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Il mondo di carta: Dai caratteri mobili all'era digitale
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Il mondo di carta: Dai caratteri mobili all'era digitale
E-book395 pagine6 ore

Il mondo di carta: Dai caratteri mobili all'era digitale

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Info su questo ebook

Succedeva intorno al 1450, a Magonza.
Toccò a Johannes Gensfleisch, detto Gutenberg, un geniale cinquantenne, il merito dell’invenzione dei caratteri tipografici mobili.
Il debutto avvenne con un libro che resterà per sempre nella storia dell’editoria, una Bibbia stampata (tra il 1452 e il 1456) in due volumi.
La stampa si diffuse rapidamente. Da allora all’era digitale il libro e il giornale hanno vissuto una straordinaria avventura.
Il mondo di carta presenta il profilo di editori di libri, riviste e quotidiani, che hanno resistito alle mutazioni dei mercati e, passati attraverso ristrutturazioni societarie, sono arrivati fino ai nostri giorni.
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2023
ISBN9791222450476
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    Anteprima del libro

    Il mondo di carta - Tricamo Giuseppe Marchetti

    copertina

    Giuseppe Marchetti Tricamo – Giancarlo Tartaglia

    Il mondo di carta

    La straordinaria avventura del libro e del giornale da Gutenberg a Bernes-Lee. Dai caratteri mobili all’era digitale

    UUID: c16d70cb-6588-4447-af86-04e6cba068e4

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    È il momento delle presentazioni

    La straordinaria invenzione che cambiò il mondo

    L’editoria italiana continua a scrivere la propria storia

    L’editore e i suoi collaboratori

    Il mercato dei lettori

    L’azienda e la sua gestione

    Il prodotto e il suo abito

    L’economia del libro

    Il marketing il nuovo protagonista dell’editoria

    La comunicazione, tra tradizione e innovazione

    La rivoluzione copernicana: le tecnologie

    Come cambia l’editoria

    Come è messa la stampa quotidiana?

    È la stampa, bellezza

    Glossario

    Bibliografia

    Giuseppe Marchetti Tricamo

    Giancarlo Tartaglia

    il mondo di carta

    Immagine di copertina: Franco De Vecchis

    © 2023 by All Around srl

    I edizione maggio 2023

    redazione@edizioniallaround.it

    www.edizioniallaround.it

    È il momento delle presentazioni

    Dal momento che stai leggendo queste parole – non le leggeresti se non ti fossi procurato quest’oggetto che tieni tra le mani, cioè me – sarà bene che mi presenti. Io sono un libro. Non so come sei arrivato a possedermi, immagino che tu mi abbia comprato come qualsiasi altro oggetto: in libreria, su una bancarella, in Internet – i modi, come sappiamo sono molti. Ma non mi scandalizzerei se il viaggio che mi ha portato a te sia stato di natura inconfessabile. Se, insomma, appartenendo a un amico, tu mi abbia chiesto in prestito sapendo benissimo che non mi restituirai mai. O, peggio ancora, se – preso da un raptus – tu mi abbia destramente sottratto da qualche scaffale. Non mi permetto di giudicarti. Come diceva Bernard Shaw, le cose che amiamo o fanno male alla salute o fanno ingrassare o sono illegali.

    Occorre solo prenderne atto. Non mi dispiacerebbe neanche se mi avessi scaricato da uno dei tanti siti che contengono decine e decine di testi, ma ahimè, non essendo un classico, è l’unica ipotesi che scarto decisamente. Quale che sia stato il viaggio che mi ha portato tra le tue mani, di una cosa sono certo: della sua intenzionalità. Vale un po’ per tutto, dal detersivo al video-game, ma credo che nel mio caso l’intenzionalità abbia un valore speciale. Pur essendo abbastanza giovane (rispetto al passo della storia, la storia della parola scritta, intendo), io sono certo che c’è qualcosa di creativo in quello che hai fatto. E si capisce: per quanto uno provi una certa soggezione nell’aggirarsi, per esempio, tra le imponenti biblioteche di un’abbazia, o soddisfi un suo qualche perverso piacere nel contemplare il modo con cui ha riempito casa propria di scaffali stracarichi di opere storiche, filosofiche, poetiche, scientifiche, letterarie (per non parlare del robusto fiume che sgorga dalle edicole), è in fondo proprio la tua intenzionalità a permettermi di esistere. Meglio ancora: a darmi l’occasione di esistere e, in molti casi, se non di sfidare il tempo, di sopravvivere o almeno di vivacchiare. Tra le decine di confratelli, infatti, tu hai scelto me, e questo ha un suo peso.

