Elogio della lamentela: Quello che Schopenhauer non ha detto
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Anteprima del libro
Elogio della lamentela - Valo Pusceddu
Prefazione (o Introduzione. Non ho sinceramente mai capito la differenza)
Quello che hai tra le mani è un insieme di pagine che rovineranno la tua vita sociale. Che ti regaleranno una nuova ventata di consapevolezza dalla quale non potrai più sfuggire. Va bene, forse sto esagerando. Ora sembra una roba alla Matrix, pillola rossa o pillola blu. Prendiamoci un momento: ti spiego il perché ho deciso di mettere per iscritto queste riflessioni di cui forse il mondo della letteratura poteva fare a meno, ma il mondo della saggistica assolutamente no.
Partiamo da una semplice domanda: cosa si intende per lamentela
? La Treccani viene in nostro soccorso: lamentela
significa esprimere il proprio disappunto
. Fidati di me, l’ho appena cercato su Google.
Quando si esprime il proprio disappunto? Quando ci si trova in una situazione spiacevole, dal disagio più o meno grave, che coinvolge sé stessi o un numero più alto di persone. Esprimere il proprio disappunto, dare libero sfogo alla propria insoddisfazione e individuare aspetti migliorabili della vita quotidiana e spesso collettiva, ha sicuramente in sé un lato scientifico. D’altra parte, se ci fosse bastata la scoperta del fuoco, non avremmo pompe di calore, condizionatori e microonde. La lamentela porta con sé anche un valore politico: d’altra parte, se i popoli non si fossero lamentati delle condizioni lavorative e riguardanti il proprio fabbisogno alimentare, non avremmo ghigliottinato qualche re. No, aspetta, forse questa non era così.
Ti voglio rassicurare sul fatto che le lamentele che troverai in questo libro sono pure. Libere da ogni aspetto scientifico o politico. Completamente fini a sé stesse. Non perciò, però, inutili. Le righe successive ti aiuteranno anzi a tenere in allenamento il tuo spirito d’osservazione e a maturare la capacità di trovare il peggio in ogni occasione. Per questo motivo ho scelto di lamentarmi delle gioie della vita: trovare il marcio nel marcio è sinceramente troppo facile e lo fa già chiunque. Trovare il marcio nel meraviglioso è la mia missione.
Casomai dovessi già sapere chi sono, a questo punto ti immagino già in preda alla disperazione con le mani in testa che ti chiedi chi te l’abbia fatto fare di comprare il primo libro di Valo Pusceddu.
Se invece capiti da queste parti per caso, perché è impossibile non essere attirati dalla splendida copertina di questo libro (voglio essere sincera: mentre scrivo queste parole ho davanti il mio computer e non ho ancora la minima idea di quale copertina sceglieranno gli editori per me. Ma mi fido di loro, sono persone in gamba. Anche se hanno permesso di scrivere un libro a una scema come me), da persona assennata, dirai: «Ma questa chi diamine è?».
Io sono Valo. Non entriamo nel merito della pronuncia del mio cognome per evitare casi diplomatici. Ti dono il permesso di pronunciarlo come vuoi. Comunque, nella vita faccio la comica, la stand-up comedian, che sarebbero quelli che fanno i monologhi in piedi con davanti un microfono a filo. Stavolta, per stravolgere un po’ le cose, invece di alzarmi e parlare mi sono seduta a scrivere.
Come ho avuto l’idea di questo libro? Sono stata particolarmente ispirata dal signore supremo del pessimismo, un vecchio acido di nome Arthur Schopenhauer. Il mio filosofo preferito. Non certo come quel borioso di Hegel (che poi come si chiamava? – Ok, Georg Wilhelm), per cui nutro un’antipatia oltre ogni limite. Una cosa che ho assolutamente in comune con il nostro Arthur, che forse mi sta simpatico perché ormai morto, è che era al 100% uno di quei vecchi con la minaccia di palloni bucati sempre pronta.
