Lo stress ossidativo induce la β-secretasi agendo sull’attività della γ-secretasi: vie di segnale coinvolte e ruolo nella patogenesi della malattia di Alzheimer
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Diversi lavori dimostrano che le reazioni di tipo ossidativo sono implicate nell’AD e che la beta proteina rappresenta il legame fra lo stress ossidativo e la morte neuronale associata alla malattia. Lo stress ossidativo modula positivamente l’espressione e l’attività di BACE-1 nel tessuto cerebrale di soggetti affetti da AD sporadico.
Recentemente alcuni studi hanno evidenziato l’importanza del taglio gamma-secretasico, aprendo la strada all’ipotesi che le attività di beta e gamma-secretasi siano correlate, e che l’attività gamma-secretasica abbia un ruolo nell’induzione di BACE-1, indotta dallo stress ossidativo.
In questa tesi vengono riportati i risultati relativi al ruolo della gamma-secretasi nell’induzione, stress ossidativo dipendente, di BACE-1 e le vie di segnale alla base di tale induzione. Per questi studi sono stati utilizzati modelli sperimentali in vitro ed in vivo. I risultati ottenuti indicano che l’attività gamma-secretasica è indispensabile per l’induzione di BACE-1 mediata dallo stress ossidativo.
In entrambi i modelli sperimentali si è anche dimostrato un coinvolgimento della via di segnale JNK dipendente nella induzione osservata. I risultati presentati in questa tesi, dimostrano un “link” molecolare fra stress ossidativo e produzione di beta proteina, importante nella patogenesi dei casi di AD sporadico, suggerendo che farmaci ad attività anti-ossidante possono essere presi seriamente in considerazione nella prevenzione della malattia.
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Anteprima del libro
Lo stress ossidativo induce la β-secretasi agendo sull’attività della γ-secretasi - Susanna Lorenza Briccarello
6 BIBLIOGRAFIA
INDICE DELLE FIGURE
Figura 1. Alois Alzheimer
Figura 2. Appunti del Dott. Alzheimer
Figura 3. Illustrazione eseguita da A. Alzheimer raffigurante i grovigli neuro fibrillari e le placche amiloidi.
Figura 4. APP Processing
Figura 5. BACE-1.
Figura 6. Costituenti del complesso γ-secretasico
Figura 7. Schema del clivaggio γ-secretasico
Figura 8. Schema del processo di per ossidazione lipdica.
Figura 9. Caratteristiche che conferiscono sensibilità alle cellule neuronali.
Figura 10. Schema della struttura del vettore pcDNA3
Figura 11: Livelli proteici di BACE-1 valutati con tecnica western blot (A) in neuroni NT2 dopo 6 ore di trattamento con HNE 1 e 5μM o H2O2 10 e 20 μM . (B) Analisi densitometrica delle bande, eseguita dopo normalizzazione dei vari campioni rispetto alla corrispondente quantità di á actina.
Figura 12. Lo stresso ossidativo induce un aumento di PS1/PEN e dell'attività della γ-secretasi. Espressione di PS1 (A) e PEN-2 (B) valutate con tecnica quantitativa Real Time-PCR in cellule di neuroblastoma SK-N-BE pre-trattate o meno con Actinomicina D 1 μM 30 minuti prima del trattamento con HNE 5μM o H2O2 20 μM.
(C) Attività della γ-secretasi su una proteina di fusione APP-Gal4, valutata mediante luciferase gene assay
in cellule SK-N-BE dopo 3 ore di trattamento con i pro-ossidanti. Il controllo positivo è stato valutato trasfettando le cellule con un costrutto della PS1.
Figura 13. Livelli intracellulari (A) e secreti (B) di Aá40 e Aá42 prodotti da cellule SK-N-BE dopo 6 ore di trattamento con HNE 5μM o H2O2 20 μM .
Figura 14. Espressione (A) livelli proteici (B) e attività (C) di BACE-1 in cellule MEFs derivate da topi wild type o da topi deleti per PS1/PS2 trattate con HNE 5μM o H2O2 20 μM.
Figura 15. Livelli proteici di BACE-1 valutati in MEFs derivate da topi deleti per PS1/PS2 trasfettate con il costrutto PS1/PS2 e trattate con HNE 5μM o H2O2 20 μM.
