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Esterina
Stella mattutina
La fabbrica
Serie di e-book25 titoli

Fuori dal coro

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Info su questa serie

Capolavori della letteratura italiana
Cos’è Casa d’altri? «Un racconto perfetto» stando all’opinione illustre di Eugenio Montale. Oppure «Il miglior racconto del Novecento italiano» come s’è espressa buona parte della critica. O più umilmente si potrebbe rispondere: «Un’assurda vecchia: un assurdo prete: tutta una assurda storia da un soldo» citando le parole che il protagonista esprime sul finale.
Spostandoci a un livello più alto d’astrazione, possiamo definire Casa d’altri il capolavoro di Silvio D’Arzo, oltre che, come definito da qualcuno, il punto di arrivo del suo intero percorso artistico: l’opera a cui aveva dedicato le energie migliori di una breve, travagliata vita, conclusasi per una malattia il 30 gennaio 1952, sette giorni prima che D’Arzo compisse trentadue anni, e pochi mesi prima che la versione definitiva di Casa d’altri venisse finalmente pubblicata.
A raccontare la vicenda è un prete che ormai ha perso le ambizioni e le speranze di gioventù ed è relegato al ruolo di “prete da sagre” in un paesino emiliano in cui nulla accade, e la vita degli uomini e delle donne non ha nulla di diverso da quella delle bestie. Si nasce, più spesso si muore, nel mezzo si lavora, si fatica, si impara ad accettare il destino.
Dopo l’incontro con la vecchia Zelinda, la sua vita sembra riprendere colore e sarà proprio il suo arrivo nella vita del prete a spezzare il riprodursi costante e sempre uguale dell’esistenza. Ogni giorno il prete va al fiume a osservarla mentre lava i panni, nella speranza di parlarle ancora e sentire cos’ha da dire.
La fama di Silvio D’Arzo si consolidò postuma come per altri grandi della letteratura italiana. Ma siamo sicuri che il lettore scoprirà nelle pagine di questo racconto un’intensità e una bellezza difficilmente ritrovabili altrove.
L’autore: Silvio D’Arzo, pseudonimo di Ezio Comparoni, nasce a Reggio Emilia nel 1920 ed ebbe un’infanzia e un’adolescenza difficile per essere di padre ignoto. Molto dotato negli studi, a sedici anni ottiene la maturità classica a Pavia, presentandosi come privatista, e nel 1941 si laurea in Lettere presso l'Università di Bologna con una tesi di glottologia sul dialetto reggiano. In vita pubblica un solo romanzo, nel 1942, All'insegna del buon corsiero, ma scrive alcuni fra i più importanti e a lungo sconosciuti e in parte misconosciuti racconti della letteratura italiana del ‘900. Il racconto più importante e significativo è, per l’appunto, Casa d'altri, uscito postumo nel 1953 e che è stato definito da Eugenio Montale «un racconto perfetto». Muore di leucemia a soli 32 anni.
LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2022
Esterina
Stella mattutina
La fabbrica

Titoli di questa serie (25)

  • La fabbrica

    5

    La fabbrica
    La fabbrica

    "Lotta di classe" al femminile Bruno Sperani, nom de plume di Beatrice Speraz (1839-1923), volitiva donna dalmata che ha dovuto utilizzare questo artificio per affermare il proprio ingegno femminile in un mondo – quello letterario e creativo – ancora prerogativa quasi esclusiva degli uomini, Ambientato nel mondo dei cantieri edili milanesi, nel periodo dell’ascesa capitalistica, in questo romanzo breve si narra una storia di speculazione e di sopraffazione camuffata di paternalismo, nella quale il capomastro Piloni – un «imbroglione», «furbo quanto altri mai» – ergendosi a difensore dei suoi operai, in realtà si arricchisce sfruttandone il lavoro e mettendone a repentaglio la vita. La premessa evolverà in tragedia, lungo una struttura compositiva coinvolgente ed efficace. Lo spazio della rappresentazione è realistico sin nelle scelte toponomastiche: un cantiere di un palazzo in via di costruzione nella zona di Corso Venezia, fulcro del dinamismo economico cittadino al tempo in cui, negli anni Ottanta del secolo, i quartieri intorno all’antico Lazzaretto venivano rapidamente abbattuti per realizzare la nuova fisionomia della metropoli industriosa e moderna, secondo l’immagine celebrata dall’Esposizione industriale del 1881. Lo scenario su cui si apre il romanzo, con la sua folla di lavoratori, di donne e di bambini, provenienti dai «quartieri lontani» e dai «sobborghi», è quello del Corso di Porta Garibaldi e in particolare nel punto di «quel crocicchio» chiamato per «antica tradizionale abitudine “Il Ponte”» dai muratori senza un lavoro stabile, che qui si fermano nella speranza di venire temporaneamente assoldati per i cantieri edilizi. La questione ideologico-politica che anima la vicenda narrata dalla Speraz, ha l’intento di sensibilizzare un pubblico eterogeneo, rendendolo indirettamente partecipe e solidale rispetto a un impegno civile dal respiro anche pedagogico. Infatti, un aspetto non secondario è quello dell’educazione femminile, che per la Sperani non poteva essere solo domestica e legata al ruolo familiare. La fabbrica può dirsi un romanzo ‘corale’, dove in quell’universo popolare spiccano le figure del socialista Francesco Bitossi, del capomastro Lorenzo Piloni e della giovane stiratrice Luisina Terragni, e a Beatrice Speraz va il merito di avere contribuito a costruire quella che Benedetto Croce avrebbe chiamato la ‘letteratura della nuova Italia’, facendosi portavoce di una sensibilità anticipatrice in un periodo di trapasso, che nel secolo ventesimo troverà fecondo sviluppo.  

  • Esterina

    3

    Esterina
    Esterina

    Storie d’intimità, illusioni e tradimenti, lontani dall’inconsueto e dall’eccezionale, ma raccontate senza inutili reticenze come crisi naturali della coppia e dell’uomo adulto, Esterina è di fatto la storia di un’esperienza sentimentale – dall’innamoramento, all’unione coniugale, alla separazione della coppia – che va progressivamente degradandosi fino al suo disfacimento, rievocata in forma di diario da colui che nella finzione è il marito della protagonista, dove i fatti sono presentati in una continua scansione temporale, dal presente al passato. All’io-narrante corrisponde infatti l’io-narrato; il primo commenta e interpreta i fatti e gli stati d’animo vissuti dal secondo, in virtù di una progressiva maturazione interiore, culminante nel passo finale del libro, dominato dal motivo della rinascita e della speranza. L’andamento narrativo – piano, uniforme, quasi al rallentatore – il lessico impiegato e più in generale le scelte linguistiche sono ascrivibili a una vera e propria «semiotica delle passioni» (i grandi modelli letterari a cui si ispira Bigiaretti sono La Bruyère, de Laclos, Stendhal, Flaubert, Proust, Gide) e rivelano a questo scopo una cura estrema dei particolari, tradotta in uno stile lucidissimo e razionale. Scrittore fuori dal coro, Bigiaretti mostra una spiccata capacità di analisi e di comprensione dell’animo umano; per questo, oggi più di ieri, estremamente attuale.

