Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Maria Montessori, una storia attuale: La vita, il pensiero , le testimonianze
Maria Montessori, una storia attuale: La vita, il pensiero , le testimonianze
Maria Montessori, una storia attuale: La vita, il pensiero , le testimonianze
E-book452 pagine5 ore

Maria Montessori, una storia attuale: La vita, il pensiero , le testimonianze

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Maria Montessori non fu certo una donna comune. Capace di destare le più entusiastiche adesioni e le critiche più malevole, fu oggetto al suo tempo di illazioni, maldicenze, pettegolezzi e, ancor oggi, il suo senso di libertà e le scomode novità del suo pensiero suscitano reazioni contrastanti. Si ripercorrono qui le tappe della sua vita: dagli anni della formazione, segnati dalla difficoltà di essere una delle prime donne medico in Italia, all'esperienza dolorosa della maternità nascosta; dalle lotte femministe, che fondano in lei un nuovo senso di giustizia sociale e una nuova consapevolezza del ruolo della donna, all'impegno a favore dei bambini svantaggiati fino al suo innovativo progetto pedagogico, basato sulla valorizzazione delle risorse e della libertà del bambino, dalla nascita all'adolescenza.
La presente edizione, rivista e aggiornata, accoglie numerose aggiunte, modifiche, correzioni e capitoli nuovi, grazie anche al prezioso contributo della bisnipote di Maria, Carolina Montessori.
LinguaItaliano
Data di uscita25 giu 2018
ISBN9788865802113

Correlato a Maria Montessori, una storia attuale

Titoli di questa serie (20)

Visualizza altri

Ebook correlati

Biografie e memorie per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Maria Montessori, una storia attuale

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Maria Montessori, una storia attuale - Grazia Honegger Fresco

    educativi.

    Prefazione alla terza edizione

    Oggi, quasi dieci anni dopo la II edizione, ci troviamo di fronte a un rinnovato interesse per Montessori e per il suo metodo salvifico. Si aprono classi elementari senza aver prima organizzato una Casa dei Bambini, si raccatta frettolosamente qualcuno di quei suggerimenti che abbondano in rete per poter affermare qui si fa Montessori. Mi auguro con questa nuova edizione, in cui racconto onestamente di lei e delle sue proposte per ogni fase dello sviluppo, di far chiarezza su tali fraintendimenti, oltremodo rischiosi per il benessere dei bambini.

    Molti ritengono che l’improvviso interesse per le proposte Montessori sia nato dallo sceneggiato sulla sua vicenda mandato in onda da Mediaset nella primavera del 2007: due puntate davvero deludenti. Certo, un racconto televisivo non può trasformarsi in una trattazione pedagogica e tuttavia in quel caso si è accordato troppo spazio a intrecci fantasiosi, a stucchevoli sentimentalismi del tutto estranei al personaggio, a improbabili rapporti con la famiglia Montesano o con il fascismo, senza impegnare almeno una o due scene per far capire il valore delle sue innovazioni. In effetti si tratta di una telenovela che avrebbe potuto avere come protagonista qualsiasi altra donna agli inizi del Novecento.

    Per quale motivo sia diventata famosa in tutto il pianeta, dalla fiction non si capiva: tutto restava confuso, un po’ miracolistico. Allora nessuno sulla stampa nazionale avanzò dubbi circa la veridicità di quel racconto; qualcuno, piuttosto, colse la palla al balzo per presentare Montessori come un’ambigua seguace di ideologie non cristiane, tra teosofia e massoneria, sostenitrice di teorie positiviste e ammiratrice di Mussolini, come a dire: Non fidatevi di lei, perché sotto le sua parole si nasconde un pensiero pericoloso, perfino esoterico.

    Più di recente è stata accreditata di lei un’immagine di pedagogista rigorosamente cristiana, magari a scapito della grande attenzione che prestò a tutte le altre espressioni della fede religiosa. Certo, fatti e idee possono essere visti in modi diversi e tutti legittimi, ma procedere a forza di interpretazioni ideologiche non giova alla causa dei bambini e della scuola, tuttora ferma a modelli ottocenteschi (basati su premi e castighi, giudizi e gare fin dalla primissima infanzia), resistente a ogni sostanziale cambiamento.

    In questa, come nelle precedenti edizioni, ho cercato di attenermi a fatti documentati, mai congetturando, né interpretando.

