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L'uomo, da vicino: Sei lezioni intorno a Giordano Bruno e Claude Lévi-Strauss
L'uomo, da vicino: Sei lezioni intorno a Giordano Bruno e Claude Lévi-Strauss
L'uomo, da vicino: Sei lezioni intorno a Giordano Bruno e Claude Lévi-Strauss
E-book209 pagine3 ore

L'uomo, da vicino: Sei lezioni intorno a Giordano Bruno e Claude Lévi-Strauss

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Info su questo ebook

Vengono pubblicate in questo libro sei lezioni dedicate alle figure di Giordano Bruno e di Claude Lévi-Strauss, questa iniziativa editoriale si inserisce nell’ambito della quinta edizione del progetto “Avanguardia della tradizione. Attualità multidisciplinare dei classici”, che il Liceo “Giordano Bruno” di Mestre ha promosso, tra 2010 e 2011, con il Comune di Venezia e l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Autori degli interventi pubblicati nel libro sono: Ilaria Capua, virologa e veterinaria che dirige il Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie; Nuccio Ordine, docente di Letteratura italiana dell’Università della Calabria; Martin Rueff, dell’Università di Ginevra; Gilberto Sacerdoti, docente di Letteratura inglese all’Università degli Studi di Roma-tre; Giancarlo Scoditti, professore ordinario di Etnologia dell’Università di Urbino; Paolo Fabbri, docente di Semiotica dell'Arte e Letterature artistiche presso lo IUAV di Venezia.
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita5 set 2012
ISBN9788863361797
L'uomo, da vicino: Sei lezioni intorno a Giordano Bruno e Claude Lévi-Strauss

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    Anteprima del libro

    L'uomo, da vicino - AA. VV.

    Prefazione

    Gianfranco Bettin, Assessore alle Politiche Giovanili e Centro Pace

    Un particolare valore simbolico mi pare che accompagni gli argomenti scelti dai docenti del Liceo Giordano Bruno per dare corpo alla sesta edizione del progetto Avanguardia della tradizione , la seconda che il nostro Assessorato ha avuto occasione di sostenere con piena convinzione. Mi riferisco ai due autori, attorno a cui si è condensata l’attività dell’anno scolastico 2010-11 e che gli scritti raccolti in questo volumetto documentano.

    Pensando (o ripensando) alle due figure, Giordano Bruno e Claude Lévi-Strauss, si capisce che l’insolita sigla del Progetto - Avanguardia della tradizione, appunto - non è un accostamento ad effetto di concetti contrastanti, ma riassume davvero quello che la scuola, nei modi più vari, si sforza di fissare attraverso i suoi contenuti: continuità e cambiamento, rinnovamento e identità. Sono concetti delicati e insidiosi se maneggiati male. E non è un caso, forse, se un percorso che cerca di mettere in evidenza questo intreccio proprio dentro il curriculum scolastico, non ai suoi margini, sia stato pensato da docenti (non più giovanissimi, possiamo dirlo?) che, per la generazione di appartenenza, hanno vissuto la tradizione e la trasgressione, la continuità e il cambiamento. Disposti anche ad ammettere di essere stati spesso incapaci di vedere come cambiava il mondo per conto suo, sempre però considerando l’uniformità, le fedeltà accanite e incondizionate come idee perniciose.

    Contro ogni barbarico richiamo all’identità, la scuola, con questo progetto in particolare, dice che le identità e le memorie si costruiscono (e le tradizioni si reinventano).

    Nella vicenda storica e filosofica di Giordano Bruno - rispetto a cui la nostra città resta fatalmente in obbligo - ci impressiona la sua reazione indomita a ogni forma inerte di pensiero, che si rivela ancora un antidoto prezioso rispetto a certi infausti discorsi identitari. Messo a confronto con la «trasgressione necessaria» a cui la memoria di Bruno ci riporta, lo «strutturalismo» di Lévi-Strauss resta, deliberatamente, su un piano astratto quando, nell’indagare le articolazioni della vita associata, individua modelli e linee di forza che, più che immutabili, sembrano sfuggire al nostro dominio.

