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Sulla politica
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E-book141 pagine2 ore

Sulla politica

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Il volume raccoglie due interventi dell’autore, il primo, La filosofia politica come critica del moderno: Strauss, Voegelin, Arendt, è la trascrizione delle lezioni tenute da Alessandro Biral il 4 e 5 marzo 1991 nell’ambito di un corso di aggiornamento per insegnanti. Il secondo, Conferenza sulla politica, è il testo di una conferenza tenuta dall’autore nella primavera del 1993 a Desenzano sul Garda.
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita14 giu 2017
ISBN9788863364064
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    Anteprima del libro

    Sulla politica - Alessandro Biral

    Nota Editoriale

    Quando nel dicembre del 1996 Alessandro Biral, professore associato di Storia della filosofia dell’Università di Venezia, morì, probabilmente non furono in molti ad accorgersene nel mondo della ‘filosofia ufficiale’, e dovettero essere ancor meno i lettori e i frequentatori di conferenze, incontri culturali, ‘festival della filosofia’. Poco conosciuto tra gli accademici, infatti, era il personaggio, per carattere e per convinzione tanto indifferente alle ragioni della carriera, quanto assorbito dall’insegnamento e dalla ricerca.

    Biral pubblicava poco: una decina di articoli e due libri in trent’anni. Ben piccola cosa rispetto ai normali ritmi di produzione universitaria. Soprattutto, però, Biral scriveva in modo non accademico - non certo nel senso che si dedicasse a invenzioni linguistiche e concettuali alla maniera francese, ma nel senso che la sua prosa era densa eppure limpida, esplicativa (l’epifenomeno di una dottrina autentica, realmente posseduta), e le sue idee erano irriducibili ai filoni del dibattito filosofico-politico alla moda. Perché il suo pensiero non si svolgeva nella dimensione moderna della teoria e della critica, delle opzioni di scuola e del dibattito intellettuale, ma nella dimensione inattuale della parafrasi, della ricostruzione, della chiarificazione degli autori classici (Montaigne, Hobbes, Rousseau, Kant, Aristotele, Platone) a beneficio proprio e degli interlocutori del momento (amici, studiosi, studenti conosciuti e sconosciuti…). Ne uscivano, stranamente, letture originali eppure facilmente condivisibili; profonde e peculiari, eppure semplici e con un’invincibile evidenza di ‘giustezza’. Molti (dei pochi) che ascoltarono le sue lezioni le consideravano perciò illuminanti. Nel ritrovarsi nei primi mesi del 1997, subito dopo la sua morte, gli allievi e amici di sempre, assieme con gli studenti che si erano accostati a lui in anni più o meno recenti, sentivano con forza il desiderio che questo ‘modo’ di fare filosofia continuasse. Sia perché il loro affetto per Alessandro Biral era grande, sia perché a questo ‘modo’ erano stati educati, sia perché era bello pensare che quello stile e quella ricca messe di idee, offerta nelle aule della Facoltà di Lettere e Filosofia di Venezia e in gran parte non tradottasi in pubblicazioni né resasi accessibile a un pubblico più vasto, potesse in qualche misura essere conservata e diffusa, anche se solo attraverso un’opera di trascrizione da nastri sonori e appunti - un’opera certo limitata e forse velleitaria, ma comunque da intraprendere.

    La collana intitolata Dialoghi filosofici, che l’editore padovano Il Prato ha oggi deciso di avviare alle stampe affidandone la cura al gruppo di allievi e amici riuniti nell’Associazione culturale Alessandro Biral, è una delle vie attraverso cui quel ‘desiderio di continuare’ si rende visibile, concreto e cerca altri volti, altre voci a cui comunicarsi. In questa prospettiva, la collana raccoglierà, a partire dal presente volume, i principali materiali tratti da corsi universitari o dalle conferenze per amici tenute da Biral tra la seconda metà degli anni ‘70 e la prima metà degli anni ‘90. L’intento è quello di mantenere, quanto più possibile, questi materiali nella loro originaria veste orale; di farne, insomma, testi da leggere, ma non libri. Lasciandoli essere testi parlati, detti - e in ciò ancor meno accademici di quanto già non fossero i suoi testi scritti -, vorremmo che qualcosa del timbro schivo, ironico e intenso del pensiero di Biral risuonasse ancora per coloro che non hanno avuto l’occasione di udirlo o che ne hanno conosciuto soltanto le tracce depositate nei saggi.

