I racconti della notte di San Giovanni: Venti racconti sul Nocino e la notte delle streghe
Di AA. VV.
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La guazza benefica, i falò, le streghe che ballano attorno agli alberi di noce, i piedi scalzi sull’erba bagnata, vergini che raccolgono con un falcetto di ceramica i frutti immaturi...
E non poteva che nascere questa notte il più magico e affascinante tra i liquori: Il Nocino
Venti racconti e altrettante storie dove il profumo dell'infuso si spande tra le parole, arricchendo la narrazione e impregnandola di mistero e di emozioni.
Contiene la ricetta originale del Nocino Modenese e i diversi modi di utilizzarlo in cucina (e non solo).
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Anteprima del libro
I racconti della notte di San Giovanni - AA. VV.
Autori Vari
I racconti della notte di San Giovanni
Prima Edizione Ebook 2013 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868100568
Damster Edizioni
Via Galeno, 90 - 41126 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
Autori Vari
I racconti della notte
di San Giovanni
INDICE
Presentazione progetto Degustibus
CHI HA BEVUTO IL MIO NOCINO? di Boccaletti lattonier Giovanni
TREMATE, TREMATE di Eva Alyeni
LE MELE VERDI DELLO SPERSO di Maria Silvia Avanzato
UNA NOTTE SPECIALE di Laila Baraldi
UNA BOTTIGLIA DI STORIA di Maurizio Bardoni
LE TRENTATRE NOCI di Dante Bernamonti
NUOVE LEVE di Sara Bosi
19 PICCOLE NOCI di Massimiliano Campo
U NUCARINU di Maria Antonietta Filippini
IL DONO DI SELELIA di Manuela Fiorini
LA NOTTE DELLE VERGINI SCALZE di Sabrina Grappeggia Bernard
IL NOCINO DI NOÈ di W. I. Left
IL BICCHIERE DELLA NOTTE DEI MORTI di Lei&Vandelli
L’ ESSENZA DELLA TERRA di Giovanni Mistrulli
UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE di Jessica Molinari
IL NOCINO SCIVOLAVA SULLE SUE LABBRA di Francesca Panzacchi
IL SAPORE AMARO DELLA VITA… di Cristian Poppi
LA NOTTE PIÙ MISTERIOSA DELLA MIA VITA di Claudia Rinaldi
LA MAGIA NON ESISTE di Relmi Rizzato
GLI AUTORI
Catalogo
Presentazione progetto Degustibus
Può un prodotto della tradizione gastronomica diventare un elemento narrativo in grado svilupparsi in una produzione letteraria?
È questa la sfida di DeGustibus.
Ogni edizione propone un prodotto tipico e invita scrittori, o aspiranti tali, a partecipare con un racconto nel quale l’elemento gastronomico indicato sia parte necessaria e funzionale allo sviluppo narrativo dello stesso.
I racconti, pervenuti in redazione e selezionati, sono pubblicati in un volume distribuito nelle librerie.
Un gruppo di lettori qualificati (giornalisti, scrittori, operatori della comunicazione, gastronomi) indicano i tre racconti del volume da loro preferiti. La somma dei voti porta alla definizione della classifica finale. Tutti gli autori sono invitati ad un incontro/evento nel quale si premiano i vincitori.
Le edizioni di DeGustibus hanno scadenza annuale. Tutte le notizie relative al concorso/selezione le trovate sul sito dell’editore www.damster.it, così come l’elenco dei vincitori di questa e delle prossime edizioni.
Questa edizione, sull’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, ha avuto il supporto e la promozione da parte del Consorzio Produttori ABTM e dell’AED – Associazione Esperti Degustatori – di ABTM a cui inviamo i nostri più sentiti ringraziamenti.
L’editore
Massimo Casarini
I racconti
CHI HA BEVUTO IL MIO NOCINO? di Boccaletti lattonier Giovanni
Il luogo era la gloriosa Polisportiva Bocciofila di via Sale & Tabacchi a Castelfranco Emilia, gestita da PierinoilGrande, un omone intraprendente, di origini venete, che dopo quarant’anni di onorata permanenza in Emilia, si era perfettamente integrato e sapeva già dire soccia.
