Viaggio in terza classe
Di Marta Ajò
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Info su questo ebook
Vita, Politica e Società "al femminile"
Lo sguardo di una donna, protagonista di molti momenti politici e sociali, ci restituisce l’immagine di un lungo periodo della nostra storia democratica dove tutti gli aspetti del vivere si intrecciano per raccontarci le vicende pubbliche e private dell’autrice che ha preferito non usare espedienti diversi dal racconto in prima persona per ripercorrere e seguire i cambiamenti sociali, politici e culturali della storia del Paese degli ultimi decenni fino all’oggi, raccontandoli da protagonista, in un filo unico che li unisce.
Così, le scelte personali si uniscono a quelle pubbliche, la politica si mischia con la vita quotidiana, le amicizie si intrecciano con la militanza, costruendo con il tempo una strada sulla quale l’autrice procede con uno sguardo “umano”, dove la famiglia, l'amore, la maternità e il genere hanno un loro peso e una collocazione precisa. Il racconto diventa così la testimonianza di una vita, di un impegno politico, ma anche la volontà di manifestare la nascita di una nuova consapevolezza, legata alle lotte di genere di cui l’autrice è stata, insieme ad altre compagne di viaggio, autentica protagonista. Il filo dei ricordi parla di soddisfazioni e dolori, risultati e fallimenti, momenti di gioia e di grande tristezza. Ma sempre senza schermi, senza filtri né manipolazioni a “favore di notizia”. Una testimonianza autentica, capace di dare uno sguardo penetrante e gentile a vicende che hanno contribuito al sorgere di grandi speranze.
Marta Ajò, scrittrice e giornalista, dopo un percorso personale che la porta, in Italia e nel mondo, a occuparsi di politica, informazione e cultura, approda nel 1995 al web progettando e dirigendo importanti siti d’informazione fra cui il Portale della CNPO presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che dirige fino al 2004. Dal 2005 ad oggi dirige il Portale www.donneierioggiedomani.it, collabora ad altri siti. Ha pubblicato Stenterello nella raccolta Maschere, Nilde Iotti, in Le italiane, Un tè al cimitero, Il trasloco, La donna nel socialismo Italiano tra cronaca e storia 1892-1978.
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Anteprima del libro
Viaggio in terza classe - Marta Ajò
Marta Ajò
Viaggio in terza classe
Donne
ieri oggi & domani
Direttrice collana
Marta Ajò
KKIEN Publishing International
info@kkienpublishing.it
www.kkienpublishing.it
Prima edizione digitale: 2017
In copertina: Foto dell’archivio personale dell’autrice
ISBN 9788894229233
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Table Of Contents
Antefatto: una viaggiatrice
PRIMA PARTE
La testimone
Il convegno
Donne
La mia strada
Diventare compagna
Nella patria del Sirtaki
Il partito si discioglie
SECONDA PARTE
Nuova partenza
Politica e amore
Perdere il treno
La gloria non porta in paradiso
La svolta
Assenze
Farfalle in volo
Il garofano appassisce
Gli ultimi giorni
Il punto
Fine del percorso
Ringraziamenti
Note sull’autrice
Questo racconto parla di un viaggio non organizzato e imprevedibile.
Le strade percorse, le persone conosciute, i fatti intrecciati non vogliono corrispondere in modo saggistico agli episodi storici intercorsi trasversalmente.
Solo pillole di emozioni personali.
Antefatto: una viaggiatrice
Il colore del cielo, sopra di me, non è stato mai neutro. Celeste accecante di toniche mattine o sbiadito di malinconiche sere; rosa tenue di speranze o viola per ricche promesse; bianco d’incognito; grigio come il peso dell’ansia; blu di sonni profondi e sereni, fino al nero di notti insonni cupe e malvagie.
Sotto quei cieli si sono svolti i percorsi di una vita che, a dirla, si dissolve in essi.
PRIMA PARTE
La testimone
Se non avessi risposto a quella telefonata.
«Pronto? Sei proprio tu?».
Se non avessi accettato l’invito a partecipare al convegno in una sala a me fin troppo nota – «Vorrei che tu svolgessi la relazione sulla questione della presenza e partecipazione delle donne in politica. Chi meglio di te?» – non mi troverei oggi a riflettere sul mio percorso. «Sapevo che potevo contarci – mi dice – ma, prima di stampare l’invito, vorrei chiederti se posso definirti esperta di politica femminile». Ho un attimo di perplessità perché, il mio impegno nella politica intesa come strumento e mezzo per migliorare la vita degli individui, è stato totale e mai mosso dal mio genere. Il mio essere donna, per quanto abbiano cercato di farmelo vivere come un limite, non ha fatto altro che arricchirmi.
«Sì, certo, scrivi pure, ma ti avverto che su questo argomento ho le mie idee», ironizzo con la mia interlocutrice.
