Torna: Lettera di un padre al figlio omosessuale
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Il mio amore e il tuo amore.
Incondizionato.
Un padre rientra a casa prima dal lavoro e trova il figlio diciassettenne tra le braccia di un ragazzo. Lo stupore, la rabbia e il dolore gelano ogni sua reazione. Si chiude in camera e riesce a fare solo una cosa: scrivere una lunga e toccante e-mail al figlio.
Torna è la lettera che ogni ragazzo rifiutato dalla famiglia avrebbe voluto ricevere, è l’occasione, per ogni genitore incapace di accettare la diversità, di aprire un dialogo con se stessi per trovare quelle risposte che, da soli, è difficile darsi.
Torna è la lettera che forse avrebbe evitato il suicidio di molti minorenni che, di diverso, avevano solo la capacità di amare.
Torna è anche la risposta di un figlio alle parole di un padre che non ha mai chiuso la porta in faccia alla speranza.
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Anteprima del libro
Torna - Stefano Antonini
forma.
Prefazione
Una semplice realtà
Sono lieto che mi sia stato domandato di fare una prefazione a questo splendido libro, in quanto è dai lontani anni ’80 che mi occupo delle problematiche inerenti il vissuto omosessuale (ora gay) delle persone, inoltre, proprio su tale argomento, fu la mia tesi di specializzazione in Sessuologia clinica nell’ormai lontanissimo 1989.
Quando parliamo di omosessuali, in realtà di cosa
parliamo? Parliamo di persone le quali, per un non acclarato meccanismo (esistono cento ed oltre teorie
sulle modalità per cui… ma nessuna definitiva e singolarmente connotante) danno la precedenza, a livello dell’inconscio profondo, il proprio anziché l’altro sesso; tutto qua (è una realtà semplice): alcuni giungono a questa prelazione in modo complesso a volte anche avanti negli anni e con un vissuto diverso, altri la conclamano esistente sin dalla prima infanzia o nello sbocciare dell’adolescenza. Orbene questa realtà, così semplice ma forte nel medesimo tempo, mette in crisi da sempre il fattore culturale, che non appartiene alla compagine di coloro che sono parte della realtà gay.
Ci si potrebbe immergere in una disamina psicodinamica infinita nel tentativo di prendere in considerazione i fantasmi
evocati dalla vita omosessuale in coloro che si considerano normali
(quando la norma
è un dato puramente statistico e non reale), ma questo non è il luogo. Tuttavia, il libro si apre appunto con lo sconcerto del padre nel trovare il figlio (che se ne andrà) tra le braccia di un amico: quando nasce un figlio non sei sempre in grado di vivere il suo futuro in una pluralità di doppie mandate riguardo alla sua esistenza, le sue scelte di vita sessuali lavorative e quant’altro, ma si tende a dirigere il pensiero su cose che si immaginano più correnti, più comuni o meglio più comme il faut (come deve essere, in francese). Ed è proprio ciò che nel libro viene eviscerato attraverso emozioni sensazioni, dolore relativi alla incapacità immediata di capire, accettare, dire va bene così
, la mia generazione è diversa dalla tua
(per la verità, da anni ormai, esistono gruppi di genitori di ragazzi gay che offrono sostegno a famiglie di ragazzi che hanno fatto coming out per superare assieme gli eventuali disagi relativi). Forse sì, forse no: è il dato esperienziale del rifiuto nemmeno troppo inconscio di quanto consideriamo diverso
e rifiutato a priori
che gioca in modo distruttivo nella constatazione angosciosa
dell’inatteso e nello scontro personale con il non immaginato.
La società (quella italiana in special modo, dove la Legge contro l’omofobia è ferma dal 2017 al Senato) non accetta la libertà di un essere umano a esprimersi per quello che è, quando sfugge alla normalizzazione
voluta dalla società stessa. Ed è in effetti da questo disorientamento che il figlio parte nella sua lettera di risposta al padre, da quel suo non sentirsi capito, amato e accettato: è il suo dolore profondo che grida al padre e al cielo, il dolore inaccettabile di essere in un altro modo, in un modo che la società fatica ad accettare a capire, a tollerare.
Quello che desidero sottolineare, prima di chiudere questa breve prefazione, è questo: al di là del folclore, dell’egosintonia, del camp, le persone che vivono questa loro realtà sono immersi (almeno per molto tempo) in un dolore profondo che noi, con la nostra cecità, la nostra supponenza, non facciamo altro che enfatizzare.
Marco Lodi
Psicologo, psicoterapeuta
Parte 1
Lettera del padre
Ciao
Ciao.
Scriverò questa lettera con il cuore in mano, nella speranza di riuscire a esprimere ogni mio pensiero riguardo a quello che è accaduto stamattina.
Il rischio è di passare la notte davanti al computer, non m’importa.
Non sei rientrato a cena e sono certo che nemmeno stanotte lo farai.
Sveglio tu, sveglio io. Almeno in questo siamo pari.
Alla mamma hai detto che accompagni Silvia al mare e poi vi fermate là.
Se un po’ ti conosco, sei al parco a meno di un chilometro da qui.
So che hai il cellulare con te e, per quanto ti abbia spesso rimproverato per l’uso improprio che ne fai, adesso mi torna utile allearmi con lui.
Questa e-mail arriva dove tuo padre non può.
A un invio ne seguirà un altro e un altro ancora, fino a quando non avrò la certezza che quello che sto spedendo non siano solo parole.
Né tu, né io dovevamo tornare a casa prima, oggi.
Tu perché dovevi essere a scuola, io perché l’ultima volta che ho chiesto un permesso credo risalga a quando tua mamma ha partorito.
Oggi l’ho fatto.
Un’emicrania feroce si è aggiunta all’influenza e mi sono preso mezza giornata. La stessa mezza giornata che ti sei preso tu.
Ipotizzo: verifica di Matematica?
Consiglio: finché fuggirai da scuola, il 4 del primo quadrimestre non lo recupererai mai.
Ma non è di questo che dovremmo parlare, giusto?
Perdonami, un padre è un padre sempre.
Prendila come una «deformazione professionale del capo famiglia».
Ero padre quando sei nato, lo sono stato quando non mi lasciavi dormire per via di quel brutto sogno che ti faceva vedere «tutte le cose vicine», e ho continuato a esserlo quando hai vinto il tuo primo torneo di Subbuteo.
Lo sono stato anche la settimana scorsa, quando hai urlato alla mamma che non hai più 10 anni.
E lo sono anche oggi.
È vero, oggi non vorrei esserlo.
Preferirei essere zio.
O amico.
O benemerito sconosciuto con il quale confrontarsi in chat.
Perché oggi, tu e io, abbiamo sbattuto la faccia contro la vita.
Tuo figlio e… te
Diciamo che non è proprio andata così.
Non ho sbattuto nessuna faccia contro la vita, sono solo stato investito da un treno in corsa.
Treno merci, ovvio, con tanto di motrice e vagoni container.
Entrare in casa e trovarti tra le braccia di un altro ragazzo non è stato semplice, per me.
Ho solo esclamato la prima cosa