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Io e Firenze...
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E-book142 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Il libro "Io e Firenze…” è un frammento di rivoluzione culturale avvenuta nell'autentica Firenze di Dante. Una città conosciuta per la sua arte, le sue eccellenti originalità in ogni campo, cosi come in quello culturale. Nell'Italia attuale, è assai difficile trovare stranieri, a maggior ragione di provenienza africana assumere un ruolo pubblico di rilevanza, un pò per causa della recentissima storia italiana dell'immigrazione, un pò per i cliché. Invece è proprio quello che succede all'autore del libro "Io e Firenze…" , François DJE, un personaggio tutto da scoprire. Caso rarissimo come le leggende metropolitane, François DJE è stato il primo controllore nero sui mezzi pubblici fiorentini, operando in qualità di pubblico ufficiale al servizio della Città. Che significato assume questo evento così epocale e che cosa ha portato l'autore di origini africane ad incrociare suo destino con la grande civiltà giuridica italiana? È una storia tutta da vivere perché ambientata in più parte e continenti del pianeta terra. C'è sempre stata una prima volta per ogni evento, ma quello di Firenze merita di essere letto qui ed ora, perché oltre la pelle ci sono vite, volti, cuori, pensieri, sangue, sogni, battaglie, sconfitte, vittorie, dubbi, ombre e luci, stelle.

(dalla prefazione di Athanase GUELLY, giornalista, esperto di comunicazione e management per le politiche culturali)
LinguaItaliano
Data di uscita16 feb 2021
ISBN9791222450339
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    Anteprima del libro

    Io e Firenze... - François DJE

    François DJE

    IO E FIRENZE…

    COLLANA: Paesi, fatti, personaggi

    Questo libro è dedicato a coloro che almeno

    una volta nella vita, sono emigrati

    Tratto da una storia vera

    Tutti i diritti, presenti e futuri, letterari, radiofonici, televisivi, cinematografici, di traduzione, di registrazione, di adattamento, di rielaborazione e di ogni altro genere del testo, sono riservati per tutti i Paesi, nessuno escluso.

    È vietato qualsiasi tipo di riproduzione, anche parziale, dell’opera, senza previa autorizzazione. 

    CAPITOLO I - IL PICCOLO DJE

    Mamma Marie fu trasportata d’urgenza alla maternità di Adjamé 220 Logements e qualche ora dopo alle ore 6.30 del mattino feci il mio primo vagito come per dire mi avete disturbato, stavo così bene, là dentro, protetto e steso nella mia ‘culla’... Ahi! Però, la mia testa, ahi! State girando a trecento gradi il mio collo! Mi fate male voglio tornare al mio posto, là dentro, dove ero, vi prego lasciatemi tornare! Finalmente mi tirarono con delicatezza ed eccomi nato! Era il 24 gennaio 1974.

    «Benvenuto al mondo!» mi dissero le ostetriche. Vi ringrazio. Piansi per essere stato tolto dalla mia culla. L’ostetrica mi prese dai piedi e track! Mi mandò a testa in giù. Piansi ancora di più e quando lei mi portò verso il petto di mia madre, che mi prese tra le sue braccia, smisi di piangere! Ero steso sul petto della mia mamma, la mia testa tra le sue mammelle. Pensai di essere ancora nel suo grembo. Le sue mammelle erano dolcissime! Aprii i miei occhi per vederle e pian piano alzai la mia testa verso l’essere umano che mi aveva appena dato la vita. I miei occhi si aprirono sempre di più e vidi per la prima volta il viso di mia madre! Le feci un sorriso come per dirle grazie di avermi dato alla luce, grazie mia Dea!

    Mamma Marie mi partorì senza grande dolore e fu il suo terzo parto. Mi pulirono, mi vestirono e mi misero nell’incubatrice in un’altra stanza dell’ospedale. Vedevo ancora sfumato e sentivo poco. Arrivò il momento di prendere il latte dal seno. Che emozione assaggiare il mio primo cibo! Mia madre mise il capezzolo del suo seno nella mia bocca. Il gusto era diverso rispetto a quello che mangiavo quando ero ancora nella sua pancia, bevvi il liquido poi ingoiai di nuovo e così via, prima colazione fatta!

    Con noi, nella sala parto, c’era un’altra signora. Era la vicina di letto di mia madre. Lei era stesa sul suo letto, stanca, provata e addolorata dal travaglio. Si confidò con mia madre dicendole che il suo parto era stato molto doloroso. «Mi spiace», le disse mia madre, «noi donne soffriamo in ogni circostanza, anche per dare la vita, ed è la divina legge della natura.»