    Si può non condividere la riduzione strutturalistica delle società umane, ricche e complesse, a mero insieme di segni, a un sistema teorico che non corrisponde a nessuna realtà osservabile, ma resta uno schema con il cui aiuto, come scriveva Rousseau (citato da Lévi-Strauss in Tristi tropici), noi riusciremo a distinguere «quello che c’è di originale e di artificiale nella natura attuale dell’uomo e a ben conoscere uno stato che non esiste più, che forse non è mai esistito e che probabilmente non esisterà mai, e di cui tuttavia è necessario avere delle nozioni giuste per ben giudicare il nostro stato presente».

    Del resto, a chi l’accusava di sottovalutare il divenire delle vicende umane, Lévi-Strauss rispondeva che i meccanismi che cercava di comprendere, isolandoli nel caos dei fatti sociali, si producevano in regioni molto delimitate, isolotti nella gran massa in cui regna il disordine. Questa è la storia, diceva, e «io mi rivolgo a essa come al regno della contingenza, di cui occorre tenere conto». Anche per queste continue messe a punto, colui che è stato l’esponente più famoso dell’antropologia, è riuscito forse a essere il più grande «maestro»del nostro tempo.

    Prefazione

    Paola Franzoso, Dirigente Scolastico del Liceo Giordano Bruno

    Questo sesto volume, risultato ormai atteso del progetto didattico Avanguardia della tradizione , raccoglie contributi di diversa provenienza scientifica, connotando il carattere interdisciplinare con cui il nostro Liceo sviluppa la propria offerta formativa.

    Ormai da anni, il Progetto documentato da questa raccolta, caratterizza la vita del Liceo e il gradimento della proposta che, di volta in volta, si rinnova nel Collegio dei docenti, è stato confermato anche quest’anno dall’alto numero di classi che hanno aderito alla settima edizione, appena conclusa, al cui centro stavano, secondo il tradizionale doppio percorso, le figure di Leon Battista Alberti e Le Corbusier. Ma di questa, speriamo di poter dare documentazione adeguata con un prossimo volume.

    Il doppio percorso dello scorso anno, aveva, invece, come figure di riferimento Giordano Bruno e Claude Lévi-Strauss.

    C’era una ragione se Giordano Bruno non era ancora entrato nella nostra piccola, ma impegnativa, galleria di classici da approfondire in chiave interdisciplinare: troppo vicina era ancora l’iniziativa promossa dal Liceo, in occasione del quarto centenario della morte, in collaborazione con l’Amministrazione comunale, una celebrazione di cui ci piace ricordare l’alto profilo scientifico e l’ampio consenso riscosso.

    Dopo aver deciso, l’anno scorso, di affrontare la complessa figura del Nolano, il gruppo di docenti coinvolti nella preparazione dei percorsi ha dovuto operare una scelta che ha in certa misura sacrificato l’approfondimento in forma sistematica della filosofia, puntando, da un lato, sulla statura e sugli esiti della sua opera in ambito letterario, anche fuori d’Italia (ad esempio, in Shakespeare) e, dall’altro, sulle intuizioni visionarie che consentono di considerarlo un anticipatore della scienza della vita.

    Pur avanzando, come antropologo, una sintesi teorica non facile, Claude Lévi-Strauss è stato capace, nel corso della sua lunga esistenza, di rendere quasi popolare la sua disciplina, anche per lo sforzo diretto a fondarla su presupposti al limite delle scienze esatte. A un anno appena dalla morte di questo personaggio la cui produzione ha arricchito la scena culturale europea negli ultimi sessant’anni, abbiamo accettato la sfida di approfondire con i nostri ragazzi una materia che, in senso stretto, non è compresa nel nostro ordine di studi: i risultati di questo azzardo, sono riportati nella seconda parte di questo volume.

