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La filosofia non nasce con Talete: E nemmeno con Socrate
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E-book282 pagine3 ore

La filosofia non nasce con Talete: E nemmeno con Socrate

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Il volume, scritto da Livio Rossetti - uno specialista di storia della filosofia antica, che è stato professore all'Università di Perugia -, mette in discussione la tradizionale indicazione di Talete come primo filosofo e propone una nuova visione delle origini e della "preistoria" della filosofia in Grecia, sul fondamento di precise argomentazioni ben fondate sui fatti. Scritto in modo semplice e adatto ad un vasto pubblico, ha però il rigore delle opere di filosofia scritte da specialisti.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2016
ISBN9788899126766
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    Anteprima del libro

    La filosofia non nasce con Talete - Livio Rossetti

    I

    LA FILOSOFIA L’HA FORSE INVENTATA TALETE?

    1. Talete proto-filosofo

    L’ho già detto, in questa storia di Talete proto-filosofo qualcosa non quadra. Che ne sapeva lui della filosofia? Ne seppe forse qualcosa? Innumerevoli indizi negativi portano a concludere che egli non ne seppe assolutamente nulla, dopodiché il fatto che Aristotele abbia proposto di ravvisare in lui un iniziatore è troppo poco per poter modificare la situazione. La filosofia non ha preso forma grazie a Talete. Fosse stato per lui, saremmo forse rimasti senza filosofia. Dunque la filosofia ha preso forma per iniziativa (e per merito) di altre persone, e almeno questo è davvero certo.

    Dopotutto per potersi considerare antesignani e ‘padri’ di qualcosa bisognerebbe aver dato un contributo tangibile all’ideazione di ciò che in seguito fu conosciuto sotto un certo nome. Leonardo da Vinci, per esempio, investì energie considerevoli nella ricerca di un modo per riuscire a volare, si chiese con quali accorgimenti ci si potrebbe riuscire, ha provato a immaginare un modo plausibile di trasformare il moto delle gambe in moto delle ali, e per questo è considerato un antesignano delle macchine volanti. Che cosa avrebbe dovuto fare Talete per essere anche lui un antesignano dello stesso genere? Difficile dirlo.

    Che cosa possiamo dir di sapere sul conto di Talete? Il materiale informativo è sorprendentemente vasto e, come sempre, bisogna distinguere tra ciò che si può appurare con ragionevole certezza e ciò che rimane fatalmente aleatorio. Farò un paio di esempi. Secondo Simplicio «gli uni, per il fatto di porre un unico elemento (stoicheion), lo dissero infinito in grandezza, come Talete l’acqua, gli altri…» (11A13 DK = Th 419 W.¹). In un caso del genere, la notizia originaria quasi scompare: non solo Aristotele e Teofrasto, ma anche Simplicio ha ritenuto di poter dire, con la terminologia a lui congeniale, che l’acqua costituì, per Talete, l’unico elemento. Ma Talete come si sarà espresso? Su che base avrà affermato che l’acqua è (o si può presumere che sia) originaria e quantitativamente infinita? Aristotele ne parla a distanza di due secoli e mezzo, Simplicio di undici e ognuno con i propri mezzi espressivi. In un caso del genere l’informazione fornita soffre di rilevante instabilità semantica; infatti non è decodificabile in modo univoco per carenza di specifiche, per cui non la si può mettere sullo stesso piano di quelle che hanno il pregio opposto, il dono della nitidezza e stabilità. Tale è, per esempio, la notizia che Talete seppe rilevare l’analogia tra la pietra di Magnesia e l’ambra strofinata (davano luogo a stupefacenti fenomeni di magnetismo), arrivando a inferirne che gli oggetti inanimati (apsuchoi) non dovrebbero essere propriamente e totalmente inanimati, diversamente da come il nome lascerebbe intendere (Diog. Laert. I 24). Queste considerazioni sono documentate per un solo intellettuale greco, Talete, sono molto precise e non si prestano ad essere manipolate. Quindi godono di un alto grado di stabilità semantica e hanno ben altro valore informativo.

