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Tradiscimi se hai coraggio
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E-book237 pagine3 ore

Tradiscimi se hai coraggio

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Info su questo ebook

Una commedia sulla gelosia divertente e romantica

Il debutto italiano destinato ai primi posti delle classifiche

Olivia ha trent’anni, vive a New York, ha un fidanzato “perfetto”, un lavoro interessante ed è la paladina della fedeltà nei rapporti di coppia. Proprio la sua ossessione per il tradimento le creerà però qualche problema, quando, a causa delle continue insicurezze, deciderà di mettere alla prova la sua storia, con risultati imprevedibili… Così, mentre è alle prese con l’organizzazione del matrimonio della sorella minore, Olivia sarà costretta ad affrontare una serie di situazioni inaspettate, a volte esilaranti, e a compiere scelte fino a poco tempo prima impensabili, perché in contrasto con le sue rigide convinzioni. Olivia si renderà conto che le cose spesso non sono esattamente come crediamo, ma questo sarà il modo per mettere finalmente in discussione le sue certezze. E crescere…

«Divertenti i personaggi e descritti tutti benissimo, anche la strega cattiva. Brava davvero.»

«Un libro divertente, spumeggiante e brillante che scorre via come un fiume in piena.»

Deborah Fasola

è nata a Vercelli nel 1978 e lavora come editor freelance e pubblicista. Prima di essere acquistato dalla Newton Compton, Tradiscimi se hai coraggio è stato autopubblicato, rimanendo per tre mesi ai vertici delle classifiche.
LinguaItaliano
Data di uscita8 giu 2016
ISBN9788854196483
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    Anteprima del libro

    Tradiscimi se hai coraggio - Deborah Fasola

    Due mesi prima

    Tanto per cominciare, questo libro fa schifo. Inspiegabilmente, è in vetta alle classifiche di Amazon da settimane e non riesco a comprenderne la ragione, ma non è poi così importante.

    Insomma, in fondo nasce soltanto dal bisogno di giocare con il mio dannato destino, dalla mia masochistica necessità di tenere tutto sotto controllo e farmi del male.

    Avete idea di quanto sia dura suscitare l’interesse di uno scrittore? E intendo uno di libri veri… Perché, diciamocelo, gli scrittori sono personaggi atipici che vivono in un mondo un po’ a parte, in cui puoi entrare, afferrando la loro essenza, soltanto se comprendi l’interiore tormento che li anima. Ed è proprio quello che ho cercato di fare.

    Il protagonista di questo dramma è il Fidanzato Perfetto. E quando dico perfetto, voglio dire proprio impeccabile: quello che ti apre le porte e paga sempre la tua parte di conto, quello che si accorge se hai spuntato i capelli di appena due centimetri o cambiato il lucidalabbra pallido con un altro altrettanto chiaro e insignificante. Insomma, lui… quello di cui pensi: Be’, se perdo lui non mi resta nient’altro, e un altro così non lo trovo più di sicuro.

    Il dubbio si è insinuato proprio per questo motivo, a causa di una smodata perfezione, ed ecco che ho ceduto a un’idea folle.

    È stato semplice iscriversi a Facebook con uno pseudonimo, entrare nei gruppi seguiti dal Fidanzato Perfetto, i circoli letterari o d’incontro con altri scrittori; ed è stato altrettanto facile aggiungere alla mia cerchia di amici i suoi conoscenti; tuttavia mancava ancora una cosa per attirare davvero la sua attenzione…

    Così ho scritto un breve romanzo, usando lo stesso pseudonimo del mio alter ego virtuale, e poi l’ho pubblicato su Amazon. Mi sarebbe servita soltanto l’immagine del libro sul mio profilo Facebook per essere credibile e soltanto un paio di giorni per essere sicura che… nulla di più. Un’immagine, un tocco di psicologia degli scrittori e tanto charme per attirare la sua attenzione…

    Poi però qualcosa dev’essere andato storto, e proprio mentre stavo esultando per la sua dolcezza e il suo animo puro, ecco il crollo.

    Christine Parker 1:25

    Allora, ci vediamo domani, che dici?

    Max Collins 1:26

    Direi di sì, si potrebbe fare, però non in pubblico, okay?

