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Io, Gioia
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E-book164 pagine2 ore

Io, Gioia

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Info su questo ebook

Gioia e Stefania: una vita, due vite, due mani, quattro mani… Sarà un bel viaggio in prima classe e dove ci porterà lo scopriremo solo leggendo. Vi raccontiamo la nostra vita, o almeno ci proviamo, perché chi non ci prova non potrà mai sapere come potrà andare! Era un sogno nel cassetto, ma solo chi sogna può imparare a volare! E quindi allacciatevi le cinture, chiudete gli occhi, fate un bel respiro e… buon viaggio e buona lettura! …

Perché la vita è sempre uno spettacolo!

Stefania Padovani nasce in Valpolicella, nella terra del vino. Questo è il suo primo libro, nato un po’ per caso… ma per lei nulla succede per caso! 
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2021
ISBN9791220111928
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    Anteprima del libro

    Io, Gioia - Stefania Padovani

    cover01.jpg

    Stefania Padovani

    Io, Gioia

    … nulla succede per caso…

    © 2021 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-0827-0

    I edizione aprile 2021

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Io, Gioia

    … nulla succede per caso…

    A Michela e Alice, le mie Gioie…

    Parlo con te, con te che stai leggendo il racconto della mia vita.

    Parlo con te, affinché alla fine del nostro viaggio

    ci possa essere un pensiero, un’emozione, una frase…

    una parola che ti possa aver fatto bene.

    Parlo di me, scrivo di me.

    E non è facile, per nulla semplice,

    ma sicuramente ne vale la pena.

    Parlo di me come si parla ad un amico in una sera d’estate,

    in terrazza, magari sorseggiando un buon bicchiere di vino,

    dove le parole sono talvolta inutili e parlano i silenzi…

    Oppure come in una sera d’inverno,

    accovacciata sul divano, con l’amica del cuore,

    dove la cioccolata si fonde con le nostre anime…

    30 settembre 2018

    Capitolo Primo

    Io sono Gioia. La Gioia di mamma e papà.

    Proprio Gioia sarebbe stato il nome che avrebbe voluto darle sua madre… Ma, alla fine, aveva deciso di chiamarla Stefania. Diciamo che, sul finire degli anni ’70, i preti facevano un po’ fatica a dare un nome che non appartenesse ad un Santo.

    Nacque proprio il giorno di Natale, un giorno particolare e importante per la comunità. Per poco non rischiava che le fosse affidato il nome Natalina, come in realtà avrebbe voluto la sua nonna materna. Forte del fatto che sua zia materna si chiamasse Lina, la mamma Luigina aveva cercato una soluzione per evitare omonimie: l’aveva trovata optando per il Santo del giorno dopo la sua nascita, cioè Santo Stefano. Il caso volle che, proprio alla fine degli anni ’70, ci fosse stato un boom di Stefanie nella zona: nella Valpolicella, se ne potevano contare addirittura una trentina… e solo nel suo paese!

    Il giorno di Natale sembra un bel giorno: ci si riunisce con i parenti, dai più grandi ai più piccoli. L’albero di Natale che da piccola sembrava così grande e così alto, le luci, il presepe, il pranzo tutti insieme. Ma arrivò un momento di crescita, una realizzazione che mi fece rendere conto della realtà. Da festeggiata, realizzai che, a differenza degli altri compleanni in famiglia o degli amici, non potevo fare la festa di compleanno. Tutto si riduceva al Natale e che si riceveva un regalo unico… per poi aspettare l’anno dopo!

    Mentre agli altri poteva essere dedicato un giorno intero, con tutte le intenzioni del caso, Gioia realizzò piano piano che nel giorno del suo compleanno aveva la possibilità di ricevere un solo regalo, senza nemmeno l’opportunità di passarlo con i suoi amici. Perché, dopotutto, era giorno di festa e tutti lo passavano nelle rispettive case. Per ogni anno che trascorreva, passava la giornata maturando questa prima consapevolezza.

    Così, sua madre la chiamò Stefania. La sua determinatezza l’aveva sicuramente ereditata dalla sua mamma, dalla nonna: lei apparteneva alla classe del 1911 e Stefania se la ricorda come una donna molto saggia e molto forte. Era rimasta vedova in giovane età, con quattro figlie da crescere su in montagna. Per questo, aveva dovuto tirare fuori tutto quello che poteva, si era ritrovata a ricoprire i ruoli di madre e di padre – anche perché, quando perse suo padre, la sua mamma aveva solo quindici anni ed era la primogenita.