    Nel primo caso l’informazione è dunque oltremodo sommaria e dai contorni sfumati²; nel secondo caso abbiamo un dato preciso e univoco, e è difficile non ravvisare in esso la traccia (la punta dell’iceberg) di un ragionamento, di una argomentata esposizione o lezione che Talete verosimilmente fece. Infatti, se da questa osservazione egli è potuto arrivare a dedurre che i corpi inanimati non sono, in verità, inanimati come sembrano (perché la pietra di Magnesia e l’ambra strofinata, per esempio, si muovono o fanno muovere altri corpi; perché se di corpi non inanimati ne abbiamo trovati già due, probabilmente ce ne saranno a decine; dopotutto il ferro lasciato lì si consuma da solo, quindi è come se invecchiasse…), e subito dopo si è spinto ad affermare che la classificazione delle ‘cose’ come oggetti apsuchoi ci nasconde qualcosa, allora non siamo in presenza di una semplice notiziola, ma di una ricerca specifica, di un criterio al quale Talete si sarebbe attenuto, di una riflessione che si spinge lontano, della conclusione di un ragionamento e, diciamo pure, di un discorso del quale non conosciamo gli ulteriori sviluppi³.

    Per nostra fortuna, possiamo confrontare questo specifico insegnamento con altre acquisizioni a partire dalle quali Talete costruiva, possiamo supporre, discorsi intelligibili e insegnamenti. Quando per esempio egli provava a spiegarsi le piene periodiche del Nilo con il contrasto, altrettanto periodico, rappresentato dai venti etesii⁴ (che nella Ionia e, più in generale, nell’Egeo spirano d’estate da nord), capiamo che anche qui prende forma qualcosa di più di una notizia affidabile. Infatti si delinea una congettura o teoria, un’ipotesi di spiegazione probabilmente fondata sul fatto che la piena si determina in approssimativa concomitanza con il cessare di tali venti. Ora ben difficilmente questa spiegazione venne proposta come congettura estemporanea. Si trattava di provare a spiegarsi un fenomeno misterioso (quanto famoso) in base a un evento concomitante che in Grecia tutti ben conoscevano, e di istituire un nesso causale elementare, di rappresentarsi la regolarità dei fenomeni naturali, e così pure di venire a capo di un altro segreto su come funziona il mondo. Inoltre è agevole intuire che la sua poteva ben essere una teoria controversa, discussa, da difendere con opportuni ragionamenti. Tanto basta perché la fisionomia di Talete cominci a precisarsi, cosa che si desidererebbe invano finché su parla dell’acqua intesa come elemento (stoicheion) o, meglio, come principio (archē). Come scrisse Panchenko (2005, 69), «alcune delle informazioni su Talete sono molto specifiche».

    L’impensato sale di livello quando si perviene a notare che Talete risulta essersi cimentato nel tentativo di misurare un gran numero di distanze e durate, tutte oltremodo refrattarie al tentativo di misurarle. In effetti, che egli abbia legato il suo nome a un numero impressionante di misurazioni diverse è un dato. Non è difficile fornire un elenco: fonti universalmente note ci dicono che egli arrivò a capire come si può riuscire a misurare l’altezza delle piramidi (1) e la distanza delle navi dalla costa (2), trovò il modo di misurare la durata esatta dell’anno solare (3), di individuare la data di solstizi (4) e equinozi (5) per poi confrontare la durata non solo dell’anno ma anche delle stagioni (6) e meravigliarsi nel constatare che queste cadenze trimestrali presentano alcune irregolarità quanto alla durata (7), di stabilire quindi anche quanti giorni passano dopo l’equinozio di autunno prima che le Pleiadi scompaiano definitivamente alla vista (dei milesii) (8), di stimare l’ampiezza angolare (!) di sole e luna (9). Ci sono poi indizi di una ricerca orientata a rilevare la ciclicità delle eclissi di sole (10), la ciclicità delle crisi nella produzione di olio d’oliva (11), e perfino la correlazione tra la ciclicità dei venti etesii e quella delle piene periodiche del Nilo (12)⁵. La lista – che potrebbe anche rivelarsi non esaustiva – non scaturisce dalla scoperta di papiri e altri inediti; le fonti sono là, a disposizione di tutti, quanto meno dal 1903, quando Hermann Diels pubblicò il primo volume dei Fragmente der Vorsokratiker successivamente diventato, per note ragioni, il famosissimo Diels-Kranz.