Figura 16. Espressione (A) livelli proteici (B) e attività (C) di BACE-1 in cellule SK-N-BE pretrattate con un inibitore farmacologico della γ-secretasi, L685,458, alla concentrazione di 1 μM 8 ore prima del trattamento con HNE 5μM o H2O2 20 μM.
Figura 17. Livelli proteici di BACE-1 in cellule SK-N-BE silenziate con tecnica RNA interference per PS1/PS2 e trattate per 6 ore con HNE 5μM o H2O2 20 μM.
Figura 18. Determinazione dei ROS (A) e del rapporto GSSG/GSH (B) in tessuto cerebrale derivato da topi Balb C sottoposti a ischemia cerebrale transitoria bilaterale e riperfusione per 1h o 3h.
Figura 19. Livelli proteici (A), espressione (B) e attività (C) di BACE-1 in tessuto cerebrale di topi Balb C sottoposti ad ischemia cerebrale transitoria bilaterale e riperfusione per 1h, 3h o 6h.
Figura 20. Livelli di mRNA PS1 e PEN- 2(A) attività della γ-secretasi (B) e livelli di N-Caderina e APP695 full lenght (C) in tessuto cerebrale di topi Balb C sottoposti ad ischemia cerebrale transitoria bilaterale e riperfusione per 1h o 3h.
Figura 21. Livelli nucleari di fosforilazione di JNK e Jun (A) in cellule SK-N-BE trattate con trattate con HNE 5μM o H2O2 20 μM. (B) Attivazione del fattore di trascrizione AP1 in cellule SK-N-BE trattate con HNE 5μM o H2O2 20 μM per 3 ore.
Figura 22. Espressione di BACE-1 (A) e di PS1 (B) in MEFs derivate da topi deleti wild type o deleti per JNK1/2 e trattate con HNE 5μM o H2O2 20 μM.
Figura 23. Livelli nucleari di fosforilazione di JNK e Jun (A) in estratti proteici di tessuto cerebrale di topi sottoposti ad ischemia cerebrale transitoria bilaterale e riperfusione per 1h e 3h.
Figura 24. Attivazione del fattore di trascrizione AP1 in estratti nucleari di tessuto cerebrale di topi Balb C sottoposti ad ischemia cerebrale transitoria bilaterale e riperfusione per 1h e 3h.
Figura 25. Espressione di BACE-1 (A) e di PS1 (B) in tessuto cerebrale di topi Balb C sottoposti ad ischemia cerebrale transiente bilaterale e riperfusione, pre-trattati o meno con peptide inibitore di JNK.
Figura 26. Espressione (A) e livelli proteici (B) di BACE-1 in cellule MEFs derivate da topi wild type o da topi deleti per APP695 trattate con HNE 5μM o H2O2 20 μM.
1
INTRODUZIONE
1.1 CENNI STORICI SULLA MALATTIA DI ALZHEIMER
Circa 100 anni fa, nello studio di uno psichiatra tedesco, la paziente August D. pronunciò la frase: Ho perso me stessa
. Il medico che raccolse questa testimonianza non era altri che il neuropsichiatra Alois Alzheimer. Egli, esaminado accuratamente il caso della signora August D., capì che ella manifestava uno stato di demenza acuto e progressivo che non trovava riscontro nei casi comunemente affrontati dalla medicina dell’epoca. Ebbe quindi inizio la ricerca su questa nuova patologia neurodegenerativa di cui la signora August D. fu la prima ed unica paziente conosciuta (Haass C. 2004).
Alois Alzheimer (1864-1915) incontrò per la prima volta Auguste D. il 26 novembre 1901, a quel tempo Alzheimer (Figura 1) era un assistente medico presso la clinica psichiatrica di Francoforte.
Figura 1. Alois Alzheimer
Figura 2. Appunti del Dott. Alzheimer presi durante la prima intervista fatta alla sua paziente il 26 novembre 1901.
Auguste D., a 51 anni, venne ricoverata nella clinica di Francoforte il 25 novembre 1901 e durante la sua permanenza manifestò disorientamento spazio-temporale, confusione generale, ansia e riluttanza alla collaborazione (Dahm R., 2006).
Per indagare questa patologia Alzheimer interrogò sistematicamente la sua paziente e registrò le sue risposte in protocolli dettagliati e continuò a seguire il caso di Auguste D. fino alla sua morte avvenuta l’8 aprile 1906 per una setticemia conseguente ad infezione delle piaghe da decubito.
