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Lettera A Mio Figlio
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E-book133 pagine2 ore

Lettera A Mio Figlio

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Info su questo ebook

"Lettera a mio figlio” segue la pubblicazione di “Lettera a mia madre”.
Anche in questo elaborato la struttura è quella di una lettera alla seconda del singolare, ad un figlio – giovane adulto – che non parla e non ha contatti con sua madre da parecchi anni.
Troppi.
Impossibile tacere per l’autrice che non ha taciuto neanche con la madre, parzialmente responsabile di questa violenza silenziosa. L’ennesima.
Vicenda interamente autobiografica. Purtroppo. Uno sguardo al passato e al presente con incursioni fra l’Italia (dove l’autrice è nata) e Parigi (dove è nato il figlio). Un confronto tra i vari tipi di madri più o meno intrusive e ricattatrici, un confronto fra i vari tipi di figli, più o meno manipolati. E nessuna risposta.
LinguaItaliano
Data di uscita17 lug 2012
ISBN9788862595940
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    Anteprima del libro

    Lettera A Mio Figlio - Laura Sciallis

    all’Editore

    PREMESSA: agosto 2009 - rientro in Francia, ricordi, intenzione di scriverti

    Ecco fatto. Le foto sono al loro posto, correttamente smistate, in uno dei cassetti della mia scrivania. Le ho guardate di nuovo al mio ritorno da Genova, ai primi d'agosto 2009 (vedi Lettera a mia madre) fra una traduzione e l'altra, subito dopo il mio arrivo come se i clienti mi aspettassero, la valigia da disfare davanti a me, i messaggi in e-mail, la posta e le altre manfrine e difficoltà della vita quotidiana.

    Ho guardato di nuovo queste foto nelle pause post - Genova e sotto il sole di Vichy, insopportabile quest'anno per molti giorni, quasi come in quel famoso 2003, anno per me cruciale. Anzi, per certi aspetti, funesto.

    Ho sfogliato anche uno dei tuoi quaderni di scuola di tanti anni fa: se vuoi rivederlo e tenerlo tu, puoi sempre farmelo sapere tramite la gente che frequenti e te lo manderò.

    I disegni fatti da te invece rimarranno sui miei muri, ci tengo! Li ho appesi subito dopo ogni trasloco. Li conservavo non appena me li regalavi, per valorizzarti, per darti fiducia in te stesso: sembra che sia importante l'immagine che i bambini piccoli hanno di se stessi. Ho creduto di far bene a sottolineare positivamente quello che facevi: il sole ovale, le case più basse degli alberi, i personaggi con la testa da una parte e le gambe ad angolo retto. Purtroppo non ti chiami Picasso.

    I tuoi disegni trasformati poi in quadretti li appendevo nelle case che abbiamo abitato insieme. Ce n'è uno anche nel mio attuale bagno: una tela cartonata con un sole rosso in un tramonto blu. Sono i più belli che ho. Ma forse hai perso la memoria anche tu, come la Mamy d'Italie, sarà di famiglia. Purtroppo.

    Citate queste vestigia (quaderno, foto, quadretti infantili, ricordi) non aspettarti da parte mia una sviolinata nostalgica di fronte alle testimonianze che ho messo sotto vetro o racchiuso in buste un po' rigonfie, trattenute da un elastico e suddivise in annate.

    Non aspettarti considerazioni sdolcinate con il pretesto che per me ormai, l'unica cosa tangibile di te sono solo questi ricordi incorniciati o sotto forma di rettangoli cartacei, risalenti agli anni in cui il numérique non ci aveva ancora offerto la possibilità di sfogliare l'album della vita con un clic a destra e uno a sinistra, stando seduti davanti al computer e distruggendo quello che non ci piace con un altro clic, senza lasciare tracce.

    No, la nostalgia materna e appiccicosa non mi interessa, anzi, non mi è mai interessata: dovresti saperlo. Almeno, una volta lo sapevi e me lo facevi capire mediante raffronti con certe mammine di compagni tuoi, che predicano tanto bene e razzolano tanto male.