L’ora era quella esatta, del giorno giusto, del mese in corso, del corrente anno. La riunione dell’Associazione LettoriCollanaDegustibus, verteva sulla discussione di un importantissimo ordine del giorno: Cosa scrivere nel racconto sul nocino?
Al centro del lungo tavolo conferenziale, il presidente, ovvero il Maestro dei Maestri, che per brevità, d’ora innanzi chiameremo MdM. Dittatore, arrogante, odioso ed antipatico quanto basta, cioè al limite della sopportabilità, sapeva benissimo arringare la folla ed ottenere ciò che voleva dai suo soci. Si vantava del fatto che nei suoi confronti fossero stati effettuati ben 13 tentativi di golpe, repressi con onore nel sangue.
Al suo fianco sinistro, il famoso Autore Anonimo del racconto, che MdM conosceva benissimo, avendolo letto nei Racconti in Forma e lo aveva entusiasmato. Ci teneva a far bella figura e per la sua associazione di lettori aveva preteso il meglio.
Al fianco destro, invece, l’ufficiale verbalizzatore. Quest’ultimo si chiamava bella signorina Scara Bocchi, veniva da Albareto ed era studentessa di professione. Laureanda in Verbis, Omissis e Vademecum, non contenta si era iscritta alla facoltà di Lettere all’Università di Bologna ed aveva già dato 16 esami: A, B, C, D, E, F, G, H, I, L, M, N, O, P, Q, R. Le mancavano solo S, T, U, V, e Z per arrivare alla tesi. K, Y, e W facevano parte di un corso di specializzazione supplementare per lingue straniere, alla cui iscrizione lei stessa aveva già manifestato interesse.
Cominciò subito il suo lavoro di verbalizzatore, contando i presenti. Dell’intera lista degli iscritti mancavano solo il numero 69, ma rappresentato per delega dal 70, ed il numero 17, perché ritenendo portasse sfiga, con uno stratagemma, era stato inviato in missione speciale alla stazione di Vaciglio a veder partire il treno. Doveva, nell’occasione, annotarsi gli orari per un futuro viaggio all’estero di MdM.
I soci erano registrati rigorosamente con un numero, come da statuto. Come da statuto, non potevano essere più di cento, ma MdM, scaltro com’era, con un escamotage, lo aveva aggirato. Giunto al numero massimo, ovvero a cento, cominciò il conteggio in passivo con il segno meno, e cioè meno 1
, meno 2
ecc. sino ad arrivare all’attuale di meno 48
che chiudeva la lista.
MdM aprì la plenaria con un preambolo.
– Vi ho qui riuniti per avere da voi i giusti suggerimenti sugli argomenti e le idee per il nostro Autore. Siamo stati incaricati dall’Editore di scrivere un racconto sul Nocino, che sia originale, importante, che lasci un segno indelebile e si possa col tempo ricordare, ma, soprattutto, dobbiamo far presto. Al di là del fiume, il gruppo degli ASINI, (Associazione Sostenitori Italiani Nocini Industriali) potrebbe rubarci l’idea ed arrivare prima di noi, magari sguinzagliando un misero assessore per cercare d’intimidirci e farci desistere da questa straordinaria impresa.
– Mi scusi MdM – chiese incuriosito il lettore 9 – cosa vuol dire Degustibus?
– Degustibus è una parola tratta da un’antica locuzione latina – ripose MdM – che per intero suona così: Degustibus non disputandum est, ma disputandum ovest! Ovvero: Degustando, non sputiamo ad est, ma sputiamo ad ovest!
Era il motto degli assaggiatori di nocino nell’antica Mutina, coniato nel 50 ac da Magister Joannes, il loro istruttore.
Poi, fiero di questa citazione da eminente erudito, si rivolse all’Autore chiedendogli di porgere direttamente le domande all’assemblea e questi non si fece pregare due volte:
– Qualcuno conosce barzellette mai raccontate, ovvero, qualcuno ha creato barzellette?
Si alzò il lettore 14.
– Mi chiamo Posticipo Serale ed ho inventato una barzelletta.
