Dall’altra parte delle sbarre
Di Dottore
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Anteprima del libro
Dall’altra parte delle sbarre - Dottore
1991
Prefazione
Esistono esperienze profondamente reali, vere,dolorose, imbevute anche di orrore che durano ininterrottamente e alle quali poi si ripensa con paura. Alle volte chiusi in una centrifuga che sai quando inizia e non sai quanto dura, non sai se ne uscirai ma soprattutto non sai come ne uscirai. bene io ne sono uscito e il silenzio che ho dentro urla. La cosa a me estranea è che ne sono uscito apparentemente indenne. Però qualcosa è cambiato.
Una denuncia può avere il fiato corto se non viene recepita e amplificata con modalità speculari , come per contagio, esattamente come fosse un virus. Così a poco servirebbe parlarne e ci vuol poco, basta un attimo che finisce nel fondo di un comodo dimenticatoio. Difatti viviamo in una società profondamente malata ma chi è in gioco gioca e non se ne rende conto. Alla fine ognuno ha il suo guadagno anche se sono briciole, come scarti di rifiuti passivi. Da sempre il problema fondamentale è strutturato in una semplice domanda: se è vero che viviamo in una fintocrazia che altro non è che uno stato di polizia, chi controlla i controllori?
Fiumi di sangue sgorgati da una storia infausta, non sono serviti a nulla, se basta poco a rovinare la vita a molti. Una politica assente dalla realtà oggettiva, in quanto a tutto pensa meno che alla polis , ma gli eufemismi qui potrebbero moltiplicarsi e diverrebbero di certo quella gabbia d’acciaio tanto cara allo zio Weber, per questo serve un contegno, un contenitore e serve anche che la mano di Dio non ci lasci andare.
È notevole considerare il lato umano di ogni situazione, anche quando si vive in situazioni di alta precarietà, di disumanità assoluta e laddove si perde ogni senso con la realtà; perché aberrante è tutto attorno, e la GANDE NOTTE BUIA inghiotte, nel silenzio, senza dare risposte a domande rese arse nelle gole.
A conti fatti resta lo stupor oltre a tanta disillusa rabbia e tutto ciò dentro va a cozzare con ciò che eri, ciò che sei e ciò che vorresti diventare. Alla fine questo cocktail non è di facile vivibilità, però se questo oggi ho da mangiare, questo m mangio. Non posso cercare di diventare alto bello e con gli occhi azzurri se sono nato brutto, chiatto e con quattro capelli!
Tutto scorre, ciò è fuori da ogni dubbio, incontrovertibile, ma la modalità del come scorre, la velocità e gli eventi in scorrimento sono tutta un’altra storia! Per buona parte questi dipendono da noi.
Il tempo, dentro, scorre con un non senso continuo, che spinge a fare cose bizzarre che appartengono unicamente a quella realtà aliena alla quale tutto appartiene.
Idee, convinzioni, comportamenti, che coinvolgono l’intero palinsesto che trascende dalla lucidità al delirio lucido, al quale il detenuto appartiene.
I viaggi cambiano le persone, anche le canzoni cambiano, le musiche dettate dal proprio conscio, intendo.
A pochi minuti dalla soglia di uscita, un compagno mi disse :scrollati di dosso, fai scender dal tuo cuore tutto questo dolore, non custodirlo oltre…provaci
, Gabriele caro, ciò è utopia e anche tu, mentre pronunciavi queste parole, ti rendevi conto dell’intima falsità che esse recavano con sé. Di come, anche alle tue orecchie riecheggiavano stonate, certe esperienze, strutturate, solidificate nella loro abominevole realtà, restano indelebili, qualsiasi cosa accada dopo.
Il dolore ha un sapore distinto e non si cancella così, ha un suo profumo proprio, ha uno sguardo inequivocabile, ha quel tocco che dice da sé che chi tocca fa suo, il dolore lo si ascolta melodiosamente, ti incanta, ti inganna, sa bene come sedurti, possederti, ma non è l’unica sirena a rapire l’uomo schiavo di sé in un sistema – mondo autodistruttivo.
A livello propriocettivo il tempo in carcere ha una sua dinamica a volte surreale, altre devastante, raramente terapeutica o quantomeno propedeutica ad un percorso risolutivo con sé stessi.