    Con grande piacere indirizzo i miei ringraziamenti agli specialisti che, con le loro lezioni, hanno contribuito alla riuscita del progetto: la dottoressa Ilaria Capua, virologa e veterinaria che dirige il Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie; il professor Nuccio Ordine, docente di Letteratura italiana dell’Università della Calabria; il professor Martin Rueff, dell’Università di Ginevra; il professor Gilberto Sacerdoti, docente di Letteratura inglese all’Università degli Studi di Roma-tre; il professor Giancarlo Scoditti, professore ordinario di Etnologia dell’Università di Urbino. Debbo inoltre esprimere la mia riconoscenza al professor Paolo Fabbri, che per vari contrattempi non ha potuto svolgere la sua lezione più volte aggiornata, ma ha voluto contribuire alla pubblicazione, consegnandoci un suo inedito sul tema. Voglio sottolineare che, incontrando la dottoressa Capua e il professor Scoditti, i nostri studenti hanno avuto modo di conoscere due scienziati noti internazionalmente non solo per i loro contributi teorici ma per il loro lavoro sul campo: Capua, fronteggia da anni in prima fila i rischi di pandemia su scala mondiale; Scoditti è uno dei più autorevoli esperti della cultura della popolazioni delle isole Trobriand presso le quali trascorre da decenni buona parte del suo tempo.

    L’intero Progetto non sarebbe arrivato al suo compimento senza l’apporto prezioso del dottor Gianfranco Bettin, Assessore per le Politiche Giovanili del Comune di Venezia e del professor Aldo Tonini dell’Istituto Italiano per gli Studi filosofici.

    I ringraziamenti finali, ma non gli ultimi, vanno ai docenti e al personale dell’Istituto che hanno supportato il Progetto in tutte le sue varie fasi.

    Introduzione

    Giuliano Martufi

    Giordano Bruno

    Nella Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, il nono e decisivo capitolo intitolato alla nuova scienza, che si conclude con le pagine dedicate a Galilei, si apre con il lungo omaggio a Giordano Bruno - al Bruno scienziato, oltre che al filosofo e allo scrittore. Per definire la scienza, i grandi storici delle idee, e tra loro il nostro Paolo Rossi, usano ormai parametri diversi da quelli ottocenteschi ed entro gli interessi naturalistici del sapere post-umanistico, colgono la discontinuità nell’affiorare del metodo con Bacone o Galilei. La celebrazione del progressivo accumularsi delle scienze nel lavoro delle generazioni accorda, ora, un peso piuttosto modesto a Bruno, addebitandogli la mancata conversione dalla magia all’esattezza - eppure neanche Bacone, del cui contributo nel percorso del sapere scientifico non si può dubitare, fu del tutto libero da retaggi magico-alchemici. Ma come si può non includere Bruno nella dimensione sovranazionale della ricerca e all’origine della comunità scientifica? Nella Dissertatio cum nuncio sidereo (1610) indirizzata a Galileo, a proposito della sua «osservazione sulla immagine raggiata delle stelle fisse, differente dalle immagini circolari dei pianeti», Keplero nota: «che altro potremmo concludere, o Galileo, se non […] per usare le parole del Bruno, che quelle sono dei Soli, queste delle Lune o delle Terre?»; e già nel De stella nova in pede Serpentarii (1606), accennava all’idea dell’ infelice Bruno secondo cui se «tante sono le stelle fisse, tanti sono i mondi e questo nostro mondo diviene uno dei mondi innumerabili, in nulla diverso dai rimanenti che lo circondano» ¹.