    Ma non voglio montarmi la testa. Ignoro i criteri che ti hanno portato a scegliermi (non so nulla di te, dei tuoi gusti, della tua educazione, del tuo grado di cultura, dei tuoi interessi) e posso arrivare a immaginarli non dissimili da quelli che, in un mercato, ti portano a palpeggiare un melone o una pesca o osservare con occhio critico una fila di salsicce o il corpo scarnificato di un abbacchio. Da questo – una mescola tra esperienza, intuizione e impulso – traggo l’ovvia conclusione che appartengo comunque alla confraternita della merce, uno stato cui non posso sottrarmi. Che poi io sia o possa essere una merce di tipo particolare è un altro paio di maniche. Ma, oggettivamente, non posso sottrarmi alla categoria. E come ogni merce debbo sottostare a regole precise: devo essere immaginato, prodotto, fatto conoscere, collocato in un luogo deputato alla vendita (insomma in un negozio apposito) e, infine, conquistarmi un posto in vetrina in modo da poterti ammiccare con la soave truculenza di una donnina allegra nel quartiere delle luci rosse di Amsterdam. È solo dopo aver compiuto questo viaggio – tutto mio, tutto interno – che posso cominciare il secondo e più importante: quello che, come un’amante appassionato, mi porta tra le tue mani.

    Il paragone non ti paia eccessivo. A differenza delle altre merci, io ho infatti bisogno dell’intimità. Il cicaleccio televisivo mi infastidisce, i rumori mi disturbano (posso, al massimo, tollerare della musica in sottofondo: ma non di quelle impegnative che, giustamente, reclamerebbero la mia attenzione), le luci violente mi infastidiscono, le interruzioni inattese e improvvise mi straniscono, la scomodità mi uccide. E per quanto sappia benissimo che molti usano adoperarmi per farsi venire gli occhi pesanti, insomma come sonnifero, o per ammazzare il tempo in autobus o in metropolitana, va da sé che dobbiamo metterlo nel conto dei danni collaterali o dei marginalia. No. Come un amante esigente io ho bisogno della tua totale attenzione, della tua passione e della tua fantasia. Io parlo alla tua testa e, come tutti sanno, è lì che risiedono le grandi emozioni – il corpo si limita a seguire. E infatti: puoi assaporarmi, prendermi a piccole dosi, centellinarmi, o divorarmi con furia – tutti sistemi che, come sai, appartengono all’universo dell’amore. E, come tutti gli amori, anche il nostro può essere effimero, fulmineo, occasionale, ma anche eterno, immortale – di quell’eternità e immortalità che, si capisce, dura finché dura la nostra vita ma che, mentre scorre in noi, ci appare non avere mai fine.

    Ti dico queste cose perché è il contesto entro cui dobbiamo collocarci, non tanto per goderci la nostra relazione, quanto piuttosto per approfondirla, renderla il più soddisfacente possibile. E poiché la soddisfazione nasce dalla conoscenza, voglio parlarti di me. È un po’ come accadeva (e continua ad accadere) nei romanzi d’amore dove, a un certo punto, lei o lui dice la fatidica frase: «Ora ti dirò tutto di me», imponendo al plot una svolta e testimoniando, col dirlo, la serietà di un’intenzione e la profondità di un sentimento. Certo – il romanzo ce l’insegna – chi lo dice può mentire spudoratamente, fa parte del gioco. Ma nel nostro caso questo rischio non c’è. Puoi credermi sulla parola – nero su bianco. Scripta manent , come si dice. Se non fosse così non sarei un libro. E dopotutto, non sapendo niente di te, è di me che parlo. Questa è la mia storia.

    Ho avuto avi importanti, il cui nome è ricordato ancora oggi. Tutto ha avuto origine con la straordinaria invenzione che cambiò il mondo.

    Ciascuno di noi ha uno o più autori e i miei, da subito, ti raccontano la mia lunga, appassionante e emozionante avventura.

    La straordinaria invenzione che cambiò il mondo

    Prima del periodo magico dell’Hof zum Humbrecht di Magonza metodi di stampa esistevano già da secoli. Si stampava in xilografia, usando incisioni in legno, ma anche con caratteri mobili. Questo succedeva in particolare in Cina. Ma il geniale meister Johannes Gensfleisch, detto Gutenberg, ebbe l’opportunità di poter contare su diverse tecnologie e nuovi prodotti. La metallurgia gli fornì le basi per la fusione dei caratteri; il torchio dei mulini gli suggerì l’applicazione per la stampa; la chimica gli procurò nuovi tipi di inchiostro; gli standard raggiunti nella produzione della carta gli assicurarono\ una migliore qualità del prodotto.

