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Le meditazioni d'un pazzo
Le meditazioni d'un pazzo
Le meditazioni d'un pazzo
E-book174 pagine2 ore

Le meditazioni d'un pazzo

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Info su questo ebook

Immergiti nel profondo e affascinante mondo de "Le meditazioni d'un pazzo" di Mario Mariani, un viaggio introspettivo attraverso la mente di un uomo tormentato. Con un linguaggio intenso e coinvolgente, Mariani esplora i meandri dell'animo umano, mettendo in luce le fragilità e le ambiguità della nostra esistenza. Lasciati catturare dalle pagine di questo romanzo straordinario e indaga le ombre e le luci della follia e della genialità.
Nel 1922, dopo la terribile esperienza della guerra di trincea e i duri anni della lotta politica senza quartiere, Mario Mariani si trova sull'orlo di una crisi di nervi. Si trattiene per qualche tempo in un sanatorio, sperando di recuperare un po' di pace e, soprattutto, di speranza per il futuro. L'avvento del fascismo, però, gli farà capire che ogni più rosea aspettativa sul progresso è destinata ad essere sospesa. Decide di scrivere un romanzo che non sia un vero e proprio romanzo, bensì, come su sua precisa indicazione, un "romanzo d'idee": uno scritto che immerga la narrativa nella realtà e non viceversa; un'opera che mostri il fianco ai nemici, che ostenti orgogliosamente la sensibilità e i valori di chi scrive. Insomma, un vero e proprio romanzo-di-se-stesso, un libro che trasmetta ai posteri lo Zeitgeist di quei lunghi anni, filtrato, però, dall'occhio indagatore di uno scrittore di estremo talento e di vulcanica vitalità. Una lettura estremamente interessante, per riscoprire uno dei maggiori autori del Novecento italiano!
LinguaItaliano
Data di uscita28 mar 2024
ISBN9788728419533
Le meditazioni d'un pazzo

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    Anteprima del libro

    Le meditazioni d'un pazzo - Mario Mariani

    Le meditazioni d'un pazzo

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 2024 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728419533

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Calucle . - Socrate, dimmi; dobbiam pensare che tu parli sul serio o da burla? Perchè se fai sul serio ed è vero quello che affermi, non è forse capovolta la vita umana e non facciamo noi tutto l’opposto di quello che si deve?

    Socrate . Eppure io credo, caro mio, esser meglio che sia scordata la mia lira e stonato il coro da me allestito e che molte persone non consentano con me, ma siano d’opposta opinione, che essere in disaccordo io con me stesso e contradirmi.

    PLATONE. I dialoghi: Gorgia.

    La civiltà, gli avvenimenti politici e le guerre, le idee religiose e le superstizioni rappresentano le cause più generali d’alienazione mentale.

    La civiltà con i bisogni, le abitudini di lusso e di piacere che crea, con la lotta febbrile per l esistenza e con le rinunzie a cui condanna, è intimamente collegata alla frequenza delle psicosi…

    Le guerre sono sempre accompagnate e seguite da numerosi casi di pazzia. Forme morbose, già guarite in passato, recidivano; predisposizioni divengono palesi e si aggravano, quadri clinici diversissimi insorgono con le più svariate cause determinanti…

    Si può dire che la guerra, quale causa generica di psicosi e di psico-neurosi, è uno squisito sensibilizzatore dell’organismo e un potente rivelatore di qualunque predisposizione latente.

    ARTURO MORSELLI Manuale di Psichiatria.

    Avvertenza

    Ho annunciato «Le Meditazioni di un pazzo» da quattro anni e ho lavorato quattro anni assiduamente a raccogliere e a ordinare il materiale di cultura e d’osservazione che mi serviva a comporlo.

    È il libro mio che m’ha costato più fatica ed è il libro che mi rappresenta meglio. Con «Le Meditazioni di un pazzo» credo di essere riuscito a dare un esempio, se non perfetto almeno completo, di quello che io penso dover essere il romanzo di pensiero o di idee, la cui struttura o architettura ha da essere panoramica, «a fresco».

    Quando parecchi anni fa, ebbi, primo inItalia, il coraggio di scrivere che il romanzo narrativo, descrittivo, psicologico, il cosidetto romanzo d’amore insomma, aveva ormai rotto i coglioni all’universo intero, tutti insorsero contro di me.

    Poi, come sempre accade, si misero sulla scia di colui che riprovavano. E adesso tutti cercano di scrivere romanzi di pensiero. Due nobili tentativi nell’ultimo anno possono considerarsi «Il padrone sono me» e «Rubè». Il romanzo ha da essere il poema d’una idea e il romanziere deve vivere nel suo tempo ed essere l’esegeta e l’apostolo delle idee del suo tempo che più gli piacciono o che gli sembrano meno criticabili. I problemi filosofici, economici, politici del suo tempo debbono non soltanto preoccuparlo, ma costituire lo scheletro della sua letteratura.