    Stefania abitò, fin da subito, nella casa dei nonni paterni: Maria e Riccardo abitavano infatti nell’appartamento di sotto, con solamente la scala interna a dividere le due famiglie. Con loro, il fedele cane Arturo, che a dispetto del nome, si scoprì in seguito che era una femmina! Molti dei ricordi dell’infanzia di Stefania sono in quella casa.

    Ricordo perfettamente il giorno in cui, dopo varie tonsilliti ripetute e noiose, decisero di farmi operare. Avevo cinque anni, e in quegli anni, si usava fare l’operazione alle tonsille come se fosse un Day Hospital: ci si recava al distretto sanitario e si restava fino al tardo pomeriggio, ma con una piccola differenza rispetto alla prassi odierna… l’operazione veniva eseguita senza alcun tipo di anestesia! Avete letto bene, senza alcun tipo di analgesico!

    Stefania andò con sua mamma Luigina alla mutua, ignara di cosa potesse succedere… Dopo una piccola attesa, venne chiamata per raggiungere una sala, dove l’aspettavano un dottore e un’infermiera.

    Fui molto titubante ad andare, anche perché ero senza la mamma, ’ché non le era concesso accompagnarmi verso quella grande stanza. Avevo un asciugamano sulle spalle e un bel pigiamino nuovo, comperato appositamente per l’occasione. Entrai ed il dottore, molto simpatico, mi disse che avrei dovuto aprire la bocca grande grande, perché mi avrebbe dato una caramella. Mi mise in mano una ciotola in acciaio e non riuscii proprio a capire questo gesto! Come solo una bambina di cinque anni poteva fare, pienamente fiduciosa nel dottore, aprii completamente la bocca… solo per sentire un dolore atroce ed un forte strappo in gola! Urlai come se non ci fosse un domani e vidi nella famosa ciotola che stringevo a me, una delle mie tonsille. Vi lascio solamente immaginare cosa hanno dovuto fare per togliere la seconda… Non ci fu verso di farmi aprire la bocca: rischiai di tenermi solo una tonsilla, perché niente e nessuno, nemmeno la mia mamma, riusciva a calmarmi! Dovettero chiamare i rinforzi!

    Ci fu un attacco di squadra, che evidentemente era anche ben collaudato: chi mi teneva le mani, chi le gambe, chi la testa e chi, aveva l’impresa più ardua di tutte, cercava di farmi aprire di nuovo la bocca. Ricordo che fu una cosa estenuante, quasi una mission impossible: alla fine, ero completamente esausta e mi rassegnai a dover aprire la bocca e a finire ciò che avevamo iniziato.

    Stefania fu messa a letto, senza voce e sfinita. L’unico lato positivo fu che, dopo un’operazione del genere, si dovevano mangiare gelati e ghiaccioli, prescrizione senza limiti, con una colonna sonora speciale, fatta dalle urla e dalle grida dei bambini che a turno finivano sotto i ferri. Quando tornò a casa, solo alla sera, venne accolta e coccolata dai fratelli, che conoscevano già bene quell’incubo. Per un po’, Stefania fu anche esente da scaramucce e fastidi e per indorare la convalescenza, fu anche premiata con un bambolotto, di quelli che senza il ciuccio, urlava come un disperato!

    Grazie alla compagnia delle due nonne, da bambina, Stefania aveva anche potuto imparare le arti di una volta, come il ricamo e l’uncinetto. La saggezza popolare fu sicuramente parte dell’educazione dei nonni, da entrambe le parti: Riccardo era proprio un nonno di altri tempi, che faceva finta di inseguirli con il suo bastone, facendo scatenare i bambini con delle risate proprio di gusto. Purtroppo, il nonno venne a mancare nell’infanzia di Stefania, negli anni ’80. Ma Maria era sempre lì, vestita con i suoi grembiuli e con il suo bellissimo chignon.

    Me la ricordo sempre uguale, la nonna Maria. Mi ricordo che la sera, quando lei andava a dormire, prendeva la spazzola e si pettinava quei capelli lunghi e grigi, che arrivavano a coprirle tutta la schiena. Vederla con i capelli lunghi e sciolti, che le incorniciavano il viso, mi faceva stranissimo e quasi non la riconoscevo! Fu quasi come se avessi dovuto riabituarmi alla sua immagine, come quando magari ci si dà un taglio netto ai capelli dal parrucchiere, solo che al contrario!

    Nonna Maria era capace di parlare con gli occhi: era sempre stata molto mite e conosceva tantissimi proverbi, che distribuiva prontamente al momento del bisogno. Entrambe le nonne lasciarono ai loro nipoti la saggezza popolare, tramite l’utilizzo di detti e modi di dire. Dal più classico Rosso di sera, bel tempo si spera, Rosso di sera, rimane qual era, Rosso di sera, tempesta e bufera. Qui c’era proprio l’esempio di come qualsiasi cosa potesse andar bene, di come queste perle di saggezza potessero trovare sempre una risposta in qualsiasi situazione.