    Si troveranno aggiunte, correzioni, capitoli nuovi, il tutto nato da ulteriori ricerche e contatti.

    Senza mai escludere la possibilità di errori involontari, posso affermare che la poliedrica personalità di Montessori e la sua apertura mentale offrono di continuo nuove opportunità di approfondimento.

    Sigle utilizzate nel presente testo

    Il simbolo indica organizzazioni non più esistenti.

    • AIM = Scuola Assistenti all’Infanzia Montessori – Roma

    AMI = Association Montessori Internationale – Amsterdam

    AMS = American Montessori Society – New York

    ANIMI = Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia – Roma

    • BES = Bureau International de l’Éducation.

    CEIS = Centro Educativo Italo-svizzero Remo Bordoni– Rimini

    CEMEA = Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva

    CESMON = Centro Studi Montessoriani – Roma

    CISM = Centro Internazionale Studi Montessori – Bergamo

    CNM = Centro Nascita Montessori – Roma

    GAM = Gonzaga Arredi Montessori – Gonzaga (MN)

    LUMSA = Libera Università Maria Santissima Assunta – Roma

    MCE = Movimento Cooperazione Educativa – Italia

    NAMTA = North American Teachers Association

    • NEF = New Education Fellowship

    OMEP = Organization Mondiale pour l’Éducation Préscolaire

    ONM = Opera Nazionale Montessori – Italia. Nel testo: l’Opera

    QI = Quoziente d’Intelligenza

    UDI = Unione Donne Italiane – Roma

    1. Premessa

    Molte volte mi sono avventurata a tracciare note biografiche su Maria Montessori, la cui filosofia di vita e le cui realizzazioni hanno permeato la mia vita professionale e la mia visione della realtà, ma a distanza di tempo, avendo instancabilmente continuato a cercare nuovi documenti e dati, ho dovuto constatare imprecisioni che qui, grazie anche all’aiuto di Carolina Montessori, ho con piacere corretto, avvalendomi, come sempre, di ulteriori fonti e testimonianze.

    La vita di Maria Montessori, pur nella sua linearità, ha molteplici aspetti nascosti, anche a causa del suo continuo viaggiare. Nel corso della sua esistenza ha abitato in diverse città, visitato numerosi paesi, raccogliendo amici e allievi ovunque, lasciando segni della sua esistenza in luoghi e persone diverse, non sempre facili da collegare. L’impegno da lei posto nel seminare i risultati delle sue scoperte ha finito per nascondere – e in certo modo negare – gli anni luminosi della formazione, coincisi con le lotte femministe e con l’esperienza dolorosa della maternità, segnati da un nuovo senso di giustizia sociale e dalla nuova consapevolezza circa il ruolo della donna. Il soffocante perbenismo del tempo ha considerato disdicevoli alcune sue esperienze, al punto da costruire intorno alla sua figura una sorta di leggenda.

    La prima volta in cui mi venne proposto questo lavoro ricorrevano cento anni dall’apertura della prima Casa dei Bambini. Accettai con piacere, decidendo di riportare solo notizie documentate o certe, reperite in articoli, lettere, fotografie dell’epoca, riferite da testimoni fidati o da me personalmente vissute. L’intenzione è stata quella di restituire di Maria Montessori un’immagine tersa, spogliata dei toni agiografici, che non le si addicono, eppure comuni a molte biografie, e di gratuite interpretazioni, tutt’altro che rare. Nelle lettere ad alcune allieve da me conosciute – Anna Maria Maccheroni, Adele Costa Gnocchi, Giuliana Sorge, Maria Antonietta Paolini – Maria ha sempre alternato a un tono confidenziale o leggermente ironico una sorta di distacco dalle cose, tutta protesa com’era verso il futuro, con il pensiero orientato alla causa dei bambini e dei ragazzi, al benessere dell’umanità intera attraverso il riconoscimento dei diritti della «lunga infanzia umana».

    Maria Montessori l’abbiamo vista sui francobolli, sulle monete da duecento e sui biglietti da mille ai tempi della lira a guisa di una vecchia gloria nazionale, di un santino di carta ormai consegnato alla storia. Un modello superato, si sente dire, che paradossalmente ora fa gola a molti a fronte di una scuola che programma, addestra, assegna compiti, riempie a dismisura il tempo degli allievi di ogni età, sprona di continuo alla competizione e obbliga a socializzazioni forzate mentre svaluta le individualità. Una scuola che giudica senza mai giudicarsi, che non prepara i docenti all’autocritica. Un sistema, insomma, in cui il bambino, il ragazzo, l’adolescente non vengono presi in considerazione con i loro specifici bisogni di crescita e le loro differenze individuali, ma trattati alla stregua di vasi vuoti da riempire oppure superprotetti e accontentati al punto da farne tiranni sempre scontenti. Quando troveremo noi adulti la giusta misura?

