrattrici. Perciò ho imparato a ignorare sempre, è la miglior vendetta possibile. Basta semplicemente questo per non dare alcuna sostanza al nulla.

    Ognuno di noi ogni mattina al risveglio si veste di un ruolo. Vuole dimostrare di esistere, in ogni modo possibile. Vuole scioccare. A sua volta ha un bimbo interiore, vivo e innocente, rimasto scioccato e desideroso di liberarsi del suo shock. Ogni bambino ha desiderio di appartenere a qualcosa, di formare dei legami e allo stesso tempo, per tutta la vita, crescendo, proverà a spezzarli e a riprendersi il suo spazio necessario, con l’unico fine di diventare ciò che vuole essere. Se questo meccanismo per qualche ragione si rompe, non sarà felice. Non avrà alcun senso andare nella direzione opposta ai suoi veri desideri. Anche se proverà a fuggire, lo ritroveranno ogni volta, proprio nel punto esatto in cui si sarà fermato per nascondersi. Da una sciocchezza ne farà nascere due. Nel tentativo di dileguarsi, diventerà vittima e carnefice di se stesso. Scappare da se stessi è come avere la pretesa di fuggire dalle proprie impronte digitali. Al giorno d’oggi le impronte digitali sembrano importanti perché ci permettono di accedere a un telefono, non perché rivelano una parte del nostro DNA. Ma è proprio questo il loro senso. Si può tentare di nasconderle ma esse riaffiorano.

    Ho ficcato il naso in tantissime famiglie, famiglie di ogni genere, perché il concetto di famiglia l’ho visto da mille angolature. Per molti ne esiste una soltanto, per me famiglia è un concetto allargato, non si basa sulla mera classificazione dei soggetti che si prendono cura di noi, significa liberarsi dallo scafandro dei legami di sangue.

    Mi piacerebbe dare a tutti la possibilità di vedere il mondo dalla videocamera di un ragazzino e permettere loro di riguardare più volte la registrazione. Con gli occhi del folle, del visionario, con le ciglia ancora nude, spoglie di disincanto, intrise dei colori che hanno in sé il vizio del tentativo, rainbow, come gli unicorni. Una volta ho assistito a una conversazione avvenuta fra due ragazzi di quinto ginnasio… eh sì, fino a qualche anno fa esisteva ancora. Li vidi nel bel mezzo di una versione di greco antico, seduti a un tavolino rococò, nel giardino di un graziosissimo bar dove erano soliti riunirsi. Lei aveva un quaderno con la testa di un cavallo sulla copertina. D’improvviso aveva appoggiato un cono vuoto sulla fronte del cavallo e aveva detto a lui: «Se ti sembra solo un cono caduto su un quaderno, non potremo mai stare insieme, io e te!». Lui le aveva risposto con una dolce strafottenza: «Gli unicorni non esistono!» ma le aveva sorriso. Anche lei allora aveva sorriso, perché lui, negando l’esistenza degli unicorni, si era comunque intromesso nel senso della sua immaginazione, aveva potuto incontrare la bambina che lei aveva dentro.

    Ma forse ora vi sto sviando dal nocciolo della questione. La questione è un’altra. Perché si approda a Karma City?

    Faccio una piccola premessa.

    Non uso i social e spesso le persone mi allontanano dalle loro fotografie, dagli scatti che credono migliori, chissà perché… Io sono senza titoli eppure per loro esisto, a volte provano a seguirmi, ad aggiungermi. Comunque li ho sperimentati tutti, annoiandomi rapidamente. Ritengo che le fotografie ci rubino i segreti, perciò non me le lascerei scattare da nessuno, neppure se insistessero senza sosta.

    Le persone care non costano, valgono. Eppure ormai il nuovo sogno mondiale è quello di vendere tutto al miglior offerente, anche la propria anima. Ormai buttiamo via la maggior parte del nostro tempo sui social network, con le teste chine sui nostri cellulari, senza quasi più accorgerci delle espressioni di vita sul volto della gente.

    Ma lo fareste lo stesso se vi rimanessero pochi mesi da spendere? Se per voi il futuro fosse tutto ciò che resta e non ciò che sarà? Sicuramente no, sicuramente le vostre priorità sarebbero diverse e vi dedichereste a godervi tutto quel che rimane in compagnia di chi amate, nei posti che adorate e che avete desiderio di vedere ancora, raccogliendo pezzetti di vera essenza, quella che è sempre esistita ma che per troppo tempo avete trascurato volutamente.