    La forma e anche il fronzolo possono venire dopo — carne, pelle, belletto — ma quel che più importa è che lo scrittore, con il suo libro, combatta una battaglia o almenoanalizzi con nuovi e originali elementi le battaglie del tempo.

    In questa discussione si fanno molti giri viziosi. Mi si è risposto da parecchi: officio dello scrittore è quello di rappresentare la vita e basta.

    E han creduto di risolvere il problema in un senso sfavorevole alla mia tesi; ma la vita non è costituita dalla psicosi di Caterina o dalle degenerazioni di Prosdocimo; la vita è sopratutto battaglia di idee. Il mondo si evolve, da duemila anni a questa parte, in virtù di attriti economici e spirituali che, affidati al manoscritto prima, al libro poi e infine a quel libro a scartamento ridotto che è il giornale, costituiscono l’incubo cotidiano di ogni animale pensante e la storia dell’uman genere. Il resto non è vita: l’amore sessuale è — abbellitelo fin che volete — un fenomeno bestiale di riproduzione. Si riproducono anche le pecore, ma io non ho mai saputo che un montone abbia scritto romanzi di monta.

    La vita che non muore e che, fermata neilibri, documenta il cammino dell’umanità, è la vita dello spirito.

    Inutile del resto, a battaglia finita e vinta, ripetere i termini della polemica, ma sono orgoglioso di affermare che in Italia questa polemica fu cominciata da me e che ormai la tendenza — non la scuola, per l’amor di Dio! — della quale mi feci assertore è quella che trionfa e che dà anche all’arte uno scopo nobile e una maggiore dignità.

    Questo sono orgoglioso di affermare e di constatare — per ragioni di cronaca, irrefutabilmente — sopratutto in faccia agli imbecilli che non mi hanno mai letto o ai concorrenti in malafede che, parlando dei miei libri, ne parlano come di libri pornografici e mi dipingono come il rappresentante tipico della letteratura frivola dell’immediato dopoguerra.

    L’immediato dopoguerra ha dato la popolarità a cinque o sei scrittori: Gotta, Rocca, Mariani. Pitigrilli, Calzini e qualche altro il cui nome non mi viene adesso alla penna. C’è chi ci dichiara — il più vecchio di noi è ancoralontano dalla quarantina — già morti e sepolti, ma il guaio si è che nessuno sa sostituirci. Le povere gonfiature che tentano le varie combriccole letterarie per imporre ogni tanto un iperestetino al pubblico si sgonfiano alla lettura come vesciche bucate, perchè si tratta di rachitici aborti di scuole fritte e rifritte, solita roba decadentuccia e dannunziana che ha precipuamente il pregio di far scardinare le mascelle dalla noia.

    Credo dunque che i buoni successi di alcuni libri, che si portarono a casa dal fronte certi figlioli che avevan patito quatiro anni in trincea, fossero più che giustificati, e credo che persino il più sventato e l’ultimo arrivato di noi — Pitigrilli — abbia ingegno da vendere a tutti i suoi critici.

    Del resto noialtri non s’aveva fra noi niente di comune — e qualche volta ce lo siamo anche detto abbastanza aspramente —. Quello che ci ha fatto battezzare «gruppo milanese» e che ci ha fatto combattere in blocco è stato il fatto che i nostri libri si vendevano. E cihanno combattuto tutti quelli che non vendevano o che non trovavano un editore. Perchè l’italiano — anche se critico o scrittore — ha l’inabilità di mettere in mostra i propri bassi sentimenti con una sfacciataggine da sgualdrina maleducata. Dico inabilità perchè con questo giova all’avversario.

    Sta bene; i nostri libri si vendevano…

    Ma c’è di peggio: si vendono ancora.

    Parlo di me perchè non è mia abitudine fare i conti in tasca agli altri: la Società degli Autori ha stampigliato dal 1° gennaio 1922 a tutt’oggi, di ristampe e libri nuovi miei, quarantaseimila copie; per preventivi quasi sicuri ne stampiglierà più di altrettante nel secondo semestre dell’anno. Negli scorsi anni io non ho mai venduto tanto.

    Per un morto, non c’è male.

    Per me è un massimo, ma ho una maledetta paura che si tratti persino d’un massimo assoluto. Di scrittori che vendono centomila copie l’anno in questo periodo di crisi ce n’è forse uno soltanto: Da Verona.

    E anche a buon diritto perchè, sulla vecchia strada, cammina più spedito di tutti i giovincelli che lo trattan da merciaiolo.

    Ma io non volevo arrivare a questo…

    Mi stava a cuore… Ah! ecco: a proposito di Guido da Verona…

    Avevo cominciato con l’osservare che ho annunciato «Le Meditazioni di un pazzo» quattro anni fa perchè, dopo l’uscita di «La mia vita in un raggio di sole», qualche critico di quelli più lesti potrebbe anche accusarmi di plagio. Tra i due libri c’è di comune lo spunto che deriviamo entrambi, Verona ed io, da Erasmo da Rotterdam e oltre quello più nulla. Ma i lettori riflettano che in quest’anno s’è avuto anche l’ «Enrico IV» di Luigi Pirandello e «I pazzi» di Bracco, e «Il Pensiero» di Leonida Andreieff.