    La lista, di una lunghezza impressionante, è tale da erigersi in prova certa intorno all’attendibilità di un gruppo di notizie molto omogeneo. Se poi confrontiamo tutte queste informazioni con ciò che sappiamo sul conto di qualunque altro presocratico, constatiamo agevolmente che nessun altro risulta aver impostato ed eseguito una serie comparabile di misurazioni. Pertanto l’aver tentato e l’essere riuscito a effettuare non una, ma una considerevole varietà di misurazioni eterogenee, costituisce per forza un tratto qualificante, una di quelle informazioni che hanno il potere di sollevare il velo su chi realmente sia stato il supposto padre della filosofia occidentale. Da una parte abbiamo infatti delle informazioni su una intera gamma di investigazioni intraprese con successo da Talete e persino alcuni riscontri, dall’altra un’opinione che, malgrado l’autorevolezza di chi l’ha emessa e la notorietà che ha raggiunto, rimane sfocata e priva di reali riscontri⁶. Una bella differenza, dunque!

    Date le circostanze, sarà il caso di riconoscere senza ulteriori esitazioni non solamente la strabiliante novità dei suoi insegnamenti, ma anche la loro specificità: segreti da carpire alla natura, misurazioni da impostare ed effettuare in maniera plausibile (cioè intelligibile e difendibile). Ciò significa che Talete dovette essere un innovatore e un iniziatore, una mente eccelsa e oltremodo versatile, il portatore di teorie e di ragionamenti con cui spiegare perché la singola congettura o la singola misurazione meriti di essere considerata attendibile. Di conseguenza direi che il capitolo su Talete, divulgativo o professionale che sia, non possa più incominciare con la solita storia dell’acqua-archē. Non sarebbe il caso di cominciare con una rassegna delle misurazioni in questione? Perché no?, io direi. Ma ciò prova forse che egli fu il primo filosofo? Che il tipo di sapere da lui elaborato possa o debba considerarsi filosofico non solo è da dimostrare, è anche un’opinione che poté prendere forma solo quando la filosofia era ormai diventata una realtà dotata di vasti riconoscimenti. Infatti solo a quel punto ebbe senso dire: "perbacco, Talete già si era incamminato nella nostra direzione, quindi ha il non piccolo merito di aver fatto i primi passi, e di averli fatti senza nemmeno aver idea di ciò che stava facendo, delle opportunità che stava istituendo, delle potenzialità di ciò che stava imparando a fare. Ma che bravo!"

    Riprendiamo allora il confronto con Leonardo. Il Talete che si ingegnava per capire esattamente quando ha luogo l’equinozio di autunno, se veramente i quattro trimestri hanno o meno la medesima durata (è mai possibile che non abbiano la medesima durata?) e per venire a capo di non pochi altri interrogativi, non poteva non rendersi conto di aver intrapreso il tentativo di mettere le mani su vere e proprie scoperte, su segreti cosmici che sembrava impensabile poter scoprire (cioè disvelare) e che invece egli stava riuscendo a ‘carpire’, a ‘strappare’ (per poi insegnare, spiegare, disvelare questo e molto altro, arcano su arcano). Ora di ciò Talete non poté non essere pienamente consapevole, perché si trovava a perseguire (e con apprezzabile successo) obiettivi conoscitivi del tutto inediti. Analogamente Leonardo non poté dubitare di star facendo dei tentativi di ideare la macchina per volare e sperare di essere sulla buona strada perché, quanto meno, il movimento delle gambe era effettivamente in grado di trasformarsi in movimento delle ali grazie a un uso sapiente degli ingranaggi. Forse poté anche convincersi che, sulla strada verso la macchina con cui volare, c’era ancora molto lavoro da fare; forse si rese conto che il risultato non si poteva considerare già a portata di mano; ma che stesse provando, nientemeno, a mettere gli umani in condizione di volare, questo certamente non gli sfuggì. Né gli sfuggì di essere un maestro nella pittura. Semmai poté dubitare di essere anche uno scrittore di vaglia, o addirittura un filosofo, sapendo di essere ben diverso da coloro che ai suoi tempi erano considerati filosofi. Ma, per l’appunto, Leonardo aveva notizia dei filosofi, Talete no. Oserei dire addirittura che il suo sapere dovette essere, verosimilmente, un sapere mosso dall’ansia e dal piacere di arrivare a rispondere in maniera plausibile a domande che all’epoca nessuno si poneva, il sapere di un antesignano, dunque. E faccio ugualmente fatica a vederci proprio la filosofia.

    Che a Talete si debba riconoscere anche il merito di aver dato il via alla filosofia è, quanto meno, una cosa da dimostrare, non certo una informazione da dare per scontata.