– Bene, la racconti – incalzò MdM colmo di curiosità.
– Allora... c’erano un francese, un tedesco, un americano ed un italiano, naturalmente di Modena.
– Bene – disse MdM – continui.
– Ehm... non la ricordo bene...
– Passiamo avanti allora. Chi di voi è stato rapito si alzi in piedi – chiese con fare rilevante l’Autore, sapendo di essere ad una svolta importante della sua vita. Se il racconto gli fosse riuscito bene, avrebbe abbandonato la sua attuale professione di tiratore di collo alle galline, nell’allevamento di Tributo Fiscale, un allevatore romagnolo trapiantato a Nonantola. Si alzarono il lettore 25 il 29 ed il 42. Cominciò il 25.
– Mi chiamo Vannigio Leccabotti e sono stato rapito all’età di sei mesi. Ricordo ancora tutto come fosse ieri: vivevo in una carovana nel campo nomadi di via Baccelliera a Modena, quando, sfondando la porta, entrarono quattro energumeni mascherati e con loro ingaggiai una violenta colluttazione che rischiò di sfociare in tragedia per la morte di due di loro. Alla fine dopo un’estenuante combattimento durato un paio d’ore, i malviventi mi ebbero per sfinimento. Era l’ora della poppata ed allentai la lotta. I sequestratori ne approfittarono per infilarmi in un sacco del pattume e portarmi via. Venni addestrato a far del bene alla gente; a far attraversare le strade trafficate alle vecchiette, a soccorrere gli investiti dai pirati stradali, a sostituire il barilotto di cognac vuoto con uno pieno ai cani San Bernardo, a portare acqua a chi attraversava il deserto in modo sprovveduto e si trovava in difficoltà, ecc. ecc... Dopo dieci anni pieni di soddisfazioni, passati a girare il mondo ed ormai in odore di santificazione, decisi di rientrare nella normalità, iscrivendomi ad un corso di ricamo, presso l’istituto delle Pie Orfanelle di Bastiglia, in attesa di trovare il coraggio per suicidarmi.
Poi si sedette e si alzò il 29, un personaggio insolito, con uno strano orecchio.
– Mi chiamo Mortodin Farto e mi sono rapito da solo. Avevo circa trent’anni, quando, stanco della monotona vita agiata, da figlio di papà, decisi di dare uno scossone alla mia esistenza con un finto rapimento e relativo riscatto. Tanti miei amici erano al centro dell’attenzione della High Society per il loro passato da rapiti, con tanto di riscatto. Più il riscatto era alto e più si era considerati. Inoltre aveva un gran valore il mutilamento che il rapitore subiva. Se non si usciva mutilati, la considerazione in società diminuiva paurosamente. Mi nascosi quindi in solaio, dove si stagionano i salami, inviai una lettera anonima ai famigliari, con una corpulenta richiesta di riscatto ed attesi. Dopo qualche giorno di vane ed ansiose aspettative, mentre la scorta dei salami diminuiva pericolosamente, presi la drastica decisione: mi tagliai il lobo dell’orecchio destro per dare una prova ai famigliari sulle serie intenzioni dei miei carcerieri. Aggiunsi anche un suggerimento: tenerlo in frigo alla temperatura di 4 gradi, nella cassetta delle verdure, avvolta da una foglia di cavolo verza. Scadenza: 12 gg. dalla separazione del corpo madre. Pensavo di far in tempo per una felice operazione chirurgica di ricucio. Ma il destino maligno, sotto spoglie di fattorino postale era in agguato dietro l’angolo. Arrivò il nuovo postino e pose la posta nel posto della pasta. Non sapeva che la posta non va riposta nel posto della pasta, ma riposta nel posto della posta. Quando qualcuno va nel posto della pasta per cercare la pasta e ci trova la posta, non può cucinare la posta e poi leggere la pasta. La posta va riposta dove si deve riporre la posta. Dove si trova la posta, va riposto soltanto la posta e non la pasta. E se poi qualcuno la pesta? Non è mica una pista! Ed ecco cosa è successo: il cane andando a cercare il pane che si trova di solito dove si trova la pasta, ci trovò la posta che non era al suo posto e dopo ricerche vane, non trovando il pane, lui, il cane, considerò il problema immane che risolvette mangiando due rane nane nascoste nelle loro tane tra filati e lane. Annusando poi con vigore e tenacia, trovò il mio lobo sanguinante di fresco dentro alla busta. In un battibaleno, lo divorò ed io giungendo trafelato, cercai di farglielo espellere in tutti i modi; tirandogli calci alle orecchie, alle zampe, al pelo, alla coda, ma invano. Infine, disperato cercai di farlo vomitare cacciandogli un dito in gola. Ecco a voi il risultato. – E mostrò la mano destra mancante del dito indice. – Però con l’orecchio ho rimediato – continuò Mortodin – consigliato dal chirurgo plastico, staccai un orecchio al cane e me lo feci ricucire. Non c’era pericolo di rigetto, avendo il cane mangiato il mio, le due orecchie erano diventate compatibili e quindi intercambiabili tra loro. Il problema è che dalla fretta mi son sbagliato e gli ho reciso l’orecchio sinistro. Ora posseggo due orecchie mancine ed è per questo che la gente mi osserva incuriosita.