Una cosa che mi ha colpita tantissimo di Schopenhauer sono stati gli scritti che hanno pubblicato dopo la sua morte. La serie L’arte di insultare, L’arte di ottenere ragione in 38 stratagemmi, insomma quella serie lì. Libri da sfogliare rapidamente, pieni di astio e brutte parole. Decisamente di mio gusto. Però un po’ mi sentivo in colpa a essere così entusiasta di scritti che lui forse non voleva nemmeno pubblicare. Poi mi son detta Però io questi libri li ho pagati
e mi è passato tutto.
Ma cosa c’entra Schopenhauer? Ecco, mi ha colpito che in nessuno degli scritti ci fosse, infilato in qualche cassetto, qualcosa relativo alla lamentela. Scusa carissimo, tu mi diventi famoso in quanto padre del pessimismo cosmico e non mi pubblichi L’arte della lamentela? E questo titolo di padre del pessimismo cosmico
non gliel’ho mica dato io, lo dicono i libri di scuola usati su cui qualcuno aveva appuntato un numero che poi qualcun altro non ha mai chiamato. Lo so perché poi quel libro ce l’avevo io.
E quindi eccomi qua, pronta a caricarmi di questo fardello indispensabile per l’umanità: elencare le gioie più grandi della vita, dalla A alla Z, dall’amicizia alle vacanze, e con loro tutto quello che in realtà le rende insopportabili. Mi immolo per la causa. Ti aiuto ad aprire il chakra che sta tra il terzo occhio e l’intestino irritabile, quello che si occupa di farti sbuffare, roteare gli occhi e manifestare dissenso con le parti del corpo che preferisci.
Va bene: se devo essere proprio sincera, forse non c’entra la scienza, né la politica, nemmeno Schopenhauer.
Qualcuno una volta mi ha detto «Ti lamenti così tanto che potresti scriverci un libro».
Allora l’ho fatto.
L’amicizia
Avere pochi amici alla lunga annoia. Averne troppi significa doversi ricordare un numero eccessivo di compleanni. È una piaga tutta umana. Quando vivevamo in branco, le cose erano decisamente più semplici: innanzitutto difficilmente l’uomo primitivo arrivava oltre i quarant’anni, risparmiandoci di dover cercare il bigliettino con scritto BENVENUTO NEGLI ANTA!
meno imbarazzante in tutto il centro commerciale. Ovviamente è una supposizione, non mi è mai capitato né di vivere in branco, né di ritrovarmi in un’epoca diversa da questa.
Cambia poi nel corso della vita il modo di fare amicizia. E nessuno ti avvisa del cambio di modalità. Nulla, né una notifica né una raccomandata né tantomeno un SMS (non li usa più nessuno, perché mai dovrebbe farlo proprio la vita?).
All’asilo dev’essere grandioso. Prima di tutto, ricordiamoci che sei arrivato a scuola con un autista privato. Certo, si tratta di un tuo genitore, ma di fatto non dovrai prendere un solo mezzo pubblico almeno per qualche altro anno, se tutto va bene. C’è un motivo per cui non mi fido delle persone che sostengono di avere gli stessi amici dall’asilo: di solito, l’asilo era costoso e privato, e queste persone sanno guidare ma hanno tutt’ora un autista. Non mi fido di te se un autobus che stavi aspettando non ti ha lasciato almeno una volta sotto la pioggia.
E insomma tu sei lì, appena arrivato all’asilo, punti quello che ti sembra il tuo coetaneo più in gamba (ha appeso il suo cappottino sull’appendiabiti al secondo tentativo, praticamente un maestro) e vai. Ti butti. Glielo dici chiaro e tondo: il tuo colore preferito è il blu. Il tuo animale preferito è il leone. E allora il tuo coetaneo si volta. Ti guarda. Ebbene, signori: anche il suo animale preferito è il leone. Questa incredibile coincidenza sarà l’inizio di