    Non sono mancate, dal secondo dopoguerra in poi, esperienze che hanno proposto strade educative diverse: i CEMEA, nati in Francia nel ’36 e conosciuti anche nel nostro Paese, il CEIS di Rimini, Scuola-Città Pestalozzi a Firenze o le classi realizzate da Mario Lodi e da don Milani. Pur molto celebrate, sono tuttavia rimaste casi isolati e non hanno inciso sul consueto modo di far scuola. Neppure Dewey, fatto conoscere nel secondo dopoguerra da quell’eccellente maestro che è stato Lamberto Borghi, tantomeno Freinet con il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) – nome di per sé minaccioso per il quieto vivere – hanno trovato ascolto concreto nelle facoltà di pedagogia e negli istituti magistrali¹.

    Ricordo un ispettore scolastico che nei primi anni Settanta, a proposito dello schedario autocorrettivo e del giornale stampato dai ragazzi in uso nelle classi attive, negava il fatto che essi stessi potessero controllare senza imbrogli i risultati raggiunti o che riuscissero a scoprire i misteri dell’ortografia che altrove incuteva tanta soggezione, maneggiando personalmente i caratteri tipografici. Sfiducia, paura della libertà e diffidenza verso forme di apprendimento che generano diletto².

    A maggior ragione tutti questi pregiudizi dovevano valere per una figura tanto impertinente quanto la Montessori³! Intanto una donna. E poi una donna medico, che credeva di avere qualcosa da insegnare ai pedagogisti di professione, che studiava gli oligofrenici e pretendeva di applicare gli stessi metodi ai bambini normali, che aveva copiato dalle sorelle Agazzi, che si era arricchita grazie ai materiali sensoriali e alle sue scuole per i figli dei benestanti, che non si capiva bene se fosse di destra o di sinistra. Positivista, femminista, massona, teosofa, fascista, cattolica. Sostenuta, di volta in volta, dalla politica o dai poteri forti. Madre nubile che aveva abbandonato il proprio figlio per dedicarsi ai bambini degli altri e scienziata autoreferenziale, gelosa delle proprie idee. Viste con sospetto prima dai filosofi idealisti del suo tempo, più tardi dal movimento delle scuole attive, le sue proposte educative, pur ricevendo episodici apprezzamenti dalla Chiesa cattolica, si sono diffuse soprattutto in paesi di tradizione protestante, e persino tra indù, sikh e shintoisti, così come in moltissime scuole laiche.

    Ai suoi tempi è stata oggetto di continue illazioni e maldicenze e tuttora disturba il suo spiccato senso di libertà, la novità scomoda di un pensiero che esige dagli adulti un atteggiamento educativo profondamente mutato. Perciò, a seconda dei casi, si è detto che dà troppa libertà, oppure, al contrario, che è troppo rigida o che il suo metodo non sviluppa la fantasia e non è adattabile ai tempi che cambiano. È vero che difese strenuamente l’integrità del proprio lavoro: non voleva che venisse intaccato da alcun compromesso, né trasformato in un lucroso affare. Altri si sono arricchiti grazie al suo nome o lo hanno strumentalizzato per fini diversi.

    Anche sulla sua vita personale – della quale non si sa molto, essendo sempre stata improntata a grande riservatezza – si è scritto con grande disinvoltura o addirittura inventando⁴.

    Non meno infondata è la posizione di chi la considera un fossile in campo pedagogico, oscurando a priori il contenuto rivoluzionario delle sue strategie operative, realizzate in innumerevoli scuole di tutto il mondo, ma che da noi non trovano spazio a causa del diffuso scetticismo e di resistenze culturali nei confronti dell’autocritica e della libertà di pensiero. Alle ragioni storiche, politiche, ideologiche vanno sommati il peso opprimente della burocrazia e la responsabilità di chi in Italia, usando il suo nome per iniziative di facciata, ha affrettato la scomparsa di scuole Montessori pubbliche e private scoraggiando perfino la diffusione dei corsi di formazione per educatori e per insegnanti.