    Storicamente, il primo libro stampato è considerato Il Sutra del diamante , un’opera buddista risalente all’848, oggi alla British Library. Ma sembra che avvenisse anche prima: lo testimonia un testo del 750 scoperto in un’antichissima pagoda coreana.

    Le religioni hanno sempre contato sulla stampa per la diffusione dei propri insegnamenti. È successo anche con la stampa a caratteri in legno che fu fondamentale nella diffusione della dottrina buddista. Un passo avanti lo fece con Bi Sheng (990-1051) che inventò la stampa a caratteri di argilla cotta, che però non garantiva una buona adesione dell’inchiostro. Inoltre i caratteri erano soggetti a una facile rottura.

    I caratteri mobili in legno (Wang Zhen, XIII secolo, dinastia Yuan) si consumavano con una certa rapidità e si era costretti a intagliare ripetutamente nuovi caratteri fin quando il metodo fu modificato colando metallo fuso nelle forme create nella sabbia pressando i caratteri di legno. Questi caratteri così fabbricati erano senz’altro più consistenti. In Corea furono utilizzati tre metodi diversi: fusione su cera vergine (istituzioni religiose), fusione su sabbia (uffici governativi), fusione su un’unica superficie (privati).

    Nel 2001, Chikchi , un’antologia Zen, è stata riconosciuta come il libro più antico esistente al mondo stampato con caratteri metallici mobili e incluso nel Registro Unesco delle memorie del mondo. Fu stampato usando la fusione su cera vergine (quindi per istituzioni religiose). Questo avveniva nel 1377 ben 78 anni prima della Bibbia di Gutenberg.

    Ma tutto questo Gutenberg non lo sapeva e non poteva saperlo. Oggi si può andare indietro nella storia dei libri, percorrendo le rotte del mondo antico, risalendo ai canneti di papiro del Nilo, leggendo Papyrus di Irene Vallejo, tradotto dallo spagnolo ed edito in Italia da Bompiani. All’epoca il rotolo – dopo pietra, fango, legno, metallo – rappresentò un progresso stupefacente.

    Johannes Gensfleisch, detto Gutenberg, tipografo a Magonza

    Per l’Europa e l’occidente tutto succedeva intorno al 1450, a Magonza, una città tedesca sulle rive del fiume Reno.

    Le prime notizie della città si hanno con la conquista di questi territori da parte dei romani e durante la reggenza dell’imperatore Augusto – 13 a.C. – quando fu fondata, dove oggi si trova Magonza, una fortificazione romana, chiamata, ispirandosi a un dio celtico, Mogontiacum.

    Ai tempi di Gutenberg, la città di Magonza era ancora strettamente legata alle tradizioni medievali ma era anche un ricco centro di scambi commerciali. Nei mercati si contrattava merce che arrivava da vari paesi (i tessuti e le tele dall’Olanda e dalla Borgogna, le sete dal Levante). Un ruolo importante nel governo della città era svolto dagli uomini della Zecca. Proprio in quel periodo la città raggiunse il massimo dello splendore e la sua classe dirigente, il ceto borghese, aveva voglia di sapere, di conoscere, di studiare, di misurarsi con il futuro. L’intera città sembrava essere in attesa di un prossimo grande mutamento nella vita, nell’economia e nella politica.

    Toccò a Johannes Gensfleisch, detto Gutenberg, un geniale cinquantenne che aveva un’abilità manuale connessa alla sua precedente professione di orefice, il merito dell’invenzione dei caratteri tipografici mobili (piccoli parallelepipedi a base di piombo e altri metalli). Da questa sua invenzione che cambiò il mondo Gutenberg non trasse di che vivere, anzi fu travolto dai debiti e negli ultimi anni potè sopravvivere grazie a una specie di pensione. Per fortuna sua e nostra, che di quella invenzione continuiamo a fruirne, trovò un mecenate-socio in Johannes Fust, che anticipò ottocento fiorini. Un terzo partner fu Peter Schoffer che si rivelò molto abile nella ricerca di mercati.

    Il debutto avvenne alla grande con la realizzazione di un libro che è rimasto e resterà per sempre nella storia dell’editoria. Si tratta di una Bibbia stampata (tra il 1452 e il 1456) in doppio colore nero e rosso, formata da due volumi di 324 e 319 pagine, con una tiratura di alcune centinaia di copie su carta e altre 34 in pergamena. Questa Bibbia è nota come la Bibbia di Gutenberg, o delle 42 linee (dal numero delle righe che compongono le due colonne di ogni pagina) o Mazarina (in quanto il cardinale Mazarino ne possedette un esemplare). Oggi al mondo sopravvivono 49 Bibbie di Gutenberg (37 su carta e 12 su pergamena). Due copie sono conservate in Italia: alla Casanatense di Roma e alla Biblioteca Braidense di Milano. Un’altra copia si trova alla Biblioteca Apostolica della Città del Vaticano. Un esemplare venne battuto all’asta nel 1987 per 5.390.000 dollari pari allora a 8 miliardi di lire. Da allora, dal 1987, il valore di ogni esemplare è cresciuto ancora e oggi è di circa dieci milioni di dollari e una nuova asta del 1994 ne ha aggiudicato una copia a Bill Gates (fondatore di Microsoft).