    Christine Parker 1:30

    In che senso?

    Max Collins 1:28

    Ti ho detto che ho una fidanzata, gradirei che la cosa restasse tra noi, va bene? Ormai ci scriviamo da venti giorni, credo sia il momento di diventare più intimi, che ne pensi, Christine? Magari in un hotel. Sei così bella…

    Ecco qui, è esattamente in questo punto della chat che il mio mondo crolla. Lui, l’imperturbabile Fidanzato Perfetto, dopo qualche scambio con una diciottenne bionda e formosa (la foto l’ho recuperata su un forum di modelle, lo ammetto, però la fedeltà dovrebbe essere un valore, o no?), cede e la invita addirittura in un hotel? Fermi tutti, fermate il mondo. Non è possibile.

    Mi stropiccio gli occhi, cerco di scrivergli ancora, ma ho bisogno di bere qualcosa e così prelevo dalla credenza la prima bottiglia di superalcolico che mi capita sottomano.

    Quando riprendo la mia chiacchierata con il fp, lui sottolinea quanto mi vorrebbe fare sua, quanto ammiri il mio cervello e il mio libro.

    Capite? Il Fidanzato Perfetto ammira un romanzetto che parla di tradimenti, in cui lo descrivo come il mostro dei mostri?

    Naaah. Non ha mai letto il mio libro e non ha mai amato me, Olivia Smith, né Christine Parker, la modella e scrittrice di Phoenix perennemente in viaggio per lavoro.

    Tutto crolla perché le certezze naufragano e i dubbi trovano il loro posto nell’immensa cornice del bieco inganno e del più freddo fallimento. E ho già trent’anni passati. Voglio dire, la maggior parte delle mie amiche, le mie sorelle e le donne in generale a trent’anni hanno già un futuro a portata di mano, spesso una famiglia, di sicuro un fidanzato con cui pianificare la vita. E l’avevo anch’io, il Fidanzato Perfetto. Ce l’avevo, ma poi qualcosa me l’ha portato via.

    Quando io, Tina e Alice parlavamo del nostro futuro, di noi a trent’anni – e io allora ne avevo solo dieci –, ci immaginavamo in una casa grande, ben arredata e piena di marmocchi. Be’, io invece sono ferma qui, con gli occhi sbarrati davanti a una dannata conversazione sul social network più odioso della storia e un senso di vuoto nello stomaco, solleticato dall’impellente bisogno di commettere un omicidio.

    Capitolo 1

    Adesso

    «Com’è possibile? Perché, perché l’ha fatto… era il fidanzato perfetto!», mi lamento con Tina, frignando come una bambina disperata.

    «Be’, vedo che l’hai presa bene, mi tranquillizza. Liv, sono passati due mesi. Due. Devi uscirne…», mormora mia sorella dall’alto dei suoi trentasei anni, un figlio perfetto e un marito altrettanto perfetto. Oh, e lei ha anche un lavoro perfetto, non sregolato e crudele come il mio.

    E poi, che mai saranno due mesi? Non sono due anni, non è una vita durante la quale io mi sia potuta abituare alla sua assenza. Soffro, avrò il diritto di soffrire per una perdita così importante oppure no? Perché, maledizione, le persone si aspettano che tu sorrida sempre, che sia una persona semplice da gestire anche mentre stai male, altrimenti loro devono prendersi cura di te pure quando non ne hanno voglia? E diciamocelo, la gente ne ha voglia molto di rado, è sempre più concentrata su se stessa, sulle proprie gioie, sui propri drammi e dolori, così gli altri spesso e volentieri diventano un peso, soprattutto se per altri s’intendono sorelle minori petulanti e capricciose che ti rubano alle tue serate in famiglia per piagnucolarti su una spalla.

    È comprensibile, no? Ma nel mio caso ciò rappresenta più o meno una tragedia, visto che ho bisogno di Tina quando mi sento così, quando mi capitano brutti eventi come questo, quando ancora una volta perdo tutto. Nel suo insieme, quindi, questa marea di pensieri m’indispettisce appena.