    Oggi, nel nostro paese, istituzioni serie che accolgano ragazzi di età compresa tra i tre e i dodici anni secondo la formula montessoriana si contano sulle dita. Diversamente solo negli Stati Uniti e in Canada ne esistono a decine, per non parlare delle tante pubblicazioni, dei bollettini, delle riviste per genitori, dei corsi di formazione per adulti che applicano il Metodo nelle varie fasce d’età e per direttori e amministratori di scuole Montessori. Anche in vari stati europei (Francia, Germania, Belgio, Gran Bretagna, Spagna, Olanda, Svezia, Norvegia) o extra-europei (Australia, Hong Kong, Messico, Ecuador, Brasile, Cile, Marocco, Sudafrica, Tanzania, India) esistono scuole Montessori di ogni ordine e grado, molte delle quali coprono la fascia dai due o tre anni fino ai quindici, utilizzando spazi contigui al fine di valorizzare al massimo l’interazione tra le varie età, le differenze – incluse quelle di bambini con difficoltà – e la molteplicità degli interessi. Gran parte di queste istituzioni è privata e non sempre solo per ricchi; non mancano del resto scuole pubbliche, anche secondarie. In Giappone, dove il percorso scolastico è altamente competitivo, da poco sono comparse scuole per fanciulli dai sei ai dodici anni, mentre alcune Case dei Bambini iniziano a diffondersi persino in Cina e in Corea⁵. Da noi, con grande meraviglia degli stranieri, sono ancora poche o mal fatte, a partire dalla quella storica di via dei Marsi 58 – la prima a San Lorenzo – che un attento studioso a Montessori come Raniero Regni ha definito la Pompei della pedagogia.

    Negli USA sono ormai numerosi gli studi sui risultati raggiunti all’interno di queste istituzioni⁶ e ampia è la circolazione delle opere della Montessori, non solo di quelle più note, ormai veri e propri classici (in Italia quasi tutte edite da Garzanti e purtroppo non sempre reperibili), ma anche degli scritti minori, discorsi pronunziati in diverse occasioni o rielaborazioni dei corsi da lei tenuti in India o in altri paesi di lingua inglese e mai tradotti in italiano.

    In varie università nord-americane ed europee l’offerta formativa Montessori viene studiata per il suo contenuto profondamente innovativo, mentre in Italia, dove questa avventura educativa ebbe origine, lo spazio a lei riservato si riduce a poche pagine nei manuali di storia della pedagogia. Unica eccezione è il CESMON creato da Clara Tornar all’Università di Roma Tre.

    Il percorso educativo di Maria Montessori, avviato all’inizio del Novecento in una piccola stanza nel quartiere popolare romano di San Lorenzo, poi chiamata Casa dei Bambini, si è dilatato fino a proporre, in condizioni e culture diversissime, una nuova immagine di bambino e poi di ragazzo: non più recettore passivo di saperi vecchi o nuovi ininterrottamente ruminati da generazioni di adulti, ma individuo appassionato e responsabile verso se stesso e verso gli altri.

    Il 6 gennaio 2007 sono trascorsi cento anni da quella prima, illuminante esperienza.

    È con la piena avvertenza del peso di questa storia secolare che cercherò qui di ripercorrere le tappe più significative dell’impegno che Montessori sentì di dover assumere compiendo, per usare le parole di John Dewey, una «nuova rivoluzione copernicana»: rendere motore dell’educazione non più l’adulto, ma il bambino stesso con la sua capacità autoformativa, allevato in un ambiente di vita radicalmente trasformato, in cui è rovesciato il comune modo di intendere la relazione tra genitore e figlio, tra maestro e allievo, per riuscire a trovare il punto di partenza per la costruzione di un’umanità meno feroce.

    2. Ricordi d’infanzia e di famiglia

    Il 1870 è un anno di forti cambiamenti in tutto il mondo: in Europa infuria la guerra franco-prussiana che porterà alla caduta di Napoleone III e alla restaurazione della repubblica in Francia; in Austria e in Inghilterra si approvano leggi per la laicizzazione dello Stato, nel primo caso con l’introduzione del matrimonio civile, nel secondo con la nascita delle scuole comunali dalle quali è bandita qualsiasi istruzione religiosa; negli Stati Uniti il Congresso approva il XV emendamento in base al quale il diritto di voto non può essere inibito da motivi di razza o di colore della pelle. Per quanto riguarda il nostro paese, le truppe italiane entrano a Roma attraverso la breccia di Porta Pia ponendo fine al potere temporale dei papi. Pio IX, l’ultimo papa-re, non oppone resistenza militare, lascia il Quirinale e si rifugia in Vaticano. Il 2 ottobre con un plebiscito la città è proclamata capitale.