    Trovo sia una pratica particolarmente diffusa, ormai, quella di parlare con qualcuno che nemmeno mi guarda mentre gli sto vicino, continua ad avere lo sguardo incollato al suo cellulare, piuttosto che prestare attenzione alle mie parole. Ah, già. Oggi si chiama essere multitasking. In questo sono un po’ all’antica, mi pare ancora un miscuglio di mancanza di rispetto e maleducazione. La tecnologia ha sradicato in toto la magia della comunicazione reale. Ci rende tutti un po’ più connessi ma sempre più soli. In mezzo a questa moltitudine di persone sempre più sole in compagnia, fingendo di non accorgersene o non accorgendosene veramente, qualcuno ha maturato l’esigenza di un altro tipo di ossigeno.

    2

    STORIA DI MARY JANE

    Mary Jane era una bambina indaco e indaco è il colore che associo alle lettere del suo nome, MJ. Lei stessa era convinta di esserlo, ma di sicuro la sua famiglia aveva contribuito a farle credere di avere degli strani poteri inespressi o quantomeno di essere venuta al mondo per compiere una missione speciale. Oggi ha trent’anni. Fino a poco tempo fa era ancora convinta di essere rimasta di quel colore. Per molto tempo si è dedicata alla ricerca del suo scopo. Fin da piccolissima aveva scelto di interpretarsi e di mettersi alla ricerca di una vocazione. Odiava da sempre ogni forma di omologazione, aveva sempre mantenuto un’indole piuttosto ribelle e aveva sempre creduto di possedere tre diverse coscienze. Scriveva poesie e le attaccava per strada, sui muri della sua città. Da ragazzina aveva una serie di quaderni sui quali annotava meticolosamente le personalità della gente che incontrava. Li custodiva gelosamente e nel tempo, rileggendoli, ricordava anche momenti ormai persi nei fondali della sua memoria. Aveva continuato a scriverli, fino a poco tempo fa.

    Una notte, avvolta dallo stupore di un’improvvisa e sorprendente nevicata rosa, non riuscì più a trovarne uno. Fu proprio quella perdita a permettermi di incontrarla per la prima volta. Da quella notte iniziò a scrivere soprattutto di me. Le piombai davanti, ma senza prepotenza. Aveva freddo ma continuava a scavare nella neve, cercando di recuperare il suo quaderno. Le sue mani, con gesti frenetici, scavavano il silenzio della neve e turbavano il confine dei suoi segreti immobili.

    Era solo un quaderno! penseranno in molti. Molti altri invece entreranno in empatia con la fragile necessità di dare a tutto un senso, persino agli eventi spiacevoli. Perché lo si fa? Non sarebbe meglio pensare che ciò che ci capita sia una sporca fatalità senza colore e non nasconda nient’altro che la sua stessa sostanza? Avevamo trovato nel tempo una sorta di equilibrio ma un nuovo episodio molto forte la distrusse emotivamente, tanto da sbilanciare ogni parametro del nostro rapporto.

    Aveva quasi terminato il suo nuovo romanzo e una sera, accendendo il computer per rivedere il suo lavoro, si accorse che era bloccato. Qualcuno era riuscito ad hackerarlo e le aveva chiesto una somma di denaro per poter riavere accesso ai suoi dati. Mary Jane rimase sconvolta. Non avendo altra scelta decise di fidarsi e, seguendo le istruzioni, versò quanto richiesto. L’attesa divenne eterna. Nessuno le restituì mai il suo libro perduto. Smise di fare la scrittrice, di portare con sé una piccolissima matita sottratta in un negozio di mobili, e si licenziò dalla radio nella quale lavorava, senza fornire alcuna spiegazione logica a giustificare la sua decisione. «Vorrei scrivere ancora una lettera» mi disse, un giorno, «ma forse sono cambiata, e di conseguenza forse non piacerei alle persone che conoscevo. Non saprebbero riconoscermi e allora, se davvero oggi sono così diversa e nessuno mi conosce più, che senso avrebbe scrivere? Scriverei a dei perfetti sconosciuti.»