    La donna era da sola sul suo letto, senza il suo neonato. «Signora, il vostro neonato come sta?» Le chiese mia madre. «Oh! Per ora non so nulla, ma spero che stia benissimo, è ancora in trattamento nell’altra stanza», rispose la donna. Si congratulò con mia madre per aver partorito un bel bambino. Poi le chiese: «Come l’avete chiamato?» «Si chiama François ed è il mio terzo figlio», rispose mia madre. E la signora di rimando: «Anche mio marito si chiama François, quelli che portano questo nome sono persone generose. Questo bambino sarà un bambino tranquillo non le creerà troppi problemi, sarà anche molto intelligente e affettuoso.» Prima profezia su di me? Mia madre ringraziò la signora dicendole: «Che Dio ascolti le sue parole. Il nome François è stato preso dal migliore amico di mio marito che si chiama François e, per la grande amicizia che unisce i due uomini, mio marito ha deciso di dare il nome François a uno dei suoi figli maschi.» La conversazione tra le due donne era diventata amichevolmente proficua.

    Arrivò il momento delle visite e tra non molto avrei conosciuto gli altri membri della mia famiglia. Avrei conosciuto mio padre, che emozione! Papà Victor proviene dalla famiglia Dje della tribù guro, uno dei popoli più anziani della Costa d’Avorio. Il popolo guro costituisce un gruppo etnico della Costa d’Avorio nella regione del centro ovest appartenente al gruppo linguistico Mande del sud ed è installato sulle rive del fiume Bandama. I guro sono particolarmente noti per le loro maschere, attualmente molto colorate. La storia ci dice che il popolo guro non ha mai conosciuto alcun regno, pratica soltanto la chefferie. Il capo del villaggio è chiamato Diili o Duuti.

    Come da tradizione, mio padre non assistette al parto. In molti paesi africani il padre non deve essere presente al parto, in quanto ci sarebbe da parte dell’uomo il rischio di perdere qualsiasi attrazione sessuale nei confronti della sua donna e il parto sarebbe considerato una storia di donne. In Occidente, invece, la presenza del padre, al momento del parto è frequente. Può anche tagliare il cordone ombelicale. Mio padre, dunque, rimase fuori dalla stanza travaglio. I primi visitatori a entrare nella stanza furono i parenti dell’altra partoriente, la vicina di mia madre, e la prima persona tra i suoi parenti ad abbracciarla fu una donna seguita da altri due congiunti.

    Io e mia madre, ricevemmo quattro visitatori: mia zia, l’amica di mia madre; mia sorella, maggiore di quattro anni, e mio padre: sono state loro le persone autorizzate a entrare in sala. L’ostetrica, accompagnata da un medico, si accostò alla vicina di mia madre per darle notizie del suo neonato. Le dissero: «Signora Akissi, come sta? Il parto non è stato facile, vero?» Akissi rispose con la testa, sorridendo: «Sì, dottoressa, e sono stanchissima.» «D’accordo siamo venuti per annunciarle che il suo travaglio è stato fatto in buone condizioni. Il suo bambino è nato con dei problemi, ma stia tranquilla, vogliamo rassicurarla che il piccolo non è in pericolo di vita, ma sarà ricoverato qui, alla maternità, per cure.» «Mi scusi, dottoressa, vorrei sapere se si può comunque vedere il bambino», chiese una parente della signora Akissi. L’ostetrica rispose: «No, non è possibile visto che il neonato è in terapia intensiva, ci dispiace!» Allora Akissi si mise a piangere dicendo: «No, voglio vedere il mio bambino.» Mia zia entrò per prima in sala tutta allegra e salutò mia madre in dialetto: «Igno!» Era seguita dall’amica, che salutò, contenta anche lei. Le tre donne si sorrisero amichevolmente, mi salutarono, mi accarezzarono e mi diedero il Benvenuto!. Mia sorella fu contenta, ma si vergognò un po’ di me... lei non aveva mai visto un bambino appena nato. «Jeannette, vieni a salutare tuo fratello», dissero tutte e tre le donne a mia sorella e Jeannette si avvicinò a me e alla nostra mamma. Ci salutò e accarezzò le mie piccolissime mani. Papà Victor entrò di seguito in sala e salutò tutti i presenti, si avvicinò a mia madre, l’abbracciò e le disse in dialetto guro: «I bò!» («Grazie!»). C’era una grande emozione in sala. Mio padre per prima cosa mi accarezzò la testa, poi le labbra... In Africa, alla nascita, il bambino è oggetto di tante attenzioni e molti prevedono la sua protezione contro gli spiriti invidiosi e maligni. Mio padre mi prese tra le sue braccia e si mise a sussurrare nel mio orecchio: era la chiamata alla preghiera.

    Il giorno dopo lasciai con entusiasmo questo magnifico luogo dove nascono nuove vite.

    CAPITOLO II - LA SCUOLA ELEMENTARE

    Gli anni passarono e tutta la famiglia si trasferì a Yopougon, il più grande comune della Costa d’Avorio. Yopougon è formato di tanti quartieri popolari e si trova nella città di Abidjan. La città di Abidjan è composta da dieci comuni: Plateau, Abobo, Adjame, Attékoubé, Cocody, Koumassi, Marcory, Port-Bouet, Treichville, Yopougon. Considerata come l’incrocio culturale dell’Africa ovest, Abidjan conosce una perpetua crescita caratterizzata da una forte industrializzazione e urbanizzazione, è la città più popolata dell’Africa francofona dell’ovest. A ottobre di quell’anno ci sarebbe stata la ripresa della scuola. Quello era anche il mese delle spese scolastiche. I genitori e i parenti comprano le forniture scolastiche per i loro figli allievi o studenti. Mio padre comprò i miei libri e quando mi diede il libro di storia e geografia appena acquistato mi disse: «François, non devi rovinare questo libro, prenditene cura.» «Sì papà!» risposi.