    «Ti prendi gioco del mio dolore? E poi sono due mesi, mica due secoli, lasciami soffrire in pace, che diamine!», ribatto con gli occhi gonfi. Il letto sul quale sono sbracata è cosparso di fazzolettini usati, a mo’ di guerra mondiale dell’influenza. Ma non ho l’influenza, la mia influenza è Max che, come un virus, dopo il tradimento, ha radicato così in profondità le sue spore che ora sono completamente infetta e senza possibilità di vaccino o salvezza.

    «La vita è dolore, Altezza, chi dice il contrario lo fa per convenienza», mormora Tina, atteggiandosi in modo teatrale e citando un famoso film che da bambine abbiamo consumato; s’intitolava La storia fantastica ed era un cult per le donzelle romantiche della mia età che sognavano il principe azzurro e alle quali venivano occhi a cuoricino davanti a sdolcinatissimi film d’amore. Questo poi era davvero per romanticone e parlava del vero amore, quello a cui oggi non credo più, quello che pare essersi perso, volatilizzato, dimenticato.

    In ogni caso, mia sorella sta cercando di farmi ridere, e sebbene di solito ci riesca, stasera non ce la farà: il sabato è sempre il giorno peggiore della mia nuova vita da single, ma questo, chissà perché, è peggiore di tutti gli altri messi insieme. Mi sento sola, finita, fallita, e vorrei soltanto continuare a piangere e urlare per il resto della mia esistenza, se possibile.

    «Tina, non scherzare. Dài, guardami! Tu sei sposata, Alice sta per sposarsi, e io? Sono ancora qui, ancora al nastro di partenza, sola, a guardarvi correre lontane!».

    «Non autocommiserarti. Non hai nulla meno di noi, anzi, una vita ancora tutta da costruire, e non sai quanto sia bello godersi ancora un po’ di libertà. Lo capirai col tempo, quando tutto questo ti mancherà», mi rimbecca mia sorella, nel suo perfetto tailleur e sotto la splendida forma della piega dei suoi capelli.

    Già, chissà che bello. E poi, quella di paragonarmi alle mie sorelle è una mia perenne fissazione. Io sono la seconda e probabilmente ho sofferto della sindrome del fratello di mezzo. Quella maltrattata dalla primogenita e gelosa della più piccola di casa. E così sono rimasta: ho continuato a guardare alle mie spalle oppure in avanti, senza mai fermarmi a osservare il mio presente. Paragoni inevitabili, forse perché innescati dai nostri genitori: Alice e Tina erano sempre le più brave, le più belle, quelle con i ragazzi migliori e i voti più alti a scuola, quelle da cui prendere esempio. Io invece ero soltanto e sempre la semplice, trasparente, inutile Olivia. E adesso ho fallito di nuovo e mi trovo nel peggior sabato sera della mia vita, a piangere davanti alla mia sorella maggiore che ha abbandonato la famiglia per consolarmi, di fronte a un film scadente in tv e due barattoli di gelato vuoti sul comodino. Come sono caduta in basso.

    Fisso Tina con sguardo disperato e il labbro inferiore tremolante come quello di un bambino in procinto di piangere (ancora), e la mia mente si riavvolge all’indietro. Come sono finita in questa situazione un’altra volta?

    Ho conosciuto Max durante un servizio nel suo ufficio quando facevo ancora la giornalista; dopo un’intervista ai suoi colleghi sull’andamento del mercato immobiliare, sono rimasta folgorata dal suo sorriso contagioso. Ricordo che mi propose di bere qualcosa e io non mi lasciai sfuggire l’occasione, già rapita dal suo sguardo azzurro e sognante. Bevvi con lui il miglior caffè della mia vita al distributore automatico dell’ufficio.

    Da quel pomeriggio i nostri incontri si susseguirono come i giorni e le notti e in meno di due mesi facemmo coppia fissa.

    Una coppia perfetta, e sebbene da quel momento molte cose nella mia vita cambiarono – il lavoro in primis –, tra di noi tutto andava a meraviglia e continuò ad andare così, senza scemare, senza che ci sentissimo mai stanchi o schiacciati dalla quotidianità, anzi, parevamo essere sempre più affiatati e uniti. Era un sogno, era tutto ciò che avevo e mi rendeva felice.