    Desiderava non si sapesse più nulla di lei. Pensava che le biografie fossero solo dei grotteschi tentativi di narcisismo ostentato. Tanto alla fine ciò che racconti al biografo non è ciò che sei, è ciò che ti piacerebbe che gli altri pensassero di te. Io a molte persone chiederei: Ma dimmi, ci credi veramente in ciò che hai scritto, oppure lo scrivi solo per lisciarti i consensi o scandalizzare gli animi? Ci sono vite che esistono solo in vetrina, loro sono, sì, ma solo mentre qualcuno le osserva. Se nessuno le vede, tutto ciò che fanno finisce per non esistere davvero. Hanno una grande facciata di apparenza, pulita, ordinata, perfetta. Solo quella mostrano. Ma ciò che non appare, nessuno lo vedrà mai, è nascosto nelle stanze interne, spesso inquietanti, come case degli orrori. Ormai infatti mi interessa soltanto capire una cosa. Chi sei quando nessuno ti guarda? Gli altri decidono chi sei senza sapere niente di ciò che sei. Solamente i sentimenti non ti fraintendono. Ma i veri sentimenti non vengono più difesi. Vengono messi in piazza, altrimenti non esistono. Vengono svenduti o gestiti a tavolino.

    Mi diceva: «Non nasconderti dietro la tenda, esci fuori!» e faceva farfalle con gli spicchi d’arancia, mentre mi parlava.

    Nessuno impara niente da errori non suoi. Dare consigli è la pratica più inutile e diffusa dell’universo. Il mondo è pieno di esperti in tuttologia. Siamo tutti buoni e cattivi. Dipende sempre da chi ti racconta la storia. La storia termina, è la vita a continuare, dopo i titoli di coda. Quando la storia finisce magari Cappuccetto rosso spara al lupo, oppure il lupo la sbrana, tutto questo appena un secondo dopo il finale che hai visto tu. Non verrai mai a saperlo. Per te quel racconto sarà finito lì. Potrebbe essere in balia di interminabili interpretazioni ma ognuno sceglierà la sua verità e la diffonderà a macchia d’olio, giorno per giorno, senza esitazione.

    Sprofonderai nella sottile convinzione di aver intravisto ogni cosa, persino le trasparenze. Invece no, è solo il velo perfetto dell’illusione, l’illusione del vissero felici e contenti. Quello che condanna le ragazze di quest’epoca è il loro spendere la vita alla ricerca ossessiva del Diabolik della situazione, un uomo perfetto solo in un fumetto, gentiluomo dal fascino maledetto, irreale, nella linea sottile che divide quotidianità e adrenalina senza sosta. Le vedo spesso frustrate, nemiche fra di loro, schiave della certezza che il loro destino sia quello di non incontrare mai ciò che le altre hanno. Hanno l’invidia sempre più verde dell’amore che non c’è.

    Tutto ormai è vero solo se ha il filtro della finzione: le lettere che appaiono sulle riviste, le sceneggiate delle trasmissioni televisive, le plateali promesse di matrimonio in mondovisione, lo stile di vita di famiglie felici, vendute in esclusiva a un giornale. «Mi sono convinta di essere decisamente anacronistica per la mia epoca…» mi disse, un giorno. «E poi non mi è possibile essere ogni volta con tutti la medesima persona, semiperfetta. Mi vogliono bella, gentile, educata, intelligente, degna di fiducia, con quel sottile senso dello humor ma mai sopra le righe, politicamente corretta ma provocatrice, senza ansie, debolezze, momenti di apatia e di scoraggiamento. Perché devi essere sempre top per resistere. Mantenere questi standard alla lunga ti sfianca. Su quale aspetto ho deciso di soffermarmi? Ho deciso di rendermi così… trasparente. Passare inosservati è la mia risposta a tutto.»

    Mary Jane è stata la prima a scegliere di andare a Karma City.

    3

    MR DAGBOG

    Dell’esistenza della smart city erano a conoscenza solo gli iscritti al social network segreto Deeping Blue, al quale si accedeva esclusivamente su invito. Lì, alcuni profili erano stati contattati da uno psicologo online, che aveva descritto loro il progetto.

    Occorrevano pochi soldi per abitare la città, ma condizione necessaria per andarci era riuscire a entrare in contatto con Mr Dagbog, e inviargli una lettera di presentazione. Nessuno l’aveva mai visto di persona. Lo si poteva raggiungere solo tramite ProtonMail usando tassativamente il browser Tor e inviando le motivazioni che spingevano a effettuare la scelta.