    Nel 1870 le Marche – la regione in cui ha inizio la nostra storia – fanno parte del Regno d’Italia già da una decina d’anni, ma i grandi eventi politici lambiscono appena la vita delle tranquille località di provincia come Chiaravalle, cittadina a pochi chilometri da Ancona. Qui, il 31 agosto di quell’anno, nasce la prima e unica figlia di Renilde Stoppani e Alessandro Montessori. Tre giorni dopo verrà battezzata nella chiesa di Santa Maria in Castagnola – la semplice, armoniosa abbazia risalente al dodicesimo secolo – con i nomi di Maria Tecla Artemisia, gli ultimi due ereditati dalle nonne.

    È il padre stesso a raccontarlo nelle scarne «notizie sulla nascita e sviluppo fisico e intellettuale» della figlia da lui scritte molti anni dopo. Sono semplici fogli vergati con una grafia nitida, inclinata, come si usava allora¹. Da lui sappiamo che, malgrado un travaglio lungo e sofferto, assistito dall’«allevatrice e altre donne conoscenti», la neonata ha un «aspetto di robustezza e salute».

    Alessandro, nativo di Ferrara, aveva potuto studiare in tempi di arretratezza e di povertà inimmaginabili, diventando prima impiegato di concetto nelle saline di Comacchio, poi ispettore nel settore dei tabacchi per conto del ministero delle Finanze del nuovo stato unitario. In anni giovanili aveva preso parte alle campagne risorgimentali, esperienza che aveva segnato il suo pensiero e il suo stile di vita. A metà degli anni Sessanta venne inviato a Chiaravalle con mansioni di sovrintendenza. Nella zona agricola circostante, oltre a olivi, vite, grano, si coltivava tabacco e c’era una o forse più fabbriche che operavano nella raccolta, essiccazione delle foglie e preparazione dei prodotti da fumo. È in questa cittadina che Alessandro – baffi neri ed espressione risoluta, come ce lo mostra un vecchio dagherrotipo – incontra Renilde Stoppani, originaria di Monsanvito², paesino a cinque chilometri da Chiaravalle, dove il padre di lei, Raffaele, possedeva probabilmente alcuni terreni.

    Vivace, graziosa, di media cultura – pregio raro nelle donne di ambiente contadino – appassionata lettrice, Renilde ha in comune con il marito una certa osservanza cattolica e, al tempo stesso, quella sintonia con gli ideali risorgimentali che giò denotava una discreta autonomia di pensiero. Insieme formeranno una famiglia modesta ma decorosa non priva di aspirazioni culturali.

    Una parentela improbabile

    Renilde aveva un cognome importante, lo stesso del celebre abate Antonio Stoppani, uno dei più brillanti studiosi dell’epoca, oggi considerato il padre della geologia italiana: paleontologo, conoscitore delle Alpi (fu tra i fondatori del CAI), in particolare del territorio brianzolo e lecchese. Nato a Lecco il 15 agosto 1824, Stoppani entrò nell’Istituto della Carità, la congregazione religiosa fondata da Antonio Rosmini, e divenne prete nel 1848. Tale scelta non gli impedì di partecipare insieme a altri chierici, a pochi mesi dall’ordinazione, alle Cinque Giornate di Milano. In quell’occasione progettò palloni gonfiati di aria calda, di fatto piccole mongolfiere che, lanciate dalla città, attraversavano le linee nemiche portando notizie dell’insurrezione alle campagne lombarde e incitando la popolazione rurale a sollevarsi. Nel 1861 era già docente all’Università di Pavia e al Politecnico di Milano. Per nove anni, dal 1883 fino alla morte – sopraggiunta nel giorno di Capodanno del 1891– fu direttore del Museo civico di Storia naturale del capoluogo lombardo, ospitato nei locali di Palazzo Dugnani, uno storico edificio situato al centro dei giardini pubblici di corso Venezia. Scrisse moltissimo: opere scientifiche (rielaborazioni dei corsi di geologia che teneva nelle università, quattro volumi di paleontologia scritti in francese per diffondere anche all’estero i suoi studi) e vari testi divulgativi. Tra questi il più noto è senz’altro Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia (1876) che evocava nel titolo la suggestiva espressione usata da Dante e da Petrarca. Il libro, destinato ai giovani, ebbe un immediato successo e gli guadagnò una grande notorietà che valicò i ristretti circuiti scientifici, rendendo popolare il suo nome nelle famiglie e nelle scuole. Profondamente religioso, Stoppani sostenne le ragioni di una ricerca libera e affrancata da precomprensioni confessionali, i cui esiti non minacciavano la credibilità delle Sacre Scritture nell’ordine spirituale che loro competeva. Nacquero, così Il dogma e le scienze positive (1882), Gli intransigenti del 1886 e il denso Sulla Cosmogonia mosaica, uscito nel 1887 con regolare imprimatur. Non cita le teorie darwiniane, decisamente troppo distanti dal suo orizzonte di senso, ma nei suoi libri ricorrono i nomi di Galileo, Newton, Cuvier, non certo graditi agli accigliati custodi dell’ortodossia cattolica.