    Mi fidavo di lui, non avrei mai creduto che…

    «Olivia, ascoltami. Smettila. Rimettiti in sesto, sistemati e riprenditi, vai avanti. E poi, dài, domani c’è la festa di Alice e dobbiamo essere lì per lei, lo sai, vero? Sarà anche un modo per distrarci, ci divertiremo da matti!».

    Sbarro gli occhi, smarrita, tirandomi su e assumendo una postura rigida.

    «Te ne sei dimenticata? Non mi dire… sei un disastro, Liv!», fa Tina, esausta ma ridendo al contempo: ha capito tutto. Per lei sono un libro aperto e di solito la cosa non mi dispiace, salvo in particolari casi (come questo) che di sicuro mi mettono ancora una volta in cattiva luce. Ma forse mia sorella è già abituata.

    Lo so, ha ragione, è vero… sono un disastro, sono quella che dimentica le cose, che si perde, quella su cui non si può contare. Mi mordo il labbro inferiore e la fisso con l’espressione di un cucciolo in cerca di clemenza.

    «Non mi sono dimenticata, no, figurati, è che… ecco, non avresti mica un vestito decente da prestarmi?»

    «Sì, certo che ce l’ho, sciocchina». Tina ride ma so benissimo che dentro di sé mi compatisce, pur amandomi profondamente, come il resto della famiglia.

    Si lamentano di me, di continuo. Persino il mio fidanzato perfetto ha confessato a Christine la modella che sono poco affidabile e troppo superficiale, che non mi curo abbastanza, come se poi andare in giro tirata a lucido e inamidata fosse fondamentale a trent’anni! Però è vero, maledizione, sono pessima: mi sono anche scordata dell’addio al nubilato di mia sorella… può esistere peggior negligenza familiare?

    Ma guardatemi: ho trentadue anni, sono single e di certo non per scelta, ho appena perso l’uomo della mia vita… come si fa a gioire per la gioia altrui? Come?

    Forse è colpa del karma e di questa mia insana cattiveria mista all’invidia sempre viva che provo per le mie sorelle, forse è colpa di questi miei peccati ed è per tale ragione che non sono e non sarò mai felice.

    Okay, mi sto autocommiserando ancora, lo so. Mi alzo dal letto decisa a seguire i consigli di Tina e la guardo con ritrovato entusiasmo: una specie di strategia per evitare di impazzire completamente. E poi qualcosa mi dice che se provassi a essere più allegra con gli altri e meno rabbiosa e invidiosa, forse le cose andrebbero meglio anche per me. O per lo meno lo spero.

    La fisso negli occhi e tento di sfoderare il mio sorriso più bello e rilassato degli ultimi tempi.

    «Hai ragione: niente autocommiserazione e niente piagnistei. Domani ci sarò e sarò perfetta, Tina, te lo giuro. Fantastica. E non penserò a Max tutta la sera. Mi ubriacherò, certo. Tu portami solo il vestito e dai un bacio a Tommy. E per stasera basta, puoi andare, su… sciò, sciò», dico agitando le mani e facendole dei cenni per mandarla via.

    Mia sorella ride e si alza dal letto scuotendo il capo. «Te lo porto domani sera, l’appuntamento è alle sei, mi raccomando. Vengo qui e ci prepariamo insieme, intesi?».

    Io annuisco. «Va benissimo, davvero, adesso non preoccuparti più per me e torna a casa dalla tua famiglia». Le sorrido e agito ancora le mani come se fossi posseduta o avessi dei problemi muscolari.

    Il fatto è che quando parlo di famiglia, quando penso alla famiglia intesa come l’insieme di uomo, donna ed eventuali bambini, mi sento male. Mi sento… mi sento come se non potessi neppure pensarci, perché per me è e resterà sempre qualcosa d’inarrivabile. Come se nessuno potesse amarmi davvero: non ha saputo farlo il Fidanzato Perfetto, lasciandomi in questo mare d’insicurezze e solitudine, e non lo farà mai nessun altro, perché questa sono io ed è difficile sopportarmi a lungo, solo la sfortuna ci riesce benissimo, praticamente da sempre.

    Per me l’amore, come la famiglia, è qualcosa di vietato, sconosciuto, lontano. Finirò con l’essere un’acida zitella che le mie sorelle guarderanno con pena e i familiari additeranno con nomignoli poco carini ma carichi di compassione, del tipo: Poverina, Quella donna è così sola, Che pena mi fa la zia zitella!.