    La nuova smart city aveva uno statuto tutto suo, era una città ideale, a misura d’uomo, dove si poteva scomparire dalla quotidianità attuale e recuperare la propria essenza e la propria dimensione. In poche parole ci si poteva sbarazzare del proprio pacchetto emotivo, cancellare completamente il passato, disincantare la mente e ricominciare da zero, liberi da preoccupazioni e condizionamenti.

    Esistevano due possibilità, il trasferimento completo da subito o il periodo di prova. I cittadini sarebbero stati aiutati nell’inserimento sociale e avrebbero dovuto versare una somma di denaro destinata alla risocializzazione dell’individuo.

    Una sera Mary Jane si trovava nel sottobosco del browser Tor. Non era l’unica, oltre a lei altre persone erano lì. Ognuno aveva ragioni diverse, ma tutti desideravano contattare Mr Dagbog.

    Valutando le candidature che gli erano arrivate, Mr Dagbog rispose così:

    La vita è una cosa senza forma, a volte ha bisogno di essere distrutta, sgretolata, frantumata. Ha bisogno di essere plasmata e rimodellata nuovamente, al fine di ridarle una forma nuova. Ecco perché si nasce e si rinasce tante volte nella stessa esistenza. Le conseguenze delle vostre azioni le sconterete. Magari non subito, o magari prima di quanto non immaginiate. In ogni caso sarete sempre prigionieri di voi stessi, vittime dei vostri rimpianti.

    Di sicuro c’è una cosa che vi chiederete e molto tempo fa me la chiedevo anch’io. Perché, se veramente esiste una legge del karma, non tutte le persone hanno la stessa fortuna? Perché la vita non dà a tutti gli stessi mezzi di partenza, le stesse opportunità, gli stessi diritti, a parità di comportamento? Perché esiste una così grande disparità nel destino degli esseri umani, se esiste davvero un destino? Avete ragione, ma non posso essere io a darvi la risposta.

    Però posso farvi un esempio. A casa avete un secchio e al suo interno mettete del detersivo per lavare il pavimento. Avete però dimenticato di averlo precedentemente riempito di sabbia, e di non averlo poi svuotato per bene. Un vostro amico, d’improvviso, entrando in casa vostra, urta il secchio pieno d’acqua e sabbia. Tutta la sabbia cade nel vostro corridoio e lo sporca. La condizione del vostro pavimento è peggiorata rispetto a prima. Accusate il vostro amico di disattenzione, ma in realtà, se il secchio non avesse contenuto la sabbia che siete stati voi a dimenticare, l’acqua caduta non avrebbe creato nessuna ulteriore sporcizia al pavimento. Voi non avete però notato che il danno è avvenuto a causa della sabbia lasciata in precedenza, avete solo dato la colpa al vostro amico. La sabbia rappresenta l’infelicità; il secchio rovesciato è l’effetto scatenante di una causa già presente dentro di voi. È dentro quella causa che dovete scavare.

    Detto questo, analizzerò le vostre domande e vi risponderò entro qualche giorno. Ci sono ancora pochi posti liberi nella città. Sapete già che non può essere sovraffollata.

    In ogni caso grazie per aver chiesto il mio aiuto. In questi giorni fate un esercizio. Continuate a interrogarvi su questo: siete davvero disposti a ricominciare una vita da zero, senza sapere dove?

    4

    LO SCUDO INTORNO AL TUO CUORE

    Il nostro corpo è radicato nel qui e ora, nonostante gli uomini siano vittime del proprio passato e condizionati da un’ansia perenne verso il futuro. Le dinamiche che esistono alla base della sofferenza si dice siano essenzialmente il prodotto della nostra infanzia e da quel passato non si può più scappare né lo si può arginare agli angoli della propria coscienza, fino a disfarsene.