«So che la tua relazione sarà interessante e stimolante, hai carta bianca», mi risponde col tono di chi si può fidare. Tiro un sospiro di sollievo. Quel riconoscimento mi fa bene e testimonia che forse, anche una piccola cosa di ciò che ho fatto non è stata inutile.
Appena attaccato il telefono mi concentro istantaneamente ed entro subito nel merito e nel ruolo.
Mi dico che dovrò evitare di parlare in un noioso e stantio linguaggio politichese, perché le cose accadute negli ultimi decenni non lo sono affatto. Vorrei cogliere l’attenzione, in chi sarà presente, su anni passati, non lontanissimi eppure spesso dimenticati o ignorati. Infine decido di raccontare ciò che è stato come mi è apparso e come lo ricordo, senza l’utilizzo di mediazioni o diplomatici confini. Parlerò con la pancia perché ricordare non è un peccato: è un dovere.
Ho carta bianca.
Inizio col prendere appunti su come articolare la relazione, decisa a iniziare precisando che le potenzialità che oggi appaiono scontate alle donne moderne, hanno richiesto il sudore, la fatica, il sacrificio di quelle prima di loro.
Io testimonierò quant’impegno c’è voluto per ottenerle. Quante umiliazioni, quante carriere spezzate, quanto sacrificio lungo quel cammino. Il raggiungimento di un’uguale e pari rappresentanza di donne in ogni luogo era molto lontano. Nei primi anni non ragionavo con un parametro di genere e, per quanto mi sembrasse che di donne dirigenti allora quasi non ce ne fossero, se c’erano, evidentemente non me ne accorgevo e le altre poche mi apparivano insopportabili. Il coinvolgimento delle donne alla gestione della cosa pubblica è stato sempre una questione controversa eppure, nonostante la consapevolezza che tale discriminazione la stessi pagando anche sulla mia giovanissima pelle, cominciai ad avvertirla solo verso gli anni ’70, quando divenne uno dei temi caldi del femminismo e quando io stessa iniziavo a conquistare e difendere un ruolo.
Nel mio partito e più in generale in tutta la classe politica, quasi tutta maschile, questa richiesta di legittimazione sembrava irricevibile. Peraltro emarginante da una parte delle donne stesse; una posizione orgogliosa che fu utilizzata magistralmente dagli avversari di genere. Il nodo è rimasto aperto e questo convegno lo dimostra.
So quello che non dirò.
Non racconterò dei rossori sui volti animati di giovani arrabbiate, consapevoli della durezza di quello scontro che prometteva di lasciare qualche cadavere lungo il suo cammino.
Non potrò ricordare le lunghe, animate discussioni fino a tardi, saltando i pasti e tralasciando gli affetti. Non potrò raccontare dello spirito di democrazia, uguaglianza, e di servizio che era in quelle donne per lo più rimaste sconosciute.
Quei volti, le parole e i loro respiri, dietro e con me, sono in me.
Potrò dire che per approdare alla gestione della cosa pubblica bisogna avere meriti, cultura sociale, professionalità e che la politica va svolta con impegno totale.
Dirò che il ruolo va conquistato attraverso la dimostrazione di un’attitudine a governare.
Mi frena l’idea che possa apparire una nostalgica, che le mie parole mi rendano impopolare agli uditori. Il consenso mi è sempre piaciuto.
Ma la nostalgia mi coglie di sorpresa.
Fino a ricordarmi di quando scoprii Simone de Beauvoir e il suo libro Il secondo sesso, che mi fece riflettere sul ruolo femminile. Il rapporto con il mio genere, fino ad allora, era stato tutto sommato tranquillo. Davo per scontati sia i diritti sia i limiti del mio essere donna. Li vivevo di volta in volta con soddisfazione o con ribellione, considerando di avere capacità sufficiente per cavarmela. Non avevo maturato l’idea che agendo insieme ad altre donne avrei potuto io stessa rivendicare maggiori opportunità.
Il mio sguardo si soffermava sul mondo e non sul mio genere. Mi sarei sentita offesa e discriminata se mi avessero considerata «diversa». Pensavo che le battaglie per la libertà e per i diritti non potessero avere genere.
Sbagliavo.
Il convegno
Arrivo puntuale a Palazzo San Macuto, una delle sedi principali della Santa Inquisizione, dove fu processato Galileo Galilei. In quel posto ci sono andata tante volte, sempre correndo.
Questa volta la prendo comoda; sono una relatrice di primo piano; mi attenderanno. Il convegno si svolge nella vicina Sala del Refettorio, che la Camera dei Deputati mette a disposizione per conferenze e convegni. Dalla fila che devo fare per superare il rigido protocollo di accesso, previsto nelle sedi istituzionali, capisco che il pubblico è numeroso e mi viene la solita sensazione d’inadeguatezza che mi ha accompagnata fin dall’esordio del mio impegno politico.
La sala è stracolma e molte persone sono inutilmente alla ricerca di un posto libero per sedersi. Mi accoglie Maria con un sorriso molto più opaco di quello che ricordavo.
