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Il figlio della Fosca
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Il figlio della Fosca
E-book129 pagine1 ora

Il figlio della Fosca

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Info su questo ebook

Mi presento: il mio nome è Diego, classe 1970, nato e cresciuto nel cremonese, tra i paesi di Cella Dati e Cingia de’ Botti, e sono qui per raccontarvi una storia, la mia storia, nell’auspicio e nella speranza che possa muovere in voi lettori un sentimento di interesse e forse, chissà, persino empatia.
Si tratta di una storia lunga, colma di sofferenza e spaesamento, ma anche di gioie.
Ho dunque intenzione di mettermi a nudo di fronte a voi, di narrarvi la mia vita e le sue vicende per mostrare come anche i vissuti di un uomo qualunque possano esser degni di esser letti e ascoltati in tutta la loro intima spontaneità.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2021
ISBN9791220115933
Il figlio della Fosca

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    Il figlio della Fosca - Diego Codazzi

    cover01.jpg

    Diego Codazzi

    Il figlio della Fosca

    © 2021 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-1200-0

    I edizione luglio 2021

    Finito di stampare nel mese di luglio 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Il figlio della Fosca

    Capitolo primo: La presenza di un’assenza.

    Mi presento: il mio nome è Diego, classe 1970, nato e cresciuto nel cremonese, tra i paesi di Cella Dati e Cingia de’ Botti, e sono qui per raccontarvi una storia, la mia storia, nell’auspicio e nella speranza che possa muovere in voi lettori un sentimento di interesse e forse, chissà, persino empatia.

    Si tratta di una storia lunga, colma di sofferenza e spaesamento, ma anche di gioie.

    Ho dunque intenzione di mettermi a nudo di fronte a voi, di narrarvi la mia vita e le sue vicende per mostrare come anche i vissuti di un uomo qualunque possano esser degni di esser letti e ascoltati in tutta la loro intima spontaneità.

    D’altronde, siamo tutti persone normali, uomini e donne immersi nella loro quotidianità, spesso priva di accadimenti sensazionali o mirabolanti, ma che non per questo sono meno interessanti.

    Anzi, è proprio in questa apparente normalità che si cela il segreto della condivisione e del riconoscimento.

    Se, infatti, fossi un uomo dalle mille avventure, con un arsenale colmo di storie incredibili, appassionanti e tumultuose, sarei sicuramente più piacevole da leggere e più incline all’intrattenimento, ma al tempo stesso non andrei forse a creare una scomoda asimmetria?

    Non perderei, inoltre, forse l’aderenza alla realtà cercando di accattivarmi la vostra attenzione per mezzo di trovate sceniche?

    Magari persino prodotte da voli di fantasia che andrebbero indebitamente a gonfiare i fatti?

    Non è questo che voglio, non è questo il mio desiderio.

    Quel che qui mi prefiggo è un compito ben più modesto, ma forse, per questo stesso motivo, più intrigante.

    Mi accingo a proporvi quelli che definirei degli affreschi e delle confessioni.

    Affreschi perché non vi troverete tra le mani una narrazione esaustiva di eventi che si susseguono senza sosta, non troverete davanti ai vostri occhi ciò a cui, in gergo letterario, potremmo conferire il nome di ‘trama’, così come la immaginate in un romanzo o in un film, piuttosto, intendo proporvi delle immagini, degli sprazzi di vita che affiorano come colori su una tela.

    Affreschi, appunto, un agglomerato variopinto e rapsodico di persone e luoghi, ma soprattutto delle loro colorazioni per mezzo delle sensazioni e delle emozioni che ho provato vivendoli.

    Certamente non mancherà una consecutio temporale, un esser scandito cronologico delle diverse fasi di un’esistenza, ma è decisivo tenere bene a mente che si tratta di un mero orizzonte, di un fondale, di una cornice all’interno della quale emergono costellazioni di vissuto.

    Confessio, invece, non tanto per il fatto che mi senta in qualche maniera colpevole: non sento gravare su di me il peso di peccati irrimediabili, pur non essendo, ovviamente, un santo.

    La interpreto piuttosto nel modo dell’apertura e della riflessione.

    Con apertura intendo il qui presente espormi allo sguardo del prossimo: non è facile raccontare le proprie memorie e ciò che di intimo si possiede, specialmente se, come nel nostro caso, non lo si compie a scopo di vanto, ma per un più umile voler depositare su carta i ricordi, sia in modo fine a sé stesso, sia per attuare una rendicontazione del proprio passato.

    Se prima ero nascosto, chiuso in me stesso, ora provo a manifestarmi, ad entrare nel cono di luce che mi rende visibile all’altro.

    Sono pronto ad espormi e forse persino ad esser giudicato.

    Ormai penso di poterlo fare liberamente, senza vergogna, senza rimpianto, senza timore.

    Infine, come vi avevo poc’anzi accennato, ciò che intendo con confessione non implica solamente l’apertura all’opinione altrui, ma anche quella che genericamente ho chiamato riflessione.

    Ebbene sì, sullo sfondo di queste pennellate di vita ad essere realmente protagonista saranno le mie riflessioni, i miei pensieri, i miei commenti.

    Sarà la più totale introspezione il sigillo del libro che avete fra le mani, a farla da padrone sarà la mia volontà di affrontare una volta per tutte il mio passato a viso aperto, senza paura di ciò che è stato.

    La mia è una ricerca di pace, una voglia di fare ordine, di capire cosa ha mosso le mie azioni, di cogliere l’intima, se non inconscia, causa del mio essere, passato e presente.