    2. Se non Talete, chi altri?

    Ma se non è stato Talete, chi è stato? Chi ha dato questo famoso ‘calcio di inizio’ alla filosofia? E del resto: la filosofia è forse una cosa che si inventa, o cui si può dare il calcio di inizio? Domande non facili, perché se ci mettiamo a dire non Talete ma Anassimandro – oppure non Anassimandro ma Eraclito, non Eraclito ma Parmenide, non Parmenide ma Socrate, non Socrate ma Platone, non Platone ma Aristotele – non è per niente facile dimostrare che non siamo ancora fermi al punto di partenza.

    Proviamo a dare un breve sguardo.

    Padre della filosofia poté essere, se non Talete, almeno Anassimandro? Dell’apeiron si è fatto un gran parlare da tempi immemorabili; più di recente, grazie a Heidegger, si è fatto un gran parlare del fr. 1 sulla morte che ha la stessa scaturigine della vita e sul pagare la pena per l’ingiustizia secondo l’ordine del tempo, quasi che in questi due insegnamenti fosse concentrata la quintessenza del suo insegnamento e da ciò emergesse la prova certa della potenza filosofica del ‘pensiero’ di Anassimandro.

    Ma se così fosse stato, cosa dovremmo pensare dell’insieme degli altri suoi insegnamenti? Perché si tratta di un insieme quanto mai nutrito. Infatti solide ragioni inducono a presumere che il resto dei suoi insegnamenti dovesse includere anche: (A1) l’invenzione e realizzazione del primo mappamondo dell’Occidente, passando per la raccolta e organizzazione di una mare di informazioni diverse, fornite dai naviganti, al fine di rappresentare gli spazi, i mari, le isole e quant’altro in maniera approssimativa ma non stravagante;

    (A2) l’individuazione e adozione del punto di osservazione virtuale, con conseguente possibilità di puntare tutto sulla rappresentazione diagrammatica della linea costiera dell’intera area mediterranea (il suo famoso pinax, impresa mai tentata prima)⁷;

    (A3) una impressionante dilatazione delle dimensioni supposte del disco terrestre, da (approssimativamente) così:

    a (approssimativamente) così:

    per cui da una terra larga circa 1500 km si passa a una terra che si avvicina ai 5000 km di diametro;

    (A4) l’individuazione e rappresentazione del diametro terrestre;

    (A5) l’idea che sarebbe stato pertinente usare questa grandezza (il diametro terrestre) come una unità di misura astronomica (la prima AU mai immaginata!);

    (B) l’elaborazione dell’idea – memorabile – che il sole debba continuare il suo viaggio notturno con il medesimo percorso circolare e, dunque, essere in grado di passare sotto la terra, presumibilmente alla stessa distanza dai due lati;

    (C) l’individuazione di una ragione plausibile per ritenere logico che la terra non corra alcun serio rischio di precipitare nel vuoto;

    (D) l’elaborazione dell’idea che la terra debba costituire non semplicemente una immensa superficie pressoché pianeggiante, circolare e circondata da un fiume Oceano di immane lunghezza; ma una sorta di solido che al bordo esterno dell’Oceano continua con un invalicabile strapiombo e, sotto, dà luogo a un’altra superficie avente le stesse dimensioni, anch’essa grosso modo pianeggiante e grosso modo parallela, denominata antitheton;

    (D1) forse anche l’elaborazione dell’idea che, nell’altro lato pianeggiante, le acque e altri oggetti non radicati al suolo non corrano nessun rischio di allontanarsi definitivamente da quella superficie (direzione di caduta opposta a quella caratteristica dell’area mediterranea);

    (E) una congettura sullo spessore del cilindro terrestre espressa in termini di AU (un terzo);

    (F) l’elaborazione di idee sugli astri e, in particolare, sulle distanze dei vari corpi celesti dalla terra, fornendo delle cifre configurate come multipli dell’AU;

    (G) l’elaborazione congetturale di un embrione di macrostoria del cosmo, dalla condizione originaria, quando il sole e gli altri astri non si erano ancora staccati dalla terra, al progressivo prosciugarsi di una terra ormai non così calda, alla concentrazione delle acque nei mari, e al suo prevedibile futuro, quando i mari fatalmente si ridurranno fino a essiccarsi;

    (H) l’elaborazione di congetture su cosa possa essere accaduto a quegli animali marini che, per primi, si sforzarono di sopravvivere fuori dall’acqua, sull’eventualità che un tempo la terra sia stata agitata da un vortice che però ora riguarda solo gli astri, e su una varietà di altri punti;