    «Sì, ora vado o tuo nipote mi darà per dispersa, ma… Liv, posso stare tranquilla? Ti senti meglio? Ti riprenderai?»

    «Puoi stare tranquilla, sto meglio grazie a te e mi riprenderò proprio come faccio ogni volta». Le sorrido con dolcezza annuendo a ogni parola e rispondo alle sue domande per eludere ogni dubbio o preoccupazione. Devo convincerla ad andare o resterà ancora qui per dovere, e poi ce l’avrà segretamente con me per i prossimi tre mesi almeno. Conosco certi meccanismi, soprattutto se si tratta di Tina.

    «Okay. Tanto tra poche ore ci rivedremo».

    «Va bene. A domani, sorellona», le dico, spingendola verso l’ingresso, seppur a malincuore.

    Quando varca la porta, rassicurandomi ancora una volta su quanto io ci abbia guadagnato e Max sia uno stronzo, mi spalmo con la schiena contro il muro e sospiro di sollievo. Mi rendo conto che le mie sorelle non sanno esattamente come consolarmi, forse non mi capiscono, così come io non comprendo loro, anche se abbiamo passato tutta la vita insieme, rimanendo unite e amandoci follemente.

    Come potrebbero farlo, in fondo? Loro non sono sfigate come me. Ecco qui, l’ho detto. E poi la verità è che io sono sempre stata il loro parafulmine, lo scalino su cui appoggiarsi per salire più in alto, seppur in maniera inconscia e naturale. Forse perché ero io a rimanere in basso e a facilitare alle mie sorelle la scalata. Non gliene ho mai fatto una colpa, sia chiaro, tuttavia in momenti come questo la cosa mi pesa. E domani c’è la festa per l’addio al nubilato di Alice, che guarda caso sposa proprio il fratello di Max, il quale diverrà mio cognato, costringendomi a ricordarmi del mio ex per l’intera esistenza. E il bello è che gliel’ho presentato io.

    Il loro è stato un fidanzamento lampo, si sono amati dal primo sguardo e di recente hanno deciso di sposarsi: volevano fare il grande passo il più presto possibile, così tra poco più di un mese convoleranno felicemente a nozze.

    Capite che intendo? Avete presente l’amore folle e passionale che ti prende nella sua morsa e non ti lascia più andare via? Sì? Be’, io no, ma mia sorella e il mio quasi cognato lo conoscono eccome. E state pur certi che se lo godranno tutto!

    Stringo i pantaloni del pigiama dalla rabbia. Diamine, lei è la mia sorella minore, ha quattro anni meno di me eppure si sposa di già. Tutte le persone che conosco finiscono per risolvere le loro vite entro i trent’anni, mentre io sono ancora appesa al filo dell’incertezza del domani, sommersa da una vita di frivolezze senza senso, con pochi amici e un lavoro che detesto con tutta me stessa, perché, sebbene lo faccia con indomabile passione, è anche a causa sua se sono quello che sono e ho perso quello che ho perso.

    Mi solleva solo sapere che domani è domenica e potrò, se non altro, sbronzarmi a una festa in cui tutte le attenzioni saranno rivolte alla futura sposa: ottimo diversivo se si vuole restare in disparte fingendo di essere altrove, e ottimo anche per buttare giù alcol senza pensare; cosa meno buona, però, se si parla di autostima, di cui ultimamente sono carente e che domani subirà un duro contraccolpo.

    Quando mi metto a letto, i pensieri fuggono verso Max. Rievoco tutto quello che abbiamo condiviso, quanto mi era parso unico e vero. Ma poi mi viene in mente l’appuntamento con Christine la modella, al quale mi sono presentata io…

    So che non avrei mai dovuto compiere una simile bassezza nei confronti del mio fidanzato, ma sono diffidente per natura e prima di sbilanciarmi troppo con lui avevo bisogno di conferme; inoltre è una specie di deformazione professionale.

    So che avrei dovuto evitare di controllarlo… sul serio. Per me era quasi un gioco. Vedrai, Liv. Vedrai che non sgarrerà di una virgola, tu porta avanti senza

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