  • Stella mattutina

    2

    Stella mattutina
    Stella mattutina

    Stella mattutina inizia un nuovo genere letterario all'interno della produzione letteraria di Ada Negri e la consacra artista autentica, in grado di raccontare aspetti intimi e spirituali dei personaggi narrati. Si può chiamare un romanzo di ispirazione autobiografica dove, a prevalere, è la componente poetica: assecondando il libero fluire dei ricordi sgorgati di getto, il vero viene trasfigurato, ripensando in prosa ciò che era già stato scritto in versi. Protagonista è Dinin, che diventa Ada, che narra di sé e della sua vita. Ma quasi subito il racconto, travalicando l'esperienza autobiografica, assume un valore universale. Ada Negri, infatti, rivendica la forza del suo alter ego, attribuendo a Dinin una sensibilità che le permette di vedere ciò che gli altri abitualmente non vedono. I temi che si intrecciano sono molti: il lavoro come possibilità di riscatto personale e collettivo, il senso della giustizia umana e sociale, la solidarietà fra le persone, le tensione a vivere secondo i ritmi biologici e le tradizioni della propria terra. Stella mattutina inaugura una nuova collana "Fuori dal coro", che raccoglie testi di autori e autrici che hanno influito nella letteratura e, soprattutto, nella vita sociale del proprio tempo, anche se questi autori e autrici sono state voci "autonome", "non omologate" dalla critica classica. La modernità dei temi presenti nel romanzo, fanno di Stella mattutina un romanzo contemporaneo che ha ancora molto da dire al lettore di oggi.

  • Una donna

    1

    Una donna
    Una donna

    Nascita della coscienza femminile moderna (ed. 2023) Come mai un romanzo scritto oltre un secolo fa e qualificabile come un ‘classico’ come quello di Sibilla Aleramo, risulta ancora attuale? Pubblicato nel lontano 1906 e ripubblicato nel corso degli anni in molteplici edizioni, esso nasce dall’esperienza autobiografica dell’autrice ed è frutto di quei fermenti sociali che portarono alla nascita del femminismo, di cui lei stessa si sentì parte attiva. Man mano che il libro andava componendosi, la scrittura diveniva lo strumento di un processo autoconoscitivo di cui sono specchio la coerenza, il realismo e l’equilibrio compositivo. Nel suo iter di formazione, la Aleramo designa una vicenda comune, per molti aspetti, ad altre donne del tempo, ma che ancora non aveva trovato analoga espressione nella produzione letteraria del suo tempo, reclamando coraggiosamente, sul piano della specificità della scrittura al femminile, un proprio integrale riconoscimento. Nell’intento di rivelare, per la prima volta, «l’anima femminile moderna», con grande spirito realistico la Aleramo compone pagine di aperta denuncia e di critica sociale, affrontando argomenti come la povertà e l’ignoranza, le differenze regionali, il socialismo e naturalmente la condizione svantaggiosa da cui la donna avrebbe dovuto riscattarsi. Dal momento poi che la vera indipendenza della persona coinvolge presupposti di natura culturale e psicologica, prima ancora che materiale, suonano davvero profetiche le parole della Aleramo in una lettera scritta a Mondadori il 5 agosto 1956, alla soglia degli ottant’anni: "Vi dicevo che se io fossi nata in un qualunque altro paese, avrei in quest’occasione onoranze nazionali. Perché sono un poeta, la sola donna poeta oggi nel paese, perché il mio primo libro Una donna avrà a novembre cinquant’anni, perché i giovani si stupiscono ch’io, mezzo secolo fa, scrivessi per i giovani d’oggi e per quelli che vivranno il secolo venturo. […] Io ho dinanzi a me il futuro, anche se voi non lo credete". "Un testo senza epoca, che ci fa capire come le battaglie per l'emancipazione femminile fossero un campo d'azione vivo anche nell'Italia del primo 900. Una scrittura che colpisce ancora oggi, un testo sicuramente da leggere. L'AUTRICE: Pseudonimo di Rina Faccio, Sibilla Aleramo nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876. Presto si stabilisce con la famiglia a Civitanova Marche dove, con matrimonio riparatore, sposa a quindici anni un giovane del luogo. Nel 1901 abbandona marito e figli iniziando, come lei stessa amava dire, la sua “seconda vita”. Conclusa una relazione sentimentale con il poeta Damiani, si lega a G.Cena ma, dopo la crisi con quest’ultimo, inizia una vita errabonda che la avvicina a Milano e al movimento Futurista, a Parigi e ai poeti Apollinaire e Verhaeren, infine a Roma e a tutto l’ambiente intellettuale ed artistico di quegli anni (qui conosce Grazia Deledda). Durante la prima guerra mondiale incontra Dino Campana e con lui inizia una relazione complessa e tormentata. Nel 1936 conosce il giovane Matacotta, a cui resta legata per 10 anni e di questo periodo — la sua “quarta esistenza” — lascia testimonianza nel diario che l’accompagnerà fino alla morte. Al termine della seconda guerra mondiale si iscrive al P.C.I. e si impegna intensamente in campo politico e sociale. Collabora, tra l’altro, all’«Unità» e alla rivista «Noi donne». Muore a Roma nel 1960, dopo una lunga malattia.

  • Il bacio d'una morta

    6

    Il bacio d'una morta
    Il bacio d'una morta

    All'origine del romanzo d'appendice Carolina Invernizio scrisse più di cento romanzi e tra questi Il bacio di una morta occupa un posto prevalente. La Invernizio fu protagonista del romanzo "d'appendice" diventandone maestra indiscussa per la sua capacità di avvolgere i lettori negli intrecci, spesso torbidi e morbosi, che venivano narrati e che rappresentavano la prosecuzione narrativa della parte giornalistica di fatti di cronaca e resoconti giudiziari. Il romanzo della Invernizio è capace di soddisfare le attese di un pubblico in cerca di svago e di compensazioni emotive, riuscendo a plasmare personaggi ben riconoscibili nei loro tratti caratterizzanti. L'interesse verso questo romanzo, e la sua autrice, deriva dal grande impatto suggestivo che ha l'immagine della "sepolta viva", che potrebbe essere oggi interpretata come il simbolo dei fantasmi e delle paure che abitano in ognuno di noi. Così come le vicissitudini che compongono l'intreccio del romanzo: misteriose tortuosità dell'inconscio, fino al limite di un sadismo compensativo di una realtà sessuale repressa e negata. Le vicende di Clara e della sua famiglia, la sua vita famigliare così come la sopraggiunta e misteriosa morte, con epilogo clamoroso, vengono composte in una narrazione che non sarà indifferente nemmeno al lettore contemporaneo, ritrovando trame, personaggi e situazioni psicologiche quanto mai attuali ed inquietanti.