    Ancora oggi, li utilizzo e mi piacerebbe tanto riuscire a tramandarli anche alle mie figlie. Per far sì che la tradizione vada avanti e la saggezza antica si trasmetta alle generazioni future. Un altro, secondo me molto di effetto, era Si impara fino alla bara, con cui si indicava che non si finisce mai di imparare, perché chi smette invecchia.

    Aveva l’abitudine di raccogliere i capelli in questo chignon, che con le sue forcine nere, teneva su e fermava per tutto il giorno. La convivenza nella stessa casa permetteva a queste diverse generazioni della famiglia Padovani di stringere ancora di più i rapporti e Stefania si ritrovava spesso dalla nonna o con lei in giardino. Di quella casa, Stefania ricorda ancora bene la credenza a vetri, nella quale la nonna conservava gelosamente i servizi di stoviglie e i bicchieri più particolari, probabilmente servizi che facevano parte della sua dote o del corredo. In quel mobile, c’era anche un barattolo di vetro trasparente, con delle caramelle piatte di zucchero chiamate Mentone. Erano dolcissime, tutte colorate: rosse, blu, verdi, ma di certo non sapevano mai di menta!

    Se chiudo gli occhi, riesco ancora a ricordarmi di questo profumo sotto il naso…

    La nonna aveva anche un liquore, l’acqua di Cedro. Nonostante contenesse un pochino di alcool e i nipoti fossero nell’età tra le medie e le superiori, la nonna ogni tanto gli concedeva un goccetto per tirarsi su, come diceva lei.

    I genitori di Stefania sono stati una coppia incredibile, che si sono accompagnati a vicenda per lungo tempo. Poi l’abbinata Luigino-Luigina sembrava proprio fatta apposta per stare insieme, già a partire dal nome!

    Mamma mi raccontava sempre di come si erano conosciuti, dell’inizio della loro relazione e che in realtà, aveva fatto aspettare papà qualche anno prima di concedersi in fidanzamento. Scherzavano molto sui primi anni della loro storia e ne raccontavano diversi episodi. Capitava spesso che ognuno di loro, quando raccontava le vicende, aveva sì, la propria versione, ma la stessa emozione in sottofondo, palpabile, con la stessa luce negli occhi.

    Si erano conosciuti giovani e all’inizio della loro storia, andavano spesso in giro con il motorino di Luigino. Una volta, accadde una cosa di cui non si seppe mai la verità: andarono a fare un giro sul monte Baldo, vicino il lago di Garda, in una strada quasi sterrata. Doveva essere un bel fine settimana, una gita romantica di una giovane coppia di ragazzi, ma a quanto pare ad un certo punto Luigina cadde dal motorino, un fiammante Sachs che conservo ancora gelosamente vicino alla bici della mia mamma! Non si capì mai esattamente perché: i due avevano versioni discordanti. Mamma Luigina diceva sempre che lui se l’era persa per strada: era caduta dalla moto senza che Luigino se ne accorgesse. Mentre lui negava sempre, e dava la colpa alla strada sterrata e piena di cunette. Si impuntavano talmente tanto che ogni volta che spuntava fuori questa storia e questa discussione, si rideva a crepapelle per le loro reazioni: alla fine figli e nipoti non riuscirono a capire cosa fosse successo realmente! Forse, non lo sapevano più nemmeno i genitori!

    Mio padre era un bellissimo uomo, talmente bello da sembrare un divo di Hollywood. Ho ancora le foto appese della sua giovinezza, e posso capire perché mia madre rimase davvero affascinata da lui. Mia madre ci raccontava sempre che, quando uscivano insieme per fare un giro in piazza Bra, in centro a Verona, si rendeva conto che le ragazze lo guardavano, ammirandolo, forse si facevano anche sfuggire qualche apprezzamento, ma lei non era gelosa, anzi!

    La mamma era così fiera di essere al fianco di quell’uomo: al fianco di quello che poi divenne suo marito, così bello da avere un volto da cinema… ma il padre di Stefania era timido da far tenerezza e non si sarebbe mai venduto per nessun’altra cosa al mondo, se non per sua moglie, talmente l’adorava. Le foto di Luigi sono un tesoro prezioso. Da conservare ancora oggi vicino al cuore. Sposatisi nel 1959, un anno dopo nacque il primogenito, suo fratello Paolo – accolto, come si può ben immaginare, con amore infinito: il desiderio del primo figlio maschio era stato esaudito, così che portasse avanti il cognome di

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