Mi fai un abbraccio
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Anteprima del libro
Mi fai un abbraccio - Sara Dalla Valle
Mondadori
Ringraziamenti
Un ringraziamento speciale va ai miei figli, senza i quali non avrebbe senso la mia vita.
Ringrazio mio marito, che è una certezza della mia esistenza, un porto sicuro. Mi ha sempre sostenuto, amato e incoraggiato. Senza di lui niente sarebbe bello così com’è.
Ringrazio mio padre e mia madre che sono lì, due monoliti infrangibili. Una sicurezza della mia vita è che in qualunque luogo o situazione mi trovi, loro sapranno arrivare da me in soccorso se ne avrò bisogno. Spero di essere altrettanto all’altezza con i miei figli, e con loro, se ne avranno bisogno.
Ringrazio, inoltre, tutte le persone che mi hanno aiutato, ma anche quelle che mi hanno incoraggiato a scrivere questa raccolta di avventure, senza le vostre lodi, complimenti e insistenze non mi sarebbe mai venuto in mente di cimentarmi fino a tanto.
Devo poi fare un ringraziamento speciale a qualcuno che è partito per un lungo lungo viaggio: mio nonno e la mia piccola Molly.
Presentazione
Ecco a voi un diario, una raccolta di avventure di una mamma, di un papà e di una curiosissima bambina di tre anni. Ho tralasciato appositamente le vicende dei primi dodici mesi perché il primo anno è facile, è la fase 1: i bambini non camminano e parlano poco, stanno dove li metti e hanno scarsa possibilità di fare danni. È dopo l’anno di età che si comincia a giocare sporco, comincia la fase 2. Quindi, cari genitori di primogeniti in fasce disperati perché non dormite la notte, i pupi hanno le coliche o vogliono stare sempre attaccati al seno della mamma, vi capisco! Non è mia intenzione spaventarvi troppo, ma purtroppo potete solo peggiorare: da quando cominceranno ad arrampicarsi come ragni ovunque, a saltare sul letto, a fare le guerre psicologiche con voi perché sono entrati nella fase del no e devono affermare se stessi contrapponendosi sempre e comunque a voi genitori, ebbene, carissimi, è da quel momento che penserete veramente: ma chi me l’ha fatto fare?!
L’impegno al quale siamo chiamati è veramente difficile, dobbiamo avere la pazienza e la capacità di farci piccoli come loro e ascoltarli bene, faccia a faccia, con attenzione.
Dovrete poi risolvere problemi pratici di non poco conto, quando ammirati, li guarderete impiastrare loro stessi e il divano con la cioccolata, e sarete soddisfatti perché avrete una nuova sfida: come cavolo si smacchia la cioccolata dalla tappezzeria?
Mondo difficile quello delle mamme e dei papà, in perenne dilemma tra il così andrà bene?
e il così sarà perfetto!
, salvo poi scoprire che la giusta via era dall’altro capo della matassa e tocca ricominciare tutto dall’inizio.
Una cosa però credo sia certa: bisogna smettere di trattare i figli come dei bambolotti che non capiscono cosa succede. Loro sanno tutto. Sempre! Sanno quando siamo arrabbiati o contenti, quando siamo tristi o felici, sanno addirittura quando siamo noi ad avere bisogno di coccole. C’è solo una cosa che essi ignorano totalmente: che la notte è necessario dormire almeno 6 ore di fila, possibilmente ognuno nel proprio letto.
Ti insegnano a vivere. Ti insegnano che quei mille problemi che pensavi di avere prima di loro sono solo stupidaggini. Ti insegnano che l’amore non ha confini. Ti insegnano che una mamma e un papà sono veramente dei supereroi. E che c’è sempre un modo per spostare i tuoi confini un po’ più in avanti. Ti insegnano che devi sempre risplendere, anche se sono almeno tre notti che non ti fanno dormire. Ti insegnano anche ad amare di più il tuo compagno o la tua compagna, anche se il tempo da dedicare a loro ora sarà centellinato. Sì, perché una famiglia è questo: è l’amore grande per mio marito che mi ha portato voi, piccoli nani urlanti e smoccolanti!
Io e Giorgio
Ottobre 2002
Quando ero ragazzina, non avrei mai creduto che da grande avrei avuto dei figli. Non avrei mai creduto che mi sarei sposata né che addirittura sarei andata a vivere al nord, a Novara.
I bambini non mi piacevano. Avevo dei cugini più piccoli e li trovavo noiosi e lagnosi. I miei genitori mi hanno fatto frequentare prima un asilo salesiano e poi l’oratorio e, verso i 14 anni, suor Raffaella, una suora che mi conosceva fin da piccolina, decise che era giunto il momento di fare l’animatrice, ovvero, una domenica durante una gita all’oratorio di Salerno, mi nominò responsabile di un gruppetto di bambini tra i 5 e gli 8 anni. Fu un suicidio! Questi bambini scappavano ovunque, urlavano, qualcuno piangeva che voleva la sua mamma ed io non mi sono mai sentita tanto impotente in vita mia! Sentivo di avere una responsabilità nei confronti di questi bambini e nei confronti di suor Raffaella che si era fidata di me e mi aveva considerato all’altezza, ma io proprio non ce la facevo! Fu un’esperienza devastante. Mai, mai più avrei voluto avere a che fare con dei bambini!