Infine il 42. Occhi semichiusi, volto trasognato, una strana posizione su di una gamba sola, che lo faceva sembrare sollevato da terra ed i capelli dritti verso l’alto, che gli donavano la parvenza di chi deve venire portato verso il cielo da un momento all’altro.
– Mi chiamo Musnento Magnani, vengo da Bastiglia e sono stato rapito dalla visione di un film. Si trattava di 2001 Odissea nella spazio, del grande Stanley Kubrick. Sona stato rapito dalla musica del poema sinfonico di Richard Strauss, Così parlò Zarathustra che sottolinea i punti di svolta della storia, come il momento in cui GuardaLaLuna inizia a mettere a frutto gli insegnamenti del Monolito, impugnando un osso e comprendendo di avere tra le mani un’arma per procurasi da mangiare e per sopraffare i nemici. Sono stato rapito quando David Bowman, sempre per mezzo del Monolito, si trasfigura in un essere nuovo, il Bambino delle Stelle. Sono stato rapito dalle numerosissime scene da antologia, dalla più ampia eclissi della storia del cinema, dall’osso della scimmia, all’astronave oblunga che danza sulle note di Sul bel Danubio blu di Johann Strauss, dalla sequenza delle stelle, fino all’enigmatico finale con l’embrione che dallo spazio, concede uno sguardo in macchina che buca lo schermo cinematografico fino allo spettatore. Sono stato rapito dal supercomputer HAL 9000, della sua ribellione e dalla sua voce italiana di Gianfranco Bellini, dal caratteristico timbro suadente. Sono stato rapito e mi sento ancora in stato di rapimento.
L’intera assemblea si commosse e si asciugò le lacrime con i tovaglioli di carta messi a disposizione da Pierino ed il suo staff.
Si reinserì il lettore 14.
– Mi viene in mente un altro po’ di barzelletta.
– Siamo tutt’orecchi sig. Posticipo.
– Ora mi ricordo, c’era anche un inglese...
Faceva un freddo boia in quella stanza della Bocciofila, abitualmente adibita alla visione TV, ma rimediata per l’occasione a sala riunioni e PierinoilGrande entrò con la sua specialità invernale. Aveva ottenuto un largo successo in estate con fette di cocomero fresco, risollevando le finanze sofferenti della Polisportiva e questo gli aveva suggerito un’idea vincente. Se il cocomero era buono fresco d’estate, doveva essere buono, caldo, d’inverno. Così se ne era accaparrato una gran partita, se l’era tenuta di scorta in freezer ed ora somministrava fette d’anguria al forno, per la delizia dei lettori presenti in assemblea, che felicemente si godevano un meritato intermezzo gastronomico.
Quando i lettori ebbero finito, nulla restò del lauto pranzo, perché del cocomero al forno si mangia tutto, anche i semi e la scorza. Allora si ricominciò.
– Qualcuno di voi è mai morto? – chiese a questo punto l’Autore.
– Io.
Tutti si voltarono verso quella voce giunta dal fondo della sala.
