Due donne - Un unico cielo
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Anteprima del libro
Due donne - Un unico cielo - Liliana Lo Vecchio
storia.
1 CAPITOLO
MARTA E MIRIAM, DUE BIMBE IN CRESCITA
Marta.
Lei ansimava, correndo, per ricercare una via d’uscita.
Sensazione che spesso nella vita l’aveva avvolta e per la quale si sentiva una stretta al cuore: un’esplosione che non era mai avvenuta, che non l’aveva mai liberata. Le foglie secche del bosco scricchiolavano
sotto i suoi piedi. Era stanca, impaurita, avvilita: il silenzio era avvolgente; interrotto solamente dalla schiaffeggiante brezza che gelava il suo volto. Questa solitudine interiore! Provata e riprovata. Imparò con il tempo a ottimizzare quel fastidioso senso di vuoto. Il naturale braccio di un ramo spezzato le interruppe la corsa. Si fermò, si sedette e la memoria del passato le venne incontro. Questa forzata sosta le permise un replay, una moviola al rallentatore del suo vissuto.
Miriam.
L’accolsero tutti con simpatia!
Era il primo giorno di lavoro. Quanta emozione! Dopo tanti sacrifici era finalmente arrivato il momento di riscattare il tempo dell’offerta. Sorridente come sempre, Miriam, entrò nella sua classe. Tanti occhi puntati su di lei: adocchiamenti infantili eppure tanto attenti, scrutatori. Si era preparata la giornata con giochi, ripescati dalla soffitta della sua memoria di bimba.
Un bambino le viene incontro, quale rappresentanza di tutto il gruppo, le sorride:
«Come ti chiami?»
«Io mi chiamo Miriam! E tu?»
«Daniele.»
Che disponibilità c’era in quel breve incontro, non era una frettolosa e disinteressata partecipazione come a volte avviene nel mondo degli adulti.
Un raggio di sole irradiò la stanza, Miriam si girò verso la grande vetrata e, come per incanto, si rese conto che era arrivata la primavera. Rinnovo della vita! Della speranza!
«Sonia! Sonia! Sonia mi chiami mio marito al telefono: le contrazioni si fanno sempre più ravvicinate; credo sia arrivato il momento tanto atteso!»
«Sì signora Angela. Subito. Ehi! Ehi! Alessandro, Sofia la mamma ha i dolori, sta per nascere la sorella.»
«Davvero! Che bello. Chiamiamo papà.»
«Ragazzi fermi, state buoni, ci stiamo già pensando noi» esordisce Sonia con tono autoritario. Non agitate la mamma che deve stare tranquilla, maggiormente, in questo particolare momento.
Dottor Luigi è arrivato il momento. E via una corsa all'ospedale. Per quanto pare impossibile poter ricordare la propria nascita, io, Miriam ne ho la percezione quasi palpabile.
Mi sento avvolta nell’utero di mia madre; desidero rimanerci a lungo come anticipo delle future cure e attenzioni.
Un’infanzia rassicurante che consente di vivere una vita adulta maggiormente equilibrata, nutrita dall’amore.
Cameretta linda, luminosa con delle tendine rosa e bianche in filet alla finestra, c’è un lettino tutto tulle e pizzi che richiama vagamente le tende.
La stanza è già adorna di tante piccole suppellettili, tanti fronzoli che sono stati posti con amore, contorno come tanti altri della mia vita e che rappresenteranno l’affetto ricercato e avuto che tanto influirà nel mio futuro.
Con il passare degli anni cambiarono gli arredamenti della camera. Modificava anche la mia crescita. Ero una bimba di sei anni.
Il primo giorno di scuola! Un batticuore. Pensavo che lasciare il mio mondo dorato fosse un rischio troppo grande. Eppure l’incontro con i compagni della mia classe fu entusiasmante.
Mi accompagna la mamma, lei in quella scuola insegna musica.
Quindici compagne, tutta una classe al femminile.
- Francesca! Presente!
- Mara! Presente!
- Matilde! Presente!... Miriam! Presente!
Sì presente e anche molto contenta; partecipe di questa nuova dimensione di vita.
Madida di sudore, Eleonora emette un grido, l’ultima spinta, e Marta viene alla luce del mondo. Che bella bambina! Che occhietti furbi! Che visino allegro, paffutello!