    L’equilibrio dimostrato nell’affrontare la spinosa questione del rapporto tra scienza e fede gli valse la stima di Leone XIII che nel marzo 1879 lo ricevette in udienza privata per ringraziarlo dei volumi di cui l’abate gli aveva fatto omaggio. In quell’occasione il Pontefice gli donò una medaglia d’oro commemorativa del suo pontificato³ e gli confidò di aver letto con particolare interesse La purezza del mare e dell’atmosfera fin dai primordi del mondo animato⁴, opera giudicata una delle più belle […] che uscirono dalla magica penna di Antonio Stoppani⁵. È un testo del 1875, tuttora godibilissimo che contempera abilmente rigore scientifico e attitudine divulgativa e formula ipotesi che la scienza moderna ha compiutamente dimostrato. Questo libro affascinerà Maria Montessori, come si legge nella sua Antropologia pedagogica. Ne riprenderà taluni concetti in Dall’infanzia all’adolescenza e in Come educare il potenziale umano (entrambi usciti in Italia solo nel 1970) che presentano innovative proposte didattiche per introdurre i ragazzi della seconda infanzia a una visione globale (cosmica) del pianeta. Descrive le forze distruttive e costruttive che lo attraversano e insieme il ruolo della biosfera, il compito di ciascuna specie vegetale e animale a partire dalla loro struttura corporea, la capacità di adattamento agli ambienti più diversi, la cura della prole e le catene alimentari per il mantenimento dell’equilibrio generale.

    Spesso si afferma che l’abate Stoppani fosse zio di Renilde o magari un parente meno prossimo, ma è cosa dubbia data la sua nascita a Lecco. A prescindere dalle coordinate geografiche, è difficile credere che di tale legame non si sia conservato alcun oggettivabile riscontro. Già circa trent’anni addietro il sociologo Nedo Fanelli, allora direttore del Centro Studi Maria Montessori di Chiaravalle, si era impegnato in un’approfondita indagine sulla famiglia d’origine dell’illustre marchigiana⁶, senza approdare ad alcun risultato dirimente. C’è poi chi invece continua a dar credito a questa ipotesi, riferendosi senz’altro a lui come a uno zio materno della scienziata⁷ sulla scorta di una discutibile interpretazione di quanto affermato dalla stessa Montessori. Durante il Convegno delle Donne Italiane tenutosi a Milano nel 1908, la scienziata, rivolgendosi a un folto uditorio, menzionò uno zio"… che quando cercavo di spiegargli l’opera sublime dello spontaneo sviluppo dell’uomo, mi diceva: Non mi raccontare di queste cose, perché mi sento d’impazzire. È poco credibile, però, che un uomo di scienza come Stoppani avesse bisogno di essere illuminato dalla nipote su argomenti che dovevano essergli assai più familiari e che per essi mostrasse un tale fervoroso entusiasmo. In ogni caso non esiste prova di un incontro tra l’abate e la giovane Maria.