«Vieni, vieni che ti presento agli altri relatori», mi dice prendendomi sottobraccio e accompagnandomi in altra direzione. Il professore e constato che c’è anche un docente universitario, l’onorevole e penso figurati se poteva mancare. Fatte tutte le presentazioni necessarie, mi abbandona davanti alla platea.
«Che piacere ritrovarti», dice una diversamente somigliante a qualcuna che mi pare di conoscere. «Quante ne abbiamo passate insieme» sottolinea complice. Alla fine la riconosco ma non siamo mai state amiche. A dire il vero, in passato, mi ha contestato più di una volta cercando di sottrarmi consensi, di mettere in discussione il mio lavoro. Ma è arrivato il momento di seppellire l’ascia di guerra e fumare il calumet della pace.
Perché ormai posso giocarmi il ruolo suggerito dalla saggezza.
È con questo spirito che mi siedo al centro dello scranno, come mi viene indicato.
Valuto di avere pochi minuti a disposizione per afferrare la situazione, dipanarla, considerarla, valutarla e decidere da che parte iniziare. Mi rendo conto in un istante che la scaletta preparata non serve perché è previsto che io sia l’ultima a parlare per tirare le fila e giungere alle conclusioni; dovrò attendere che tutti i relatori parlino, esplicitino le loro idee, i loro saperi fino al dibattito con il pubblico. Prendiamo posto, nell’ordine che ci viene indicato; dobbiamo spostare un po’ i fiori sul lungo tavolo, sistemare microfoni e cavalieri, bottiglie di acqua minerale, i bicchieri, i fogli di carta con le matite per gli appunti. Uno sguardo rapido alla platea, come sono abituata a fare, per capire al volo se mi trovo fra tigri che azzannano, tranquille cavalle di razza, in un branco di anime con il desiderio di ascoltare o solo svogliati corpi trascinati da altri. In fondo alla sala, per un attimo, mi appare una figura che appartiene a uno dei migliori periodi del mio lavoro.
Bianca è timida, sempre un passo indietro per rango; con le lenti più grandi che abbia visto, è stata per molto tempo il mio angelo custode al Ministero del Lavoro. Alla fine del convegno andrò a salutarla, mi fa davvero piacere che ci sia.
Con un sorriso di circostanza l’organizzatrice prende il microfono tra le sue mani come un calice, avendo avuto cura prima di osservare che tutto funzioni secondo il previsto e che nulla manchi alla perfetta riuscita della manifestazione. Comincia a parlare.
«Con grande piacere voglio dare l’avvio ai lavori di questo Convegno e porgere il benvenuto ai relatori che oggi ci onorano della loro presenza, ai partecipanti (si gira intorno con compiacimento; a ragione veduta e complimenti per l’organizzazione, penso) che così numerosi hanno voluto aderire all’invito per quest’incontro che vuole essere un momento di verifica del difficile lavoro svolto dalle donne nel nostro Paese. Sono a voi note le caratteristiche che hanno contraddistinto la nostra storica Associazione che opera ormai da più di trent’anni in quest’ambito. Quindi non mi dilungo oltre». In verità era già più di mezz’ora che ripeteva gli stessi concetti, soprattutto di autocompiacimento per una ricerca, non ancora conclusa, che avrebbe dovuto tenere conto delle cose che si sarebbero dette in quel contesto (scopro che il Convegno è finalizzato a questo); una mezz’ora che ha già affaticato l’attenzione di gran parte dell’uditorio e qualcuna sfoglia distratta la documentazione contenuta nelle cartelline. Le stesse che la maggior parte delle rappresentanti della stampa hanno preso frettolosamente correndo via; perdonatissime (anche se non ascolteranno le mie conclusioni, figurarsi) giacché so bene, per esperienza personale, che quelle donne vanno sempre correndo divise tra lavoro e vita privata.
La presentatrice termina apparentemente soddisfatta, poi passa la parola a una deputata che scopro essere, una delle principali sostenitrici del progetto della ricerca. Esprime il suo compiacimento per la realizzazione di un lavoro così importante, «ho avuto modo di prenderne visione nel corso della sua stesura».
Tutto già visto e sentito, come da copione.
Attorno a me si svolge un rituale che ben conosco. Osservo con noia eppure non posso fare a meno di provare ansia ed emozione per ciò che andrò a dire, parole e concetti che cerco continuamente di appuntare e ordinare, svolgendoli e riavvolgendoli nella mia mente sempre più confusa. Conosco questo disagio, vorrei alzarmi e andare a sedermi in platea, serena, ad ascoltare come gli altri.
Due relatori, dopo un breve intervento vanno via immediatamente adducendo come causa di tanta fretta altri impegni. Lo so che non è vero, che è una scusa, che sono venuti a fare la passerella e che si scocciano a restare. Come è consuetudine di alcuni che si reputano