    Ogni mattina prima di andare a scuola mi piaceva mangiare il budino di riso per colazione. La mia scuola non era lontana da casa mia, era a pochissimi metri. Ci andavo insieme ai miei fratelli più grandi che frequentavano la stessa scuola. Prima di uscire di casa prendevo la mia borsa e mi assicuravo di aver messo nella borsa il libro di storia e geografia che mi aveva comprato mio padre. Ci vestivamo e andavamo a piedi. Alla scuola elementare pubblica di Yopougon Sicogi II dove frequentavo, come in tutta la Costa d’Avorio, l’uniforme degli allievi della scuola elementare era disciplinata dal colore belga composto da camicia a manica corta e un pantalone corto per i maschi e per le ragazze un vestito celeste a scacchi. L’uso dell’uniforme era obbligatorio. Per incrementare la diffusione dell’informazione nel paese, le autorità pubbliche ivoriane introdussero negli anni ’70 la televisione educativa nella scuola elementare. Le trasmissioni educative, animate dai telemaestri furono trasmesse dappertutto in Costa d’Avorio. Purtroppo il progetto fu abbandonato all’inizio degli anni ’80.

    La mattina, alle ore 8.00, c’erano tanti allievi nella corte della scuola e, quando la sirena suonava, tutti dovevano essere in aula. Quando sentii la campanella suonare andai in classe e poi arrivò l’insegnante che ci salutò. «Buongiorno a tutti!» «Buongiorno, maestro!» «Come state?» «Bene maestro!» E ci disse: «Perfetto, oggi studieremo la storia e la geografia del nostro Paese, la Costa d’Avorio, mettete i vostri libri sul banco.» Tirai fuori dalla mia borsa il libro che mia madre mi aveva accuratamente preparato.

    Era la mia prima lezione di storia e geografia della quarta elementare. Il mio libro era tutto nuovo e profumato. Il maestro procedette con l’appello degli allievi. Finito l’appello ci disse: «Bene! Siete tutti presenti quindi si può iniziare. Chi di voi ha qualcosa da dire su la Costa d’Avorio, alzi la mano.» Alzai la mano per primo e dissi: «Io, maestro.» «Sì, François, ti ascoltiamo, vai!» Mi misi a parlare: «La Costa d’Avorio è un Paese africano. Ci sono molte etnie ma, visto che tutte le etnie non riescono a capirsi tra loro, allora parlano il francese.» «Molto bene!», mi disse l’insegnante. Nello stesso tempo alzai nuovamente la mano e dissi: «Mi scusi maestro, vorrei aggiungere...» «Sì, François, parla, ti ascoltiamo.» «Grazie maestro, volevo aggiungere che si mangia anche tanta cioccolata.» Il maestro apprezzò la mia risposta e disse: «Bravo, François, direi che per un ragazzo della tua età la risposta è buona ma vi insegnerò tra poco la storia e la geografia della Costa d’Avorio, il nostro Paese. Seguitemi e ascoltate attentamente.

    La Costa d’Avorio è il primo e il più grande produttore mondiale di cacao destinato all’industria del cioccolato. La Repubblica di Costa d’Avorio è uno Stato dell’Africa Occidentale. Confina a ovest con la Liberia e la Guinea, a nord con il Mali e il Burkina Faso, a est con il Ghana e a sud con il Golfo di Guinea (Oceano Atlantico). La Costa d’Avorio, ex colonia francese, ha ottenuto l’indipendenza il 7 agosto 1960. Il suo presidente fondatore è Félix Houphouet Boigny. La lingua ufficiale della Costa d’Avorio è il francese, che è parlato da circa il 70% della popolazione. La bandiera della Costa d’Avorio è un tricolore composto da tre bande verticali di uguali dimensioni: arancione, bianco e verde. I colori hanno un significato simbolico: l’arancione simboleggia la terra, la savana della parte settentrionale del paese e la sua fertilità; il bianco simboleggia la pace; e il verde simboleggia la speranza e le foreste della parte meridionale del paese. Il motto nazionale della Costa d’Avorio è Unione, Disciplina, Lavoro. La Costa d’Avorio è grande 322.462 km2. Ha due città principali: Abidjan, capitale economica creata nel 1943, e Yamoussoukro, capitale politica creata nel 1983. La Costa d’Avorio presenta una grande diversità religiosa per la presenza di musulmani e di cristiani, che vivono in perfetta armonia. Ci sono anche molti abitanti che rimangono attaccati alle religioni

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