    Guardando queste foto di te bambino (tra il 1984 e il 1990), di te adolescente (1996- '98, più o meno), di te da solo, di te con tuo padre, di te con mia madre (!) di te con me, il sentimento che provo è solo un grande senso di spreco. E di ingiustizia.

    Peraltro queste parole ritorneranno nella presente: mi sembrano efficaci per esprimere la desolazione che con tuo padre (socialista francese nobile cuore, prego notare!) e da lui incoraggiato, hai volontariamente creato intorno alla madre che sono ancora e alla persona che sono sempre stata.

    Sono più di sei anni che non ci vediamo né parliamo e mi accingo a scriverti una lettera che è in me già da un bel po'. Una lettera che ha coabitato con la precedente Lettera a mia madre: ovvio, perché come figlia e come madre sono nella stessa dimensione infelice. Una specie di accanimento che mi colpisce negli affetti che dovrebbero essere i più veri, i più normali e i più immediati. Quelli a cui tenevo di più.

    Beffa del mio destino! Beffa ripetuta.

    Con il passare del tempo e con l'evoluzione del tuo spirito critico di persona che vuole salire i gradini della magistratura (se non erro) speravo di avere tue notizie dirette dopo il tuo 25° compleanno il 1°aprile 2009. A 25 anni l'adolescenza riottosa e crudele dovrebbe essere superata, pensavo.

    Mi sono sbagliata. Per essere crudeli, influenzabili, menefreghisti e sordidi non c'è età: conferma di come la gente non cambi ma diventi solo quello che è.

    Speravo (medesimo errore) magari qualche parola di scusa seppure in ritardo (le temps de grandir dicono i francesi) per quello che sai: nel qual caso ti avrei senz'altro scritto una lettera diversa.

    Una lettera più sincronica e allegra, più leggera, magari sotto forma di progetto, di programma Parigino (per me) o Vichyssois (per te), di cinema da condividere con te e con la tua ragazza del momento: come abbiamo fatto un tempo, quando vivevamo insieme. E sempre su richiesta tua, tanta era la mia paura di essere invadente e possessiva quanto mia madre.

    Per fortuna abbiamo qualche ricordo accettabile, almeno ce qui est pris est pris (per citare i Francesi, secondo le mie abitudini orali e scritte).

    Sì, avrei voluto anch'io come altre donne avere il piacere di scriverti una lettera o un messaggio mail che testimoniasse le buone relazioni esistenti fra madre e figlio (esistono, sì esistono, le vedo, le ho viste, continuo a vederle queste relazioni, anche con certe madri... che… vabbé, lasciamo perdere e procediamo).

    Sì, avrei voluto anch'io avere la gioia che altre donne conoscono: quella di essere stata se non amata (perché no poi?), almeno rispettata, da te e da tuo padre che mi ha scelto per fare un figlio, in quel luglio 1983, tre anni dopo il nostro primo incontro a Parigi, rue Plumet.

    Dicevo che forse avrei dovuto agire anch'io come l'ho visto fare anche dalla giovanissima generazione che non sa un tubo di femminismo, manifestazioni per la pillola, e ostacoli vari che la mia generazione invece ha cercato di superare pagando spesso prezzi altissimi.

    Basti pensare a Virginie quando era la tua ragazza. La guardavo agire, 6 anni fa, in piena Parigi, e mi sembrava di essere tornata indietro all'epoca in cui la donna era solo un oggettino pieno di pretese, falsità e ricatti quotidiani. Il tipo di donna che non avrei mai potuto essere.

    E mi dicevo altresì che forse avrei dovuto anch'io mettere la boccuccia a forma di cuore, sbattere le palpebre nonostante tutti questi anni di riferimenti e impegni un po' diversi, abbassare lo sguardo e suggerire cioè imporre sapientemente, il mio desiderio di cose sicurizzanti, importanti, anzi, obbligatorie (!) materialmente e psicologicamente.