    Molti altri testi antichi di grande pregio hanno interessato negli ultimi anni il mercato dei bibliofili e sono stati acquistati a prezzi record: nel 2013, uno degli undici esemplari del primo libro stampato in inglese in America del Nord, il Bay Psalm Book , che venne stampato nel 1640 dai Puritani migranti nel Massachusetts Bay in 1700 copie, è stato battuto da Sotheby’s per 14 milioni e 165mila dollari. Per gli esperti queste cifre sono il giusto prezzo perché gli esemplari venduti sono molto rari e l’occasione di libri così importanti messi in vendita capita ogni cento anni. Invece per il bibliofilo Giuseppe Marcenaro, autore di Libri. Storie di passioni, manie e infamie edito da Bruno Mondadori, prezzi così alti fanno parte della follia dell’uomo, del voler apparire. Negli Usa questi libri li comprano le università e le istituzioni bibliotecarie, a parte note eccezioni.

    Altra pregevole opera realizzata da Gutenberg è il Catholicon (1460), un dizionario completato il 7 marzo 1286 da Giovanni Balbi (Johannes Januensis de Balbis), un domenicano di Genova. Una curiosità che riguarda questa pubblicazione: Cristoforo Colombo trasse numerose citazioni da quest’opera a partire dal 1497 e nel diario del terzo viaggio vi sono riferimenti al vocabolario del suo conterraneo Balbi.

    Gutenberg e i suoi soci furono giustamente gelosi dell’invenzione. Per quanto la nuova arte sarebbe rimasta un loro monopolio? La tradizione vuole che avessero fatto giurare ai loro operai di non divulgare i segreti della bottega. Però era troppo grande l’interesse per la nuova invenzione, commerciale e intellettuale, perché si potesse mantenere il segreto. E così l’officina di Magonza conservò il monopolio per non più di una decina di anni.

    Per parecchio tempo il mestiere dello stampatore rimase quasi esclusivamente tedesco. Naturalmente i maestri delle nuove officine furono ex operai di Gutenberg o di Schoffer, che si erano divisi tra insanabili litigi. Gutenberg era poi riuscito ad aprire una nuova tipografia. Storia curiosa quella degli operai, il cui spirito avventuroso e intraprendente li porta a lasciare l’officina del maestro e a viaggiare per l’Europa portandosi dietro l’attrezzatura. Veri e propri nomadi sempre alla ricerca di un finanziatore.

    La diffusione della stampa in Europa e nel mondo

    La stampa si diffuse rapidamente e non ci fu Paese importante in cui non operasse una tipografia.

    In Francia le attività tipografiche si radicarono nelle città di Strasburgo, Parigi e Lione. Il primo libro ( Epistolae dell’italiano Gasparino Barzius) fu stampato nel 1470 presso una delle officine di Ulrich Gering, Michael Friburger e Martin Granz, che operavano a Parigi nel perimetro della Sorbona. Tre anni dopo, nel 1473, la città di Lione ebbe la sua prima stamperia creata da Guillaume Le Roy in società con Barthèlemy Bouver: il primo libro che stamparono fu Compendium breve quinque continens libros del cardinale Lotario Conti, il futuro papa Innocenzo III.

    In Svizzera, nello stesso periodo, le officine si concentrarono in grandi città come Basilea (nel 1468, Berthold Ruppel di Hanau, discepolo di Gutenberg; nel 1474, Giovanni Amerbach di Reutlingen), Ginevra (1478, Adam Steinschaber di Schweinfurt), Losanna (1493, Jean Belot di Rouen) e Zurigo (nel 1504, da Hans Rügger).