  • L'osteria sul torrente

    4

    L'osteria sul torrente
    L'osteria sul torrente

    Una scrittura simbolica nelle metafore di un grande autore (purtroppo) poco conosciuto I vari personaggi descritti da Morovich, appartenenti a quel piccolo ma composito mondo di confine cui l’autore fiumano rimarrà sempre visceralmente legato, incarnano – da un punto di vista del tutto comune e quotidiano – debolezze e virtù dell’uomo di ogni tempo, in grado di stupire nel gioco dei contrasti che da sempre ne condizionano gli atti e i pensieri. Nessuno escluso, nemmeno l’autore. L'AUTORE: Enrico Morovich è stato un autore che ha contribuito al consolidarsi del racconto come genere letterario del panorama italiano. Nato nel 1906 a Fiume, vive in Italia e si stabilisce vicino a Genova. Nonostante una robusta produzione narrativa, il clima di impegno politico del secondo dopoguerra lo condannò a un lungo oblio, interrotto solo da un intervento di Leonardo Sciascia su «Tuttolibri» a metà degli anni Ottanta. Al periodo degli esordi, variamente orientato in direzione del racconto interiore, del misterioso, della «regionalità» di un mondo popolare connotato nei suoi tratti caratterizzanti, risalgono i titoli che comporranno il libro L’osteria sul torrente, una raccolta di racconti pubblicato nel 1936, e qui pubblicati per la prima volta in versione digitale. La prima produzione editoriale gli garantirono una certa notorietà come ‘favolista nato’: lui che diplomatosi ragioniere trovò presto lavoro in qualità di impiegato presso la sede fiumana della Banca d’Italia e poi ai Magazzini Generali della città. La scrittura è essenzialmente simbolica e va analizzata su un triplice piano di lettura: autobiografico, storico e metaforico. E la sua avventura letteraria va intesa come la metafora di un’epoca, ed Enrico Morovich è un personaggio che si fa interprete, narrando se stesso, del suo tempo.

  • Piccoli eroi

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    Piccoli eroi
    Piccoli eroi

    Letteratura per chi si apre alla vita Cordelia, pseudonimo di Virginia Tedeschi Treves, fu – durante gli anni della sua attività - la vera signora dell’editoria italiana. Inizia la sua attività letteraria come scrittrice per bambini e concluderà i suoi scritti con un testo di critica sociale, Le donne che lavorano (1916) in cui teorizza per prima la possibilità per la donna di lavorare per proprio diletto e soddisfazione e non per necessità economica, come fino ad allora era sempre stato. La sua attività romanzesca fu considerevole e raggiungerà il culmine nel 1894 con Piccoli eroi, che batterà ogni record collezionando ben sessantadue edizioni. Si tratta di un’opera dedicata alla fascia d’età 9-14 anni, in cui aleggia lo spirito patriottico, che esorta la gioventù a fare il proprio dovere o semplicemente racconta storie di giovani che conducono una vita esemplare e sono di grande lustro per le proprie famiglie. Molti critici sostengono che addirittura il libro fu una sorta di manuale motivazionale per l’arruolamento di molti ragazzi prima nella guerra irredentista (per riconquistare all’Italia i territori annessi all’Austria) e poi alla vigilia del conflitto mondiale. Insomma: una sorta di «figlio» spirituale del Cuore di Edmondo De Amicis. Il lettore contemporaneo troverà, in questa lettura, il sapore di una testimonianza della vita dell’epoca, suscitando la curiosità dello scoprire modi di vita di un’epoca remota.

  • La spalla alata

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    La spalla alata
    La spalla alata

    Una donna che parla alle donne...ma non solo Pia Rimini è scrittrice intensa, carnale, originale e sperimentale nella forma. Tratta di argomenti delicati e difficili per i suoi tempi, ma verrebbe da dire in ogni tempo. E lo fa con uno stile che la rende una scrittrice da conoscere, leggere, amare. Parla di un’umanità sporca e squallida, le figure maschili sono violente e volgari. Descrive un erotismo sanguigno, concreto e contemporaneamente appare ripugnante. La scrittura che accenna costantemente all’erotico per poi ritrarsene quasi con disgusto lo troviamo in diversi racconti, ma troviamo anche tutta la contraddizione del sentire femminile di fronte all’arroganza maschile. Pia Rimini è una donna che parla di donne, che può dire sulla psicologia femminile, sulla passione, sullo spirito e sulla carne parole nuove, che può scoprire punti di vista originali, panorami chiusi. Pia Rimini è prima di tutto donna, e ciò costituisce il suo merito, la sua giustificazione. E i racconti che troviamo in questo testo restano ancora quelli che meglio rappresentano i caratteri della sua personalità, portando Pia Rimini a conquistare un posto di prima linea nella letteratura femminile. Una scrittrice che conquisterà anche i lettori contemporanei che scopriranno un’autrice di sicuro talento e profondità psicologica. L’autrice: Pia Rimini, scrittrice triestina nata l’8 gennaio del 1900, è oggetto di una grande riscoperta da parte dei lettori italiani ed europei. Vita tragica e breve, vissuta spesso controcorrente. Un'autrice che tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso pubblica libri di novelle e romanzi che la segnalano all'attenzione nazionale: il “Corriere della Sera”, il “Giornale d'Italia” e il “Popolo d'Italia” ne tessono le lodi, mentre la “Stampa” azzarda addirittura a scrivere di lei che «più del Soldati e del Moravia possiede qualità davvero promettenti». Figlia di genitori ebrei, la madre si era però convertita al cattolicesimo e l’aveva battezzata. Nel 1944, a causa del suo cognome e di una “soffiata”, fu fatta salire su un treno per Auschwitz, viaggio da cui non farà più ritorno.

  • Fosca

    7

    Fosca
    Fosca

    Pubblicato a puntate a partire dal 21 febbraio 1869 nelle appendici del quotidiano milanese «Il Pungolo», diretto da Leone Fortis, Fosca è la trasposizione letteraria in forma memorialistica di una sconvolgente esperienza vissuta dallo scrittore durante una sua breve permanenza a Parma, nel 1865, richiamato alle armi come Commissario militare dell’esercito. Fra realtà autobiografica e invenzione narrativa (il cui confine è difficile a stabilirsi, tanto più che si tratta di produzione scapigliata, particolarmente incline alla commistione di vita e arte), esso narra la disperata passione di una donna isterica e orrenda, deturpata dal male, per Giorgio, un giovane ufficiale dal temperamento convulso, che ama, ricambiato, una giovane bella e sana, coniugata. Clara e Fosca rappresentano così, anche per evidenza onomastica (‘nomi parlanti’, espressione della nota legge del nomen omen), due forze contrapposte, ossia la vita e la morte, secondo un tipico topos scapigliato: l’una è l’immagine della freschezza e della solarità, l’altra lo specchio della malattia e dell’impulso al possesso amoroso autodistruttivo; angelo e demone per dirla con vocaboli rispettivamente ascrivibili a due diverse tradizioni letterarie, storicamente distinte se consideriamo la seconda metà dell’Ottocento come il punto di svolta verso una nuova koinè culturale e artistica.

