La notte e le navi
Di Natale Rizzo
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Anteprima del libro
La notte e le navi - Natale Rizzo
Natale Rizzo
LA NOTTE
E LE NAVI
Ai naviganti,
contadini dell’acqua
che solcano le terre
azzurre dell’oceano.
Una strizza natalizia
Alaska,1978. La nave ci stava aspettando al pontile di Nikiski con il suo carico di Lng (Liquefied natural gas). Il giorno dopo, 27 dicembre, avrebbe levato gli ormeggi e puntato la prua verso il porto giapponese di Yokohama. Una vera iattura ricevere la chiamata in quei giorni. Avevamo lasciato alle nostre spalle l’Italia del Natale, con le strade piene di rumori e di luci colorate. Ma era giusto così: dopo i giorni spensierati in famiglia e le lunghe sfide con gli amici del calcio-balilla, toccava al gruppo di bordo stare con i propri cari nella seconda tornata festiva, quella di Capodanno. Il nostro agente venne a prenderci ad Anchorage, dove eravamo atterrati da alcuni minuti. Henry, questo il suo nome, era in piedi, impellicciato per proteggersi dal freddo, accanto ad un pulmino. Destinazione? Un altro aeroporto, dove un Piper era pronto con il motore acceso. Eravamo in quattro: un molfettese, due siciliani di Pozzallo ed io. Nessuno di noi aveva mai volato su un arnese del genere: un grosso giocattolo. «Tocchiamo ferro» – pensai mentre salivo. E il mio compagno di Molfetta, che toccava qualcos’altro, mugugnò: «Ma chi me lo doveva dire? Io odio perfino i seggiolini volanti delle giostre». Se è vero che la paura fa novanta, noi eravamo a novantuno, pallidi come gatti bianchi sotto una lampada al neon. Don’t worry, ripeteva il pilota. L’uomo, un armadio con due baffoni grigi, pareva divertirsi come un matto; e non faceva nulla per nasconderlo.
Vista dall’alto, l’Alaska era un incanto di neve e di alberi. Gli occhi spaziavano come un faro nella notte, ma il cuore era fermo per la fifa. Arrivati a Nikiski, l’aero-planino si tuffò sulla pista come un sasso, ma appena ebbe toccato il suolo s’impennò ruggendo: la neve ghiacciata e un vento laterale l’avevano fatto sbandare e l’ar-madio con i baffi era stato costretto a rialzarlo per provare un nuovo atterraggio. La seconda volta le cose andarono meglio e, come il Cielo volle, mettemmo i piedi a terra. «Mai più», mi dissi. Poi però, nel 1982, ci sono tornato. Sbirciai il pilota: stava osservando il carrello e aveva smesso di sfotterci e di ridere. «Una bella strizza te la sei presa pure tu», pensai con cattiveria.
Mezz’ora dopo arrivammo al pontile: la nave gasiera aveva la forma di un enorme ferro da stiro ed era di un orribile colore rosa scuro. Ma a me parve il castello delle Mille e una notte.
Coccodrilli
1979. Cara Emilia, eccoci arrivati in India. Il pontile si trova nell’insenatura del fiume Coleroon. La manovra di attracco è finita da un paio d’ore e sono seduto a poppa, su una bitta. Sulla riva opposta un gruppo di coccodrilli sta prendendo il sole. Quattro marinai stanno facendo un gioco crudele: lanciano in acqua alcuni pacchetti di sigarette e un ragazzo indigeno si tuffa per recuperarli. Appena finito l’ormeggio, è salita a bordo una ragazza. È andata nella saletta dell’equipaggio per chiedere l’ele-mosina. Gli uomini della nave non le hanno dato nulla perché lei non ci stava. «Sono promessa – ha detto – e non posso dormire con voi». Sulla banchina un poliziotto frusta la schiena di grafite di un ladruncolo. Due canoe si sono avvicinate a una nave graniera ormeggiata poco lontano. Portano i soliti pesci e oggetti da scambiare con sigarette e liquori. Fortuna che il comandante Gerin non c’è più: se fosse qui, ordinerebbe di mettere in moto l’idrante.
Il sole sta calando. Alcune nuvole si addensano a sud.
Scrivimi a questo indirizzo: 2nd officer Natale Rizzo, M/T Amoco Teheran – Borneo Co. Limited, Shipping Division, 71 Robinson Road, P. O. Box 2277, Singapore.
Fermi questa caffettiera!
Senza data. Siamo nel Mar Rosso. Stamattina siamo passati a tre miglia da un gruppo di isolette dello Yemen. E proprio allo Yemen era dedicato un articolo di Pasolini che ho letto