L'osteria sul torrente
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L'osteria sul torrente - Enrico Morovich
Enrico Morovich
L’osteria sul torrente
Fuori dal coro
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info@kkienpublishing.it
www.kkienpublishing.it
Prima edizione digitale: 2015
In copertina: progetto grafico di KPI
ISBN 978-88-99214-715
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Indice
Enrico Morovich o dell’imprevedibile normalità degli uomini
L’osteria sul torrente
II leprotto
Nel bosco
Il portafogli
Volo di corvi
Lo zingaro
Un giovine cane
I mendicanti
Incendio alla stazione
Enrico Morovich o dell’imprevedibile normalità degli uomini
Cristina Tagliaferri
Enrico Morovich, nato in un sobborgo di Fiume (Pecine, Sussak, 1906 – Lavagna, 1994) all’epoca dell’impero austroungarico da padre dalmata e da madre veneta di origini piemontesi e savoiarde, si affacciò al mondo letterario alla fine degli anni Venti, grazie a timidi contatti avviati con lo scrittore e giornalista Alberto Carocci. Questo prima che gli eventi storici lo portassero – con un certo ritardo rispetto alla maggior parte dei suoi conterranei – a lasciare il paese natale nel 1950 per emigrare come profugo a Napoli, quindi a Lugo di Romagna, Pisa, Forte dei Marmi, Viareggio, stabilendosi infine nel 1958 a Genova come funzionario del Consorzio del Porto. Vi risiederà fino al 1990, trascorrendo gli ultimi anni di vita a Chiavari.
Nonostante la fervida produzione narrativa, il clima di impegno politico del secondo dopoguerra lo condannò a un lungo oblio, interrotto solo da un intervento di Leonardo Sciascia su «Tuttolibri» a metà degli anni Ottanta, quando la grande editoria nazionale riprese a pubblicare i suoi lavori, fino a quel momento divulgati da piccoli editori genovesi (Unimedia, Compagnia dei Librai, Lanterna, San Marco dei Giustiniani), mentre l’interesse da parte della critica stava divenendo sempre più intenso.
Al periodo degli esordi, variamente orientato in direzione del racconto interiore, del misterioso, della «regionalità» di un mondo popolare connotato nei suoi tratti caratterizzanti, risalgono quei titoli che comporranno il libro L’osteria sul torrente, pubblicato nel 1936 dalla tipografia Parenti per le edizioni di «Solaria». Fu proprio l’annessione di Morovich alla rivista diretta da Carocci (aperta a quella cultura ‘di confine’ di cui Saba, Svevo e Slataper erano i maggiori rappresentanti) e alla «Fiera Letteraria» di Umberto Fracchia, nonché la successiva collaborazione ad altri importanti periodici stampati a Firenze negli anni Trenta («La Riforma Letteraria», «L’Orto» e «Rivoluzione»), a garantirgli una certa notorietà come ‘favolista nato’: lui che diplomatosi ragioniere trovò presto lavoro in qualità di impiegato presso la sede fiumana della Banca d’Italia e poi ai Magazzini Generali della città.
Il leprotto, primo in ordine di tempo fra i racconti pubblicati dall’autore, venne ospitato dalla «Fiera letteraria» nel numero del 31 marzo 1929. Incisivo ed essenziale nella minuta ricostruzione di un episodio boscaiolo, presumibilmente ambientato nei dintorni di Fiume, quanto crudo e cinico nell’epilogo in cui la povera bestia viene brutalmente aggredita dall’operaio mosso nient’altro che da un istinto atavico di fuga e di sopraffazione insieme, prima che un compagno di costui, sopraggiunto in prossimità del fatto, provveda a compiere l’atto che del leprotto decreta l’inesorabile fine. Già in questo scritto Morovich, che fra il 1929 e il 1930 si ammalò seriamente di una malattia nervosa forse mai definitivamente risolta, pare affidare ad alcuni suoi personaggi il compito di sfogare i propri impulsi, come ben più compiutamente e con altri intenti narrativi accadrà nel romanzo Il baratro (1964).
Il racconto L’osteria sul torrente, apparve invece su «Solaria» nel numero di maggio-giugno 1930 col titolo L’osteria di Simeone, confermando – rispetto a un piccolo gruppo di prose anticipate allo stesso Carocci – la predisposizione dell’autore per la descrizione dei caratteri e dei comportamenti umani attraverso l’attenta osservazione dei gesti e l’essenzialità dei dialoghi, bilanciata da una sicura ricchezza inventiva.
Entrambi gli scritti sono dominati dalla presenza di un topos tipicamente moroviciano, il bosco: vera e propria metafora del labile confine fra bene e male, configurandosi come una dimensione rassicurante, per la tranquillità che esso può offrire, e nel contempo potenzialmente rischiosa, secondo un motivo di illustre ascendenza letteraria.
Nel bosco è il titolo del racconto destinato ancora alle pagine della rivista fiorentina, nel numero del marzo 1932, in cui il fiumano affronta con la consueta incisività un tema più articolato nel suo svolgimento temporale e più drammatico nel suo sviluppo, conferendo allo spazio popolato di alberi, e al suo inequivocabile fascino, il potere di condizionare i pensieri del protagonista nonché l’esito della vicenda, anticipato dalla prospettiva onnisciente del narratore:
Marco s’era messo in cammino di buon umore. L’incarico era lieve. Godeva la libertà mirando i folti boschi salire sui ripidi fianchi dei monti e pensava che forse era meglio guardarli che trovarcisi dentro. Bella cosa avere un po’ di quattrini e non dover lavorare. […]
Venuto nel bosco nella speranza (se saputa dagli altri avrebbe suscitato le risa) di correggersi o per lo meno di migliorare e com’era naturale con l’idea di far quattrini: a qual pro risparmiare s’era chiesto dopo pochi giorni di lavoro. E divenne il miglior cliente dell’oste, l’unico a lasciargli la paga fino all’ultimo centesimo, a mettersi a letto ogni sera mezzo ubbriaco, ubbriaco del tutto da sabato notte a lunedì mattina: e che peso alzarsi per andare al lavoro.
Appena il sole cominciò a scottare gli fu faticoso il cammino. Volentieri avrebbe infilato il sentiero, tanti ne partivano dalla strada scendendo nei boschi ombrosi: ma quale scegliere? Se non avesse trascorso le domeniche in modo così pigro e sciocco avrebbe potuto girare la regione e conoscerla un poco. Gli vennero in mente giorni dell’infanzia in cui certo il sole non lo stancava e pensando a come s’era sciupato inutilmente nella giovinezza ebbe rimorso a cui seguirono buoni propositi.
I luoghi che compongono queste prime ambientazioni, spesso rivisitati in sogno, sono reali e identificabili con