    Ma riconosco non avere mai avuto questa vocazione. Forse avrei dovuto agire così con due persone come te e tuo padre: adesso potrei quasi certamente anch'io scrivere una lettera da mamma in relazione con suo figlio pur senza fronzoli come ben sai; potrei scrivere una lettera di madre rispettata anche dal padre e non solo dal figlio, e magari amata da entrambi. Succede anche questo. Ma non a me.

    Capitolo 1°: lo schianto

    Perché chi non sa fingere non sa regnare.

    Personalmente non ho mai saputo fingere e ancora meno regnare. E si vede come sono stata ricompensata. Non vedo che cosa vi ho fatto, a te e tuo padre per meritare un atteggiamento così mostruoso: il vostro.

    E non venirmi a dire che tuo padre ha rotto con me in quel marzo/aprile 2003 perché sono andata a fargli una scena in Ufficio, perché l'ho insultato, ho urlato, gli ho scritto con molta aggressività, meritata al 200%: per favore, non invertire i ruoli e non prendere gli effetti per le cause e viceversa. Questo vallo a fare quando sarai avvocato ben pagato, mercante di tappeti, agente immobiliare, o garagista, non con tua madre. Che tanto cretina non è. E neanche in malafede. Mai.

    Lo sai benissimo che sono andata a fare una scena a tuo padre a causa del tuo silenzio, della sua vigliaccheria e della mancanza di tue notizie a soli diciannove anni appena compiuti, nonché a causa del rifiuto di tuo padre di intercedere in mio favore dopo l'offesa ricevuta, per farti capire che avevi torto.

    Era suo preciso dovere verso di me e anche verso di te: anche a diciannove anni si ha bisogno di esempi validi, di obiettività e di educazione sentimentale. Non di meschinità e crudeltà mentale diretta contro di me. Non perché essere tua madre mi desse ogni diritto (guarda la mia e il cattivo esempio che ha costituito!) ma per il tipo di persona che sono stata e per il genere di madre che sono stata con te fino al 2003.

    Lo sai benissimo che sono esplosa anche al tuo ritorno da Djerba perché persino in capo ad una settimana mi hai risposto (con l'appoggio di tuo padre) che tu fai quello che vuoi! Ecco perché l'ho tempestato di telefonate anche insultanti, certo, lo ammetto, ma l'ho fatto solo dopo e non prima del tuo caparbio rifiuto di dialogare con me e scusarti. Perché avevi torto marcio. E altra gente compresi gli amici tuoi te l'hanno detto. I quali amici poi, non avrebbero mai e poi mai potuto agire come l'hai fatto tu, finché vivevano con i genitori, maggiorenni o no. Chiedi a Grégoire, che fa coppia fissa con, sua madre! Chiedi a Omar!

    La mia aggressività nei vostri confronti corrisponde alle urla dei torturati, né più né meno. Lo sai benissimo che sei partito senza parlarmi, né telefonarmi né scusarti e che tuo padre ti ha dato manforte per allontanarti da me. E ci è riuscito. Da quel disonesto che è. Anche questo gliel'ho detto e scritto. Io le cose le dico in faccia: non sono una socialista da strapazzo io.

    Non assomiglio a quelle due iene - Segolène e Martine - a cui interessa solo il potere personale con il pretesto del socialismo. Quanto al '68, cui tuo padre ha partecipato, io ero troppo giovane per andare sulle barricate di Parigi anche e soprattutto perché ero ancora a Genova e dovevo rigare diritta con i genitori fascisti che avevo.

    Gliene ho dette di tutti i colori a tuo padre, quando sei partito previo versamento dell'assegno e quando sei tornato da Djerba, ossia quando gli hai detto precisamente che non ti saresti mai scusato con me, sempre per la solita ragione, che eri maggiorenne e viaggiavi dove volevi, e che la madre di Virginie aveva avuto una buona idea ad organizzare tutto lei (senza neanche telefonarmi come se io non esistessi oppure esistessi solo per tradurre, pagare e pulire: nota personale).

    Eri così baldanzoso

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