    Dentro la rivoluzione astronomica

    Agli inizi del ‘600, anche chi, come Keplero, esitava a lasciarsi trascinare nell’avviso che i mondi fossero infiniti, vedeva in Bruno l’indagatore delle realtà naturali, il cosmologo, l’inventore di un universo sciolto da ogni garanzia teleologica. Per la filosofia della scienza conta pur qualcosa questa scoperta del non intenzionale - sia nei fenomeni della natura, sia nella dimensione sociale - e in tal senso Giordano Bruno si è affacciato sul moderno. Di più, in una delle più rilevanti opere filosofiche degli ultimi decenni, Hans Blumenberg ha incardinato sull’avventura speculativa del Nolano la svolta della modernità: non fu la secolarizzazione dell’età illuministica a fondare l’età moderna, ma la autoaffermazione originata dalla dissoluzione del cosmo antico. «L’elemento post-copernicano per Giordano Bruno [è specifico del suo sistema intellettuale] nella misura in cui esso non è la semplice adesione a una teoria astronomica, ma è la sua assunzione a filo conduttore della metafisica cosmologica e antropologica»². Poiché l’opera di un classico sopravvive anche alle interpretazioni più controverse, diremo che qui non hanno importanza l’incompletezza delle singole letture né gli eccessi metodologici dello stesso Giordano Bruno, che si avvicinava alla natura come a un soggetto vivente, più che come a un «oggetto» neutro da studiare. Accostandolo alla maniera del più classico dei pensatori sistematici, si intende che, nella sua concezione, sotto tutte le convenzioni e le istituzioni prese in esame, sotto ciò che regolamenta le nostre esigenze dando loro una forma, palpitano gli impulsi del comune plasma da cui tutte le creature (umane e no) sono tratte: nelle espressioni della letteratura moderna e nelle configurazioni recenti della scienza della vita, forse ci sono tracce o segnali avanzati di questo materialismo originalissimo che Gilberto Sacerdoti³, ponendolo a confronto col motivo panteistico di Spinoza, Deus sive natura, secondo cui Dio e l’universo s’identificano, ha felicemente sintetizzato nella formula Deus sive natura naturae. Un sincretismo naturalistico la cui curvatura verso il basso - se ci è concessa questa espressione - ha favorito la fioritura di congegni lucreziani sparsi nell’insieme fiorito dal trapianto di ardite componenti atomistiche sul torso di un neoplatonismo non cristiano (plotinismo), realizzato per correggere l’averroismo giovanile.