    (I) l’elaborazione di altre congetture su come avranno fatto i primi uomini a sopravvivere quantunque, nei primi 12-15 anni di vita, essi siano notoriamente non in grado di provvedere a se stessi, e sul provvidenziale ruolo svolto, a tale scopo, da alcuni grandi pesci;

    (L) l’elaborazione di una spiegazione unitaria dei fenomeni meteorologici (egli omnia ad spiritum rettulit, li ricondusse tutti all’aria, dice Seneca, il quale poi spiega in dettaglio);

    (M) la determinazione della data esatta (quanti giorni dopo l’equinozio di autunno) in cui le Pleiadi scompaiono all’orizzonte, rettificando le cifre fornite da Talete.

    La lista è lunga, ma sicuramente non esaustiva, sia perché all’individuazione dei punti ora elencati si arriva non in base a un resoconto organizzato ma in base ad informazioni sparse, sia perché altre informazioni sono effettivamente disponibili⁸. Osservo inoltre che anche la documentazione relativa a questa messe di dati è ampiamente disponibile sin dal 1903, non diversamente da quel che è accaduto con Talete.

    Una serie così imponente e così organica di congetture lascia intravedere, di nuovo, un sapere molto strutturato, un autore che investe energie imponenti per poter arrivare a tutti questi risultati, e anche il dispiegamento di considerevoli energie mentali, con l’obiettivo di organizzare ed esporre con accettabile ordine un così vasto e inedito insieme di insegnamenti. Si intuisce inoltre che, nella mente del geniale ideatore di un così elaborato sistema di congetture, questa messe di accertamenti e insegnamenti non può non aver avuto un posto e un’importanza preminenti.

    Che pensare allora della supposta filosofia di Anassimandro? Possiamo persistere nel presumere che la sua filosofia sia consistita nella teoria dell’apeiron e nell’oscura teoria della pena da scontare per l’ingiustizia secondo l’ordine del tempo? A me pare logico presumere che a questi temi egli poté dedicare, al massimo, un briciolo delle sue energie intellettuali. Con quali argomenti sostenere il contrario?

    Certo, sulla scia di Aristotele e Heidegger tutti noi siamo stati educati a pensare che quella sia la sua filosofia, ma il quadro delle notizie intorno a come Anassimandro ha configurato il suo sapere parla ben altro linguaggio. Pertanto non è scontato nemmeno che il sapere di tipo filosofico si debba individuare nella teoria dell’apeiron e nella teoria della pena da scontare. Per Anassimandro vale, comunque, la constatazione già fatta nel caso di Talete: lui della filosofia non ebbe nemmeno una pallida idea! Dunque, se fu filosofo, lo fu in maniera del tutto involontaria e inconsapevole.

    Passiamo al terzo maestro di Mileto, Anassimene. Questi lavorò attorno alla nozione di aria erigendola, come pare, in idea centrale e strategica, tanto da poter spiegare una quantità virtualmente illimitata di fenomeni osservabili a partire dall’idea che l’aria, condensandosi, assuma sempre nuove forme, per cui acqua e melma, nuvola e vento, terra e roccia non sono altro che aria variamente addensata. Inoltre egli si è rappresentato la terra come ‘avvolta’ nell’aria, verosimilmente pensando che l’aria non pesa e non cade; inoltre ha ravvisato nell’aria respirata non semplicemente un tratto caratteristico di molti viventi ma addirittura il principio vitale. Ora supponiamo per un momento che, in aggiunta, egli avesse insegnato che una spiegazione è buona se – e solo se – trova applicazione in una infinità di contesti diversi. Questa sì che sarebbe stata un’idea dotata di innegabile potenziale filosofico! Tuttavia di un simile meta-insegnamento non c’è traccia. Pertanto, anche Anassimene rientra, nella migliore delle ipotesi, tra i filosofi non consapevoli di esserlo. Ma bisogna aggiungere che resta da individuare la connessione con la filosofia, che si dovrebbe argomentare tale connessione. Non la si può trattare come pacifica solo per tradizione!

    Occupiamoci ora di Ecateo, il quarto grande maestro di Mileto. Per età, egli avrebbe potuto essere allievo di Anassimene, ma il suo punto di riferimento fu Anassimandro per via del pinax, la rappresentazione grafica del mondo. Il suo sapere implica una drastica presa di distanza dagli altri maestri

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