    La famiglia paterna

    Grazie al manoscritto di Alessandro e ai suoi «ricordi uditi in gioventù» possiamo ricostruire una sorta di albero genealogico che risale ai primi del Settecento. Quattro fratelli Montessori, forse nativi di Correggio, provincia di Reggio Emilia – «un ecclesiastico, un militare e due borghesi» – erano titolari a Ferrara di un appalto per la fabbricazione di tabacchi. Dei loro nomi Alessandro ricorda solo quello di Domenico, nato a Modena ma «capostipite del ramo di Ferrara»: il suo bisnonno. Il contratto per la fabbrica era stato stipulato sotto il pontificato di Clemente xiii, dunque tra il 1758 e il 1769. Domenico, amministratore avventato dei beni di famiglia, era morto all’improvviso, lasciando in gravi difficoltà economiche i suoi figli che vennero però aiutati dagli zii. A Giovanni, unico nome della seconda generazione ricordato, in quanto nonno dello scrivente, fu assegnato intorno al 1810 un impiego nella fabbrica ferrarese dei tabacchi. Sposatosi con Artemisia Verdolini, mise al mondo due figli, entrambi nati a Modena: Giulio Cesare ed Ercole Nicolò o Nicola (1796-1874). Quest’ultimo, dopo la morte della prima moglie, si risposò con Teresa Donati e con lei andò a vivere a Bologna. Saranno i nonni Nicola e Teresa i due sàntoli al battesimo di Maria. I figli di Nicola, entrambi di Ferrara, sono Giovanni (avrà tre figli, due femmine e un maschio, Tito, sposato a una donna malata e sterile) e Alessandro, che avrà una sola figlia, Maria. Il ramo di Ferrara finisce dunque qui. Assolutamente inventate, quindi, le nobili origini di cui qualcuno parla⁸. L’elenco di Alessandro si conclude con la frase: «Maria Montessori nata a Chiaravalle nel 1870, nubile. Dottore in Medicina e Chirurgia e Prof. di Scienze Naturali».

    Le notizie sull’infanzia della figlia sono egualmente scarne, anche se raccolte fin dalla nascita. A ogni compleanno il padre annota l’altezza: ottantotto centimetri a tre anni; un metro e nove centimetri a cinque; uno e cinquantotto a sedici. Intorno ai sette mesi dice mamma e papà, a undici cammina da sola; tra i sedici e i diciannove sa spiegare ciò che vuole e conosce «una quantità di nomi di persone, animali e oggetti». A due anni ha già messo venti denti. Uno sviluppo del tutto nella norma: una bambina sana con genitori vigili e moderni, come dimostra quest’altra annotazione:

    Il 30 aprile 1871 nella sala del corpo di guardia della Guardia Nazionale di Chiaravalle le fu inoculato il vajolo dal chirurgo Dott. Arcangeli Adriano, estraendo il pus da una vitella che a tale effetto alcuni giorni avanti era stata innestata. Otto giorni dopo il vajolo si manifestò vigorosamente in ambo le braccia⁹.

    Nel febbraio del 1873 Alessandro viene trasferito a Firenze dove si trattiene con la famiglia circa due anni. Di questo soggiorno toscano il padre non racconta nulla, salvo che il primo ottobre Maria «cominciò a frequentare la scuola» (non dice quale): i genitori temevano che «pel suo carattere vivace e indipendente» non si sarebbe abituata, mentre la bambina dimostrò capacità di adattamento. Il 2 novembre del 1875 la famiglia trasloca di nuovo, da Firenze a Roma, perché il padre ha ottenuto un impiego più prestigioso e la bambina viene iscritta alla scuola preparatoria comunale di Rione Ponte, non lontano da Campo de’ Fiori. Dal primo marzo 1876 Maria entra in un’altra scuola comunale in via San Nicolò da Tolentino, nei pressi di piazza Barberini, dunque in tutt’altro quartiere. È facile immaginare che i Montessori fossero andati ad abitare da quelle parti. È il padre che accenna a questo cambiamento. Può anche darsi che avessero deciso il trasloco in una zona meno popolare della città e che proprio questo fatto avesse determinato la scelta della nuova scuola.

    Un’infanzia serena e protetta

    Che bambina sarà stata Maria Montessori? Potremmo forse immaginarla – anche in base all’affermazione paterna sopra citata – come una ragazzina di quelle che a Roma vengono chiamate peperine: vivace, curiosa, avida di sapere. Il percorso degli studi elementari, tuttavia, non sembra molto brillante, anche a causa di qualche transitorio problema di salute e di una lunga rosolia. A scuola però va volentieri e si lega affettuosamente alle compagne. Comincia a studiare il francese e il pianoforte, ma li abbandona presto. Intorno ai dieci, undici anni – è sempre Alessandro a raccontarlo – lo studio comincia ad appassionarla, ostacolata a volte da forti emicranie serali. Nel maggio del 1884 diventa «donna, senza soffrire gravi disturbi».

