Stella mattutina
Di Ada Negri
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Anteprima del libro
Stella mattutina - Ada Negri
Ada Negri
Stella mattutina
Fuori dal coro
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www.kkienpublishing.it
Prima edizione digitale: 2015
In copertina: Anselmo Bucci, Ritratto di Ada Negri, 1926, conservato al Castello Sforzeso di Milano, raccolta delle stampe Achille Bertarelli
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ISBN 978-88-99214-562
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Indice
La modernità di Stella mattutina
STELLA MATTUTINA
Storia di Donna Augusta
Storia di Donna Teodosia
La modernità di Stella mattutina
di Cristina Tagliaferri
Università Cattolica di Milano
Stella mattutina fu scritto d’impeto nel 1920, in circa sei mesi. Pubblicato l’anno seguente, suscitò l’attenzione del pubblico e della critica come espressione di un nuovo genere letterario nell’ambito della produzione letteraria di Ada Negri (Lodi, 1870 - Milano, 1945), poetessa assai popolare, all’epoca, per le raccolte di versi – da Fatalità (1892) al Libro di Mara (1919) – che la portarono dapprima a essere riconosciuta come una giovane e grintosa voce femminile, espressione di un socialismo umanitario germinato dalle condizioni di vita in cui lei stessa si venne a trovare, poi qualificandosi come un’autentica artista in grado di dispiegare il proprio canto intorno a motivi più intimi e spirituali.
Fu lo scrittore Enrico Cavacchioli a persuadere la Negri affinché scrivesse qualcosa di nuovo e degno del Libro di Mara, silloge in versi liberi grondanti di accesa passionalità femminile, e all’epoca ancora misconosciuti per la svolta poetica ed esistenziale di cui sono espressione: «Ho bisogno di un romanzo d’amore, anche breve, ma pieno di gridi, di passione, di brividi, di schianti, di ferocia» (da una lettera di E. Cavacchioli ad A. Negri del 12 luglio 1919); «L’amore non può essere che romanzesco, perché sia di tutti. Quello di Mara è lirico. È sublime, ma lirico. Dunque privilegio di pochi. Voi dovete scrivere il romanzo romantico […] Io avrò il modesto merito di avervi rivelata a voi stessa» (da una lettera di E. Cavacchioli ad A. Negri del 24 luglio 1919). La poetessa non aderirà, tuttavia, alla proposta nei termini intesi dall’amico, alla ricerca di firme promettenti e prestigiose per una nuova e «battagliera» casa editrice – la Vitagliano – da lui co-fondata e diretta. E non potrebbe essere altrimenti. Di ben altro tenore è la materia lirica della Negri; altra appare la direzione lungo la quale la stava sviluppando, limitandosi in sostanza a consegnare alcune «brevi pagine» di una «prefazione autobiografica» (i Ricordi: una riflessione memoriale che poi, ampliata e rifatta, prenderà appunto la forma compiuta di Stella mattutina) per la rivista «Raccontanovelle», pubblicata dallo stesso Cavacchioli.
Né novella né poesia, il libro che avrebbe dovuto recare il titolo L’età misteriosa (poi sostituito con quello definitivo perché troppo simile a L’età pericolosa di Karin Mikaelis), si presenta come un romanzo breve d’ispirazione autobiografica, ma con una struttura sui generis, ove a prevalere è la componente poetica: assecondando il libero fluire dei ricordi sgorgati di getto, il vero viene trasfigurato, ripensando in prosa ciò che era già stato scritto in versi. A coglierne la peculiarità fu persino il futuro Duce, Benito Mussolini, che all’apparire della sua prima edizione, dalle colonne del «Popolo d’Italia», ne ammirava la «poesia dolce e profonda».
Nella fedeltà al genere autobiografico, Ada Negri accoglie in parte le suggestioni sorte nell’alveo dell’esperienza vociana, quando la tendenza divenne quella di un ripiegamento interiore, ciascuno alla ricerca di un ruolo in una società che stava rapidamente cambiando (pensiamo a romanzi esemplari, germinati in quel particolare clima culturale e letterario, da Il mio Carso di Scipio Slataper fino a Con me e con gli alpini di Piero Jahier, che impressionò favorevolmente la stessa autrice), e le muta di segno in direzione di una personale forma espressiva, permeata di una diversa sensibilità. Attraversa e definisce, nel contempo, una forma di scrittura femminile che affonda le sue radici nell’ultimo scorcio dell’Ottocento (con Neera e Beatrice Speraz), e si rende portavoce di una nuova figura di donna, non vittima o al contrario femme fatale, ma concreta e padrona di sé nell’anelito a costruire un percorso di vita esemplare, di riscatto personale.