  • Le solitarie

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    Le solitarie
    Le solitarie

    Diciotto stupendi ritratti di donne appartenenti a ceti umili, a esclusione di poche donne benestanti, per la maggior parte eccentriche, o dal punto di vista esteriore (ricorrente è la presenza del fisico brutto o anomalo, che ne giustifica l’emarginazione) o psicologico, per la posizione che loro malgrado si trovano a vivere rispetto alla ‘normalità’. La stessa Ada Negri parla di questi ritratti femminili presentandoli come "umili scorci di vite femminili sole a combattere: malgrado la famiglia, sole: malgrado l’amore, sole: per propria colpa o per colpa degli uomini o del destino, sole. Le conobbi, le studiai, le riprodussi, cercando di attenermi il più crudamente possibile alla verità. Ahimè!... Troppe volte la verità è più amara di un tossico."  Si tratta di esistenze al limite dell’isolamento e dell’abnegazione di sé, sotto il peso di un ambiente socialmente ostile che l’autrice compenetra con partecipazione emotiva e sapienti doti narrative.  I racconti hanno conosciuto da subito una grande fortuna, alcuni di loro sono stati pubblicati sul Corriere della Sera o importanti rivista del tempo, anche perchè funzionali a un sotteso scopo di denuncia sociale che troverà un’importante eco nella letteratura femminista di secondo Novecento. Ada Negri fu partecipe dei movimenti femminili dell'epoca, aperta sostenitrice degli ideali socialisti. Le solitarie sono diventate un importante riferimento per la conquista dei diritti civili delle donne e la lettura di questi racconti, ne siamo covinti, coinvolgerà i lettori suscitando interesse e partecipazione, così come capitato alla prima uscita dei testi.

  • La danza della collana

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    La danza della collana
    La danza della collana

    Le passioni umane viste "dall'interno" Tutti dovrebbero conoscere il nome di Grazia Deledda (Nuoro, 1871-Roma, 1936), scrittrice sarda legata ad alcuni capolavori della letteratura italiana, insignita – unica donna in Italia – del Premio Nobel per la letteratura nel 1926. A dispetto della scarsa considerazione riservatale persino nelle antologie scolastiche (quanta ricchezza potrebbero trarne gli studenti liceali!), vale la pena riscoprirla oggi, fra le pagine di altri suoi libri meno conosciuti e menzionati, ma altrettanto degni di essere letti per la sorpresa che regalano, nella densità di una scrittura sospesa tra realismo e allusività. In linea con la grande letteratura europea, la Deledda accoglie l’idea di un universo psichico abitato da pulsioni e rimozioni, trasponendo nello spazio narrativo il ‛paesaggio dell’anima’, da cui affiorano ansie e inquietudini mediate soprattutto dalle costrizioni sociali e dai divieti morali. Come ne La danza della collana (1924). Sul piano biografico ed esistenziale, questo splendido romanzo riflette una condizione personale di ripiegamento interiore e di allontanamento dal mondo, esplorando una dimensione a lei cara, di ‛poeta primitivo’, fonte di pensiero e di creazione artistica. Due i piani di interpretazione del testo: quello reale e quello simbolico, in una molteplicità di rimandi di senso, che necessitano di una lettura attenta e allargata ad altri testi e fonti – centrale è la presenza di archetipi jungiani – per essere colti appieno. Due i protagonisti, affiancati da personaggi che assumono per loro il ruolo di elementi rivelatori, funzionali al disvelamento e alla comprensione di aspetti cruciali di sé È un guardare in faccia alla realtà riappropriandosi della vista interiore, finalmente rivolta a se stessi; altrimenti spesa a decifrare erroneamente il mondo esterno, in un assurdo teatro dell’esistere, cui nessuno può sottrarsi. Nel messaggio subliminale che la Deledda rivolge al lettore, però, non è contemplata una vera possibilità di riscatto, e gli eventi non celano alcuna spiegazione razionale, a dire che la vita rimane un insondabile mistero.

  • La virtù delle donne

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    La virtù delle donne
    La virtù delle donne

    Racconti di donne, protagoniste ed eroine All'uscita dei racconti, la critica del tempo si espresse in questo modo: "tre classici racconti, di quelli che vi prendono e commuovono alla prima lettura, e poi reggono, e anzi crescono a un secondo esame, quando ne indagate il movimento proprio dell'arte". Ciò che accomuna i tre racconti proposti è innanzitutto la dimensione "corale", ossia la presenza del 'vissuto' proprio di quella gente del popolo o di estrazione piccolo-borghese, che l'autrice attinge dalla vita reale similmente ai naturalisti e ai veristi. Da essa, a emergere sono le storie individuali, delineate con effetti differenti: quella "quasi umoristica" di Checchina, quella "patetica" di Terno secco e infine la vicenda "tragica" di O Giovannino o la morte. Protagoniste sono le donne, eroine a modo loro, in contrapposizione agli uomini, meno virtuosi per gli istinti maschili con cui la Serao li caratterizza. I racconti affascinano, ancora oggi, per la psicologia che ne determina il destino, non esente dall'influsso del contesto sociale di cui quei personaggi sono parte. Storie di donne, virtuose o vinte lo diranno i lettori. L'autrice: Prima donna italiana ad aver fondato e diretto un quotidiano, Il Mattino, Matilde Serao ebbe nel giornalismo il faro ispiratore della sua produzione letteraria. E' proprio dal giornalismo che Matilde impara a tratteggiare le storie che saranno inserite nei suoi racconti e romanzi. Racconta storie "vere", parla di donne e di come esse siano inserite nella vita sociale del tempo. Il periodo è quello verista e Matilde non è indifferente alle sollecitazioni che arrivano dal naturalismo francese. Matilde fu scrittrice infaticabile, non rinunciò mai alla scrittura e proprio mentre stava scrivendo l'ultimo articolo, la colse un infarto, a Napoli, il 25 luglio 1927.

  • Il passaggio

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    Il passaggio
    Il passaggio

    «Siamo nati.... per l’intimo accordo con il mistero» Il Passaggio è il secondo romanzo scritto da Sibilla Aleramo, apparso dopo parecchi anni da Una donna, ma non fu un successo minore, ricevendo critiche entusiaste. Il merito peculiare di questa opera – nella quale l’autrice riflette sulla propria vita per sviscerare stati d'animo e sentimenti, per confessarsi e testimoniare, se mai ce ne fosse bisogno, la centralità della categoria dell'amore - è quello di difendere verità che appassionano, senza mai mancare alle esigenze di un’arte pura. C’è in essa una nobiltà rara di espressione, una audacia generosa di confessione straziante dettata dalla più fremente delle sensibilità, e che pure non vacilla mai e tende diritta ad una sua mèta d’interesse umano, sprezzante qualsiasi interesse personale. Il romanzo ebbe numerosi estimatori tra cui Renato Simoni che scrisse: “Pagine non facili: nè a scrivere nè a leggere. Bisogna scoprirne il filo delicato; e allora dopo avere gustata quella energia verbale che fa lucide e ferme le parole, dopo aver sentito che quella energia tiene salda la bella prosa, come una pietra augustamente incisa di vaste epigrafi, sopra un impeto tumultuoso che vuole rovesciarla, scopriamo l’originalità del libro, ch’è riassunta da queste parole: «Siamo nati.... per l’intimo accordo con il mistero»”. Luigi Pirandello si espresse in questo modo: “Pochi romanzi moderni io ho letti che racchiudano come questo un dramma così grave e profondo nella sua semplicità e lo rappresentino con pari arte, in una forma così nobile e schietta, con tanta misura e tanta potenza.” Clemente Rebora nota che Il passaggio è: “Opera di profonda bontà, di più fonda umanità: opera che, come la vita, si potrà bestemmiare ma non dimenticare, Il passaggio, tutto pervaso da un senso di schianto e d’attesa, così annunziatore, così immolatore, in contrasto e in armonia coi tempi: quasi un Apocalissi dell’amore, e anche un lungo grido di richiamo, da Saffo a Santa Caterina a Chitra....” L'AUTRICE: Pseudonimo di Rina Faccio, Sibilla Aleramo nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876. Presto si stabilisce con la famiglia a Civitanova Marche dove, con matrimonio riparatore, sposa a quindici anni un giovane del luogo. Nel 1901 abbandona marito e figli iniziando, come lei stessa amava dire, la sua “seconda vita”. Conclusa una relazione sentimentale con il poeta Damiani, si lega a G.Cena ma, dopo la crisi con quest’ultimo, inizia una vita errabonda che la avvicina a Milano e al movimento Futurista, a Parigi e ai poeti Apollinaire e Verhaeren, infine a Roma e a tutto l’ambiente intellettuale ed artistico di quegli anni (qui conosce Grazia Deledda). Durante la prima guerra mondiale incontra Dino Campana e con lui inizia una relazione complessa e tormentata. Nel 1936 conosce il giovane Matacotta, a cui resta legata per 10 anni e di questo periodo — la sua “quarta esistenza” — lascia testimonianza nel diario che l’accompagnerà fino alla morte. Al termine della seconda guerra mondiale si iscrive al P.C.I. e si impegna intensamente in campo politico e sociale. Collabora, tra l’altro, all’«Unità» e alla rivista «Noi donne». Muore a Roma nel 1960, dopo una lunga malattia.