    Così negli altri Paesi dell’Europa. In Polonia un tipografo aprì un’officina a Cracovia nel 1474. In Olanda la prima officina fu installata a Utrecht nel 1471. Altri torchi lavorarono attivamente a Delf, Deventer, Gouda, Haarlem, Leida. In Belgio, nel 1473, inizia a Lovanio l’attività di Thierry Martens e Giovanni da Vestfalia. Tipografie furono presenti ad Alost, Anversa, Bruges, Bruxelles e Gand. In Ungheria, nel 1473, Andrea Hess stampò a Budapest il primo libro Chronica Hungarorum . In Spagna, nel 1475, a Valenza con Lambertus Palmart, Alfonso de Cordobe, Petrus Hangenbac e Leonardus Hutz; a Saragozza con Mateo Flandro; a Barcellona con Johannes De Salzburga e Paulo De Costancia. In Inghilterra, nel 1476, ritornò da Bruges, dove possedeva un torchio, il mercante William Caxton che aveva imparato l’arte tipografica a Colonia presso Johannes Veldner. In Austria nel 1482, Danimarca 1482, Svezia 1487, Portogallo 1487, Iugoslavia 1493, Turchia nel 1503, Romania 1508, Islanda 1530, Messico 1534, Russia 1553.

    Nel Nord America il primo torchio arrivò un secolo dopo, nel 1637.

    Il viaggio della diffusione della stampa continuò per altri secoli ancora fino alla Tailandia, nel 1836.

    Lutero e la riforma protestante

    Martin Luther (1483-1546), in italiano Martin Lutero, il monaco agostiniano promotore del cristianesimo evangelico, colse subito le potenzialità della stampa (la definì un dono di Dio, il più grande) e affidò a una propria tipografia aperta a Wittenberg ottocento edizioni di un centinaio di sue opere, che avevano l’obiettivo di diffondere le sue novantacinque tesi in tutta la Terra, fino ai confini del mondo. La Riforma promossa da Lutero e poi da Giovanni Calvino fu determinante per la nascita del protestantesimo. Il nuovo movimento religioso si diffuse negli anni successivi in Germania, Scandinavia, Svizzera, Inghilterra e Paesi Bassi. Oggi centinaia di milioni di persone in tutto il mondo si professano protestanti.

    Le prime tipografie in Italia

    Nel nostro Paese, era il 1464 quando la prima tipografia italiana (seconda soltanto a quelle tedesche) fu installata in un monastero. Ciò non deve destare alcuna meraviglia perché allora i monasteri erano le principali fucine di copisti e miniaturisti e sedi di celebri biblioteche con preziose raccolte di codici e volumi.

    La scelta dei tipografi tedeschi Corrado Sweynheym e Arnoldo Pannartz, clerici di Magonza e Colonia, cadde su Subiaco anche perché in quel monastero di Santa Scolastica (ritenuto il più antico monastero benedettino al mondo: il nucleo originario risale al VI secolo quando Benedetto ne guidò la costruzione) c’era già una consistente presenza di monaci tedeschi e fiamminghi.

    Il primo libro da loro pubblicato fu Donatus pro puerulis , una grammatica latina per ragazzi, tiratura 300 copie. Successivamente furono stampati un volume di opere di Lattanzio (datato 29 ottobre 1465), il De Oratore di Cicerone (275 copie di tiratura) e l’opera De Civitate Dei di Sant’Agostino (datata 12 giugno 1467, venduti 275 esemplari a 5 ducati papali). Copie di queste edizioni sono presenti nelle più importanti biblioteche italiane e naturalmente in quella Benedettina di Subiaco.

    I due tedeschi da Subiaco (dopo una permanenza di circa tre anni) tentarono di avventurarsi in una nuova ambiziosa impresa: si trasferirono a Roma, dove ebbero come terzo socio Giovannandrea Bussi e si distinsero per bravura nella pubblicazione di prestigiose edizioni di classici latini. Nel 1472 una crisi finanziaria colpì l’azienda tipografica, che entrò in crisi perché le accurate pubblicazioni non trovavano il loro mercato e rimanevano invendute in magazzino.

    In soccorso dei due imprenditori arrivò la generosità di papa Sisto Della Rovere, che rispose a una loro supplica e gli permise di proseguire nella loro attività. Ma i due tedeschi, eccellenti nell’arte tipografica, si dimostrarono poco abili nel gestire i loro affari. L’anno successivo fallirono e dovettero chiudere. A loro si deve il disegno e l’incisione del carattere tondo detto romano. Sweynheym e Pannartz lasciarono ai monaci di Subiaco conoscenze tecniche, attrezzi, matrici di caratteri e quanto necessario per poter continuare l’attività tipografica.

    Ci provò Benedetto Zwink di Ettal che cercò di stabilire contatti con la Germania per fornire materiale stampato.

    Oltre ad aver fatto di Subiaco la culla della stampa italiana Sweynheym e Pannartz, nei sei anni di attività della loro officina, fecero raggiungere a Roma primati importanti: 12.475 opere realizzate, l’introduzione alla fine di ogni volumi degli elementi identificativi dell’opera (autore, titolo, data e luogo di stampa, nomi del tipografo e dell’editore), l’insuperabile bellezza dei tipi tipografici, la qualità della carta, la bontà degli inchiostri, l’eccellenza delle edizioni.