    Secondariamente, ma contestualmente sul piano cronologico, la collana ospiterà gli studi, le tesi di laurea, gli scritti che, a vario titolo, sono sorti nel corso degli anni dalle mani di quanti hanno trovato nel ‘modo’ filosofico di Biral uno stimolo e, per così dire, un pungolo costante.

    Non per questo, tuttavia, si tratterà di una collana chiusa, già definita nel dettaglio. Al contrario, come giusto e logico, la si vuole aperta ai contributi di tutti coloro che con la propria voce desidereranno incontrarci e incalzarci sulla strada dei Dialoghi Filosofici; sul terreno, cioè, di un filosofare che rifiuta come sterile la lotta tra teorie e si astiene dall’asseverazione, preferendo porre domande e tentare risposte in vista del suo compiersi nella vita buona.

    La filosofia politica come critica del moderno: Strauss, Voegelin, Arendt

    Presentazione

    Il 4 e il 5 marzo 1991 Alessandro Biral svolse a Cesena, nell’ambito di un corso di aggiornamento per insegnanti, delle lezioni dedicate a Leo Strauss, Eric Voegelin e Hanna Arendt. Chi ha messo a disposizione la registrazione di questo ciclo di lezioni non ne ricorda il titolo originario, né è stato possibile trovarne traccia in altro modo.

    In queste lezioni Biral propone una singolare analisi dei tre filosofi che toccano il tema a lui particolarmente caro: la politica. Il modo in cui li accosta, fa emergere - per contrasto - le nette peculiarità di ciascuno e, soprattutto, alcune domande decisive: cosa vuol dire la distinzione tra etica e politica? perché nei testi antichi non compare mai l’espressione epistème ethiké? perché Platone e Aristotele non usano mai il termine morale? in che senso la separazione moderna degli ambiti è legata all’uguaglianza degli uomini?

    La cura e l’attenzione che Biral dedica agli autori - antichi e moderni -gli consente una lettura profondamente rispettosa dei testi e, nel contempo, un percorso tutto suo, originalissimo, capace di indicarci, per esempio, fondamentali differenze che ci distanziano dagli antichi: nel mondo antico non vi sono ambiti; la politica in Platone e in Aristotele non è un settore, e non è mai equivalente a potere; la filosofia in loro non è mai un’attività contemplativa, o un prodotto del pensiero che precede o segue la pratica

    Solo dopo aver colto e rispettato distanze e differenze tra antico e moderno, la prospettiva storica viene da Biral sapientemente abbandonata.

    Allora può ritornare la domanda di sempre, quella che solo il filosofo sa porre ai propri interlocutori e per la quale, certo, egli non può - e non vuole - avere risposte precedentemente guadagnate: … esiste un fine? state seguendo un fine voi? O no? […] perché se non lo avete io non ve lo darò mai! E nessuna scienza e nessuno scienziato ve lo darà mai!.

    1. La caratteristica peculiare che, pur nelle specifiche distinzioni, tiene insieme questi tre autori, è quella di essere critici della modernità, e quindi quella di proporre una politica, assolutamente differente dalla scienza politica moderna.

    Ma, a mio parere, la dimensione critica, il criticare è tipico dell’età moderna; ne segna l’inizio e la conclusione. E quindi questi autori, se fossero soltanto dei critici della modernità, sarebbero soltanto dei moderni che criticano la modernità, come hanno fatto tutti i filosofi moderni, a partire dal primo tra i primi, vale a dire Cartesio, il quale, non a caso, incomincia con un dubbio radicale, vale a dire con una critica, con un distanziamento critico, onde trovare la giusta distanza, che permette di ben vedere le cose.

    Ma, la peculiarità di questi autori non sta solo nello sviluppo di una critica, cioè di un distanziamento dalle cose, per vedere le cose stesse, per vedere i temi della filosofia politica contemporanea. Essi invece intendono anche fuoriuscire completamente dall’ambito moderno, e riproporre qualcosa che non sia compromesso dalla modernità.