  • Uccidi o muori

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    Uccidi o muori
    Uccidi o muori

    Un mondo fantastico! I racconti di questo testo saranno una piacevolissima scoperta per tutti i lettori del genere fantasy. Bigiaretti ci stupisce con una serie di racconti che entrano in mondi, dimensioni e situazioni che vanno ben oltre l'ordinario e il consueto. Il mondo e le abitudini dei Làvari ci appaiono in tutta la loro assurda realtà; la carriera di un brillante manager stroncata da una inspiegabile malattia e così per tutti i quattro racconti che compongono questa straordinaria collezione di testi. Le esperienze dell'autore vengono ridisegnate in un universo "parallelo" dove sempre viene da chiedersi se non sia più vero del reale. Ai lettori chiediamo di aprirsi alle notevoli e numerose sollecitazioni che il testo offre, lasciandosi stupire da un "diverso" che, a volte, sembra assumere le forme della realtà. Scrittore fuori dal coro, Bigiaretti mostra una spiccata capacità di analisi e di comprensione dell’animo umano; per questo, oggi più di ieri, estremamente attuale.

  • A woman with three souls

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    A woman with three souls
    A woman with three souls

    As a coherent development of the themes already expressed in the author's articles, A woman with three soulsis therefore an ironic prefiguration, in a futuristic and fantastic key, of an Eve of the future, incarnated, in literary fiction, in the featureless and "dusty" Giorgia Rossi who in a short period of time experiences, due to a psychic alteration caused by an electromagnetic accident, three personalities very different from her original nature (emblem of the cliché of the wife "good", "mild", "shy", resigned to their fate , incarnated in a body "that has never in any case aroused an erotic interest"). This personalities imply, respectively, symptoms of sensuality lacking any moral prejudice, a virile temperament and extraordinary sensitivity, of a mediumistic nature, amplified by "new senses irradiated immaterially in the infinite": a continuous escape from the constraints of daily banality. Giorgina's stages, whom ternary structure of her soul is a reference to the magic force of the number that characterizes it, symbolize the process of evolution towards a state of higher, alchemical consciousness, which is reached thanks to the fusion of all senses in one, being able to cross them and to go beyond them. Without knowing what the woman of the future will be, we need only to read the epilogue of the novel to reflect on the transformations that have already happened in our time and "not to be caught, by surprise, by the evolutionary fatality that looms". Rosa Rosà, pseudonym of Edith von Haynau also Edith Arnaldi was an Italian naturalized writer and illustrator, exponent of Futurism. Born in Vienna from an aristocratic family, she was educated at home by tutors and only in adulthood she attended the art school in Vienna against family advice. She met in 1907 and in 1908 she married the Italian writer Ulrico Arnaldi, with whom he had four children between 1909 and 1915. She approached the Futurist movement during the First World War, while her husband was at the battlefront. In her literary and artistic activity she adopted the pseudonym of Rosa Rosà, from a homonymous Venetian town. She became interested in literature, design and graphics. A woman with three souls (1918), is considered one of the first example of feminist science fiction literature.

  • Maria Zef

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    Maria Zef
    Maria Zef

    Una tragedia modernissima Fa davvero riflettere quel premio Viareggio vinto da Paola Drigo con Maria Zef nel 1937. Il contesto era il regime fascista che esaltava valori tipicamente maschili (famiglia, patria, chiesa), aggiungendo, piuttosto che sottrarre, stimoli ad una reiterata prassi del possesso e, in più, il libro condanna, senza mezzi termini, il machismo e la condizione subumana della donna. Nel testo si racconta di due sorelle: la quindicenne Mariute (Marietta) e la piccola Rosute (Rosetta) che, dopo la morte della madre, vengono dapprima ospitate in un convento di suore, poi accolte nella baita dello zio, Barbe Zef. In questa “nuova” famiglia si consuma la violenza su Mariute, una violenza che viene avvertita dal lettore – e questo grazie anche al sapiente ‘dosaggio’ della Drigo - come una sorta di naturalezza del fenomeno sociale, come piaga ancestrale contro cui poco si può fare, perché una reazione metterebbe a repentaglio la condizione della donna (è lei che è sempre stata la vittima: forse è cambiato qualcosa da allora?). Il romanzo della Drigo contiene degli elementi di modernità e consegna a tutti noi un ruolo femminile che avrà pochi eguali negli anni successivi. E soprattutto, illumina un personaggio, Mariute che rivela una determinazione finale che assume una valenza quasi rivoluzionaria. Paola Drigo ha il merito di consegnarci la descrizione di un’Italia non certo lontana dall’attuale, non tanto per la dimensione tragica di miseria e disperazione nella quale la storia è ambientata: ci sono troppi elementi che appartengono ad un’ancestrale disamina dell’essere umano e ad un’idea di superiorità genetica. L’autrice: (Castelfranco Veneto, 1876 – Padova, 1938), Paola Drigo fu una voce importante e originale della narrativa italiana ed è riconosciuta dalla critica come la scrittrice veneta più rilevante della prima metà del Novecento. Pubblicò novelle e elzeviri nei più prestigiosi giornali dell’epoca: La Lettura, Nuova Antologia, L’Illustrazione italiana, Corriere della Sera e altri, raccolti a costituire i tre volumi di racconti della sua bibliografia. Maria Zef e Fine d’anno sono considerati i suoi lavori più importanti, che continuano ad avere riconoscimenti importanti ed un notevole successo tra i numerosi lettori. Maria Zef ha avuto due trasposizioni cinematografiche.