    Successivamente ci furono altri insediamenti in provincia: a Foligno con Neumeister e poi a Trevi, Jesi, Mondovì, Treviso, Brescia (nel 1473 Ferrando da Brescia eseguì la prima edizione a stampa del De rerum natura di Tito Lucrezio Caro che Poggio Bracciolini riscoprì nel 1417 in un abbazia benedettina in Germania), Fivizzano, Mantova.

    Ma furono le nascenti metropoli ad accentrare le attività di stampa: Venezia, Milano, Roma, Firenze.

    Aldo Manuzio e i veneziani

    Venezia, in virtù della posizione geografica, della ricchezza e dell’attività intellettuale, sopravanzò le altre città e divenne nel 1480 la capitale degli stampatori.

    A Venezia numerose furono le grandi tipografie. Importanti e conosciuti gli stampatori: Locatelli, Torti, Bevilacqua, Tacuino, Torresani, Pincio, Gregori. Ma il più grande di tutti fu Aldo Manuzio, che di veneziano aveva poco essendo nato a Bassiano in provincia di Latina. Manuzio era uomo di frequentazioni importanti: amico di Pico della Mirandola e di Erasmo da Rotterdam. E, considerato il tempo nel quale operava, svolse un’attività di produzione libraria davvero prodigiosa: 150 edizioni in una quindicina di anni.

    A Manuzio l’arte tipografica deve molto e lo si ricorda soprattutto per l’adozione del corsivo aldino e la riduzione dei formati dei libri (alla fine del secolo lanciò i primi tascabili). Con Manuzio il libro incominciò a diventare un normale oggetto di consumo portatile, facile da maneggiare, da consultare, da leggere.

    Quella dei Manuzio è stata una vera dinastia di editori, tipografi e uomini di cultura. Il figlio Paolo (Venezia 1512-Roma 1574) diresse, dal 1553, la tipografia di famiglia e dal 1558 anche la tipografia dell’Accademia veneta. Successivamente fu chiamato a Roma dal papa Pio IV alla Stamperia del popolo romano (1561-1570). Con Paolo lavorò a Roma il figlio Aldo (Venezia 1547-Roma 1597), detto il Giovane per distinguerlo dallo zio. Dopo un periodo veneziano, Aldo il Giovane diresse per incarico di Clemente VIII la tipografia vaticana. Un Antonio Manuzio, fratello di Aldo e Paolo, operò a Venezia.

    All’inizio del Seicento l’attività tipografica di Venezia venne colpita da una crisi economica e i torchi si ridussero a una quarantina. Crebbe, infatti, la concorrenza delle stamperie ubicate in altre città e in altri paesi della penisola.

    Sixtus Riessinger e i tipografi napoletani

    La stampa venne introdotta a Napoli dal tipografo tedesco Sixtus Riessinger, un sacerdote nato a Sulz am Neckar intorno al 1430 e morto a Strasburgo dopo il 1502. Ben introdotto presso la corte di Ferdinando I, pubblicò una settantina di edizioni (classici latini, opere in volgare e testi giuridici). Lo fece in società con Francesco del Tuppo fino al 1478. Tra le opere edite dall’officina le commedie di Terenzio, il Filocolo di Boccaccio e testi di Bartolo da Sassoferrato, Baldo degli Ubaldi e Andrea da Isernia. Fu anche fonditore di caratteri e il primo (forse) a usare le interlinee. Lasciata Napoli proseguì la sua attività a Roma, associandosi fino al 1483 con George Herolt; qui, stampò i Sonetti del Burchiello. Concluse la sua esistenza come parroco a Strasburgo.

    In Campania altro tipografo-editore fu Francesco Fabri, proveniente da Corinaldo, che lavorò inizialmente con Ioannes Sultzbach, maestro tipografo tedesco, e fu sostenuto da alcuni mecenati di Salerno (1544-1545). Nel 1545 fu fondata a Campagna, da Marco Fileta Filiuli e da Giovanni Antonio De Nigris, la prima tipografia dell’attuale territorio salernitano e fu invitato a lavorarci il già noto Francesco Fabri. Il primo libro stampato in quella officina fu Repertorium super extravaganti constitutione Clementis Papae VII contra clericos non incedentes in habitu et tonsura una cum mirifico apparatu del De Nigris.