    Lo scrittore

    Si può ragionare, intanto, sul rapporto tra la scrittura del Bruno autore delle Opere italiane e la letteratura del ‘900. «Il pericolo è nella nettezza delle identificazioni. La concezione di filosofia e filologia quali una coppia di menestrelli negri usciti dal Teatro dei Piccoli, è altrettanto rassicurante della vista di un panino al prosciutto accuratamente confezionato» - scriveva nel 1929 Samuel Beckett fresco di studi, in un citatissimo saggio sulle fonti italiane del Finnegans Wake: Dante … Bruno . Vico .. Joyce⁴. Se ci avventuriamo nella lettura del Work in Progress, secondo Beckett, «vi troviamo pagine e pagine di espressione diretta e se voi non la capite, signore e signori, ciò avviene perché […] siete soddisfatti solo quando la forma è così radicalmente distinta dal contenuto da potervi permettere di comprendere l’uno senza quasi dovervi incomodare a leggere l’altra». Il lettore moderno che ha confidenza con l’insuperabile maestria di Joyce nel piegare al suo indirizzo ogni aspetto della tradizione letteraria, si scoprirà pronto ad affrontare la complessa alchimia verbale, la sfida continua lanciata da Giordano Bruno alle consuetudini linguistiche e stilistiche del suo secolo: «Qui la forma è il contenuto, il contenuto è la forma» e a chi «opporrà che questa roba non è scritta» in maniera comprensibile, si deve rispondere, secondo Beckett, che «non è affatto scritta. Non è fatta per essere letta, o solo per essere letta. Bisogna guardarla, ascoltarla: la scrittura di Joyce» - come quella bruniana delle Opere italiane - «non è un componimento su qualcosa: è quel qualcosa. […] Quando il senso è sonno, la parola dorme. […] Quando il senso è danza, la parola danza»⁵. Anticipando Joyce, Bruno maneggia tutti gli ingredienti espressivi del tempo ammassati non di rado con intento parodistico fino a produrre quella che Nuccio Ordine chiama una «frantumazione dei generi letterari»⁶. In altri termini, anche attraverso l’uso della scrittura, Bruno si propone, in consonanza con uno dei suoi autoritratti, come «spirto inquieto che subverte gli edificii de buone discipline, e si fa fondator di machine di perversitade»⁷; sicché, nel gioco degli opposti, la lingua carnale del Candelaio non si distingue da quella dei Dialoghi la cui scrittura, che esce dai canoni, «dopo il lungo dominio della architettonica scolastica e dopo la sonnolenza mistica e umanistica», appare tuttavia efficacissima anche quando la sua esuberanza, nota Aquilecchia, «rischia di intorbidire la logicità stessa d’un discorso che si pretenda sicuramente filosofico»⁸. Del resto, Bruno si dichiara consapevole della peculiarità del suo stile: «È il peggio che diranno che metti avanti metaffore, narri favole, raggioni in parabola, intessi enigmi, accozzi similitudini, tratti misterii, mastichi tropologie»⁹. Nell’esordio del dialogo primo della Cena delle ceneri con l’invocazione liricosensuale che Teofilo rivolge alle muse inglesi, ci si imbatte in un sapido campione di questa prosa fornita - ancora secondo Aquilecchia - di «dirompente pluridimensionalità»: «Non posso inamorarmi di cosa, ch’io non vegga. Altre, altre sono che m’hanno incatenata l’alma. A voi altre, dumque, dico, graziose, gentili, pastose, morbide, gioveni, belle, delicate, biondi capelli, bianche guance, vermiglie gote, labra succhiose, occhi divini, petti di smalto e cuori di diamante: per le quali tanti pensieri fabrico ne la mente, tanti affetti accolgo nel spirto, tante passioni concepo nella vita, tante lacrime verso da gli occhi, tanti suspiri sgombro dal petto, e dal cor sfavillo tante fiamme; a voi Muse d’Inghilterra dico, inspiratemi, suffiatemi, scaldatemi, accendetemi, lambiccatemi, e risolvetemi in liquore, datemi in succhio, e fatemi comparir non con un picciolo, delicato, stretto, corto e succinto epigramma: ma con una copiosa e larga vena di prosa lunga, corrente, grande e soda, onde non come da un arto calamo, ma come da un largo canale mande i rivi miei»¹⁰.

    Aristotele e il femminile

    Siamo sul crinale della corporeità, lo spazio in cui si tocca l’apice della polemica anti-aristotelica, nel De la causa principio et uno, con la celebrazione del genere femminile, in una pagina dettata dall’esigenza di fondare materialisticamente il nuovo pensiero, distillato dalla lettura del De revolutionibus di Copernico. Di qui Bruno si sporge fino a smantellare le barriere cristalline che ancora rinserrano il modello copernicano, a esaltare gli effetti infinitistici di un principio del divenire che consiste nell’espansione illimitata e perenne dell’Uno. Poco oltre, avvia il redde rationem con la metafisica aristotelica, scandagliando la congruenza del suo argomento principale, la ben nota pretesa di rintracciare l’assetto di ogni cosa nell’addizione della nobile causa formale (atto) all’inerte principio materiale (potenza). Il Nolano immagina di chiedere conto di questa raffigurazione della realtà sfidando di persona lo Stagirita - «Vuoi tu Principe dei peripatetici…» - che, negli scritti naturalistici, «parlando del novo essere delle forme nella materia o della generazione delle cose»¹¹, individua all’interno degli enti la causa motrice degli oggetti naturali e ammette che le forme (e il loro mutare) sgorgano dalla materia.

    Nel conteso del dialogo, il pedante accademico Polihimnio ricorda che Aristotele «per elucidare che cosa fosse la prima materia, prende per specchio il sesso feminile; sesso, dico, riottoso, fragile, incostante, molle, pusillo, infame, ignobile, vile, abietto, negletto, indegno, reprobo, sinistro, vituperoso, frigido, deforme,

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