  • Non piangete la mia morte

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    Non piangete la mia morte
    Non piangete la mia morte

    Here’s to you Nicola and Bart…. “Non tenete celato il mio arresto. No, non tacete, io sono innocente e voi non dovete vergognarvi. Non tacete ma gridate dai tetti, a tutti, del delitto che si trama al mio danno […] No, non tacere, che il silenzio sarebbe vergogna”. Così Bartolomeo Vanzetti scriveva in una lettera al padre il primo ottobre del 1920, dal penitenziario di Charlestown nel Massachusetts. Vanzetti, insieme Nicola Sacco, furono dichiarati colpevoli, senza prove, dell’assassinio di due uomini durante una rapina nel 1920. Il verdetto è passato alla storia come un crimine giudiziario. Cinquant’anni dopo la loro condanna a morte, l’allora governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, poi candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti, riconobbe l’errore giudiziario e riabilitò i due italiani. Attorno alla vicenda dei due italiani si creò una grande mobilitazione, ma nonostante tutto non ci fu nulla da fare: l’ottusa macchina della giustizia americana fece il suo corso e Nicola e Bartolomeo furono condannati a morte tramite sedia elettrica. A quasi un secolo di distanza, risuona ancora l’eco delle parole di Bartolomeo Vanzetti che, con ammirevole speranza e determinazione, scriveva al padre, a Villafalletto, borgo rurale del Cuneese: “Fatti coraggio dunque, sî ottimista. La giustizia benché bandita e perseguitata ha sempre finito col trionfare, e finirà col trionfare anche questa volta”. Cinquant’anni dopo la sua morte, sarebbe stato vero, e quella loro lunga “agonia diventò una vittoria”.

  • Una donna con tre anime

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    Una donna con tre anime
    Una donna con tre anime

    Futurismo femminista Coerente sviluppo dei temi già espressi negli articoli apparsi su L’Italia futurista, Una donna con tre anime è un’ironica prefigurazione, in chiave avveniristica e fantastica, di un’Eva del futuro, incarnata, nella finzione letteraria, dall’anonima e «polverosa» Giorgia Rossi che in un breve lasso temporale sperimenta, per un’alterazione psichica dovuta a un incidente elettromagnetico, tre personalità lontanissime dalla sua natura originaria (emblema del cliché della moglie «buona», «mite», «timida», rassegnata al proprio destino, incarnata in un corpo «che non ha mai destato in alcuno un interessamento erotico»). Esse le comportano, rispettivamente, sintomi di sensualità priva «di qualsiasi pregiudizio morale», un temperamento virile e doti di sensibilità straordinaria, di tipo medianico, amplificate da «nuovi sensi irradiati immaterialmente nell’infinito»: continua fuga in avanti dalle costrizioni della banalità quotidiana. Seguendo gli studi di Rudolf Steiner da un lato, e di Carl Jung dall’altro, le tappe della trasformazione di Giorgina, di cui la stessa struttura ternaria è di per sé un richiamo alla forza magica del numero che la caratterizza, simboleggiano dunque l’iter di evoluzione verso quello stato di coscienza superiore, alchemica, che si raggiunge grazie alla fusione di tutti i sensi in uno, in grado di attraversarli e di oltrepassarli. Senza sapere noi quale sarà la donna del futuro, ci basti leggere l’epilogo del romanzo per riflettere sulle trasformazioni già accadute nel nostro tempo e «per non essere colti, di sorpresa, dalla fatalità evolutiva che incombe». Il testo di Rosa Rosà rimane, a detta di moltissimi commentatori, una delle migliori espressioni della letteratura italiana che possiamo ricondurre alla corrente del futurismo. L’autrice Rosa Rosà, pseudonimo di Edith von Haynau anche Edith Arnaldi è stata una scrittrice e disegnatrice austriaca naturalizzata italiana, esponente del Futurismo. Nata a Vienna da una famiglia dell’aristocrazia, fu educata in casa da precettori e solo ormai adulta frequentò la scuola d'arte a Vienna contro il parere familiare. Conobbe nel 1907 e sposò nel 1908 lo scrittore italiano Ulrico Arnaldi, con il quale ebbe quattro figli tra il 1909 e il 1915. Venne a contatto con il movimento del Futurismo durante la prima guerra mondiale, mentre il marito era al fronte. Nella sua attività letteraria e artistica adottò lo pseudonimo di Rosa Rosà, da una omonima cittadina veneta. Si interessò di letteratura, disegno e grafica. Una donna con tre anime (1918), è considerato un primo esempio di fantascienza femminista.

  • Luciana

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    Luciana
    Luciana

    L'educazione delle fanciulle in fiore..... Anna Vertua Gentile è da annoverare fra le scrittrici italiane più popolari fra Otto e Novecento. Luigi Santucci scrisse che l’autrice potrebbe essere un intreccio tra De Amicis e Louisa Alcott, tra intento educativo e sviluppo della personalità delle giovani donne. Il testo è un classico esempio di letteratura educativa come lo è stato Cuore di De Amicis così come, con forme diverse, Leonardo e Geltrude di Pestalozzi. In questo romanzo, infatti, Luciana è una diciassettenne, sorella maggiore di Evela, ancora una bimba, che trascorre un periodo di tempo presso l’austera zia Lucia. La maturazione della protagonista inizia dallo scontro con la severità della zia nei confronti della sorellina, provocando la prima “contestazione” di Luciana. La vita di campagna e la sincera amicizia di due giovani vicini di fattoria aiutano Luciana ad accettare la guida di persone più anziane ed esperte, favorendo crescita umana e consapevolezza della propria potenzialità. Come molti autori dell’epoca Vertua, attraverso i suoi romanzi, vuole educare le giovani italiane a sentimenti quali onestà, sincerità, amore per la famiglia, capacità di sacrificarsi per il bene delle persone care. Luciana, come altre sue opere, è un invito all’indipendenza femminile. L’autrice: nasce a Dongo nel 1850 e inizia a scrivere givanissima: al 1901 si contano oltre 150 titoli tra romanzi, novelle, scritti educativi e manuali di condotta. Contribuì alle riviste Giornale della maestre e La donna di Gualberta Alaide Beccari e, nel 1907, prese parte a Milano al Congresso sui diritti femminili promosso dalle donne cattoliche e socialiste. Tra il 1905 e il 1906 diresse Fanciullezza Italiana, un bisettimanale in cui pubblicava consigli di comportamento. Morì presso l’Istituto Santa Savina a Lodi, dove si ritirò nel 1923.