    Giovanni Filippo De Lignamine a Messina

    Uno dei primi libri stampati in italiano da un italiano è il Quintiliano uscito a Roma dai torchi del messinese Giovanni Filippo De Lignamine (Giovanni Filippo La Legname) il primo editore-tipografo italiano e il terzo a stabilirsi a Roma dopo il tentativo dei due monaci Sweynheym e Pannartz. Nacque a Messina intorno al 1428 da nobile famiglia. La data di nascita è desumibile dalla dedica dell’ Herbarium di Apuleio del 1478. Tra le pubblicazioni prodotte gli Opuscula di Orazio, i tre libri de Officiis di Sant’Ambrogio, i Sermones e le Epistolae di San Leone Magno, le Vite dei dodici Cesari di Svetonio.

    Secondo Maury D. Feld, dell’Università di Harvard, De Lignamine non sarebbe stato né tipografo né editore, ma uno stampatore in conto autore, cioè a pagamento (e tanti ne esistono ancora oggi) con una produzione orientata soprattutto a prodotti nati per appagare la vanità dell’autore. Ma questa di Feld è una posizione non condivisa e completamente isolata.

    La patria di Lignamine, Messina, fu, tra le città del Sud, quella che registrò la più ampia e qualificata presenza di tipografi richiamati dalla vivacità culturale della città. Tra questi Enrico Alding, nativo di Colonia, che editò il primo libro messinese (anche il primo stampato in Sicilia) Vita et transito et li miraculi del beatissimo Hieronimo (1478) e successivamente il capolavoro tipografico Missale secundum consuetudinem gallicorum, testo a caratteri romani e gotici, stampato con inchiostro nero e inchiostro rosso.

    Particolarmente attivi negli stessi anni furono i tipografi Andrea e Olivino da Bruges, Giovanni Schade da Messchede, Giorgio Ricker da Landau, Guglielmo Schomberger da Francoforte e successivamente Giorgio, Petruccio, Francesco e Giovan Filippo Spira, messinesi. Le più importanti edizioni quattrocentesche sono Fior de Terra Sancta , stampato da Ricker nel 1492, Costituzioni di Sicilia , stampato da Andrea da Bruges nel 1497 e Consuetudini e Statuti di Messina , pubblicati d Schonber nel 1498. Le opere tipografiche di maggior pregio che videro la luce in riva allo Stretto furono Capitoli del Regno (Spira, 1521-1526), La grammatica di Maurolico (Spira, 1528), Aritmetica e Geometria facta ed ordinata per Joanne de Ortega spagnolo, regnante lo sanctissimo catholico Imperatore Don Carlo Re di Spagna utriusque Siciliae e Jerusalem in lo suo tercio anno in lo tempo de lo Summo Pontefice Papa Adriano Sesto con grazia et privilegio (Spira, 1522).

    La città di Messina vanterà negli anni successivi un altro primato: un giornale politico dal titolo Giornale di Messina che venne pubblicato nel periodo delle rivolte contro la Spagna, dal 29 ottobre 1675 al 24 aprile 1677. Bisognerà aspettare però il 1763 per la nascita di nuove testate periodiche, come Compendio delle notizie più recenti e Corriere di Messina. Seguirono l’ Osservatore Peloritano nel 1797 e la Gazzetta di Messina nel 1814.

    Nella vicina Catania il primo libro a essere stampato fu, nel 1563, il De Successione feudalium repetitio (conservato nella Biblioteca universitaria) del giureconsulto Giuseppe Cumia (fu anche giudice della Gran Corte del Regno di Sicilia) che, per poter stampare le proprie opere, introdusse l’arte della stampa in città impiantando una tipografia con maestranze e materiali provenienti da Messina, dove l’attività di stampa era fiorente. Ma Petruccio Spira, il tipografo arrivato dalla città dello Stretto, ben presto, dopo appena quattro mesi, abbandonò l’opera e toccò a Giuseppe Cumia continuare a stampare con l’aiuto dei suoi servi. Dopo la morte di Cumia, avvenuta nel 1593, Catania avrà una tipografia soltanto nel 1623, allorquando Giovanna d’Austria (figlia di don Giovanni d’Austria, 1547-1578, figlio illegittimo di Carlo V d’Asburgo, comandante dell’invincibile Armada che partita da Messina fu protagonista, il 7 ottobre 1571, della battaglia di Lepanto) alla morte del marito, il principe Francesco Branciforte, vendette per centodieci onze d’oro le apparecchiature della tipografia che il consorte aveva impiantato nel palazzo di Militello (cenacolo di letterati, filosofi, poeti, artisti), ai lavoranti Giovanni de’ Rossi e Francesco Petronio, che si trasferirono a Catania.