    Stamattina ho visto nascere una bambina. Mentre ammiravo i suoi occhi socchiusi e il visino da piccola pugile che aveva combattuto per guadagnarsi il suo posto nel mondo, ho iniziato a riflettere su un aspetto di fondamentale importanza. Tutte le circostanze che si intrecceranno in questi suoi primi anni condizioneranno la sua felicità futura. I suoi genitori potranno essere la causa diretta di tutte le cattive azioni che lei commetterà in futuro e forse sottovaluteranno le loro responsabilità, o preferiranno non vederle. È così piccola, e su quelle fragilissime dita porta già con sé le tracce di un dramma potenziale. È appena nata e, appesa al filo della sua esistenza, sono già presenti delle condizioni irreversibili. L’amore è una costante somma di piccole attenzioni. Se la vita viene deprivata di questa costante, il mondo infantile inevitabilmente viene turbato e le interruzioni del suo flusso emotivo deteriorano ogni speranza di salvezza. Si nasce già potenzialmente senza speranze di salvezza? D’altronde nessuno può scegliersi da subito la vita che desidera. Ogni bambino si trova impiantato in una realtà alla quale inizialmente non può che adeguarsi. Appartiene al suo sistema familiare e probabilmente questo senso di appartenenza è strettamente collegato al suo istinto ancestrale di sopravvivenza. Il bambino cercherà di adeguarsi al sistema, sviluppando l’immenso terrore di venirne escluso. È strettamente importante che, crescendo, la sua identità individuale abbia la meglio sulla coscienza del gruppo. È indispensabile che possa dissociarsi al fine di rendersi indipendente, anche a costo di una possibile esclusione. Altrimenti la preoccupazione di essere escluso non gli permetterà mai una vera autonomia. Non troverà la forza di riemergere. Sprofonderà e lascerà che anche i suoi bisogni più intimi scompaiano, risucchiati dalle sabbie mobili. Così soccomberà interiormente, senza mai sviluppare un senso di ribellione. Provare a sradicarsi lo renderà ai suoi stessi occhi come una pianta che tradisce le sue radici.

    Tutti gli adulti continuano a portarsi dentro il proprio bimbo interiore.

    Il corpo cambia, le esigenze mutano, le esperienze modificano pensieri e abitudini. Ma le ferite subite rimangono e restano sempre aperte dentro il nostro piccolo bimbo. Tornano a bussare quasi disperate, attraverso la memoria. Non cicatrizzano e graffiano sulle volte in cui il nostro bimbo dentro non si è sentito abbastanza apprezzato, non ha avuto la forza di farsi sedurre dalla sua individualità e successivamente non si è sentito mai così tanto sicuro da abbandonare per strada la sua innocenza iniziale. All’interno di ogni famiglia vi sono dei segreti, degli aneddoti passati spesso intrisi di vergogna. All’interno di ogni famiglia c’è qualcuno che si sente colpevole anche per ciò che non ha commesso e allo stesso tempo scarica sugli altri ciò di cui è il solo responsabile. Nonostante ognuno si senta così unico e diverso da tutti, ogni interazione familiare ha un comune denominatore che si ripete, come il copione dello stesso film, tradotto in tutte le lingue nella storia del mondo.

    In ogni famiglia c’è un decalogo ben definito: Questo non va detto; questo non va fatto; questo non sta bene… Eppure per crescere è necessario accettare il proprio universo sovversivo. Per crescere è necessario rinunciare all’innocenza. Rinunciare all’innocenza significa accettare quel che rifiutiamo di noi stessi, anche quando va controcorrente rispetto a ciò che ci è stato inculcato. Rinunciare all’innocenza non ci rende colpevoli. Ci insegna a comprendere che è ciò che nascondiamo a distruggerci, mentre ciò che accettiamo ci rende sereni e ci cambia in meglio.

    I conflitti sono tele di ragno, o li rompi o ti indeboliscono sempre di più fino a imprigionarti, fino a soffocare per sempre persino l’ultimo soffio di coraggio che hai dentro. Il paradosso di ogni miglioramento è che per poter migliorare è necessario prima accettare i propri limiti e volersi bene così, per come si è.

    Per essere in grado di farlo è necessario riconoscerti e poi spezzarti, spezzare tutto ciò che nell’arco della tua vita hai costruito per difenderti, lo scudo intorno al tuo cuore.