  • Tre croci

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    Tre croci
    Tre croci

    La storia di tre fratelli, librai sulla via del dissolvimento economico e ormai incapaci di agire al tramonto della loro fortuna commerciale, viene mirabilmente descritta da Tozzi e l’eterno problema del bene e del male, così vivo nei romanzi russi e in particolare in Dostoevskij, è recepito dallo scrittore con uno stile aderente alla realtà e una lingua schietta e ‘regionale’ quale emerge dalla forza dei dialoghi. I tre fratelli Gambi vengono presentati come uomini in frantumi, che manifestano il medesimo sentimento della vita e la stessa situazione psichica: quella dell’uomo «a cui è stata asportata la potenza di mordere nel pieno della realtà». In questo modo, Tozzi racconta la presa di coscienza del fallimento di quelle certezze su cui potevano reggersi le cose e i valori nei secoli passati, trasponendo nel tipo letterario dell’inetto la crisi dell’individuo in rapporto a se stesso e agli altri, accogliendo le influenze dei modelli rappresentati da Kafka, Svevo e Dostoevskij. La cifra che ci rende contemporaneo questo romanzo, «compagno di strada in un crepuscolo di apocalisse», è rappresentato dall’assenza dell’amore che diviene «cartina di tornasole» della solitudine dell’uomo, il quale «ha subito l’amputazione delle sfere di responsabilità sentimentale e sociale e compie le sue azioni di adulto a livello di bambino». In questo senso, Tre croci parla anche all’Italia di oggi, in un’epoca dove gli scandali e la disonestà dettata dagli interessi individuali, dietro un falso perbenismo, sono all’ordine del giorno. Così che, al di là dell’apparente nudità dei fatti, il lettore è sollecitato a interrogarsi sul problema del male come «non risarcibile mistero doloroso» in rapporto alle sue estreme conseguenze e in una prospettiva non solamente terrena. Scoprendo il volto più angosciante dell’uomo quando, per dirla con Pirandello, «il vuoto interno si allarga».

  • I divoratori

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    I divoratori
    I divoratori

    Storie di geni, genitori e figli Annie Vivanti fu capace di ottenere un grandissimo successo nel 1890 con una raccolta di poesia (Lyrica) e con un romanzo (I divoratori, appunto) che lo replicò nel 1911. Questo testo racconta una saga familiare il cui tema di fondo è la predestinazione del Genio (prima una piccola poetessa, poi un enfant prodige della musica) a "divorare" inevitabilmente chi più gli sta vicino e lo ama. La Vivanti descrive come, generazione dopo generazione, i geni annientino e quasi inghiottano le loro madri, che a loro volta, se sono state altrettanto talentuose, hanno risucchiato le loro madri. Il vero problema posto dalla Vivanti è: perché il risultato finale è una catena di infelicità? E il suicidio della figlia Vivien sembrò dolorosamente avvalorare la sua tesi. Nonostante tutto lei conservò a lungo la sua ironia. Nella poesia Fra cinquant’anni scriveva: «Vecchia zitella, calma e intelligente, / Serena, rubiconda e senz’affanni…/ La casa un po’ sossopra qualche volta. / Ma senza preti, gatti o canarini…». I divoratori è l’opera più completa e più autobiografica della Vivanti, che attraverso questo romanzo cerca di dare una nuova immagine di sé assimilabile a quella della protagonista Nancy, che viene seguita nella sua parabola da bambina prodigio come poetessa a madre vittima del genio divoratore della figlia, violinista prodigio proprio come Vivien. I divoratori è considerato dalla critica il romanzo più riuscito della Vivanti, non solo per l’interesse del soggetto, ma anche per il suo stile (come veniva descritto e come sicuramente possiamo confermare oggi) «ora armonioso e delicatamente allusivo, ora fluente e pieno di fantasia, modulato nelle narrazioni e brioso nei dialoghi: non è dir troppo a chiamarlo uno stile brillante» che consente alla scrittrice di mantenere costantemente attiva la sua prospettiva da umorista. L’autrice: (Londra 1868 - Torino 1942) di padre italiano e di madre tedesca, studiò canto in Italia ed esordì nel teatro a New York; nel 1902 sposò John Chartres, patriota irlandese. Abbandonato il teatro, viaggiò in Europa, Africa e America, propugnando la creazione dello Stato libero d'Irlanda. La sua attività letteraria, iniziata col volume di poesie Lyrica (1890), che ebbe l'eccezionale ventura di una prefazione di Carducci (fortemente colpito dalla prorompente personalità dell’autrice), si orientò soprattutto verso la narrativa; offrendoci alcune delle principali opere narrative del primo ‘900: I divoratori, 1911; Circe, 1912; Vae victis, 1917; Naja tripudians, 1921; Mea culpa, 1927.

  • Teresa

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    Teresa
    Teresa

    Formazione dell’autocoscienza femminile Vero e proprio romanzo di formazione, fra i migliori dell’ultimo ventennio dell’Ottocento, esso fu apprezzato dai maggiori critici del tempo, che collocarono Neera «tra le voci più autorevoli d’Italia». Vi si narra la vicenda di una maturazione esemplare attraverso la crescita di una ragazza di provincia, dove il senso sacrificato e malinconico della vita si accorda perfettamente all’ambientazione in cui essa si svolge, in cui è lo svanire della giovinezza e del sogno d’amore. Teresa è una giovane che aiuta nei lavori domestici la madre e vive con un padre burbero e rude. La sua volontà di unirsi in matrimonio con il ragazzo di cui si innamora incontra l’ostacolo del padre che vorrebbe vederla sposata ad un benestante del luogo. Teresa è contraria e attende che l’innamorato si faccia una posizione da avvocato. Ma ben presto l’attesa viene disullusa: il giovane, ormai preso dal lavoro e dalla nuova vita cittadina, non prova più interesse per Teresa, e presto la abbandona. Tutto sembra crollare, invece a Teresa spetta la libertà di scegliere il proprio desino. La sua forza sono l’intelligenza dei sensi e la pazienza, grazie alle quali ha modo di prendere progressivamente coscienza di sé, in un confronto continuo con il proprio contesto di vita, apparentemente ostile, che la costringe a sintonizzarsi con l’esistenza stessa, nel suo normale fluire. Le vicende di Teresa procedono dovendo continuamente affrontare un’esistenza non certo favorevole. Ma l’autrice non si abbandona alla compassione o alla commiserazione, con il suo messaggio compie un balzo in avanti, una premessa alle idee che troveranno maggiore sviluppo nel Novecento, anche attraverso la scrittura femminile. Come fu riconosciuto da attiviste come Sibilla Aleramo ed Ersilia Majno, che apprezzarono Teresa quale documento fondamentale della presa di coscienza femminile del tempo L’autrice: Nota ai suoi lettori e alle sue lettrici con lo pseudonimo oraziano di Neera, Anna Zuccari è una prolifica autrice italiana a cavallo fra Otto e Novecento, che ha descritto molteplici profili femminili alla ricerca di un’esistenza diversa da quella a cui l’insieme delle norme sociali e delle ideologie del tempo le avrebbe relegate. Autrice di ventidue romanzi, numerosi racconti e poesie, Neera ha collaborato anche con alcune riviste illustri dell’epoca come «Il pungolo», sul quale esordisce nel 1875 con una novella, L’illustrazione italiana e Il Marzocco. Ha pubblicato, inoltre, dieci saggi in cui ha affrontato, tra i numerosi argomenti, la complessa tematica della posizione sociale delle donne postunitarie, soprattutto quelle delle classi medie.

