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Cesare Pavese Il mestiere di vivere
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E-book76 pagine1 ora

Cesare Pavese Il mestiere di vivere

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Info su questo ebook

Il libro ripercorre i momenti essenziali della riflessione sulla propria anima di Cesare Pavese e si propone lo scopo di manifestare, attraverso la scrittura del mestiere di vivere, gli aspetti misteriosi ed enigmatici che, dentro il silenzio del dolore e della sofferenza, approderanno alla fatalità già scritta dell’esito finale.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2020
ISBN9788831673464
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    Anteprima del libro

    Cesare Pavese Il mestiere di vivere - Carmela Grasso

    vivere

    Ma­rio Sal­va­to­re An­to­nio Gras­so

    Ce­sa­re Pa­ve­se

    Il me­stie­re di vi­ve­re

    ov­ve­ro, il me­stie­re di scri­ve­re la pro­pria scom­par­sa dal­la vi­ta:

    Il lun­ghis­si­mo viag­gio del sui­ci­dio.

    You­can­print

    Ti­to­lo | Ce­sa­re Pa­ve­se. Il me­stie­re di vi­ve­re

    Au­to­re | Ma­rio Sal­va­to­re An­to­nio Gras­so

    ISBN | 978-88-31673-46-4

    Pri­ma edi­zio­ne di­gi­ta­le: 2020

    © Tut­ti i di­rit­ti ri­ser­va­ti all'Au­to­re.

    Que­sta ope­ra è pub­bli­ca­ta di­ret­ta­men­te dall'au­to­re tra­mi­te la piat­ta­for­ma di sel­fpu­bli­shing You­can­print e l'au­to­re de­tie­ne ogni di­rit­to del­la stes­sa in ma­nie­ra esclu­si­va. Nes­su­na par­te di que­sto li­bro può es­se­re per­tan­to ri­pro­dot­ta sen­za il pre­ven­ti­vo as­sen­so dell'au­to­re.

    You­can­print Self-Pu­bli­shing

    Via Mar­co Bia­gi 6, 73100 Lec­ce

    www.you­can­print.it

    in­fo@you­can­print.it

    Qual­sia­si di­stri­bu­zio­ne o frui­zio­ne non au­to­riz­za­ta co­sti­tui­sce vio­la­zio­ne dei di­rit­ti dell’au­to­re e sa­rà san­zio­na­ta ci­vil­men­te e pe­nal­men­te se­con­do quan­to pre­vi­sto dal­la leg­ge 633/1941.

    Nel 1935, Pa­ve­se si tro­va con­fi­na­to a Bran­ca­leo­ne Ca­la­bro: ave­va ven­ti­sei an­ni.

    È il pe­rio­do del­la poe­sia, si­no­ni­mo di una ten­sio­ne an­sio­sa ver­so una con­di­zio­ne sco­no­sciu­ta; nel­la con­fes­sio­ne I Ma­ri del sud si ma­ni­fe­sta, in mo­do ir­re­ver­si­bi­le, il suo ri­trat­to spi­ri­tua­le.

    La po­ie­sis è im­ma­gi­ne, co­me nel la­vo­ro atem­po­ra­le del so­gno: la gru, il ser­pen­te, la ci­ca­la, la col­li­na, il giar­di­no, la me­re­tri­ce o il ven­to.

    Tut­to è, e di­ven­ta na­tu­ra, sen­si­bi­li­tà e cor­po vi­ven­te.

    For­se, c’è una fa­bu­la, una nar­ra­ti­vi­tà, ma l’ele­men­to pri­ma­rio e pri­mor­dia­le è la fan­ta­sti­che­ria dell’im­ma­gi­ne: il suo ta­ci­to gio­co oni­ri­co.

    E die­tro l’im­ma­gi­ne, la poe­sia na­scon­de e con­ser­va la mi­ste­rio­sa re­la­zio­na­li­tà so­ma­ti­ca dell’esi­sten­za.

    Si con­no­ta co­me me­ta­fo­ra bio­lo­gi­ca, o sim­bo­lo del­la vi­ta.

    Il con­te­sto uma­no è il Pie­mon­te, To­ri­no, le Lan­ghe; sen­za dia­let­ti­smi e idio­ti­smi, il la­vo­ro me­ta­fo­ri­co ed ecu­me­ni­co si con­fi­gu­ra co­me spe­ci­fi­ca es­sen­za uma­na.

    Si co­no­sce il no­stro caos psi­chi­co e spi­ri­tua­le, man ma­no che la crea­zio­ne pren­de for­ma, si fa dia­lo­go sof­fer­to e im­me­dia­to; co­sì, La­vo­ra­re stan­ca, di­ven­ta sco­per­ta e mi­ste­ro, gio­ia e os­ses­sio­ne.

    Una poe­ti­ca non in­no­va­tri­ce o ri­vo­lu­zio­na­ria (sia­mo sot­to il fa­sci­smo), ma che ten­de a pro­vo­ca­re le fun­zio­ni e le at­ti­tu­di­ni con­ser­va­tri­ci del pia­ce­re in­fi­ni­to.

    E il poe­ta e l’ar­ti­sta crea­no ad una con­di­zio­ne: quan­do crol­la il sen­so del li­mi­te e del­la so­glia o, sem­pli­ce­men­te, del­la in­vo­lon­ta­ria pre­ca­rie­tà; la sa­tu­ra­zio­ne psi­chi­ca è in­sop­por­ta­bi­le per Pa­ve­se e la crea­zio­ne de­ve sem­pre e con­ti­nua­men­te es­se­re un ini­zio, un cam­po esplo­ra­ti­vo ap­pa­ren­te­men­te vir­gi­na­le.