La modalità di impiego dello stesso risulta poi un vero problema. Ogni cosa per sua natura, dovrebbe tendere alla costruzione, ciò è insito delle azioni positive,volontarie di ogni individuo, però,in un contesto privo di elementi di vivibilità diviene difficile fare appello a questa regola; essa diviene goliardia e quindi diventa semplice e risolutivo occupare il tempo per lo più in modo distruttivo, auto lesivamente, spesso e volentieri, o anche infettando del proprio disagio gli altri infelici conviventi.
In questo mio scritto proverò a raccontare storie, avvenimenti , ma soprattutto modalità biologiche insite nella convivenza forzata che impone una struttura totalizzante come il carcere; racconterò della straordinarietà che appartiene ad ognuno, al di là del ruolo, del credo, del colore della sua pelle e d’ogni altro limite imposto da quelle barriere fittizie che spesso l’uomo crea per proteggersi, anche quando nessuno lo sta attaccando.
Questo lavoro lo devo alle tante persone che ho incontrato, che mi hanno amato, rispettato, schernito, odiato o semplicemente ignorato, a coloro che sono riuscito in un modo o nell’altro ad aiutare nonostante ciò fosse la mia terapia personale di sopravvivenza.
Doverosi sono quindi i ringraziamenti a tutte le persone che ho incontrato, perché tutte, consapevoli o no, mi hanno insegnato molto, dalle quali ho estratto il meglio, quel meglio che a me ha fatto crescere, mi ha aiutato a modellare la rabbia per l’ingiusto vissuto, modularla in uno spazio e in un tempo finito, così da non esserne più schiavo, bensì padrone, e a plasmarla in qualcos’altro: aiuto per il mio prossimo, per chi mi stava accanto, in questo sofferto percorso; questa rabbia, così trascesa, mi ha spinto alla vita quando tutto attorno urlava beffardamente morte. Ringrazio la mia famiglia e in particolare la mia dolce metà per l’instancabile presenza, linfa di amore sincero e sicuro che conta al di là di ogni ragionevole dubbio esistenziale.
Su le mani: pronti , partenza e via
Dopo i primi giorni di carcere ti convinci che il mondo, tutto il tuo mondo, è chiuso qui, tra queste mura, allora vai sul fantastico ed è solo quella bugia con te stesso, quella promessa, che ti salva, perché serve a non farti impazzire, è un accordo con la tua sanità mentale, per non cedere ad agitazioni ridicole. Dopo qualche mese ho perso il conto dei giorni, del tempo, delle stagioni a seguire, credo sia normale che il tempo si dilati così tanto da inglobarti, inghiottirti come sabbie mobili che invece stanno ferme, e le nuvole sono svanite come ogni pensiero di uscirne vivi. Poi mi confronto con gli altri e scopro che è normale. Ma la normalità è mera utopia, luce del sole che qui dentro stenta, forse per vergogna, ad entrare. Alla fine qui i minuti sembrano ore, le ore, giorni, e se ci provi, puoi solo respirarli con il loro tanfo pesante. Giorni tutti uguali, maledettamente fotocopie sputate fuori a raffica da una Canon impazzita, giorni interminabili, da sanare un folle.
Trascorso il primo anno mi resi conto che ero stato mangiato da un grande nulla, e che alla fine rischiavo di sparire, continuai così a ripetermi, cercando di restare ancorato alla realtà, che tutto questo sarebbe finito tardi o presto, ma ogni volta i brividi mi dicevano che potevo finirla prima io , di questo atroce gioco.
Cercai di ricordare chi mi amava, il sole che mi cambiava la vita, la mia metà, il mio bambino, il sapore dei loro abbracci, così iniziai a ripetermi che prima o poi sarebbe arrivato qualcuno a cercarmi, a tirarmi fuori da questa buca, in quanto questo non era il mio posto, in quanto ero vittima della follia che stava contagiando tutti; allora ho scoperto che la sofferenza diventa più sopportabile se pensi di meritartela.
Davanti a Dio, mi sono spogliato della superbia sciocca che mi aveva avvolto nelle mie certezze, che mi aveva fatto salire sul podio al di sopra di tutti e dal quale potevo indicare, giudicare, condannare tutto e tutti senza pietà, senza provare a capire. Ecco, forse è questo il