    5

    STORIA DI AMANDA

    Amanda si svegliò una mattina con un tatuaggio che non ricordava di aver fatto. Guardandosi allo specchio, si toccò la spalla, fra incredulità, spavento e un disagio latente che pian piano prese il sopravvento e la sovrastò. Lei, che apparentemente era stata sempre molto sicura di se stessa, che non metteva piede fuori casa se non era perfettamente in ordine, per la prima volta dopo tempo si sentì presa, catturata da un disordine profondo. Di scatto afferrò le chiavi e si chiuse la porta di casa alle spalle. Mentre stava per girare le mandate riaprì, indossò un piccolo chiodo di pelle bordeaux rimasto buttato dalla sera prima su una poltrona all’ingresso, posizionata sotto un falso d’autore del Bacio di Klimt, e uscì dal Palazzo del Ragno, nella splendida piazza Mincio del quartiere Coppedè di Roma, dove abitava da quando era nata.

    La incontrai davanti alla sua Smart rosso fragola, sembrava stordita, mentre nervosamente si frugava nella borsa, non trovando la chiave della macchina. Le era scivolata pochi centimetri più indietro. La raccolse.

    Alzai la testa e il mio sguardo mise a fuoco un grande arco con al centro un imponente lampadario in ferro battuto. È da quel punto che si accede al quartiere. Niente di ciò che si vede sembra messo lì a caso. E difatti non lo è. So molte cose su questo posto, ma non le ho mai rivelate in prima persona. Un quartiere esoterico, pieno di misteri e ricco di simboli, a guardarlo con attenzione. D’altronde i simboli non sono affatto destinati a nascondere le sembianze della verità. Il loro scopo è quello di farsi riconoscere soltanto da chi ha un sesto senso molto sviluppato e sa chiudere le sue paure in un cassetto, sorreggendosi da solo di fronte a una delle sfide che la vita ci concede: la conoscenza.

    Il quartiere è immerso in un insieme di stili, ma mi piace riconoscergliene uno più di tutti, lo stile liberty, che per sua natura nacque per irrompere nel passato e sovvertirlo, creando una totale spaccatura fra il ciò che è stato e il ciò che sarà.

    Avevo già incontrato Amanda, molti anni prima, sulla neve, per la prima volta. Ultimamente avevo quasi dimenticato la sua esistenza, perché sembrava sbattermi fuori con prepotenza dalla sua vita e dai suoi pensieri. Se c’è qualcosa che non riconosco come parte di me è l’invadenza. Amanda mi disse di essere sempre stata invidiata e di aver molto sofferto per questo. Di solito le persone, ogni volta che si trovano faccia a faccia con una situazione infelice, difficilmente attribuiscono a se stesse la responsabilità. Sono tanto attente agli effetti, ma sottovalutano ogni volta le cause. Tutto ciò che nasce da noi è a noi che ritorna, perciò non occorre preoccuparci così tanto per ciò che riceviamo, è decisamente meglio dedicarci a ciò che diamo. La vita è regolata da una netta correlazione fra causa ed effetto. È una legge non scritta ma di fondamentale intuizione. C’è tutto il resto di una vita in una scelta. Tutto si gioca nei pochi secondi in cui scegli e spesso le conseguenze sono devastanti. Ciò che accade successivamente è il prodotto inevitabile di ciò che hai scelto e la tua scelta, ancora una volta, è già condizionata da tutte le scelte precedenti. Così, gli avvenimenti che spesso credi essere casuali in realtà non sono affatto regolati dal caso, hanno delle cause ben precise.

    Tutto questo, che molti per semplificare chiamano effetto boomerang, è il karma.

    Amanda ogni mattina leggeva via mail il suo oroscopo personale, animata dalla sensazione che questo potesse alleggerire il peso dei suoi obblighi. Non aveva vissuto un solo giorno senza.

    La gestione delle nostre vite in tutto e per tutto sembra una favola romantica, infatti improvvisamente mi ha pervaso un azzurro stupore e mi ha permesso di accorgermi che il vero fallimento sta nel credere di poter fare tutto da soli, senza mai bisogno di nessun aiuto. Lei custodiva il seme anarchico nella sua memoria, quello della bambina viziata, cresciuta senza regole.

    Si sentiva in diritto non solo di poter avere ogni cosa, ma di doverla avere subito. Non aveva mai conosciuto la bellezza che esiste nella costruzione dell’attesa, mai si era sudata nulla grazie al suo valore, alla sua tenacia, alla sua volontà. Tutto questo, tuttavia, mi aveva permesso d’incontrarla lo stesso.

    «Un giorno o l’altro vado via da qui» mi disse, «Roma mi ha deluso.»