    Voglio comprendere per quale motivo ho fatto un qualcosa piuttosto che qualcos’altro, perché ho deciso quello in luogo di quell’altro, per quale ragione ho pensato questo anziché quello.

    Ritengo pertanto di aver finalmente raggiunto la maturità necessaria per effettuare e portare qui a compimento, pagina dopo pagina, questa mia ricerca, attuandone l’obiettivo nel ripercorrere, e al contempo rivivere e ripensare, quanti più istanti possibili della mia vita, da quelli più banali e quotidiani a quelli più intensi e pregni di significato.

    Senza più freni e ripensamenti, corro dritto, proteso verso la meta.

    Confido che mi possiate perdonare se talvolta potrò sembrarvi ondivago, dispersivo e financo noioso: a scrivere non sono io ma le mie stesse emozioni, non dovete dimenticare mai che questo libro contiene niente meno che il mio cuore pulsante e che spero riusciate a sentirlo.

    Eccomi dunque, io, che sono uno di voi, mi accingo a farvi partecipi di un grosso pezzo di me, ma, non trattandosi di un compito facile, occorre procedere un gradino alla volta.

    Questa storia inizia con un’assenza.

    Se, infatti, la maggior parte dei bambini nasce accompagnata sin da subito dalla presenza di una madre e di un padre, a me è sempre mancata quest’ultima.

    Sarà proprio questa mancanza il sigillo recondito, l’implicita e inconscia chiave di lettura della mia esistenza, l’evento che silenziosamente ha più lasciato il suo marchio su ogni episodio del mio vissuto.

    La sua figura, quella del mio padre naturale, rimane tutt’oggi per me dai contorni sfumati, non ho molto da dire su di lui se non quel poco che sono riuscito ad estorcere in passato da mia madre e che ora vi esporrò.

    Non ritengo tuttavia che sia necessario approfondire ulteriormente, non è infatti ciò che lui è stato ad essere rilevante per me, ma ciò che non è stato, dunque parlarne lateralmente è più che adeguato.

    A volte, come dicono gli inglesi, less is more.

    Iniziamo.

    Mia madre aveva diciassette anni quando è rimasta incinta di me, il suo nome è Fosca, era una ragazza dalla capigliatura castano chiaro, tendente al rossiccio, e piena di energia, al punto da esser spesso definitiva scherzosamente un ‘maschiaccio’.

    A quell’età già lavorava da almeno due anni come operaia in una fabbrica a Cremona, facendo giornalmente avanti e indietro a bordo del motorino di suo padre, cioè di mio nonno, per poi, una volta divenuta maggiorenne, prendere la patente e guidare una Cinquecento.

    Proprio lì conobbe l’uomo il cui anonimato ha segnato in negativo la mia vita e di cui pertanto non farò il nome, il mio padre naturale.

    Lui era più grande di lei, ma ad una maggiore età non sempre corrispondono una maggiore accortezza e responsabilità.

    Probabilmente il tutto nacque in virtù del fatto che al tempo gli spogliatoi delle fabbriche non erano ancora divisi in una sezione maschile e in una femminile, il che potrebbe aver favorito il loro incontro, in quanto colleghi, e soprattutto la successiva passione.

    Era infatti la situazione ideale per il fiorire di certi giovanili rapporti di intimità e chissà se l’ingenuità e la semplicità con cui venivano vissute determinate relazioni non abbia avuto un ruolo dirimente nell’ormai noto svolgersi degli eventi.

    Chiaramente, un altro elemento da non sottovalutare per poter districare meglio la vicenda è l’afflato libertino e rivoluzionario, ma anche altamente deresponsabilizzante, che caratterizzava l’atmosfera respirata dai ragazzi alla fine degli anni Sessanta e che quindi ha potuto contribuire ad influenzare l’atteggiamento con cui erano vissute certe esperienze.

    Il caso, ovviamente, fece notizia e si diffuse per tutto il paese, non era infatti usuale che una ragazza più che minorenne, si ricordi che al tempo la maggiore età veniva conseguita al compimento non del diciottesimo ma del ventunesimo anno di vita, rimanesse in attesa di un pargolo.

    La situazione, aggravata dalla nota realtà media dei paesi italici in cui pettegolezzo e voci si tramandano a velocità impressionanti, portò ad un acceso litigio tra il padre di mia madre e mio padre naturale che si concluse con il definitivo allontanamento di quest’ultimo.

    D’altronde, mia madre era la figlia preferita e la più coccolata della famiglia, non sarebbe stato in alcun modo possibile che la sua famiglia non prendesse le sue parti in contrasto con quelle dell’irriverente giovane uomo che l’aveva posta in una tal scomoda situazione.

    In seguito, mia madre aspettò, come una novella Penelope, il ritorno della persona di cui si era invaghita, mi riferisco ad un ritorno ad una vita di coppia dato che, con ogni probabilità, i due continuavano quanto meno ad incrociarsi negli ambienti lavorativi.

    L’attesa durò ben quattro anni, per poi venire a sapere che lui aveva preferito dedicare la sua attenzione e le sue simpatie ad un’altra donna.

    Ciò spiega forse il motivo, o uno dei motivi, per cui, quando ormai diciassettenne la interrogai sulle mie origini, fu restìa a parlare e quel poco che disse era condito di estrema sofferenza.

    Nome, cognome e poco altro, questo solo ottenni prima di lasciar cadere la discussione.

    Nonostante

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