  • La casa nel vicolo

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    La casa nel vicolo
    La casa nel vicolo

    Contro la famiglia patriarcale Maria Messina fu una grande scrittrice di cui, dopo la morte avvenuta nel 1944, si perse il ricordo. La memoria letteraria è stata molto avara nei suoi confronti, solo dopo la ristampa di alcune sue opere nel 1980 e l’attenzione di Leonardo Sciascia – che la paragonò a una “Mansfield siciliana”, si aprì uno squarcio sul silenzio che la circondava. In questo romanzo la scrittrice mette in risalto una donna sottomessa alla famiglia patriarcale siciliana, a cui è negata ogni autonomia e da cui ci si attende solo fedeltà ed obbedienza cieca. Questa sua denuncia la troviamo in tutti i suoi romanzi, la donna come “pupattola di cencio” che non ha voce per gridare i diritti negati di libertà ma che si salva estraniandosi da sè e dalla propria quotidianità. Leggere le sue pagine significa ritrovarsi all’interno di povere e misere case, nei vicoli dove le donne si radunavano a cucire, nei balconcini dove sbocciavano margherite, gerani e giunchiglie, e ancora panorami di frumento, poggi e colline ondulate. E poi ci si immerge nelle trame delle vite di nonne sagge, di padri despoti e duri, di madri silenziose, di sorelle, cugine, amiche accomunate da destini scelti da altri. Si entra, quasi in punta di piedi, nelle cucine con i grandi focolari e il profumo del pane o dei dolci appena sfornati, nelle stanze da letto con piccole culle che ondeggiano, in piccoli viottoli freschi ed ombrosi punteggiati da edicole votive in onore di santi e madonne. Inserita inizialmente nel filone narrativo seguito da Verga, Capuana e Pirandello, in seguito la sua arte narrativa assume un’identità autonoma, con un verismo in cui gli avvenimenti impattano soprattutto l’animo femminile.

  • La chiesa della solitudine

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    La chiesa della solitudine
    La chiesa della solitudine

    La solitudine, intrecciata al tema della malattia e del silenzio su di essa, è anche condizione caratteristica del temperamento e della vita dell’autrice (che come la protagonista del romanzo si ammalò di cancro al seno), che nonostante gli onori del Nobel, conferitole nel 1926, visse sempre lontano dai clamori (in una pagina del «Corriere della sera», a seguito dell’assegnazione del premio, fu definita «la taciturna»), anche per non essere stata adeguatamente apprezzata e riconosciuta dalla critica del tempo. Qualcosa sulla protagonista del libro, come molti fra i personaggi della Deledda, lo troviamo nell’incipit, che ne sottende chiaramente il senso: «Maria Concezione uscì dal piccolo ospedale del suo paese il sette dicembre, vigilia del suo onomastico. Aveva subito una grave operazione: le era stata asportata completamente la mammella sinistra». Il destino della donna (il cui nome deriva dal latino conceptio-onis, da concipĕre, ‘concepire’), sarà infatti quello di non generare, e di privarsi di quella pienezza e gioia di vivere che pure interpreta come la causa della sua malattia, mai nominata nel romanzo. Maria Concezione è rassegnata, ombrosa, silenziosa e solitaria: infatti la Deledda proietta su di lei una lettura mitologica del cancro al seno in quello che molti ritengono il più autobiografico dei romanzi della Deledda, senza dubbio uno dei più intensi. L'essenza che sottende alla struttura che lo sostiene è il senso di colpa, atavico, vissuto come precetto religioso che si oppone ad ogni pulsione carnale. Come già avvenuto per Elias Portolou la lettura avviene in modo veloce, un lento susseguirsi di azioni, di sguardi, sensazioni ed emozioni. Ma non è il piano narrativo a suscitare l'interesse del lettore, ma gli attori che interpretano la vicenda narrata e la rendono viva, nonostante la morte che aleggia ovunque e che rende quasi palese la sua presenza nella pur totale assenza di consapevolezza da parte di tutti ad eccezione della malata. I personaggi sono i fili colorati che compongono il ricamo, si intrecciano dando sostanza ad un canovaccio che altrimenti sarebbe scarno e anonimo. Lo stile della Deledda è ancora più moderno ed essenziale che in passato: abbandonata quasi del tutto l'ispirazione verista attinge dal decadentismo, ma crea uno stile tutto personale che affonda le radici in un terreno imbibito di religione, ma anche di superstizione, di provincialismo ed egoismo. Ancora una volta descrive la Sardegna per raccontare il mondo, racconta la storia di Maria Concezione per parlare dell'Umanità. L’epilogo rimane aperto al lettore; probabilmente l’autrice proiettò a tal punto se stessa sul suo alter ego narrativo da non poterne stabilire il destino, ma rimane il senso della personalità di una donna fra le più affascinanti della creazione letteraria del nostro Novecento. Va letto, lasciato decantare e come un buon vino d'annata assaporato con calma e pazienza, affinché possa penetrare nel profondo del proprio essere.

  • Casa d'altri

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    Casa d'altri
    Casa d'altri

    Capolavori della letteratura italiana Cos’è Casa d’altri? «Un racconto perfetto» stando all’opinione illustre di Eugenio Montale. Oppure «Il miglior racconto del Novecento italiano» come s’è espressa buona parte della critica. O più umilmente si potrebbe rispondere: «Un’assurda vecchia: un assurdo prete: tutta una assurda storia da un soldo» citando le parole che il protagonista esprime sul finale. Spostandoci a un livello più alto d’astrazione, possiamo definire Casa d’altri il capolavoro di Silvio D’Arzo, oltre che, come definito da qualcuno, il punto di arrivo del suo intero percorso artistico: l’opera a cui aveva dedicato le energie migliori di una breve, travagliata vita, conclusasi per una malattia il 30 gennaio 1952, sette giorni prima che D’Arzo compisse trentadue anni, e pochi mesi prima che la versione definitiva di Casa d’altri venisse finalmente pubblicata. A raccontare la vicenda è un prete che ormai ha perso le ambizioni e le speranze di gioventù ed è relegato al ruolo di “prete da sagre” in un paesino emiliano in cui nulla accade, e la vita degli uomini e delle donne non ha nulla di diverso da quella delle bestie. Si nasce, più spesso si muore, nel mezzo si lavora, si fatica, si impara ad accettare il destino. Dopo l’incontro con la vecchia Zelinda, la sua vita sembra riprendere colore e sarà proprio il suo arrivo nella vita del prete a spezzare il riprodursi costante e sempre uguale dell’esistenza. Ogni giorno il prete va al fiume a osservarla mentre lava i panni, nella speranza di parlarle ancora e sentire cos’ha da dire. La fama di Silvio D’Arzo si consolidò postuma come per altri grandi della letteratura italiana. Ma siamo sicuri che il lettore scoprirà nelle pagine di questo racconto un’intensità e una bellezza difficilmente ritrovabili altrove. L’autore: Silvio D’Arzo, pseudonimo di Ezio Comparoni, nasce a Reggio Emilia nel 1920 ed ebbe un’infanzia e un’adolescenza difficile per essere di padre ignoto. Molto dotato negli studi, a sedici anni ottiene la maturità classica a Pavia, presentandosi come privatista, e nel 1941 si laurea in Lettere presso l'Università di Bologna con una tesi di glottologia sul dialetto reggiano. In vita pubblica un solo romanzo, nel 1942, All'insegna del buon corsiero, ma scrive alcuni fra i più importanti e a lungo sconosciuti e in parte misconosciuti racconti della letteratura italiana del ‘900. Il racconto più importante e significativo è, per l’appunto, Casa d'altri, uscito postumo nel 1953 e che è stato definito da Eugenio Montale «un racconto perfetto». Muore di leucemia a soli 32 anni.

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