    L’altra città della Sicilia, Palermo, rivendica, con Consuetudinis Urbis Panormi il primato, che è di Messina, del primo libro stampato nell’isola. Questa tesi è sostenuta da Giuseppe Salvo-Cozzo ( Sul primato della stampa tra Palermo e Messina , Tip. Bernardo Vizzi, Palermo 1874) che pur riconosce a Messina il vanto della maggiore operosità e di più numerose edizioni. Infatti, diatriba a parte, è da sottolineare che delle ventitré pubblicazioni della Sicilia dell’epoca ben ventidue furono realizzate a Messina.

    La Puglia iniziò a muovere i primi passi nel campo della tipografia nel 1535 con Operette del Parthenopeo Suavio in varii tempi et per diversi sabietti composte a opera del francese Gillbert Nehou.

    Molti anni prima che la stampa arrivasse in Puglia, la Calabria aveva già iniziato a editare, conseguendo un primato internazionale per la prima stampa di un libro in lingua ebraica, il Commentarium in Penthateucum di Jarchi Ben Isaac nell’officina di Abraham Ben Garton Ben Isaac, nel 1475 a Reggio Calabria. Tre anni dopo a Cosenza avviò la sua attività di stampatore Ottavio Salomone ( De Immortalitate animi di Iacopo Canfora e il Lameno di Maurello).

    Intanto il libro stampato cominciava a prendere la forma propria del libro così come oggi lo conosciamo, cioè compaiono sul frontespizio tutte le informazioni relative ad autore e stampatore, luogo di edizione e titolo.

    Nel 1648 appaiono i primi cataloghi bibliografici ma per poter disporre di un Manuale Tipografico bisogna attendere l’iniziativa di Giovambattista Bodoni (Saluzzo 1740-Parma 1813): 250 caratteri da lui stesso disegnati, incisi e fusi. Gli studiosi dell’editoria e gli amanti della tipografia possono consultare il Manuale ( Fregi e maiuscole incise e fuse da Giambattista Bodoni, direttore della Stamperia reale. A Parma, nella stamperia stessa, 1771) nella ristampa postuma del 1818 in una delle ultime edizioni, quella del 1965 di Franco Maria Ricci e nella più recente (del 2010) di Taschen. Una copia rara della prima edizione del manuale di 76 pagine, corrispondente all’esemplare schedato da Giuseppe De Lama ( Vita del cavaliere Giambattista Bodoni tipografo italiano e catalogo cronologico delle sue edizioni. Parma, Stamperia ducale, 1816 ) e a uno dei tre esemplari esposti alla mostra Giambattista Bodoni nell’Europa neoclassica, che si svolse nel 1990 a Parma, è quotata 15mila euro nel catalogo 44 (2016) della Libreria antiquaria Mediolanum di Milano.

    Bodoni è stato un importante incisore, tipografo e stampatore. Fu il padre, anch’egli stampatore, a insegnargli il mestiere fin dalla tenera età. Completò la formazione a Roma nella tipografia (fondata da Urbano VIII) della Congregazione de Propaganda Fide , che lasciò con l’intenzione di trasferirsi in Inghilterra. Il duca di Parma ne bloccò l’intenzione nominandolo direttore della tipografia del ducato. Qui Bodoni, sovraintendendo alla produzione, pubblicò numerose eleganti edizioni di classici. Nel 1806 stampò, su istanza di papa Pio VII, un gioiello dell’arte tipografica, l’ Oratio dominica , il Padre nostro in 155 lingue.

    Le edizioni bodoniane, accurate nella composizioni e nella stampa (con inchiostri creati da lui stesso) su carte fatte a mano e rilegate in pelle o in cartone, furono apprezzate dai contemporanei e in particolare da personaggi come Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo, Vincenzo Monti (stampò Il Bardo della selva nera ) e Giuseppe Parini. Alla sua bottega fecero visita i potenti d’Europa: i Borbone di Napoli (Ferdinando IV) e di Spagna (nominato Tipografo di camera di Carlo III), Gioacchino Murat e Napoleone Bonaparte.

    Bodoni era dotato di grande fantasia e la sua grafica e i caratteri della sua officina erano semplici, di grande leggibilità e di una eleganza limpida che superavano in bellezza quelli dei suoi concorrenti.

    Per Franco Maria Ricci, graphic designer e raffinato editore, Giambattista Bodoni ha rinnovato la grafica senza cercare lo stupore e l’invenzione cari alla sperimentazione d’avanguardia, ma lavorando con rigore e tenacia, usando nelle sue scelte cultura e sensibilità ( L’eleganza nitida di Bodoni, Il sole-24 ore , 6 ottobre 2013). Per Paolo Mauri, Bodoni cercava di realizzare il libro perfetto con una passione assoluta ( La forza dei caratteri, la Repubblica , 7 ottobre 2013).

    I caratteri di Bodoni, homo tipographicus per antonomasia,

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