    Il sen­ti­men­to del ver­de al­lu­de al­la for­za ri­go­glio­sa del­la na­tu­ra, al­la sua sem­pli­ci­tà espres­si­va, al gu­sto del­le no­ci e del­la fe­con­di­tà.

    La poe­sia na­sce da un bi­so­gno ir­re­si­sti­bi­le di giu­sti­zia-amo­re, e de­ve ave­re un con­te­nu­to, sia ma­ni­fe­sto che la­ten­te, mo­ral­men­te esau­rien­te: è l’ur­to pres­so­rio dell’ani­ma.

    Si trat­ta di te­star­da coa­zio­ne a ri­pe­te­re?

    Ep­pu­re, non è fa­ci­le con­vin­cer­si co­me un uo­mo pos­sa giu­di­ca­re un al­tro uo­mo; ma il giu­di­zio del poe­ta non cir­co­scri­ve la piat­ta re­clu­sio­ne del co­di­ce, ma­ga­ri ipo­cri­ta­men­te let­te­ra­le, ma fuo­rie­sce da un trau­ma, da un de­si­de­rio ne­ga­to, da un le­ga­me ri­ma­sto te­na­ce­men­te in­fan­ti­le, op­pu­re dal gio­co cru­de­le e cir­co­la­re del so­gno.

    Fa­re poe­sia è sco­pri­re l’esi­lio, l’ane­li­to a ter­re lon­ta­ne e il bi­so­gno com­pen­sa­to­rio del viag­gio a ri­tro­so ver­so il pae­se na­tio; e, l’al­ba, ogni al­ba, ve­der­la al ri­tor­no co­me un ini­zio: è la strug­gen­te mo­ti­va­zio­ne, at­to­ni­ta e so­la­re, in­ten­sa­men­te ma­ter­na, del­la no­stal­gia.

    E na­sce la ca­pa­ci­tà di sof­fri­re a fon­do tra­gi­ca­men­te dia­cro­ni­ca e l’in­sof­fe­ren­za del­la so­li­tu­di­ne, la sen­sa­zio­ne for­za­ta del­la col­pa; e na­sco­no Ma­ter­ni­tà e Pa­ter­ni­tà e, poi una sta­gio­ne e la sco­per­ta con­ti­nua del cor­po: i "ve­sti­ti di­ven­ta­no ven­to le se­re di mar­zo"; e la pa­ro­la ven­to sen­za ar­ti­co­lo de­ter­mi­na­ti­vo o par­ti­ti­vo, di­ven­ta par­ti­tu­ra as­so­lu­ta, pu­ro suo­no ma­gi­co d’eter­ni­tà.

    Co­me in­ten­de­re la so­stan­za poe­ti­ca?

    In mo­do er­me­ti­co, pre­ci­so e den­so? E l’im­ma­gi­ne-rac­con­to è an­co­ra va­li­da?

    E To­ri­no ap­pa­re co­me cit­tà spi­ri­tua­le, an­co­ra im­mu­ne dall’im­pu­ri­tà e dal­la con­ta­mi­na­zio­ne: una cit­tà "mia aman­te e non ma­dre né so­rel­la": la cit­tà dell’esplo­ra­zio­ne e del sal­to mor­ta­le.

    E a To­ri­no, epi­fa­ni­ca è l’ap­pa­ri­zio­ne di una sco­no­sciu­ta: una mi­li­tan­te dell’ani­ma, di no­me Ti­na.

    E nel­la poe­sia Lu­na d’ago­sto, il sen­ti­men­to del­la nul­li­tà dell’uo­mo si fa mi­ste­ro, e il cor­po pro­di­gio­sa ma­gia del­la ma­te­ria; la lu­na em­ble­ma­ti­ca ri­man­da al­la sua inac­ces­si­bi­le lon­ta­nan­za leo­par­dia­na, do­ve gli oc­chi di pian­to si fan­no ti­mo­re e tre­mo­re e la ne­ces­si­tà d’amo­re sfu­ma e sbia­di­sce vi­ta­le, nell’il­lu­sio­ne dell’im­pos­si­bi­le dol­cez­za mor­ti­fi­ca­ta dall’ari­do ve­ro.

    La mi­so­gi­nia di An­te­na­ti, ri­por­ta a Una sta­gio­ne, do­ve la vi­ta se­le­zio­na e di­scri­mi­na; la coa­zio­ne evol­ve in mo­ti­vo co­stan­te e a lun­go ter­mi­ne, in ite­ra­to mar­ti­rio: la ri­du­zio­ne di tut­te le espe­rien­ze sen­so­ria­li a equi­va­len­ti del ses­so.

    La ses­sua­li­tà s’in­si­nua co­me pa­na­cea al­la mo­no­to­nia e all’abi­tu­di­ne; ma la gua­ri­gio­ne s’al­lon­ta­ne­rà sem­pre di più e il pic­co e l’abis­so coin­ci­de­ran­no con i mo­men­ti di su­pe­rio­re crea­zio­ne e mas­si­ma ap­pro­va­zio­ne cri­ti­ca e ac­ca­de­mi­ca.

    Il dia­rio, spes­so, spo­sta la ri­fles­sio­ne su te­mi ine­ren­ti il sa­cro che, per lo scrit­to­re è og­get­to di as­si­dua e ir­ri­fles­sa at­ten­zio­ne e sug­ge­stio­ne.

    Fol­go­ran­te que­sta ina­spet­ta­ta in­tui­zio­ne, ogni be­stem­mia è un col­po di mar­tel­lo sui chio­di del­la cro­ce; il Di­vi­no non vie­ne vi­sto con gli oc­chi del per­do­no, ma del­la ven­det­ta sull’uo­mo: Dio, che

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