Era stato sino a quel momento in disparte, passando inosservato. In groppa ad un cavallo bianco, i cui nitriti erano stati scambiati per la suoneria di un cellulare maleducatamente lasciato acceso; con il fiasco di vino in mano, la barba e capelli fluenti grigi, c’era lui e cominciò a cantare:
Sono morto, che ero bambino
sono morto, con altri cento,
passato per un camino
ed ora sono nel vento.
Poi con un leggero colpo di tacchi al fianco del cavallo, che per risposta defecò abbondantemente, tirando con le redini di manca, silenziosamente e con discrezione si allontanò.
– Ma quello era Francesco Guccini – bisbigliò Scara a bocca spalancata, sgranando gli occhi colpita da profonda ammirazione.
– Certo che è lui – rispose orgogliosamente MdM – non lo sapevi? È il nostro lettore 79. Ha scritto anche il nostro meraviglioso inno.
Quant’è buono il mio nocino,
me ne bevo un bicchierino
è un’autentica bontà,
trallallero trallallà!
Paola, era la moglie di Pierino il Grande, donna di buona stazza e di grande virtù culinarie, conosceva bene le varie vicende storiche dei funghi dei quali era un’accanita propinatrice agli avventori della Bocciofila. Conosceva perfettamente quella dell’ufficiale di Napoleone, che, rifugiatosi in una grotta con il cavallo, per sfuggire al nemico, si cibò dei funghi spontaneamente nati dalle feci del suo destriero e mandò Pierino a ripulire la sala con un ordine perentorio: va in sala e portami i resti del cavallo di Guccini, debbo fare un risotto ai funghi. Poco dopo, dalla sala riunioni, si sentì un urlo, foriero di pessime notizie, provenire dalla cucina:
– Somaro! Le feci del cavallo, mi servono per produrre i funghi per il risotto, non per metterle direttamente dentro a questo!
Scara continuava ad annotare gli avvenimenti con scrupolosa meticolosità, stando attenta a non tralasciare alcun particolare. L’ira di MdM era veramente furiosa. Già altre volte aveva avuto occasione di assistere ad una sua sfuriata e ne era rimasta sconvolta.
– Signor Maestro Maestri, mi chiamo Smania Di Darla e sono la lettrice 75 – disse con un fil di voce una donnina esile e minuta.
– Volevo denunciare che alcuni miei colleghi, in particolare il numero 48, il numero 52, 68, 77, 78, 82, 84 e 91, mi canzonano perché ho la testa piccola.
– No cara, non sei tu ad avere la testa piccola – rispose MdM con un sorriso paterno mostrando stranamente enorme saggezza – ma è il tuo cappello che è troppo grande.
Smania, allora si rasserenò, si tolse il cappello infilandolo frettolosamente nella borsetta piegandolo in quattro e si sedette sorridendo, soddisfatta, facendo boccacce ai suoi denigratori.
MdM dando di gomito all’Autoresoggiunse:
– Ora è una donna felice – poi rivolto a Scara – questa non la verbalizzare – indi all’assemblea:
– Qualcuno ha avuto avventure galanti? – Si alzò il numero meno 15
– Mi chiamo Luigi Grattamilnaso ed ho una morosa con 40 anni meno di me; con lei ho un rapporto splendido, facciamo l’amore una volta al giorno, d’estate anche due e l’amplesso dura non meno di tre quarti d’ora. I nostri amplessi sembrano guidati dalla mano degli dei, rasentano la perfezione sino a farci diventare un corpo solo. Un giorno ci trovammo così perfettamente avvinti l’un l’altra al punto che quando io guardavo, lei guardava, io pensavo e lei pensava. Tentai di muovere un braccio, ma si mosse il suo, cercai di parlare, ma si apriva la sua bocca e parlava lei. Quando al fine ci separammo e mi allontanai, nella confusione, me ne andai con le sue gambe, il ché mi obbligò a voltarmi ed a sculettare a sguardi e ad apprezzamenti maschili mentre passeggiavo lungo la strada. Rimediai all’imbarazzante situazione nell’amplesso successivo, che purtroppo, per ragioni