    Strauss, Voegelin e Arendt ripropongono al moderno una strada non moderna, completamente diversa, completamente incontaminata rispetto a tutti i cammini che, a partire da Cartesio fino alla scienza politica contemporanea, sono stati tentati.

    Questa impresa ha evidentemente delle difficoltà, e conosce una difficoltà iniziale, nel senso che è possibile pensare d’imboccare una nuova strada, soltanto alla condizione di dimostrare che tutta la filosofia politica, moderna e contemporanea, è sbagliata. Solo infatti a condizione di considerare il moderno un errore, uno sviamento o una dimenticanza, è possibile contrapporre al moderno, in quanto ingiusto, un diverso cammino.

    Si avrebbe allora uno schema di questo tipo: esiste un giusto cammino, che per qualche motivo gli uomini hanno abbandonato, iniziando a percorrere un cammino sbagliato. Su questo cammino sbagliato si può fare storia, raccontare cioè una contingenza. Mentre non c’è storia di ciò che è vero, il quale non può essere diversa mente, e infatti persiste nella sua uguaglianza.

    Allora, questi autori si trovano di fronte al problema di separare un contesto e un discorso storico, da un discorso non-storico, che è quello vero.

    La contingenza (ciò che avrebbe potuto essere in modo completamente diverso) sarebbe il cammino che ad un certo punto gli uomini avrebbero cominciato a seguire, e che però, proprio in quanto contingente, non impedisce al ‘vero’ di riproporsi, di sostituirsi a questa contingenza, e di riportare gli uomini nella loro giusta dimensione.

    Quindi, il discorso di questi tre autori da una parte è critico e dall’altra è propositivo. Propositivo nel senso che essi intendono indicare agli uomini un nuovo modo, un nuovo campo: il campo finalmente giusto della politica.

    Allora, in discussione è evidentemente proprio il concetto stesso, l’ambito, la sfera, la dimensione della politica.

    Noi oggi sappiamo che la politica copre un ambito molto ristretto della nostra vita. Tanto ristretto che uno potrebbe non incontrarla mai e non fare mai nulla di politico nella sua vita. Non gli è proibito da nessuno. E qualche volta, invece, qualcun altro accede alla politica in un attimo, in un istante, cioè nel momento in cui va a votare. È un breve attimo, è un segno, e poi la sua vita, di nuovo, ritorna in un ambito non-politico. Ecco come stanno oggi le cose. La politica indica un settore molto parziale della nostra vita. Infatti, a ciò che propriamente costituisce il politico (cioè lo Stato, le istituzioni) si contrappone una sfera vastissima, molto più ampia delle istituzioni, che è la società civile, la quale non è politica. Questa è l’accezione normalmente accettata, e normalmente vissuta, della politica, e che questi tre autori dichiareranno falsa. Essi riproporranno la politica in un’altra dimensione. Molto più vasta. Ma, proprio perché più vasta, assolutamente diversa.

    Ma un altro elemento che, in tutta la sua drammaticità, caratterizza questi tre autori è l’avvento e la vittoria dei regimi totalitari, e in particolare del nazismo. Infatti essi appartengono all’emigrazione tedesca che andrà in America.

    L’avvento del nazismo è da essi considerato come epocale. Non sarebbe un semplice fatto, o una contingenza, ma l’esito necessario a cui perviene la stessa filosofia politica moderna che avrebbe questa responsabilità: essere rimasta cieca rispetto ai fenomeni politici, alla vita politica. Nella sua asserita indifferenza e distanza dagli avvenimenti politici avrebbe dunque colpevolmente contribuito all’affermarsi del nazismo stesso.

    In questo senso, il nazismo segnerebbe in profondità il destino e l’essenza della filosofia moderna, e non solo della filosofia politica, ma della filosofia tout court.

    La scienza politica moderna è cieca e colpevole rispetto alla vita politica, e quindi è assolutamente indifesa, e lascia gli uomini indifesi rispetto alle perversioni più violente e più drammatiche. Il nazismo quindi incarnerebbe una ‘filosofia della storia’, l’‘inveramento’, l’‘essenza’ della modernità.

    E questa colpevolezza s’incarna, sia per Strauss che per Voegelin, in Max Weber, che è visto come colui che dà compimento al pensiero politico moderno, lo porta a perfezione; e per questo permette di criticare tutto l’arco da Cartesio e

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