***
Io vedo – nel tempo – una bambina. Scarna, diritta, agile. Ma non posso dire come sia, veramente, il suo volto: perché nell’abitazione della bambina non v’è che un piccolo specchio di chi sa quant’anni, sparso di chiazze nere e verdognole; e la bambina non pensa mai a mettervi gli occhi; e non potrà, più tardi, aver memoria del proprio viso di allora.
Invitando il lettore alla scoperta ‘indiretta’ della protagonista, l’incipit offre una prospettiva inusuale: nessuna concessione alla descrizione fisica del volto, così che da quello specchio la «bambina» – alter ego dell’autrice – impari presto a diffidare del proprio corpo e della sua forma sensibile, a favore della dimensione interiore; analogamente il passato, filtrato dalla lente deformante del presente, è rievocato con sereno distacco, secondo un’esposizione logica e pacata dei fatti che contempera gli elementi più istintivi e lirici, di cui pure il romanzo si nutre. Il seguito, interamente narrato in terza persona, si svolge all’interno di un racconto basato sull’intreccio di realtà e finzione nonché denso di significati, i quali, travalicando l’esperienza autobiografica, ossia il pretesto del romanzo, assumono – come vedremo – un valore universale.
Protagonista è la piccola Dinin che diventa Ada, figlia di un’operaia rimasta vedova e nipote di una portinaia presso la nobile casa Cingia-Barni di Lodi, la quale fu un tempo governante di fiducia della cantante lirica soprano Giuditta Grisi, divenuta contessa per matrimonio e del cui indelebile ricordo sono impregnati alcuni oggetti di casa. Lo scotto che la fanciulla sin da bambina si vede costretta a pagare, è dunque quello della miseria vissuta confrontandosi con l’agiatezza e con un modello femminile affascinante e mitizzato, in netto contrasto con quello incarnato dalla nonna e dalla madre. A quest’ultima, però, è riconosciuta un’importanza cruciale nel ruolo assunto come narratrice inesauribile, padrona inconsapevole dell’arte popolare del racconto, cui va dunque ascritto il merito di avere instillato nella figlia i germi della sua preziosa risorsa futura:
La mamma sa molte storie. […]
La sua voce, nel raccontarle […] è la stessa, fresca d’incorruttibile giovinezza, che dieci anni prima, giù nella portineria della casa, leggeva alla nonna avventure di romanzi; mentre la bimba, di là, nel letto, ritta sui gomiti, con gli occhi sbarrati, in ascolto da ogni poro, riempiva della propria attenzione l’ombra della stanza vicina.
Per Dinin, un’altra via di fuga dalla misera realtà quotidiana è rappresentata dal «Giardino del Tempo», un regno solitario dove apprendere cosa sia la bellezza, lasciandosi incantare da una sorta di intimo spettacolo al cospetto di fiori e piante, fra illusione e realtà; come quando ella «dimentica quello che ha da fare, per ascoltar rapita, gli alberi che parlano». Dispiegando una sensibilità tutta al femminile, intrisa di odori suoni colori, è in quel luogo annesso alla casa che la fanciulla «riceve per la prima volta la diretta sensazione del cielo», accorgendosi di esistere come parte di un Tutto di cui presto inizia ad avvertire la grandezza e il mistero. Un sentimento panico di immedesimazione nella natura da cui ha inizio un percorso di iniziazione che la porterà a essere adolescente, poi donna, per il tramite della poesia.
Nella prosa La còccola di ginepro (nella silloge Le strade, del 1926), Ada Negri rivelerà:
Ero io, quella bambina. […] E la bambina quasi adolescente, che si pungeva apposta le mani alle spine dell’agrifoglio, per sentir com’è fatto il dolore: che sminuzzava fino a ridurli in polvere i fiori dell’amor perfetto per vedere dov’è nascosto l’amore: che mordicchiava le còccole del ginepro senza sapere che le rassomigliavano, e credeva che l’intera esistenza si potesse trascorrere contemplando il cammino del sole, quella bambina dove sarà?...
Morta non è, se io son viva.
In questa chiusa potente l’autrice sembra affermare un legame non solo metaforico, ma anche autobiografico e letterario, secondo un processo non ancora concluso, con la Ada-Dinin di Stella mattutina, scritto pochi anni prima all’età di cinquant’anni. Non a caso nel romanzo, qualificabile come un Bildungsroman, sono riconoscibili le tappe di un cammino costellato di momenti di trasformazione.
Si legga ad esempio quel passo in cui, ascoltando