    Rimasi in silenzio ma pensai: Non sono le città che deludono, sono i tuoi alibi.

    Quella mattina, Amanda si distrasse immediatamente. Parcheggiò l’auto davanti a un piccolo bistrot, per fare colazione con il suo smoothie preferito, e si accorse di essere stata notata da un gruppo di ragazze, intente a discutere fra di loro fuori dal locale. Le osservò con fare furtivo, la guardavano con insistenza, ridacchiando. Fu infastidita dalla pesante malizia viola shocking dei loro sguardi. Viola shocking, sì, è così che scorgo ogni squallida intenzione che mi appare intorno.

    Amanda sussurrò fra sé: «Ecco… La sola volta che ti vesti come se fossi scappata di casa e incontri pure le amiche di tua nonna, uscite a fare shopping…».

    Poi allungò il passo con la sua falcata costruita ed elegante e, fingendo un’apparente aria di sufficienza, varcò la soglia del locale. Il suo corpo rifletteva una luce arrogante mentre la sua ombra nascondeva il bisogno di essere presa per mano. Entrambe le versioni di se stessa passeggiavano sul cemento asfaltato del comune disincanto, abbagliate dalla noia stucchevole del pregiudizio.

    In tutti i luoghi in cui ho abitato e dentro il cuore delle persone che ho conosciuto, ho sempre percepito un senso assoluto d’intrusione. Riesco con facilità a fare conoscenza con gli estranei ma mai ho colto una reale accettazione da parte loro. In quel momento la sensazione di rifiuto fu così forte e pungente che me ne andai, così su due piedi, senza salutare.

    Anche Amanda scelse di andare a Karma City.

    6

    DECIDONO CHI SEI SENZA SAPERE NIENTE DI CIÒ CHE SEI

    Mary Jane e Amanda arrivarono lo stesso giorno, insieme ad altri ospiti. Sui loro volti c’erano segni di stanchezza e di redenzione. Come da istruzioni ricevute una volta arrivati nel luogo dell’appuntamento, proseguirono a piedi.

    Ognuno di noi ha uno strano passato racchiuso nell’anima e a volte preferisce scordarsi della sua anima, dire di averla persa, piuttosto che farlo riaffiorare. Perché l’anima conosce tutte le pagine, mentre gli altri possono solo guardare la copertina e trarre ogni volta soltanto delle sconclusionate conclusioni. Forse, durante la passeggiata, immaginavano che, nel luogo dove stavano andando, un sogno dovesse avverarsi per forza. Avevano sempre corso e il loro destino era arrivato sempre in ritardo. Ho avuto l’impressione che, pur avendone paura, volessero almeno per una volta recuperare un anticipo del loro futuro. Mi conoscevano tutti, ma nessuno osò confessarlo e nessuno di loro confermò mai la mia presenza.

    Nel foglio che stringevano fra le mani c’era scritto che non avrebbero dovuto fare domande fin quando non gli fosse stato permesso, né raccontare niente a nessuno, fino all’arrivo alla città. Come pena c’era l’immediata revoca dell’invito.

    «Mi manda Mr Dagbog, sono venuto a prendervi! Benvenuti.» Ad accoglierli, in piedi, fuori da un pulmino vintage Volkswagen T2 color bianco e vaniglia, c’era un ragazzo magro, longilineo. Indossava una t-shirt blu con un cavallino, dei jeans e delle sneakers ai piedi. «Mi chiamo Robin e vivo in città già da un po’.»

    Anche i ragazzi si presentarono.

    «Piacere mio, io sono Zac.»

    «Io sono Joy.»

    «Che nome carino, Joy! Io sono Amanda.»

    «Piacere, io sono Mary Jane.»

    Entrarono tutti nel pulmino pervasi da un alone di incredulità e di stupore. Robin li fece sistemare con calma e si sedette con loro.

    I finestrini erano foderati da tende nere, perciò non potevano intravedere nulla del panorama esterno. D’improvviso il pulmino partì e si accorsero solo allora della presenza di un autista sul sedile di guida. Robin portava un vistoso anello all’anulare sinistro e Zac incuriosito lo notò.

    Amanda di colpo prese in mano il telefono.

    «Ehi, signorina!» disse Robin. «È vietato usare i propri telefoni qui. I patti erano chiari. Non hai letto il comunicato?»

    «Scusami. Lo spengo subito»

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