    Tra le carte del Fondo Giuliana Sorge sono stati trovati alcuni fogli protocollo – quattordici pagine ricoperte da una scrittura assai fitta – che Maria scrisse tra il 1904 e il 1907, nei quali sottopone a un’analisi decisamente impietosa i sentimenti, i desideri e le delusioni che animarono il suo animo di ragazza. Si sofferma sulla sua grande passione per l’arte drammatica mostrata fin da piccola:

    Il mio gioco era il teatro. Se mi accadeva di veder recitare, io imitavo con grande vivezza: mi investivo delle parti fino a impallidire o a singhiozzare e piangere recitando cose fantastiche. Inventavo piccole commedie, improvvisavo argomenti; raffazzonavo vestiari e scene. A scuola non studiavo affatto: lo studio non mi interessava in nessuna sua branca. Non studiavo mai la lezione e poco stavo attenta alle maestre organizzando in tempo di lezioni dei giochi, delle commedie. Non mi interessava passare alle classi superiori.

    Grazie alla sua immaginazione eccelleva nei componimenti e riusciva a nascondere le sue lacune, per esempio in grammatica o in matematica.

    Non capivo le operazioni aritmetiche e per molto tempo ho scritto i risultati mettendo cifre fantastiche, le prime che mi venivano in mente. Scrivevo bene ma a orecchio e sapevo leggere bene: leggevo con anima tale che facevo piangere gli altri e spesso la maestra riuniva più classi per sentirmi. Se c’era da recitare qualche cosa, bastava una prova ed ero pronta a meraviglia.

    Maria chiede al padre di poter frequentare una scuola di declamazione per signorine: egli accetta e «si sacrifica» – suscitando in lei molta gratitudine – perché ve l’accompagna «tutte le sere, persino nei giorni di festa»¹⁰. Gli insegnanti della scuola si complimentano con lei.

    Cominciarono a sedurmi, facendomi vedere che avrei avuto un grandioso avvenire di gloria nel teatro. Ma io pure lo sentivo: ero nata per quello e quella era la mia passione. A 12 anni avevo fatto tali progressi che ero pronta per il debutto in teatro in una prima parte. Intorno a me i maestri erano ansiosi, le compagne di scuola ammirate: ero il centro dei loro affetti […]. Questa complessa seduzione di esortazioni e di successi ebbe sull’anima mia un effetto strano: fu un momento solo e vidi che realmente andavo incontro a una gloria, a patto che mi fossi tolta alla seduzione del teatro.

    Così da un giorno all’altro rinunzia a tutto, alle amicizie, ai vecchi sogni e si dà «agli studi severi», a cominciare dall’aritmetica. Lei stessa riconosce come sua

    caratteristica la capacità di abbandonare improvvisamente le cose alle quali sembravo più unita – per le quali avevo compiuto sacrifici anche eroici […], addii repentini, fughe improvvise, mutamenti istantanei, vere rotture complete, fatali distruzioni che nessuno e nulla poteva rimediare […] era come sospesa ogni mia comunicazione con gli altri umani, fossero le persone più strette di famiglia, le più care […]. Ma perché io agisco così – così da farmi nemici, da farmi detestare, mentre tutti tendono a corrermi incontro, ad amarmi e io sento così profondo e sconfinato amore da poter abbracciare tutta l’umanità?

    Nel febbraio del 1884 si apre a Roma una scuola governativa femminile, la Regia Scuola Tecnica Michelangelo Buonarroti: Maria è tra le prime dieci alunne a entrarvi, appassionandosi, sembra, soprattutto alle lettere. La frequenta fino al 1886 quando ottiene, con una votazione di 137 su 160¹¹, «la licenza e il premio di primo grado».

    In un altro dei suoi rari scritti autobiografici, da lei intitolato La Storia¹² si legge:

    Giovinetta verso i 14 anni, [andai] in una scuola secondaria maschile, appunto perché per le donne non c’erano altre vie aperte che quelle dell’educazione che non mi attraevano. Così, arrampicandomi per vie incerte, iniziai i miei studi di matematica, con l’intenzione primitiva di diventare un ingegnere,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1