Dormivo in camera dei miei genitori. In una piccola rientranza della loro stanza era stato posto un lettino blu, tipo quelli da campeggio.
Erano contenti per l’arrivo di questa nuova creatura.
Un’infanzia poco serena. Perché? Non so dire ma l’amore, quello che poi nella vita ho avuto modo di percepire e qualche volta vivere, mi mancava. Erano un po’ distratti. La loro esistenza aveva il sopravvento sulla costruzione di un rapporto intenso di famiglia.
Piccola creatura in mezzo a un mondo di adulti.
I miei genitori mi avevano concepita avanti negli anni.
«La stai ancora allattando?»
«No, ormai siamo già alle pappe!»
«Quanto pesa?»
«10 chili... 20 chili!...»
Passano sei primavere, è ora di iniziare la scuola!
Che emozione il mio primo giorno!
Quanti bimbi! Io che non avevo fratelli, cresciuta in un mondo di grandi
. Troppo per il mio ancor piccolo universo!
Il primo giorno di scuola! Che spavento! Un batticuore per tutto. Ogni impegno, del resto, sarà per me sempre un fardello troppo pesante da portare e che graverà sopra la mia testa.
La protezione continua che mi veniva profusa era un impedimento continuo al crescere; il mio futuro non era proiettato verso il mondo adulto.
Chissà per quale strana loro concezione, i miei genitori ritenevano giusto anticiparmi in tutto, espropriandomi della mia nascente personalità.
Che ricordi svaniti, quelli della mia crescita, quasi come se non fossero stati; perdevano di freschezza già prima del tempo. Con la vista dell’oggi
ripercorro la costruzione del mio essere, come avrebbe potuto farsi diverso
, trasformarsi da bozzolo in farfalla!
Negli anni ce la farò!
«Mamma dove andiamo?»
«Alle giostre, ci divertiamo un po’.»
«Vieni Miriam, ti spingo io sul calcio in culo.»
«Alessandro piano, mi sembra di volare giù.» Che ridere. Con mio fratello era sempre un momento di allegria.
Mi sentivo rassicurata dalla sua presenza. Protetta.
Lui che per me avrebbe fatto qualsiasi cosa. È così anche adesso.
Questa famiglia, tutta, sempre all’unisono.
Quello che io ho sempre avuto e poi mi sono ritrovata nella vita, è quella certezza
di non essere mai sola. In seguito approfondita con la fede che è cresciuta in me, ma quest’unione del mio nucleo ha rappresentato un’ancora.
Tutti siamo sempre stati certi uno per l’altro.
I miei genitori mi raccontarono che quando la mamma mi aspettava, Alessandro e Sofia erano preoccupati del fatto che vedendola non stare troppo bene, pensavano a una malattia. Lei era spesso pensierosa e cupa. Non faceva parte di lei, di solito radiosa.
I miei fratelli erano tanto preoccupati. La vedevano sfuggente. A volte piangeva.
Ci pareva incongruente, invece, l’atteggiamento del nostro papà. Allegro. Inspiegabilmente nutrito e animato da una nuova energia.
Nel timore di essere invadenti, Alessandro e Sofia, non proferivano parola. Gli sembrava di invadere un’intimità della nostra mamma.
C’era comunque una certezza: che al momento giusto ci avrebbero reso partecipi della situazione che non appariva chiara.
I nostri genitori l’hanno sempre fatto. Sì, prima o poi ci diranno cosa ha la nostra mamma.
Con questo pensiero, andarono tutti a messa quella domenica. Sì, quella domenica così importante per noi.
Tornati a casa, ci riuniamo a tavola, come di consuetudine ognuno mette in tavola qualcosa.
A capo tavola il nostro papà.
Un grande sorriso illumina il suo volto. Prende la mano della sua sposa. Ecco ci siamo e impauriti i miei fratelli si pongono anche fisicamente all’ascolto:
«Ragazzi, l’amore chiede spazio alla nostra famiglia! Vi chiediamo di accogliere nei vostri cuori e nella nostra casa l’arrivo di un fratellino o di una sorellina come Dio vorrà.
Amatelo già da adesso come vi siete sentiti amati voi.»
Un urlo! La mamma non è