Dopo la morte della signora August D. fu possibile esaminarne il cervello per indagare quali fossero cambiamenti istologici responsabili di questa patologia.
Alzheimer notò che a livello macroscopico il cervello mostrava un’ampia atrofia e insieme a due fisiologi italiani, Gaetano Perusini e Francesco Bonfiglio, egli esaminò meticolosamente le sezioni istologiche.
Queste mostravano una massiva perdita di cellule e peculiari fibrille dense e fortemente colorate nei neuroni rimanenti (i grovigli neuro fibrillari). Identificarono anche depositi di una sostanza sconosciuta presente sottoforma di placche nella corteccia cerebrale (placche senili) (Figura 3).
Il 3 novembre 1906 Alzheimer presentò i suoi risultati per la prima volta a Tubinga, in occasione del congresso della Società degli Psichiatri Tedeschi del sud-ovest, con una comunicazione dal titolo Una caratteristica malattia della corteccia cerebrale
.
I colleghi non ritennero la sua scoperta degna di pubblicazione e così solo un anno dopo venne pubblicata sul Allgeneine Zeitschrift fur Psychitrie und Psychisch-Gerichtliche Medizin
.
Figura 3. Illustrazione eseguita da A. Alzheimer raffigurante i grovigli neuro fibrillari e le placche amiloidi. L’immagine è inclusa nell’articolo di Alzheimer, pubblicato nel 1911, che descrive il caso di Auguste D. e Johann F. (Dahm R., 2006)
Nonostante l’iniziale mancanza di riconoscimento, Alzheimer decise di esaminare più casi. Tra i 1907 e il 1908, morirono altri tre pazienti nel quale aveva riscontrato sintomi e alterazioni istopatologiche simili a quelle osservate in Auguste D, anche se per uno di questi pazienti, il signor Jhoann F., non fu possibile identificare i depositi neurofibrillari. Questa fu la prima evidenza dell’ampio spettro di manifestazioni patologiche con cui si può presentare la malattia di Alzheimer che conosciamo oggi.
Questi risultati insieme alla prima tavola che mostrava i cambiamenti istopatologici del cervello di Auguste D., furono pubblicati da Perusini nel 1909.
Nel 1910 Kraepelin, il più famoso psichiatra dell’epoca, pubblicò l’ottava edizione del suo trattato Psichiatria
nel quale definiva per la prima volta questa nuova forma di demenza, malattia di Alzheimer.
Alzheimer stesso pubblicò il primo resoconto del caso di Auguste D. solo nel 1911
Fino agli anni ‘70 si ritenne che la malattia potesse colpire solo le persone al di sotto dei 65 anni : si parlò quindi di demenza presenile
. Solo negli ultimi decenni si è accertato che la malattia di Alzheimer non è esclusiva dell’età presenile, ma anzi è tanto più frequente quanto più aumenta l’età. Nelle persone che hanno superato i 65 anni la frequenza complessiva (prevalenza) è di circa il 7%, mentre negli 80enni è di circa il 30%.
La sintomatologia riscontrata all’inizio del XX secolo in Auguste D. è sovrapponibile a quella di molti pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer: progressivo deterioramento della memoria, soprattutto a breve termine, alterata comprensione, comportamento imprevedibile, disorientamento e progressiva afasia.
La malattia di Alzheimer, ad oggi, colpisce circa 30 milioni di persone in tutto il mondo e manifesta un’incidenza molto elevata soprattutto tra i paesi industrializzati dove le prospettive di vita sono notevolmente aumentate nel corso degli ultimi 50 anni. La malattia è ormai considerata la più comune forma di demenza ed è classificata secondo 2 forme: l’Alzheimer sporadico che rapprenta la maggioranza dei casi e l’Alzheimer Familiare, più raro ed a esordio precoce, causato da mutazioni di geni recentemente identificati (Tabaton M. et al., 2007).
L’eziologia della forma familiare è da attribuire a fattori genetici (mutazioni di APP, PS1, PS2, trisomia 21, allele apo E), mentre quella della forma sporadica è da attribuire sia a fattori genetici che ambientali. (allele apoE, traumi cranici, ipotiroidismo, depressione, estrogeni, basso livello di scolarizzazione, ridotto volume cerebrale, dieta non corretta, esposizione a sostanze tossiche, ecc.).
Nel