Stabilito quindi già durante l’adolescenza che non mi sarei sposata e non avrei avuto dei bambini, sapevo poi che sarei andata via da Napoli. Non mi è mai piaciuto vivere lì. Non me ne vogliano i miei conterranei ma Napoli e Torre Annunziata, dove sono cresciuta, per me sono sempre state troppo caotiche e comunque troppo diverse da me. Mio padre è di Torre Annunziata, ma mia madre è nata e cresciuta a Roma da genitori veneti e questa diluizione del mio sangue si è sempre fatta sentire forte. Non mi sono mai sentita pienamente a casa né a Napoli, né a Roma, né qui a Novara. La mia casa è itinerante, essa avrà orizzonti sempre nuovi e sconosciuti. La mia casa è dove ci sono i miei affetti.
Ricordo che alle elementari spesso mi chiedevano perché parlassi con quell’accento così strano. Ed io non capivo perché il mio modo di parlare gli sembrasse così diverso. Mi sentivo sempre fuori luogo, fuori tema, giungevo sempre a conclusioni diverse dagli altri, vedevo la vita con gli occhiali rossi, loro con quelli gialli. Durante l’adolescenza sognavo di andare a vivere all’estero: Londra o Parigi, o magari la cosmopolita Bruxelles. In realtà non avevo una meta precisa. Ma volevo andare via da una città che non sentivo mia e non sapevo bene dove. Volevo fare l’assistente di volo e vivere in viaggio e senza meta, senza radici. Mi spaventavano le radici e tuttora prima di prendere una decisione definitiva ci penso mille e mille volte, e cerco sempre e comunque di avere un’uscita di sicurezza, un piano B, o magari anche un piano C.
Non immaginavo neanche che sarei venuta a vivere proprio vicino a Milano. Cresciuta negli anni ’90, spettatrice di una Lega Nord che tacciava i meridionali di mille colpe e difetti, immaginavo che non avrei mai potuto vivere in un posto dove mi avrebbero disprezzato per il mio accento, benché io non mi sentissi neanche così radicata. Sarebbe stata una beffa, perfino!
Poi, una sera di fine settembre ho conosciuto lui. E la concatenazione di eventi che si sono succeduti mi ha portato a fare l’esatto contrario di tutto quello che avevo programmato fino ad allora, o quasi tutto. Quella sera ero arrabbiatissima perché avrei dovuto passare il weekend a Roma, dove avevo degli amici e c’era un tizio interessante. Invece, poiché ero una studentessa squattrinata, ero dovuta rimanere a Torre Annunziata con Bea, la mia migliore amica. Eravamo nella macchina di mia madre e stavamo andando in un locale dove ci aspettavano degli amici per bere qualcosa insieme.
Fermaaaaa!
urlò all’improvviso.
Che succede?
esclamai quasi spaventata mentre mettevo la freccia per accostare senza capire cosa avesse visto.
C’è un mio amico che non vedo da una vita lì all’angolo. Devo assolutamente salutarlo
mi disse aprendo la portiera dell’auto e balzando fuori come una molla.
Ah, ok. Senti, io stasera non sono proprio socievole. Ti aspetto in macchina, mi fumo una sigaretta e faccio un paio di telefonate
risposi abbastanza scocciata per quella sosta non prevista. Era una serataccia, non avevo voglia di fare conquiste o troppo la simpaticona. In più eravamo praticamente in mezzo alla carreggiata del corso principale della città, di sabato sera e con molto traffico per strada. Non potevo mica abbandonare lì l’auto di mia madre!
Dopo 15 minuti circa Bea non era ancora tornata e continuava a parlare con un paio di ragazzi, qualche metro dietro la macchina. Ormai sembravo proprio un’asociale! E le auto che passavano continuavano a suonare il clacson perché parcheggiata così quasi bloccavo il traffico. Se non andavo a recuperarla io chissà quando si sarebbe decisa a risalire in macchina quella chiacchierona! Quindi stabilii di intervenire e scesi anche io.
Ciao!
esclamai con il tono più socievole che riuscivo a fare in quel momento.
Sonia, finalmente sei scesa! Ti presento Paolo e Giorgio
mi disse indicando i due ragazzi. Uno aveva un’aria vagamente familiare. L’altro no, ma mi folgorò. Letteralmente! Gli strinsi la mano e sentii le campane, le farfalle nello stomaco e tutte le altre cavolate che ti raccontano sui colpi di fulmine, che io consideravo delle cose impossibili. Com’è mai possibile innamorarsi di qualcuno a prima vista? Ma ti pare? Bisogna conoscersi, analizzarsi, condividere momenti. Ero convinta che fossero solo storie da Harmony inventate per casalinghe infelici... fino a quel momento.
Ma noi ci siamo già conosciuti
disse Paolo, il ragazzo che mi era sembrato avesse un’aria familiare.
Davvero?
gli risposi senza neanche guardarlo, fissando insistentemente Giorgio che a sua volta non mi toglieva gli occhi di dosso. Sembravamo ipnotizzati!
Sì, al Lido Azzurro, qualche sera fa
aggiunse. Il Lido Azzurro era un locale sul lungomare che frequentavamo quasi tutti in città. All’epoca era l’unico locale notturno aperto a Torre Annunziata, quindi era un posto di ritrovo obbligato.
Ah! Boh! Sì, hai un’aria familiare ma non mi ricordo. Scusami.
Mi sentii un po’ in imbarazzo. Si vedeva che lui ci era rimasto un po’ male, ma io proprio non me lo ricordavo.
Giorgio ed io continuavamo a guardarci.