    Non è sintomatico questo volgersi degli autori a meditare il problema della pazzia e il confine che separa i normali dagli anormali?

    Esiste una psicosi di guerra ed esiste una pazzìa delle folle. Io oso affermare che in nessun periodo storico gli Italiani furono squilibrati e pazzi come sono oggi.

    E fra i pazzi, qualcuno medita. Più pazzo degli altri, direte voi. Può darsi, rispondo, ma pazzo a modo suo; non secondo la moda.

    Mario Mariani.

    Prologo

    Io non so che cosa sia accaduto nel mio cervello: non lo so e non potrei descriverlo.

    So che tutte le conquiste di quattro o cinque millenni di civiltà sono a un tratto crollate per me, insieme alla muraglia dei secoli, in un crollo vertiginoso.

    Io sono rimasto nudo e solo.

    Niente ormai più per me era sacro.

    Niente ormai più era certo.

    Niente ormai più era dimostrato.

    Ero nudo, solo, vergine.

    Dovevo ripercorrere tutto il cammino percorso da centinaia di generazioni, riesaminare tutti i problemi che avevano esaminato e risolto i padri, gli avi, gli atavi, dai primi puerili balbettìi delle arti e delle scienze fino ad oggi.

    Non credevo più a nulla.

    Un bambino, parlando con me un giorno, ha seminato tutta la mia strada di perchè.

    Io ho parlato con l’universo e con la storia seminando le pagine, di tutti i libri, di perchè.

    E mi sono accorto che potevo guardare, nella mia innocenza dubbiosa e interrogante, il mondo con altri occhi, con occhi nuovi, con occhi più grandi.

    Di fronte a questa improvvisa rivelazione ho tremato: ho avuto paura.

    I pazzi in libertà assicurano che sono impazzito.

    Può darsi.

    Non importa.

    Ma quale meraviglia se il mio cervello ha cominciato a oscillare sull’orlo dell’abisso?

    I pazzi in libertà dovrebbero considerare che io sono senza passato; dovrebbero aver pietà d’un uomo che, a quarant’anni, s’accorge di non sapere più nulla, di non ricordare più nulla, di non ricordare nemmeno col sangue.

    Io vorrei che provassero gli altri a rifare tutto il cammino che io ho fatto cacciando un punto interrogativo contro ad ogni verità acquisita.

    Scordate l’alfabeto, l’aritmetica elementare, gli insegnamenti di babbo e mamma, le esperienze della scuola e della vita, mettete davanti a voi una pagina bianca e provatevi di scriverci su la vostra — tutta vostra — spiegazione del mondo e delle cose.

    Le soluzioni sono due: o impazzite o rinascete «genio». Io mi credo un genio; gli uomini mi hanno costretto a chiudermi in una casa di salute.

    Ma io voglio dire agli uomini il risultato delle mie esperienze.

    E sopratutto voglio dire agli uomini che essi mi fanno pena.

    Intorno al milleseicentocinquanta un abete francese scriveva: «Poi che fummo bambini prima d’essere uomini e le cose che a nostri sensi si presentarono furono da noi giudicate giustamente o erroneamente, non possedendo noi ancora tutto l’uso della ragione, dobbiamo riconoscere che molti giudizi precipitati ci impediscono, anche da adulti, di giungere alla conoscenza della verità e ci prevengono in tal guisa che non è punto possibile che possiamo liberarcene se non risolviamo di porre in dubbio, una volta in nostra vita, tutto ciò dove troveremo il più piccolo sospetto d’incertezza»

    E Arturo Schopenhauer sintetizza: «Il filosofo, come Adamo, deve trovarsi dinanzi a una nuova creazione e dare un nome a tutte le cose».

    Per aver applicato strettamente questa norma, io ho finito a destare ne’ miei parenti la impressione d’un inguaribile squilibrio mentale.

    Dove finisce la ragione? Dove comincia la pazzia?

    Non esiste la ragione.

    Esistono soltanto varie forme di pazzia.

    Prima di tutto le pazzie collettive.

    Provincie, stati, continenti si impongono leggi, norme di vita, costumi che, presi in esame da un cervello normale con il semplice strumento analitico del senso comune e della logica elementare, si rivelano subito come una mostruosa ragnatela di cose assurde e ridicole.

    Lo sforzo però che si deve fare per separarsi dalla folla e per sottrarsi all’influenza dei pregiudizi e della follia collettiva che ci turbina attorno è enorme.

    Pochi spiriti riescono a liberarsi.

    Uno di questi, un refrattario e un ribelle ha

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